Gesù Cristo rivelazione dell'uomo

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Capitolo tredicesimo - V

V. Dio è amore

Dopo Cristo non possiamo più pensare Dio, senza pensarlo come Amore.

La trascendenza della sua prossimità si manifesta nell'immagine della sua potenza disarmata, crocifissa per amore.

Dio solo poteva parlarci dell'amore in quel modo.

L'Antico Testamento ci ha rivelato che Dio è onnipotente, giusto e santo, fedele e paziente, innamorato e geloso.

Ma ciò che è innanzitutto, ciò che vuole essere al di sopra di tutto, questo non possiamo saperlo, se non per mezzo di colui che è la Parola epifanica di Dio: cioè per mezzo di Cristo.

Ora, questa Parola ci rivela che Dio si identifica con l'Amore: « Dio è Amore » ( 1 Gv 4,8 ).

Per san Giovanni, vi è unità essenziale tra persona e funzione di Cristo: è l'Amore che rende visibile l'Amore.

Ma anche qui si tratta di un amore senza confronto con le nostre parvenze d'amore, sempre sofisticate, sempre contaminate di egoismo.

Ciò che non comprendiamo veramente nella rivelazione di Dio, è che Dio è amore, nient'altro che amore, un amore abissale come l'infinito in tutte le direzioni: infinito di tenerezza, di pazienza, di misericordia.

È questo amore di Dio per gli uomini che Gesù è venuto a esprimerci, ripeterci, predicando e percorrendo le città e i villaggi di Galilea fino a estenuarsi.

Ma gli uomini non hanno captato il suo messaggio; non hanno capito l'amore di Dio.

L'amore non è amato!

Allora viene il momento dei grandi gesti: la lavanda dei piedi, il pane spezzato, la passione e la croce.

Quando le parole non bastano più, non rimane che l'ultima parola: il dono di sé fino al dono della vita.

Allora, tutto è detto, tutto è consumato.

La parola si fa gesto, poi silenzio.

Attraverso l'eucaristia Cristo dispone di sé, offrendo il suo corpo e il suo sangue; nella lavanda dei piedi manifesta le sue disposizioni intime; con la sua morte accetta la disposizione di se stesso decisa dal Padre, all'ora del calice.

La Cena, è il convito d'addio del Signore che va alla morte: l'ultimo dono del suo amore per i suoi, come la promessa del regno che verrà, con la speranza di una nuova comunità di mensa all'ultimo giorno.

« Questo è il mio corpo donato per voi ».

Il pane che Gesù offre in cibo, è il suo corpo, cioè, secondo il significato ebraico del termine, è lui stesso, tutto intero, consegnato alla morte, al nostro posto e al posto di tutti gli uomini.

Il Servo di Dio è consegnato alla morte, ma più realmente ancora, si consegna, si dona da se stesso attivamente.

Quando il Signore ci presenta il pane del suo corpo, siamo nutriti della salvezza che ci ha meritato consegnando se stesso al nostro posto.

Il calice del vino è il calice della Nuova Alleanza o, meglio, il calice di un'alleanza completamente nuova, di un nuovo statuto dell'umanità che fa di tutti gli uomini dei figli di Dio in Gesù Cristo.

Bere al calice di questa Alleanza stabilita dal sangue di Gesù, è partecipare al mondo nuovo inaugurato dalla sua morte: un mondo di unione e di comunione a Dio mediante l'amore impresso nei nostri cuori.

Quando Gesù dice: « fate questo in memoria di me », non vuole solo che ce lo ricordiamo tramite la memoria, per commossa che sia; è l'azione di Gesù nella sua totalità, gesti e parole, che deve essere un'azione commemorativa.

Si tratta di commemorare un atto, un avvenimento sempre presente e sempre attivo come oblazione sacrificale.

La Cena è insieme banchetto e oblazione, morte sacrificale.

Questa ultima cena di Gesù coi dodici, è la sua ultima cena sulla terra, prima di quella pasquale del mondo che verrà, quando Gesù risorto sarà presente e berrà di nuovo il calice del festino.

Per il momento, Gesù dispone di se stesso e si dona.

Nella lavanda dei piedi, manifesta le sue disposizioni intime.

San Giovanni ci dice che Gesù, nel bel mezzo del banchetto, e non all'inizio, come ci si potrebbe aspettare, si mette a lavare i piedi dei suoi discepoli.

Questo servizio che veniva ordinariamente affidato a uno schiavo.

Gesù lo assume, Egli che san Giovanni presenta come Maestro e Signore, come colui che viene da Dio e ritorna a Dio.

Deliberatamente si abbassa, si inchina per lavare i piedi dei suoi discepoli.

Gesto tanto più sconcertante in quanto Gesù lo compie una sola volta.

In verità questo gesto enigmatico e simbolico, se ci si riflette, esprime il significato estremo della sua vita.

Questo gesto manifesta che egli, Cristo, il Figlio a cui il Padre ha affidato tutto, assume deliberatamente, fra gli uomini, la condizione di « servitore »: interamente a disposizione, interamente in balìa degli uomini.

Servo sofferente di cui parla Isaia, consegnato per la salvezza di tutti; servo obbediente fino alla morte di croce, di cui parla san Paolo ai Filippesi; servo sempre a disposizione nostra, sempre consegnato, donato, nella Cena e l'eucaristia.

Il Mistero che ci viene qui rivelato, è che Dio in Cristo, è un Dio servitore: al servizio degli uomini.

La sua vita è nel servire fino al supremo servizio che consiste nel salvare gli altri al prezzo della propria vita.

Infine, all'ora della sua passione, Gesù consuma il dono che ha già fatto di se stesso.

È già stato « consegnato » da Giuda in mano agli uomini, in mano ai pagani, in mano ai peccatori.

Anche il Padre « consegna » suo Figlio, ma per amore: « Dio ha tanto amato il mondo che ha donato il suo Figlio unico … perché il mondo sia salvato per mezzo di lui » ( Gv 3,16-17 ).

Dio non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per noi ( Rm 8,32 ).

Che strano contrasto tra Dio che « consegna » per amore, e gli uomini che « consegnano » per odio e per gelosia!

Qui si compie ciò che Abramo non è stato costretto a fare: Dio « sacrifica » suo Figlio consegnandolo agli uomini per essere crocifisso.

Ma, nel contempo, Cristo per amore del Padre e degli uomini, accetta la disposizione del Padre: si consegna, in modo che l'azione degli uomini che lo consegnano resti subordinata a quella del Padre e del Figlio.

Gesù ha amato il suoi fino all'esaurimento della sua vita.

Sulla croce, tutto ciò che Gesù ha voluto dire, è detto.

La Parola è diventata Silenzio, ma questo Silenzio è la Parola suprema: quando Dio ci ha donato suo Figlio, quando il Figlio ha dato la sua vita; quando il corpo di Gesù è dissanguato, non vi è più nulla da dire; non vi è più che da contemplare le braccia distese e il costato aperto, e capire.

Gesù ha amato i suoi fino ai limiti e fino alla pienezza dell'amore: « Non vi è amore più grande che di dare la vita per i suoi amici » ( Gv 15,13 ).

Se Dio è Amore, mai l'amore di Dio, in Cristo, è stato più simile a questo amore.

Mai lo ha espresso in modo più commovente.

La Cena, la lavanda dei piedi, la croce: tre gesti, tre segni dello stesso Amore spinto fino ai limiti dell'amore.

Il giorno in cui, per grazia, il nostro cuore si apre alla comprensione dei segni di questo Amore, allora incominciamo a capire chi è Dio.

Questo giorno, questo istante è come il fuoco che si accende nella notte: illumina, infiamma, riscalda, abbaglia.

«Mi ha amato e ha dato se stesso per me » dice san Paolo ( Gal 2,20 ). Tutto è detto.

Il giorno in cui ho capito che Cristo è Qualcuno, tanto reale quanto io per me, che ha preso il mio posto nella morte per me, allora ho capito che devo, che posso amarlo, che lo amo.

Questo cambia tutta la mia vita!

Non si può più dire allo stesso modo: « mio Signore e mio Dio » …

Vi si mette tutto l'amore dell'apostolo Tommaso, tutto il cuore di Pascal.

Si vorrebbe morire al suo posto!

Soprattutto si vorrebbe che il dramma non si ripetesse più!

L'uomo di oggi, orgoglioso delle sue prodezze tecniche, resta affettivamente fragile.

Un'immensa solitudine pesa su di lui di fronte alle minacce del morte che lo circondario.

Ha bisogno di sapere, di sentirsi amato, ma di un amore forte, fedele, che nel contempo rispetti la sua libertà.

Ora, in Cristo, gli uomini scoprono questo amore assoluto, che ama l'uomo in se stesso, senza l'ombra di repulsione, perché vede in noi dei figli, i suoi figli.

Dio ci raggiunge là dove nessun essere umano può arrivare.

Con lui possiamo essere noi stessi, senza sentirci giudicati, ma, al contrario, totalmente accettati, col nostro peso di grandezza e di miseria, di nobiltà e di viltà, di oblio di sé e di ripiegamento su se stessi.

Non siamo mai stati tanto amati come dall'Amore!

Il senso della nostra vita è di accogliere questa incredibile offerta di alleanza dell'Amore con il nostro egoismo, col nostro nulla.

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