Summa Teologica - I

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Articolo 1 - Se tra le persone divine vi sia uguaglianza

In 1 Sent., d. 19, q. 1, a. 1

Pare che tra le persone divine non vi sia uguaglianza.

Infatti:

1. Come dice il Filosofo [ Met. 5,15 ], l'uguaglianza deriva dal concordare nella quantità.

Ora, nelle persone divine non c'è né la quantità continua intrinseca, chiamata estensione, né la quantità continua estrinseca, cioè il luogo e il tempo.

E neppure c'è tra di esse l'uguaglianza della quantità discreta, essendo due persone più di una.

Quindi alle Persone divine non conviene l'uguaglianza.

2. Le persone divine, come si è detto [ q. 39, a. 2 ], sono tutte di una stessa e identica essenza.

Ma l'essenza viene significata come una forma.

Ora, il concordare nella stessa forma non produce uguaglianza, ma solo somiglianza.

Quindi tra le persone divine c'è somiglianza, non uguaglianza.

3. Le cose tra cui c'è uguaglianza sono uguali tra loro: infatti l'uguale si dice uguale all'uguale.

Ma le persone divine non possono dirsi uguali l'una all'altra.

Poiché, come dice S. Agostino [ De Trin. 6,10.11 ], « se l'immagine riproduce esattamente e perfettamente l'oggetto di cui è immagine, essa si adegua all'oggetto, ma non questo ad essa ».

Ora, il Figlio è immagine del Padre: perciò questi non è uguale al Figlio.

Quindi tra le persone divine non c'è uguaglianza.

4. L'uguaglianza è una relazione.

Ma nessuna relazione è comune alle persone divine: poiché esse si distinguono tra loro appunto per le relazioni.

Quindi alle persone divine non può convenire l'uguaglianza.

In contrario:

È detto nel Simbolo atanasiano che « le tre persone sono coeterne e uguali tra loro ».

Dimostrazione:

È necessario affermare che tra le persone divine c'è uguaglianza.

Infatti, secondo il Filosofo [ Met. 10,5 ], si ha il concetto di uguale escludendo il più e il meno.

Ora, non possiamo ammettere che tra le persone divine ci sia il più e il meno: poiché, come dice Boezio [ De Trin. 1 ], « sono costretti a riconoscere delle discrepanze » nella divinità « coloro che ammettono in Dio il più e il meno, come gli Ariani, i quali con lo stabilire dei gradi distruggono la Trinità e la riducono a una pluralità »

E il motivo è questo, che le cose disuguali non possono avere un'unica quantità.

Ma la quantità in Dio non è altro che la sua essenza.

Da cui segue che se nelle persone divine ci fosse qualche disuguaglianza, queste non potrebbero avere un'unica essenza: e così le tre persone non sarebbero un Dio solo, il che è inammissibile.

Quindi bisogna ammettere l'uguaglianza tra le diverse persone.

Analisi delle obiezioni:

1. Ci sono due specie di quantità.

La prima è quella di mole, o di estensione, che essendo propria delle realtà corporee non può trovarsi in Dio.

L'altra è la quantità di intensità, che si desume dal grado di perfezione della natura o della forma: si parla p. es. di questa quantità quando un corpo è detto più o meno caldo per indicare che partecipa più o meno perfettamente del calore.

Ora, la grandezza di questa quantità intensiva viene desunta, in primo luogo, dalla sua radice, cioè dalla perfezione della natura o forma: e in questo senso si può parlare di grandezza spirituale, come si parla di un grande calore a motivo della sua intensità e perfezione.

E in questo senso S. Agostino [ De Trin. 6,8 ] dice che « tra le cose che sono grandi senza essere estese, è più grande quella che è migliore »: infatti diciamo che è migliore ciò che è più perfetto.

In secondo luogo la grandezza di questa quantità intensiva viene desunta dagli effetti della forma.

Ora, il primo effetto della forma è l'essere: infatti ogni cosa ha l'essere dalla propria forma.

L'altro effetto è invece l'operazione: infatti ogni agente agisce in forza della propria forma.

Quindi la misura quantitativa dell'intensità viene desunta sia dall'essere che dall'operazione: dall'essere in quanto le realtà di natura più perfetta sono anche più durature; dall'operazione in quanto le realtà di natura più perfetta sono anche più capaci di agire.

Quindi, come dice S. Agostino [ De fide ad Petrum 1 ], l'uguaglianza tra il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo « sta in questo, che nessuno di loro precede l'altro nell'eternità, o lo sorpassa nella grandezza, o lo supera nella potenza ».

2. Dove si desume l'uguaglianza dalla quantità di intensità, questa include la somiglianza e vi aggiunge in più l'esclusione di una preminenza.

Infatti le realtà che hanno la stessa forma possono essere dette simili anche se la partecipano in grado differente: l'aria, p. es., può essere detta simile al fuoco nel calore; però non possono essere dette uguali se una partecipa la forma più perfettamente dell'altra.

Ora, il Padre e il Figlio non solo hanno la stessa natura, ma l'hanno anche in modo ugualmente perfetto: perciò il Figlio non solo è detto simile al Padre, per escludere l'errore di Eunomio, ma è detto anche uguale, per escludere quello di Ario.

3. L'uguaglianza e la somiglianza in Dio possono venire espresse in due modi, cioè coi nomi e coi verbi.

Se vengono espresse coi nomi, allora tanto l'una quanto l'altra ammettono la reciprocità, poiché il Figlio è simile e uguale al Padre, e il Padre è simile e uguale al Figlio.

E questo perché l'essenza divina non è più nel Padre che nel Figlio: perciò, come il Figlio ha la grandezza del Padre, e quindi è uguale al Padre, così il Padre ha la grandezza del Figlio ed è uguale al Figlio.

Nelle creature invece, come dice Dionigi [ De div. nom. 9,6 ], « non c'è questa reciprocità di uguaglianza e di somiglianza ».

Si dice infatti che gli effetti sono simili alle loro cause, avendone in sé la forma, ma non viceversa, in quanto la forma si trova principalmente nelle cause e solo secondariamente negli effetti.

- I verbi invece esprimono l'uguaglianza unita all'idea di movimento.

E sebbene in Dio non esista il moto, tuttavia c'è in lui [ il dare e ] il ricevere.

Quindi, poiché il Figlio riceve dal Padre, diciamo che il Figlio uguaglia il Padre, ma non viceversa.

4. Nelle persone divine non c'è altro che l'essenza in cui comunicano, e le relazioni per le quali si distinguono.

Ora, l'uguaglianza comporta queste due cose: la distinzione delle persone, poiché nessuna cosa può dirsi uguale a se stessa, e l'unità dell'essenza, poiché le persone si dicono uguali tra loro precisamente perché sono di un'unica essenza e grandezza.

È poi chiaro che nessuna cosa si riferisce a se medesima con una relazione reale.

Così pure è evidente che una relazione non si riferisce a un'altra mediante una terza relazione: quando infatti diciamo che la paternità si oppone alla filiazione, l'opposizione non è una terza relazione interposta tra la paternità e la filiazione, perché altrimenti in tutti e due i casi si andrebbe all'infinito.

Quindi l'uguaglianza e la somiglianza delle persone divine non è un'altra relazione reale distinta dalle relazioni personali [ paternità, filiazione, spirazione ], ma nel suo concetto include sia le relazioni che distinguono le persone, sia l'unità dell'essenza.

E per questo il Maestro delle Sentenze [ 1,31 ] dice che nelle persone divine « soltanto le denominazioni sono relative ».

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