Summa Teologica - I

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Articolo 3 - Se sia esatto distinguere cinque sensi esterni

In 2 Sent., d. 2, q. 2, a. 2, ad 5; De anima, a. 13; In 2 De anima, lect. 14; 3, lect. 1

Pare che non sia esatto distinguere cinque sensi esterni.

Infatti:

1. La funzione dei sensi è di conoscere gli accidenti.

Ma questi si suddistinguono in molti generi.

Poiché dunque le potenze si distinguono in base ai loro oggetti, parrebbe che i sensi dovessero moltiplicarsi in base al numero dei generi degli accidenti.

2. La grandezza, la figura e gli altri accidenti chiamati sensibili comuni non si identificano con i sensibili per accidens, ma piuttosto si contraddistinguono da essi [ De anima 2,6 ].

Ora, la diversità essenziale [ per se ] degli oggetti comporta una diversità di potenza.

Siccome dunque la grandezza e la figura differiscono dal colore più che il suono, pare più necessario che esistano potenze sensitive distinte per conoscere la grandezza e la figura che non per conoscere il colore e il suono.

3. Un senso non percepisce che una coppia di contrari, come la vista percepisce il bianco e il nero.

Il tatto invece percepisce più coppie di contrari: il caldo e il freddo, l'umido e l'asciutto, ecc.

Saranno quindi più sensi e non uno solo.

Quindi i sensi sono più di cinque.

4. Una specie non si contraddistingue dal suo genere.

Ma il gusto è una specie del tatto.

Perciò non va classificato come un senso distinto dal tatto.

In contrario:

Il Filosofo [ De anima 3,1 ] insegna che « all'infuori dei cinque sensi non ce ne sono altri ».

Dimostrazione:

Alcuni tentarono di desumere il fondamento della distinzione e del numero dei sensi esterni dai rispettivi organi, nei quali predomina un dato elemento, ossia l'acqua, l'aria, o altra cosa del genere.

- Altri invece dal mezzo [ che serve alla sensazione ], come sarebbe l'aria, l'acqua, ecc., il quale può essere immanente oppure estrinseco.

- Altri infine dalla diversità di natura delle qualità sensibili, cioè a seconda che la qualità appartiene a un corpo semplice o deriva da una combinazione.

Ma nessuno di questi criteri è giusto.

Infatti non le potenze sono per gli organi, ma gli organi per le potenze: quindi non perché ci sono diversi organi si hanno diverse potenze, ma la natura formò organi diversi perché corrispondessero alla diversità delle potenze.

- E così pure assegnò mezzi diversi ai diversi sensi secondo che lo richiedevano le operazioni delle potenze.

- Riguardo poi alla natura delle qualità sensibili non è il senso che ha la capacità di conoscerla, ma l'intelletto.

Dovremo dunque desumere il fondamento del numero e della distinzione dei sensi esterni da quanto propriamente ed essenzialmente appartiene al senso.

Ora, il senso è una potenza passiva, che è fatta per essere trasmutata dalle realtà esteriori sensibili.

Quindi l'oggetto esterno, che è la causa della trasmutazione dei sensi, è propriamente ciò che viene percepito dal senso, e secondo le sue differenze si distinguono [ tra loro ] le potenze sensitive.

Ora, due sono le specie della trasmutazione: una fisica e l'altra spirituale.

Fisica, in quanto la forma di ciò che produce la trasmutazione è ricevuta secondo il suo essere fisico, così come il calore è ricevuto nell'oggetto riscaldato.

Spirituale, in quanto la forma di ciò che produce la trasmutazione è ricevuta in modo spirituale, come avviene per la forma del colore nella pupilla, la quale per questa ricezione non diventa colorata.

Ora, per la sensazione si richiede questa trasmutazione spirituale, mediante la quale la forma intenzionale dell'oggetto sensibile viene a trovarsi nell'organo del senso.

Diversamente, se la sola trasmutazione fisica provocasse il sentire, tutti i corpi fisici sentirebbero quando subiscono un'alterazione.

Vi sono però dei sensi, come la vista, nei quali si ha soltanto una trasmutazione spirituale.

- In altri invece, oltre alla trasmutazione spirituale, vi è pure quella fisica; o esclusivamente dalla parte dell'oggetto, oppure anche dalla parte dell'organo.

Dalla parte dell'oggetto si ha una trasmutazione fisica di carattere spaziale nel suono, che è oggetto dell'udito - poiché il suono è causato da una percussione e dalla vibrazione dell'aria -, mentre si ha un'alterazione nell'odore, che è oggetto dell'olfatto - essendo necessario che il corpo, per emanare l'odore, sia in qualche modo alterato dal caldo -.

- Dalla parte poi dell'organo si ha una trasmutazione fisica nel tatto e nel gusto: infatti a toccare cose calde la mano si riscalda, e la lingua a contatto con i corpi umidi si inumidisce.

Tuttavia gli organi dell'olfatto o dell'udito nel sentire non subiscono [ tali ] trasmutazioni fisiche se non in maniera del tutto accidentale.

La vista pertanto, funzionando senza mutazione fisica dell'organo e dell'oggetto, è il senso più spirituale e perfetto, e più universale.

Viene poi l'udito, seguìto dall'odorato, i quali comportano entrambi una mutazione fisica dalla parte dell'oggetto; tuttavia il moto locale è più perfetto e, in ordine di natura, anteriore rispetto al moto di alterazione, come prova Aristotele [ Phys. 8,7 ].

Invece il tatto e il gusto sono i sensi più materiali; ma parleremo in seguito [ ad 3,4 ] della loro distinzione.

- E da ciò deriva che i primi tre sensi non operano servendosi di un mezzo congiunto [ al soggetto ], dato che nessuna trasmutazione fisica deve alternare l'organo, come invece avviene per questi ultimi due sensi.

Analisi delle obiezioni:

1. Non tutti gli accidenti hanno per loro natura la capacità di causare trasmutazioni, ma solo le qualità della terza specie, che producono l'alterazione.

E per questo esse sole sono oggetto dei sensi, poiché secondo Aristotele [ Phys. 7,2 ] « il senso è alterato dalle stesse cause da cui sono alterati i corpi inanimati ».

2. La grandezza, la figura e consimili accidenti, chiamati sensibili comuni, stanno tra i sensibili per accidens e i sensibili propri, che sono l'oggetto [ immediato ] dei sensi.

Infatti questi ultimi producono per natura e direttamente una trasmutazione nell'organo, essendo qualità alteranti.

- I sensibili comuni poi, da parte loro, si riducono tutti alla quantità.

E per la grandezza e il numero la cosa è evidente, trattandosi di specie della quantità.

La figura poi è una qualità della quantità: poiché la figura non è che il limite estremo della grandezza.

Invece il moto e la quiete sono oggetto dei sensi in quanto un dato soggetto si trova in una condizione fissa o variata rispetto alla sua grandezza o allo spazio, cioè in ordine al moto di crescita o al moto locale; oppure rispetto alle qualità sensibili, come nel moto di alterazione.

E così il sentire il moto e la quiete è, in certo qual modo, un sentire insieme l'uno e il molteplice.

Ora, la quantità è il soggetto prossimo delle qualità alteranti, come la superficie lo è del colore.

Perciò i sensibili comuni non trasmutano il senso direttamente e in forza della loro natura, ma in forza delle qualità sensibili: come fa la superficie mediante il colore.

- Tuttavia essi non sono dei sensibili per accidens, perché i sensibili comuni portano delle variazioni nella trasmutazione dei sensi.

Infatti una superficie grande non trasmuta il senso come una piccola: poiché la bianchezza stessa viene denominata grande o piccola, e quindi può essere divisa secondo il soggetto in cui si trova.

3. Stando a quanto pare dire il Filosofo [ De anima 2,11 ], il senso del tatto è unico nel genere, ma specificamente si suddivide in molti sensi, per cui abbraccia diverse serie di contrari.

Tuttavia questi sensi non sono reciprocamente distinti quanto all'organo, ma si trovano a essere concomitanti in tutto il corpo, per cui la loro distinzione non appare.

- Tuttavia il gusto, che ha la percezione del dolce e dell'amaro, si trova in concomitanza col tatto sulla lingua e non su tutto il corpo: perciò è facile distinguerlo dal tatto.

Si potrebbe però anche rispondere che tutte quelle coppie di contrari convengono ciascuna in un unico genere prossimo, e tutte in un unico genere comune, il quale appunto è, nella sua universalità, l'oggetto del tatto.

Però questo genere comune non ha una denominazione particolare; come del resto rimane innominato il genere prossimo del caldo e del freddo.

4. Al dire del Filosofo [ De anima 2, cc. 9,11 ], il senso del gusto non è che una specie particolare del tatto con sede esclusiva nella lingua.

Quindi non si contrappone in quanto genere al tatto, ma solo a quelle specie del tatto che sono sparse in tutto il corpo.

Se invece il tatto dovesse essere un unico senso, a causa dell'unica ragione formale degli oggetti, allora bisognerebbe rispondere che il gusto si distingue dal tatto in base alla diversità della trasmutazione prodotta nei sensi.

Infatti il tatto è soggetto a una trasmutazione non soltanto spirituale, ma fisica del suo organo, proprio secondo la qualità che gli viene presentata.

Invece l'organo del gusto non subisce necessariamente una mutazione fisica proprio secondo la qualità che gli viene presentata, cioè non si verifica che la lingua diventi [ essa stessa ] dolce o amara, ma secondo una qualità previa su cui si fonda il sapore, cioè secondo l'umidità, che è oggetto del tatto.

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