Summa Teologica - I-II

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Articolo 2 - Se il volere abbia per oggetto soltanto il fine, oppure anche le cose ordinate al fine

In 1 Sent., d. 45, q. 1, a. 2, ad 1; In 2 Sent., d. 24, q. 1, a. 3, ad 3; De Verit., q. 22, a. 13, ad 9

Pare che il volere non abbia per oggetto le cose ordinate al fine, ma solo il fine.

Infatti:

1. Il Filosofo scrive nell'Etica [ 3,2 ] che « il volere riguarda il fine, la scelta invece le cose ordinate al fine ».

2. Aristotele [ Ethic. 6,1 ] insegna che « per cose di genere diverso sono predisposte potenze psichiche diverse ».

Ma il fine e le cose ordinate al fine sono beni di genere diverso: infatti il fine, che è un bene onesto o dilettevole, è nel genere della qualità, o dell'azione e della passione; invece il bene utile, cioè quello ordinato a un fine, è nel genere della relazione, secondo Aristotele [ Ethic. 1,6 ].

Se dunque il volere ha per oggetto il fine non può avere per oggetto le cose ordinate al fine.

3. Gli abiti sono proporzionati alle potenze, essendo le loro perfezioni.

Ma negli abiti chiamati arti operative il fine e le cose ordinate al fine appartengono a soggetti diversi: come l'uso della nave spetta al pilota mentre la costruzione della nave, che è ordinata a tale fine, spetta all'arte di fabbricare le navi.

Poiché dunque il volere ha per oggetto il fine, non potrà avere per oggetto le cose ordinate al fine.

In contrario:

In natura un corpo passa attraverso lo spazio intermedio e raggiunge il suo termine mediante un'unica potenza.

Ma le cose ordinate al fine sono come altrettante posizioni intermedie attraverso le quali si giunge al fine come al termine ultimo.

Se dunque il volere ha per oggetto il fine deve avere per oggetto anche le cose che sono ordinate al fine.

Dimostrazione:

Il volere indica talvolta la facoltà con la quale vogliamo, altre volte invece indica l'atto stesso della volontà.

Se dunque parliamo del volere in quanto sta a indicare la facoltà, allora esso abbraccia il fine e le cose ordinate al fine.

Infatti ogni potenza abbraccia tutte le cose in cui si trova in qualche modo la natura del proprio oggetto: come la vista abbraccia tutte le cose che in qualche modo partecipano del colore.

Ora il bene, che è l'oggetto della facoltà volitiva, non si trova soltanto nel fine, ma anche nelle cose ordinate al fine.

Se invece parliamo del volere in quanto sta a indicare propriamente l'atto, allora esso ha per oggetto, propriamente parlando, soltanto il fine.

Infatti ogni atto denominato dalla rispettiva potenza designa il semplice atto di quella potenza: come l'intendere indica il semplice atto dell'intelletto.

Ma il semplice atto di una potenza ha di mira ciò che forma di per se stesso l'oggetto della potenza medesima.

Ora, ciò che è buono e voluto di per se stesso è il fine.

Quindi il volere ha come oggetto proprio il fine.

Le cose invece che dicono ordine al fine non sono buone e volute per se stesse, ma in ordine al fine.

Quindi il volere non si porta su di esse se non in quanto si porta sul fine: per cui ciò che in esse vuole è il fine.

Come anche l'intellezione ha propriamente per oggetto le cose di per sé intelligibili, cioè i princìpi, mentre le cose conosciute mediante i princìpi non sono oggetto di intellezione se non in quanto in esse si scorgono i princìpi: infatti, come scrive Aristotele [ Ethic. 7,8 ], « il fine sta alle cose appetibili come i princìpi a quelle intelligibili ».

Analisi delle obiezioni:

1. Il Filosofo parla in quel testo del volere in quanto indica propriamente il semplice atto della volontà, non in quanto indica la potenza.

2. Per realtà di genere diverso non subordinate fra loro sono preordinate potenze diverse: come il suono e il colore sono realtà sensibili di genere diverso, per cui si richiedono l'udito e la vista.

Ma il bene utile e quello onesto non sono pari tra loro, bensì subordinati, come ciò che è di per sé e ciò che è in rapporto ad altro.

Ora, cose di questo genere fanno sempre capo a un'unica potenza: come mediante la sola vista si percepisce sia il colore, sia la luce mediante cui si vede il colore.

3. Non tutto ciò che diversifica l'abito diversifica la potenza, poiché gli abiti sono speciali determinazioni delle potenze per certi atti determinati.

E tuttavia qualsiasi arte operativa considera sia il fine, sia le cose ordinate al fine.

L'arte nautica, p. es., considera sia il fine come cosa da operare, sia i mezzi necessari per il fine come cose da preordinare.

Al contrario l'arte di fabbricare le navi considera i mezzi necessari al fine come cosa da operare, e ciò che costituisce il fine come termine ultimo a cui subordinare ciò che opera.

E così in ogni arte c'è un qualche fine proprio, e ci sono delle cose ordinate al fine che sono proprie di quell'arte.

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