Summa Teologica - I-II

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Articolo 7 - Se la specie data dal fine sia contenuta, come nel suo genere, nella specie data dall'oggetto, o viceversa

Pare che la specie morale data dal fine sia contenuta, come nel proprio genere, nella specie morale data dall'oggetto: p. es. nel caso di chi voglia rubare per fare l'elemosina.

Infatti:

1. L'atto riceve la specie dall'oggetto, come si è visto [ aa. 2,6 ].

Ma è impossibile che una cosa sia contenuta in una seconda specie che non è inclusa nella propria specie: poiché la medesima realtà non può trovarsi in più specie non subalterne.

Quindi la specie desunta dal fine ricade sotto la specie desunta dall'oggetto.

2. L'ultima differenza costituisce sempre la specie più particolare.

Ma la differenza derivante dal fine è posteriore a quella desunta dall'oggetto: poiché il fine corrisponde al concetto di ultimo.

Quindi la specie desunta dal fine rientra sotto la specie desunta dall'oggetto, essendo la specie più particolare.

3. Più una differenza è formale, più è speciale: poiché la differenza sta al genere come la forma sta alla materia.

Ma la specie desunta dal fine è più formale di quella desunta dall'oggetto, come si è visto [ a. 6 ].

Quindi la specie data dal fine è contenuta nella specie data dall'oggetto come la specie più particolare nel suo genere.

In contrario:

A ciascun genere corrispondono differenze determinate.

Invece un atto della medesima specie desunta dall'oggetto può essere ordinato a fini innumerevoli: un furto, p. es., può avere infiniti scopi, buoni o cattivi.

Quindi la specie desunta dal fine non è contenuta nella specie desunta dall'oggetto come in un genere.

Dimostrazione:

L'oggetto di un atto esterno può avere due rapporti con il fine inteso dal volere: primo, quale mezzo ad esso ordinato essenzialmente, come il combattere bene è ordinato alla vittoria; secondo, quale mezzo ad esso ordinato accidentalmente, come il prendere la roba altrui per fare l'elemosina.

Ora è necessario, secondo il Filosofo [ Met. 7,12 ], che le differenze che suddividono un genere, e costituiscono le sue specie, lo suddividano essenzialmente.

Se invece la suddivisione è accidentale, non è una buona divisione: come se uno dicesse: « Gli animali sono razionali e irrazionali; e gli animali irrazionali alati e non alati »: infatti avere le ali o non averle non è una determinazione essenziale dell'essere irrazionale.

Invece bisogna dividere così: « Tra gli animali alcuni hanno i piedi e gli altri non li hanno; e tra quelli che hanno i piedi alcuni ne hanno due, altri quattro, altri ancora di più »; queste ultime suddivisioni infatti determinano essenzialmente la differenza antecedente.

Così dunque, quando l'oggetto non è ordinato essenzialmente al fine, la differenza specifica dovuta all'oggetto non determina essenzialmente quella dovuta al fine, e neppure viceversa.

Quindi l'una specie non include l'altra, ma in questo caso l'atto morale si trova in due specie quasi disparate.

Per cui diciamo che chi ruba per commettere adulterio assomma due malizie in un solo atto.

- Se invece l'oggetto è ordinato essenzialmente al fine, allora una differenza determina direttamente l'altra.

Quindi una specie viene inclusa nell'altra.

Rimane però da vedere quale include e quale viene inclusa.

E per chiarire la cosa bisogna considerare: primo, che una differenza è tanto più specifica quanto più è particolare la forma da cui dipende.

Secondo, che quanto più una causa è universale, tanto più è universale la forma da essa desunta.

Terzo, che quanto più il fine è remoto, tanto più corrisponde a un agente dall'influsso più universale: la vittoria, p. es., che è il fine ultimo di un esercito, è il fine inteso dal comandate supremo, mentre la manovra di questa o di quell'altra schiera è il fine inteso da un comandante subalterno.

- E da ciò segue che la differenza specifica desunta dal fine è più generale, mentre la differenza desunta dall'oggetto ordinato essenzialmente a tale fine è specifica in rapporto ad esso.

Infatti la volontà, che ha per oggetto suo proprio il fine, è la causa movente universale rispetto a tutte le potenze dell'anima, i cui oggetti propri sono gli oggetti degli atti particolari.

Analisi delle obiezioni:

1. In forza della sua natura una cosa non può essere in due specie che non siano tra loro subordinate, ma in forza delle contingenze che possono capitare una cosa può essere inclusa in specie diverse.

Come questo frutto per il colore è nella specie delle cose bianche, e per l'odore sotto la specie di quelle profumate.

E allo stesso modo un atto che per sua natura appartiene a una determinata specie, per le condizioni morali che possono sopraggiungere può riferirsi a una seconda specie, come si è spiegato [ q. 1, a. 3, ad 3 ].

2. Il fine è l'ultimo nell'esecuzione, ma è il primo nell'intenzione della ragione, in base alla quale si desumono le specie degli atti morali.

3. La differenza sta al genere come la forma sta alla materia, in quanto lo rende attuale.

Ma a sua volta il genere viene considerato più formale della specie in quanto è più assoluto e meno contratto.

Per cui anche le parti della definizione vengono ricondotte al genere della causa formale, come insegna Aristotele [ Phys. 2,3 ].

E sotto questo aspetto il genere è causa formale della specie.

E sarà tanto più formale quanto più è universale.

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