Summa Teologica - I-II

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Articolo 5 - Se le virtù morali debbano distinguersi secondo i diversi oggetti delle passioni

In 2 Ethic., lectt. 8, 9

Pare che le virtù morali non debbano distinguersi tra loro secondo gli oggetti delle passioni.

Infatti:

1. Le passioni hanno i loro oggetti come hanno i loro oggetti le operazioni.

Ma le virtù morali riguardanti le operazioni non si distinguono secondo gli oggetti delle operazioni: infatti a un'unica virtù, che è la giustizia, appartiene la compra-vendita sia di una casa che di un cavallo.

Perciò neppure le virtù morali riguardanti le passioni sono distinte secondo i vari oggetti delle passioni.

2. Le passioni sono atti o moti dell'appetito sensitivo.

Ora, si richiede una maggiore differenza per fondare una distinzione di abiti che per fondare una distinzione di atti.

Quindi oggetti diversi incapaci di dare una diversità specifica alle passioni non potranno dare una diversità specifica alle virtù morali.

Cosicché per tutti i piaceri ci dovrà essere un'unica virtù morale; e così per il resto.

3. Una semplice gradazione non dà diversità di specie.

Ma alcuni oggetti di piacere differiscono tra loro soltanto per una gradazione.

Quindi tutti questi oggetti appartengono a un'unica specie di virtù.

E lo stesso si dica per tutte le cose temibili, e così via.

Quindi le virtù morali non si possono distinguere in base agli oggetti delle passioni.

4. Una virtù, come ha il compito di operare il bene, così ha quello di impedire il male.

Ma per i desideri delle cose buone ci sono diverse virtù: come la temperanza per il desiderio o concupiscenza dei piaceri del tatto e l'eutrapelìa per i piaceri del gioco.

Quindi anche per i timori delle cose cattive ci devono essere diverse virtù.

In contrario:

La castità riguarda i piaceri venerei, l'astinenza i piaceri del cibo e l'eutrapelìa i piaceri del gioco.

Dimostrazione:

La virtù è una perfezione che dipende dalla ragione, mentre la passione è una perfezione che dipende dallo stesso appetito sensitivo.

Per cui le virtù si suddistinguono necessariamente in rapporto alla ragione, le passioni invece in ordine all'appetito.

Così gli oggetti delle passioni in base alla diversità dei loro rapporti con l'appetito sensitivo producono specie diverse di passioni, e in base ai loro rapporti con la ragione causano specie diverse di virtù.

Infatti il moto della ragione non si identifica col moto dell'appetito sensitivo.

Per cui nulla impedisce che una differenza di oggetti possa causare una diversità di passioni senza causare una diversità di virtù, come quando una sola virtù riguarda un certo numero di passioni, secondo quanto si è visto [ a. prec. ].

E al contrario nulla impedisce che una differenza di oggetti possa causare una diversità di virtù senza causare una diversità di passioni, come quando un'unica passione, p. es. il piacere, interessa diverse virtù.

E poiché le passioni che appartengono a potenze diverse appartengono sempre a virtù differenti, come si è già detto [ a. prec. ], la diversità degli oggetti che riguarda la diversità delle potenze, come ad es. la distinzione tra il bene puro e semplice e il bene arduo, apporta sempre una diversità specifica tra le virtù.

- Siccome poi la ragione governa le facoltà inferiori dell'uomo secondo una certa gradazione, fino a estendersi alle realtà esterne, l'oggetto delle passioni può avere con la ragione rapporti diversi, e incidere sulla diversità delle virtù, anche per il fatto di essere conosciuto dal senso, o dall'immaginativa, o anche dalla ragione; oppure dall'appartenere all'anima, al corpo o ai beni esterni.

Perciò un bene umano, oggetto di amore, di concupiscenza e di piacere, può cadere o sotto la considerazione del senso o sotto la considerazione interiore dell'anima.

E ciò vale sia per il bene che è a vantaggio del soggetto medesimo, o quanto al corpo o quanto all'anima, sia per il bene che è a vantaggio di altri.

E tutte queste diversità distinguono le virtù in forza del loro diverso rapporto con la ragione.

Se quindi prendiamo un bene che sia conosciuto dal senso del tatto, e che cooperi alla conservazione della vita umana dell'individuo o della specie, come sono i beni che costituiscono i piaceri venerei e del cibo, tale bene dovrà appartenere alla virtù della temperanza.

Invece i piaceri degli altri sensi, non essendo veementi, non presentano obiezioni per la ragione: perciò non esiste alcuna virtù che li riguardi, essendo la virtù, al dire di Aristotele [ Ethic. 2,3 ], « riservata alle cose difficili, come anche l'arte ».

Invece un bene che è conosciuto non dai sensi, ma da una facoltà interna, e che appartiene all'uomo in quanto tale, sarà come il danaro o come gli onori: il primo del quali è ordinabile ai beni del corpo, mentre i secondi consistono in una percezione dell'anima.

E questi beni possono essere considerati o in assoluto, come oggetto del concupiscibile, oppure in quanto ardui, come oggetto dell'irascibile.

Questa distinzione però non interessa i beni piacevoli del tatto: essendo questi dei beni infimi, che competono all'uomo in quanto è simile agli altri animali.

Perciò rispetto ai beni riducibili al danaro, se sono oggetto di concupiscenza, di piacere o di amore abbiamo la liberalità; se invece hanno l'aspetto di beni ardui, e sono quindi oggetto di speranza, avremo la magnificenza.

Quanto poi ai beni riducibili all'onore, se vengono presi in assoluto in quanto sono oggetto di amore avremo una virtù che è denominata filotimìa, cioè amore della propria dignità.

Se invece vengono considerati come beni ardui, e sono quindi oggetto di speranza, avremo la magnanimità.

Perciò la liberalità e la filotimìa vanno assegnate al concupiscibile; la magnificenza invece e la magnanimità all'irascibile.

Il bene poi ordinato al vantaggio di altri non presenta l'aspetto di bene arduo, ma è un bene in senso assoluto, oggetto del concupiscibile.

E questo bene può essere piacevole per un uomo in quanto chi lo compie presenta se stesso ad altri o nelle azioni serie, cioè in quelle che dalla ragione sono indirizzate al debito fine, oppure nel gioco, cioè nelle azioni ordinate soltanto al piacere, e che non hanno con la ragione il rapporto suddetto.

Ora, nelle azioni serie uno presenta se stesso agli altri in due modi.

Primo, dimostrandosi una persona piacevole nel modo di parlare e di agire: e ciò appartiene a una virtù che Aristotele [ Ethic. 2,7 ] chiama « amicizia », e che potremmo denominare affabilità.

Secondo, mostrandosi ad altri aperto e sincero, con le parole e con i fatti: e questo è proprio di una virtù che Aristotele [ ib. ] chiama « verità » [ o veracità ].

Infatti alla ragione si avvicina più la franchezza che l'affabilità, più la serietà che la giocosità.

Per cui riguardo ai giochi c'è un'altra virtù, che il Filosofo [ ib. ] chiama eutrapelìa.

È perciò evidente, secondo Aristotele [ ib. ], che esistono dieci virtù morali riguardanti le passioni, cioè: la fortezza, la temperanza, la liberalità, la magnificenza, la magnanimità, la filotimìa, la mansuetudine, l'amicizia, la verità e l'eutrapelìa.

Esse si distinguono o secondo la materia, o secondo la diversità delle passioni, o secondo la diversità degli oggetti.

Aggiungendo poi la giustizia, che ha per oggetto le operazioni, in tutto saranno undici.

Analisi delle obiezioni:

1. Tutti gli oggetti di una medesima operazione specifica hanno con la ragione il medesimo rapporto; non così invece gli oggetti di una medesima passione specifica: poiché le azioni esterne non offrono alla ragione motivi speciali di contrasto come le passioni.

2. Le passioni e le virtù sono distinte, come si è spiegato [ nel corpo ], secondo criteri diversi.

3. Una gradazione non dà diversità di specie se non incide sul rapporto [ dell'oggetto ] con la ragione.

4. Il bene è più energico del male nel muovere: poiché il male, come dice Dionigi [ De div. nom. 4 ], agisce solo in forza del bene.

Perciò il male, se non è straordinario o arduo, non presenta obiezioni particolari per la ragione, così da richiedere una virtù; e il male arduo è unico per ciascun genere di passioni.

Per cui riguardo all'ira c'è la sola virtù della mansuetudine, e riguardo all'audacia c'è la sola fortezza.

- Invece il bene implica obiezioni richiedenti la virtù anche se non è arduo in quel genere di passioni.

E così per i moti della concupiscenza, o desiderio, si richiedono diverse virtù morali, come si è notato [ nel corpo ].

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