Summa Teologica - II-II

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Articolo 7 - Se si debba disputare pubblicamente con gli infedeli

In 2 Tim., c. 2, lect. 2

Pare che non si debba disputare pubblicamente con gli infedeli.

Infatti:

1. L'Apostolo così scriveva a Timoteo [ 2 Tm 2,14 ]: « Evita le vane discussioni, che non giovano a nulla, se non alla perdizione di chi ascolta ».

Ora, non si può fare una pubblica disputa con gli infedeli senza discutere.

Quindi non si deve disputare pubblicamente con gli infedeli.

2. Una legge dell'imperatore Marciano Augusto, confermata dai Canoni, suona così: « Fa ingiuria al sacrosanto Concilio chi presume di riesaminare e sottomettere a pubblica disputa le cose che una volta sono state giudicate e giustamente definite ».

Ma tutte le verità di fede sono state determinate da concili.

Perciò pecca gravemente, facendo un affronto a qualche concilio, chi presume di disputare pubblicamente sulle verità della fede.

3. La disputa viene fatta con degli argomenti.

Ora, l'argomento è « una ragione che rende credibile una cosa dubbia » [ Cic., Topic. 2 ].

Ma le verità di fede, essendo certissime, non vanno messe in dubbio.

Quindi non si deve disputare pubblicamente sulle verità di fede.

In contrario:

Negli Atti [ At 9,22.29 ] si legge che « Saulo confondeva i Giudei », e che « parlava e discuteva con gli ebrei di lingua greca ».

Dimostrazione:

Nelle dispute sulla fede si devono considerare due cose: una a proposito di chi affronta la disputa, l'altra a proposito degli ascoltatori.

A proposito di chi disputa dobbiamo considerare l'intenzione.

Se infatti uno disputasse perché dubita della fede, senza avere come presupposto la certezza della sua verità, ma volendola raggiungere con degli argomenti, peccherebbe indubbiamente, in quanto incredulo e dubbioso sulle cose di fede.

Se invece disputa sulla fede per confutare gli errori, o per esercizio, fa una cosa lodevole.

E a proposito degli ascoltatori si deve vedere se coloro che ascoltano la disputa sono istruiti e fermi nelle cose della fede, oppure sono delle persone semplici e titubanti.

Infatti nel disputare sulle cose di fede dinanzi a persone istruite e ferme nel credere non c'è alcun pericolo.

Se invece si tratta di gente semplice bisogna distinguere.

Infatti questi ascoltatori o sono sollecitati e combattuti dagli infedeli, p. es. dagli Ebrei, dagli eretici o dai pagani che tentano di corromperne la fede, oppure sono tranquilli, come avviene nelle regioni in cui non ci sono infedeli.

Nel primo caso è necessario disputare pubblicamente sulle cose di fede: purché vi siano delle persone capaci e preparate, che possano confutare gli errori.

Infatti con questo mezzo i semplici vengono confermati nella fede, e agli infedeli si toglie la possibilità di ingannare; mentre anche solo il silenzio di coloro che dovrebbero resistere ai corruttori della verità della fede sarebbe una conferma dell'errore.

Da cui le parole di S. Gregorio [ De reg. past. 2,4 ]: « Come un discorso inconsiderato trascina nell'errore, così un silenzio indiscreto abbandona all'errore coloro che potevano essere istruiti ».

Invece nel secondo caso è pericoloso disputare pubblicamente sulla fede dinanzi alle persone semplici, la cui fede è più ferma per il fatto che non hanno mai ascoltato qualcosa di diverso da ciò che credono.

Perciò non conviene che essi ascoltino i discorsi degli infedeli che discutono contro la fede.

Analisi delle obiezioni:

1. L'Apostolo non proibisce tutte le dispute, ma quelle disordinate, che sono condotte più con vane parole che con solidi argomenti.

2. La legge suddetta proibisce le dispute che derivano da un dubbio sulla fede, non quelle che tendono alla sua conservazione.

3. Non si deve disputare sulle cose di fede come dubitando di esse, ma per manifestare la verità e per confutare gli errori.

Infatti per confermare la fede talora è doveroso disputare con gli infedeli: a volte per difendere la fede, secondo le parole di S. Pietro [ 1 Pt 3,15 ]: « Pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi », altre volte invece per confutare gli erranti, secondo le parole di S. Paolo [ Tt 1,9 ]: « Perché sia in grado di esortare con la sua sana dottrina e di confutare coloro che contraddicono ».

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