Summa Teologica - II-II

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Articolo 7 - Se nella correzione fraterna sia obbligatorio far precedere l'ammonizione alla denunzia

In 4 Sent., d. 19, q. 2, a. 3, sol. 1; De Virt., q. 3, a. 2; Quodl., 1, q. 8, a. 2; 11, q. 10, aa. 1, 2; In Matth., c. 18

Pare che nella correzione fraterna non sia obbligatorio far precedere l'ammonizione segreta alla denunzia.

Infatti:

1. Specialmente nelle opere di carità siamo tenuti a imitare Dio, secondo l'ammonizione di S. Paolo [ Ef 5,1s ]: « Fatevi imitatori di Dio, quali figli carissimi, e camminate nella carità ».

Ora, Dio talora punisce pubblicamente l'uomo per il peccato senza alcuna ammonizione segreta precedente.

Quindi non è necessario che l'ammonizione segreta preceda la denunzia.

2. Come dice S. Agostino [ Contra mendacium 15.31 ], « dalle gesta del Santi si può capire come siano da intendersi i precetti della Sacra Scrittura ».

Ma nelle gesta dei Santi troviamo pubbliche denunzie di peccati occulti senza ammonizione segreta precedente: p. es. si legge [ Gen 37,2 ] che Giuseppe « accusò i fratelli presso suo padre di un gravissimo delitto »; e ancora [ At 5,3.4.9 ] si racconta che S. Pietro denunziò pubblicamente Anania e Saffira, che di nascosto avevano mentito sul prezzo del campo, senza premettere un'ammonizione segreta.

E nemmeno risulta che il Signore abbia ammonito segretamente Giuda prima di denunziarlo.

Perciò non è di precetto che l'ammonizione segreta preceda la pubblica denunzia.

3. L'accusa è più grave della denunzia.

Eppure uno può procedere all'accusa senza una previa ammonizione segreta: infatti nelle Decretali [ 5,1,24 ] viene stabilito che « all'accusa deve precedere l'iscrizione ».

Quindi non pare prescritto che la denunzia pubblica sia preceduta da un'ammonizione segreta.

4. Non è ammissibile che quanto è entrato nella consuetudine di tutti i religiosi sia contro i precetti di Cristo.

Ora, in tutte le famiglie religiose è consuetudine che si facciano le proclamazioni delle colpe senza premettere alcuna ammonizione segreta.

Perciò questa non è di precetto.

5. I religiosi sono tenuti a ubbidire ai loro superiori.

Ma questi talora comandano, o a tutti o ad alcuni in particolare, di dire loro le cose riprensibili che conoscono.

Perciò i religiosi sono tenuti a parlare anche prima dell'ammonizione segreta.

Quindi non è di precetto che l'ammonizione segreta preceda la pubblica denunzia.

In contrario:

S. Agostino [ Serm. 82 ], nel commentare le parole evangeliche [ Mt 18,15 ]: « Ammoniscilo fra te e lui solo », scrive: « Mira alla sua correzione risparmiandogli la vergogna.

Perché allora per vergogna egli forse comincerebbe a difendere il suo peccato, e così renderesti peggiore chi avresti voluto rendere migliore ».

Ora, il precetto della carità ci obbliga a evitare che i nostri fratelli diventino peggiori.

Quindi l'ordine della correzione fraterna è di precetto.

Dimostrazione:

Per la pubblica denunzia dei peccati dobbiamo distinguere.

Infatti i peccati sono o pubblici od occulti.

Se sono pubblici non si deve provvedere soltanto al colpevole perché diventi più onesto, ma anche agli altri che sono a conoscenza del peccato perché non ne siano scandalizzati.

Perciò questi peccati devono essere rimproverati pubblicamente, stando all'esortazione dell'Apostolo [ 1 Tm 5,20 ]: « Quelli che risultano colpevoli riprendili alla presenza di tutti, perché anche gli altri ne abbiano timore »; parole queste che, secondo S. Agostino [ Serm. 82 ], si riferiscono ai peccati pubblici.

Se invece si tratta di peccati occulti, allora valgono le parole del Signore: « Se il tuo fratello commette una colpa contro di te »: poiché quando uno offendesse te pubblicamente davanti agli altri, allora non peccherebbe solo contro di te, ma anche contro gli altri, turbandoli.

Siccome però anche con i peccati occulti si può predisporre l'offesa di altri, dobbiamo qui suddistinguere.

Infatti ci sono dei peccati occulti che causano al prossimo un danno, corporale o spirituale: quando uno, p. es., tratta segretamente la consegna della città al nemico; oppure quando un eretico privatamente distoglie i credenti dalla fede.

E poiché in tal caso chi pecca segretamente non pecca solo contro di te, ma anche contro gli altri, bisogna subito procedere alla denunzia, per impedire tale danno: a meno forse che uno non fosse fermamente persuaso di poterlo impedire con un'ammonizione segreta.

Ci sono invece delle colpe che fanno del male solo a chi pecca e a te contro cui si pecca, o perché sei danneggiato dall'atto peccaminoso, o almeno per la sola conoscenza di esso.

E in tal caso si deve badare soltanto a soccorrere il fratello colpevole.

E come il medico del corpo se può dà la guarigione senza il taglio di alcun membro, e se non può taglia quello meno necessario per conservare la vita di tutto l'organismo, così chi cerca l'emendamento del proprio fratello è tenuto a emendarne la coscienza senza comprometterne la fama.

La quale è utile innanzi tutto allo stesso colpevole: non soltanto nell'ordine temporale, in cui uno viene molto danneggiato dalla sua perdita, ma anche nell'ordine spirituale, poiché il timore dell'infamia trattiene molti dal peccato: per cui se vedono di essere infamati peccano senza ritegno.

Per questo S. Girolamo [ In Mt 3, su 18,15 ] scrive: « Il fratello va corretto in disparte: perché non si ostini nel peccato una volta perduto il pudore o la vergogna ».

In secondo luogo si deve salvare la fama del fratello colpevole perché l'infamia dell'uno ricade sugli altri, secondo quelle parole di S. Agostino [ Epist. 78 ]: « Quando si denunzia falsamente, oppure si scopre realmente un delitto di qualche cristiano, gli avversari incalzano, si agitano, brigano perché si creda lo stesso di tutti ».

E anche perché divulgando il peccato di uno gli altri vengono sollecitati a peccare.

- Ma poiché la coscienza va preferita alla fama, il Signore ha voluto che la coscienza del fratello venga liberata dal peccato mediante una pubblica denunzia anche con detrimento della fama.

Per cui è evidente che è obbligatorio di precetto il far precedere alla pubblica denunzia un'ammonizione segreta.

Analisi delle obiezioni:

1. Le cose occulte sono tutte palesi a Dio.

Perciò i peccati occulti stanno di fronte al giudizio di Dio come quelli pubblici di fronte al giudizio umano.

- Tuttavia spesso Dio rimprovera a suo modo i peccatori con ammonizioni segrete, ispirandoli interiormente o nella veglia o nel sonno, secondo le parole della Scrittura [ Gb 33,15ss ]: « Parla nel sogno, visione notturna, quando cade il sopore sugli uomini e si addormentano sul loro giaciglio; apre allora l'orecchio e li erudisce nella disciplina per distogliere l'uomo dal male ».

2. Come Dio, il Signore poteva considerare pubblico il peccato di Giuda, e quindi poteva procedere subito alla sua denunzia.

Tuttavia egli non lo fece, ma lo ammonì del suo peccato con parole oscure [ Mt 26,21ss e parall. ].

- S. Pietro poi denunziò pubblicamente il peccato occulto di Anania e Saffira come esecutore della giustizia di Dio, per rivelazione del quale lo aveva conosciuto.

- Di Giuseppe invece dobbiamo pensare che qualche volta abbia ammonito i suoi fratelli, sebbene la Scrittura non lo dica.

Oppure si può ritenere che il peccato fosse pubblico tra i fratelli: infatti se ne parla al plurale: « Accusò i suoi fratelli ».

3. Quando incombe un pericolo pubblico non vanno applicate le ricordate parole del Signore: perché allora il fratello che sbaglia non pecca contro di te soltanto.

4. Queste proclamazioni che si fanno nei capitoli dei religiosi riguardano colpe leggere, che non compromettono la fama.

Perciò esse sono più segnalazioni di colpe dimenticate che non accuse o denunzie.

Se invece si trattasse di cose che possono infamare, agirebbe contro il precetto del Signore chi rendesse pubblico in questo modo il peccato di un fratello.

5. Non si deve ubbidire al superiore contro il precetto di Dio, come leggiamo negli Atti [ At 5,29 ]: « Bisogna ubbidire a Dio piuttosto che agli uomini ».

Perciò quando il superiore comanda che gli si dica ciò che uno ha conosciuto come degno di correzione, il suo precetto va inteso rettamente, cioè salvo l'ordine della correzione fraterna: sia che il precetto venga rivolto a tutti, sia che venga indirizzato a uno solo.

Se poi il superiore desse un ordine espressamente contrario a quest'ordine stabilito dal Signore, allora peccherebbe sia lui, sia chi gli ubbidisse, agendo essi contro il precetto del Signore: per cui non gli si dovrebbe ubbidire.

Poiché non il superiore, ma Dio soltanto è giudice delle cose occulte: cosicché il superiore non ha alcun potere di comandare sulle cose occulte se non in quanto sono manifestate da alcuni indizi, p. es. dalla cattiva fama o dai sospetti; nei quali casi il prelato può comandare alla stessa maniera in cui il giudice secolare o ecclesiastico può esigere il giuramento di dire la verità.

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