Summa Teologica - II-II

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Articolo 1 - Se la contesa sia un peccato mortale

In 2 Tim., c. 2, lect. 2

Pare che la contesa non sia un peccato mortale.

Infatti:

1. Nelle persone spirituali non ci può essere il peccato mortale.

Ma in esse troviamo la contesa, poiché sta scritto nel Vangelo [ Lc 22,24 ]: « Sorse tra i discepoli di Gesù una contesa su chi di loro poteva essere considerato il più grande ».

Perciò la contesa non è un peccato mortale.

2. A nessuna persona onesta può far piacere il peccato mortale del prossimo.

Ora, l'Apostolo scriveva ai Filippesi [ Fil 1,17 ]: « Altri annunziano Cristo per motivi di contesa »; e aggiungeva [ Fil 1,18 ]: « Io me ne rallegro e continuerò a rallegrarmene ».

Quindi la contesa non è un peccato mortale.

3. Capita che alcuni contendano, o in tribunale o nelle dispute, non per fare del male, ma piuttosto in vista di un bene: come quelli, p. es., che polemizzano disputando contro gli eretici.

Commentando infatti quel passo [ 1 Sam 14,1 ]: « Avvenne che un giorno », ecc., la Glossa [ ord. ] ricorda: « I cattolici muovono delle dispute contro gli eretici, dopo averli convocati al combattimento ».

Quindi la contesa non è un peccato mortale.

4. Anche Giobbe ha conteso con Dio, poiché di lui sta scritto [ Gb 40,2 ]: « Il censore vorrà ancora contendere con l'Onnipotente? ».

E tuttavia Giobbe non peccò mortalmente, come risulta dalle parole del Signore [ Gb 42,7 ]: « Non avete detto di me cose rette come il mio servo Giobbe ».

Quindi non sempre la contesa è peccato mortale.

In contrario:

La contesa va contro il comando dell'Apostolo a Timoteo [ 2 Tm 2,14 ]: « Evita le vane discussioni ».

E altrove [ Gal 5,20 ] S. Paolo enumera la contesa tra le opere della carne, affermando che « quelli che compiono queste cose non erediteranno il regno di Dio ».

Ora, tutto ciò che esclude dal regno di Dio, ed è contro i comandamenti, è un peccato mortale.

Quindi la contesa è un peccato mortale.

Dimostrazione:

Contendere significa tendere o volgersi contro qualcuno.

Per cui come la discordia implica un contrasto di volontà, così la contesa indica un contrasto di parole.

Di conseguenza il discorso che procede per contrasti viene detto contesa, contesa che Cicerone [ De Reth. ad Herenn. 4,15 ] enumera tra le figure retoriche: « Si ha la contesa », egli dice, « quando il discorso è fatto per contrapposizione di cose contrarie, come in questo caso: L'adulazione ha inizi piacevoli, essa però porta frutti amarissimi ».

Ora, il contrasto di parole può essere visto sotto due aspetti: primo, in rapporto all'intenzione di chi vuole contendere; secondo, in rapporto al modo.

Quanto all'intenzione si deve considerare se uno si oppone alla verità, il che è una cosa riprovevole, oppure alla falsità, il che è degno di lode.

Quanto al modo invece si deve considerare se la maniera di disputare sia conveniente alle persone e ai problemi discussi, perché allora la contesa è cosa lodevole ( infatti anche Cicerone [ op. cit. 3,13 ] afferma che « la contesa è un discorso vivace, atto a difendere e a confutare » ); se invece la disputa non rispetta la convenienza delle persone e dei problemi, allora è riprovevole.

Se dunque la contesa comporta un'impugnazione della verità e una maniera indecorosa, allora è un peccato mortale.

E questa è appunto la definizione che della contesa dà S. Ambrogio [ Glossa ord. e P. Lomb. su Rm 1,29 ]: « La contesa è l'impugnazione della verità appoggiata sui clamori ».

- Se invece per contesa si intende l'impugnazione della falsità fatta nel debito modo, allora essa è una cosa lodevole.

- Se poi si intende l'impugnazione della falsità compiuta in modo disordinato, allora la contesa può essere un peccato veniale: a meno che nella disputa non ci sia tanto disordine da generare scandalo negli altri.

Per cui anche l'Apostolo, dopo aver detto [ 2 Tm 2,14 ]: « Evita le vane discussioni », aggiunge [ ib. ]: « che non giovano a nulla, se non alla perdizione di chi le ascolta ».

Analisi delle obiezioni:

1. Tra i discepoli di Cristo non c'era contesa con l'intenzione di impugnare la verità, poiché ciascuno difendeva ciò che riteneva vero.

Però nella loro contesa c'era del disordine, dato che questionavano su di una cosa su cui non si doveva questionare, cioè sul primato di onore: essi infatti, come nota la Glossa [ ord. di Beda ], non erano ancora uomini spirituali.

Per cui anche il Signore li rimproverò.

2. Coloro che predicavano Cristo per motivi di contesa erano reprensibili perché, sebbene non combattessero la verità della fede, ma la predicassero, tuttavia combattevano la verità per il fatto che speravano così « di aggiungere dolore su dolore » all'Apostolo, che predicava la verità della fede [ Fil 1,17 ].

Perciò l'Apostolo non godeva della loro contesa, ma del frutto che ne derivava, cioè « perché Cristo veniva annunziato » [ Fil 1,18 ]: poiché anche dal male casualmente può seguire del bene.

3. La contesa nel suo pieno significato, cioè in quanto è un peccato mortale, implica l'idea che colui il quale contende in giudizio impugni la verità della giustizia, e chi contende in una disputa voglia combattere la verità della dottrina.

Ora, i cattolici certo non contendono in questo modo contro gli eretici, ma piuttosto avviene il contrario.

Se invece la contesa, in tribunale o nelle dispute, viene intesa nel suo significato più debole, cioè in quanto implica una certa asprezza di parole, allora non sempre è peccato mortale.

4. In questo caso contesa sta per disputa in generale.

Infatti Giobbe aveva detto in precedenza [ Gb 13,3 ]: « All'Onnipotente vorrei parlare e con Dio vorrei discutere »; ma egli non intendeva affatto combattere la verità, bensì ricercarla; e neppure voleva servirsi di moti disordinati dell'animo o della voce in questa ricerca.

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