Summa Teologica - II-II

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Articolo 3 - Se sia lecito dare e ricevere del danaro per atti di ordine spirituale

In 4 Sent., d. 25, q. 3, a. 2, sol. 2; Quodl., 8, q. 6, a. 1

Pare che sia lecito dare e ricevere del danaro per atti di ordine spirituale.

Infatti:

1. L'esercizio del dono profetico è un atto spirituale.

Eppure nell'antico Testamento [ cf. 1 Sam 9,7s; 1 Re 14,3 ] per l'esercizio della profezia si usava dare un compenso.

Quindi è lecito dare e ricevere del danaro per un atto di ordine spirituale.

2. La preghiera, la predicazione e la lode divina sono degli atti eminentemente spirituali.

Ma per impetrare il suffragio delle preghiere si usa dare del danaro alle persone sante, seguendo l'ammonimento del Signore [ Lc 16,9 ]: « Procuratevi amici con la disonesta ricchezza ».

Inoltre ai predicatori che seminano il bene spirituale sono dovuti i soccorsi temporali, come dice l'Apostolo [ 1 Cor 9,11 ].

Infine a coloro che cantano le lodi di Dio nell'ufficio ecclesiastico e ai partecipanti alle processioni viene dato un compenso: anzi, talora vengono assegnate per questo delle rendite annue.

È lecito quindi ricevere un compenso per degli atti di ordine spirituale.

3. La scienza non è meno spirituale dell'autorità.

Ma per l'uso della scienza è lecito ricevere del danaro: all'avvocato, p. es., è lecito vendere il suo giusto patrocinio, come al medico è lecito vendere il suo consiglio e al maestro il suo insegnamento.

Quindi per lo stesso motivo è lecito a un prelato ricevere qualcosa per l'uso della sua autorità spirituale, cioè per le correzioni, le dispense o altre cose del genere.

4. La vita religiosa è uno stato di perfezione spirituale.

Ma in certi monasteri i religiosi esigono qualcosa dai postulanti per accettarli.

Quindi è lecito esigere un compenso per cose di ordine spirituale.

In contrario:

Nei Canoni [ Decr. di Graz. 2,1,1,101 ] si legge: « Tutto ciò che viene elargito dalla consolazione della grazia invisibile non deve essere mai venduto per un guadagno o per un compenso qualsiasi ».

Ma tutti i beni spirituali di cui stiamo parlando sono elargiti dalla grazia invisibile.

Quindi non è lecito venderli per un guadagno o per dei compensi.

Dimostrazione:

Come i sacramenti sono detti spirituali perché conferiscono la grazia, così anche altre cose sono dette spirituali perché derivano dalla grazia, che è spirituale, o ad essa dispongono.

Queste cose però vengono elargite attraverso il ministero di uomini che devono essere mantenuti dal popolo al quale essi amministrano i beni spirituali, secondo l'osservazione di S. Paolo [ 1 Cor 9,7 ]: « Chi mai presta servizio militare a proprie spese? O chi fa pascolare un gregge senza cibarsi del latte del gregge? ».

Quindi è un atto di simonia vendere o comprare ciò che di spirituale si trova in questi atti, mentre è cosa lecita prendere o dare un compenso per il sostentamento di chi impartisce i beni spirituali, seguendo le norme della Chiesa e le consuetudini legittime.

Si deve però escludere l'intenzione di comprare e di vendere, e non si deve costringere chi non vuol dare ricorrendo alla sottrazione dei beni spirituali da impartire.

Ciò infatti darebbe alla cosa l'aspetto di un commercio.

- Una volta però che i beni spirituali sono stati impartiti gratuitamente, è lecito in seguito esigere, con l'intervento dell'autorità superiore, da chi può ma non vuole, le contribuzioni stabilite e consuete.

Analisi delle obiezioni:

1. Come dice S. Girolamo [ In Mich. 1, su 3,9 ], certe offerte erano date ai veri profeti per il loro sostentamento, non per pagare l'esercizio del dono profetico; i falsi profeti invece vi cercavano un guadagno.

2. Coloro che fanno l'elemosina ai poveri per ottenere il suffragio delle loro preghiere non lo fanno con l'intenzione di pagare la preghiera, ma con una beneficenza gratuita intendono sollecitare le anime dei poveri a pregare per loro generosamente e caritatevolmente.

- Ai predicatori poi vanno dati dei beni temporali per il loro mantenimento, non per pagare la predicazione.

Da cui le parole della Glossa [ ord. di Agost. su 1 Tm 5,17 ]: « È imposto dalla necessità accettare di che vivere, ed è imposto dalla carità offrirlo: e tuttavia il Vangelo non è una cosa venale, così da essere predicato per questo.

Se infatti lo si vendesse a questo scopo, si venderebbe una cosa di valore a un prezzo vile ».

- Parimenti anche le elargizioni di beni temporali che si fanno a coloro che lodano Dio con l'ufficio divino, sia per i vivi che per i morti, non sono date come paga, ma come contributo per il mantenimento.

Ed è con questa intenzione che vengono accettate le elemosine che si è soliti dare per certi trasporti funebri.

Se però queste cose vengono fatte in seguito a un contratto, oppure con l'intenzione di comprare o di vendere, sono atti di simonia.

Perciò sarebbe illecito che in una chiesa venisse stabilita la norma di non fare il trasporto funebre se non viene pagata una certa quota: poiché con tale norma si eliminerebbe la possibilità di prestare gratuitamente ad alcuni questo servizio di carità.

La norma sarebbe invece più lecita se si stabilisse che a tutti coloro che daranno una certa elemosina verrà usato un certo trattamento particolare: così infatti non si eliminerebbe la possibilità di concederlo anche ad altri.

Inoltre, mentre la prima norma si presenta come un'imposizione, la seconda si presenta invece come un compenso gratuito.

3. Colui al quale è stato affidato un potere spirituale è obbligato dal suo ufficio a esercitare l'autorità ricevuta; e per il suo sostentamento ha dei proventi dalle rendite ecclesiastiche.

Se quindi uno accettasse qualcosa per l'esercizio della sua autorità spirituale mostrerebbe non l'intenzione di esercitare le funzioni inerenti per dovere all'ufficio da lui accettato, ma di vendere l'esercizio stesso della grazia spirituale.

Per cui non è lecito ai superiori percepire un compenso per una qualsiasi dispensa; né per il fatto che delegano ad altri le loro funzioni; e neppure perché correggono i loro sudditi, o perché si astengono dal correggerli.

Tuttavia possono ricevere le provvigioni quando visitano i loro sudditi, non come paga del loro intervento disciplinare, ma come doveroso contributo.

Chi invece possiede la scienza, non riceve per questo un ufficio che lo obblighi a comunicarla agli altri.

Quindi egli può ricevere lecitamente la paga del suo insegnamento o del suo consiglio, non come se volesse vendere la verità o la scienza, ma per prestare la sua opera.

- Se però egli fosse tenuto a ciò per ufficio, allora mostrerebbe di voler vendere la verità: per cui peccherebbe gravemente.

Come è evidente nel caso di coloro che in certe chiese sono deputati a insegnare ai chierici e agli altri poveri della città, per il quale insegnamento vengono dotati di un beneficio ecclesiastico: costoro non possono ricevere nulla, né per l'insegnamento, né per la celebrazione o l'omissione di certe solennità.

4. Per l'ingresso in monastero non è lecito esigere o percepire qualcosa come compenso.

Se però il monastero è così povero da non bastare a nutrire un così gran numero di persone, pur concedendo il libero ingresso in monastero è lecito ricevere qualcosa per il vitto di colui che chiede di essere ricevuto, sempre che le risorse del monastero siano insufficienti.

- Parimenti è lecito ricevere con più facilità una persona per la devozione che mostra verso il monastero facendo ad esso larghe elemosine; come pure è lecito, al contrario, sollecitare la devozione di una persona verso il proprio monastero mediante benefici temporali, per disporla a entrarvi; sebbene non sia lecito, a norma dei Canoni [ Decr. di Graz. 2,1,2,2 ], dare o ricevere qualcosa per l'entrata in monastero a modo di contratto.

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