Summa Teologica - II-II

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Articolo 1 - Se il digiuno sia un atto di virtù

Supra, q. 88, a. 2, ad 3; In 4 Sent., d. 15, q. 3, a. 1, sol. 2; De perf. vitae spir., c. 9; Quodl., 5, q. 9, a. 2

Pare che il digiuno non sia un atto di virtù.

Infatti:

1. Tutti gli atti di virtù sono accetti a Dio.

Il digiuno invece non è accetto a Dio, come nota Isaia [ Is 58,3 ]: « Perché abbiamo digiunato, e tu non ne hai fatto conto? ».

Quindi il digiuno non è un atto di virtù.

2. Nessun atto di virtù si allontana dal giusto mezzo.

Ora, il digiuno si allontana dal giusto mezzo, che nella virtù dell'astinenza consiste nel provvedere alla necessità della natura, alla quale il digiuno fa mancare qualcosa: altrimenti chi non digiuna non avrebbe la virtù dell'astinenza.

Quindi il digiuno non è un atto di virtù.

3. Ciò che capita a tutti, buoni e cattivi, non è un atto di virtù.

Ma tale è appunto il caso del digiuno: infatti prima di mangiare tutti sono digiuni.

Quindi il digiuno non è un atto di virtù.

In contrario:

L'Apostolo [ 2 Cor 6,5s ] lo enumera tra gli altri atti di virtù: « nei digiuni, nella scienza, nella castità », ecc.

Dimostrazione:

Un atto è virtuoso per il fatto che dalla ragione è ordinato a qualche bene onesto.

Ora, ciò avviene per il digiuno.

Infatti il digiuno viene praticato principalmente per tre cose.

Primo, per reprimere le concupiscenze della carne.

Per cui l'Apostolo nel passo citato [ 2 Cor 6,5s ] scrive: « nei digiuni, nella castità »; poiché con il digiuno si conserva la castità.

Infatti S. Girolamo [ Contra Iovin. 2 ] scrive che « senza Cerere e Bacco, Venere si raffredda »: cioè con l'astinenza nel mangiare e nel bere la lussuria si smorza.

- Secondo, perché l'anima si elevi a contemplare le realtà più sublimi.

Infatti di Daniele [ Dn 10,3ss ] si legge che ricevette rivelazioni da Dio dopo tre settimane di digiuno.

- Terzo, in riparazione dei peccati.

Da cui le parole della Scrittura [ Gl 2,12 ]: « Ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti ».

Ed è quanto dice anche S. Agostino [ Serm. supp. 73 ]: « Il digiuno purifica l'anima, eleva la mente, sottomette la carne allo spirito, rende il cuore contrito e umiliato, dissipa le nebbie della concupiscenza, smorza gli ardori della libidine e accende la luce della castità ».

È quindi evidente che il digiuno è un atto di virtù.

Analisi delle obiezioni:

1. Un atto che nel suo genere è virtuoso può essere reso vizioso da qualche circostanza.

Infatti nel passo citato si legge: « Ecco, nel giorno del vostro digiuno curate i vostri affari »; e poco dopo [ Is 58,4 ]: « Ecco, voi digiunate fra litigi e alterchi, e colpendo con pugni iniqui ».

E S. Gregorio [ Past. 3,19 ] commenta: « Gli affari stanno per i piaceri, i pugni per l'ira.

Perciò inutilmente il corpo viene maltrattato con l'astinenza se l'anima, abbandonata a moti disordinati, diventa preda del peccato ».

E S. Agostino [ l. cit. ] afferma che « il digiuno non ama le chiacchiere, giudica superflue le ricchezze, disprezza la superbia, esalta l'umiltà e fa sì che l'uomo si renda conto di essere fragile e infermo ».

2. Il giusto mezzo non viene determinato in base alla quantità, ma « secondo la retta ragione », come dice Aristotele [ Ethic. 2,6 ].

Ora, la ragione giudica che per uno speciale motivo un uomo deve prendere meno cibo di quello che ordinariamente gli occorrerebbe: sia per evitare un'infermità, sia per compiere meglio determinati atti materiali.

Ma molto più la retta ragione può ordinare ciò per evitare dei mali o per conseguire dei beni di ordine spirituale.

Tuttavia la retta ragione non ridurrà mai il vitto al punto di compromettere la conservazione della natura: poiché, come dice S. Girolamo [ Decr. di Graz. 3,5,24 ], « non c'è differenza tra l'uccidersi di colpo o in un tempo più o meno lungo »; e ancora: « offre in olocausto dei beni rapinati colui che affligge troppo il corpo con privazioni eccessive di vitto o di sonno ».

La retta ragione inoltre non riduce il vitto tanto da rendere un uomo incapace di compiere le proprie mansioni: per cui S. Girolamo [ ib. ] afferma che « perde la dignità di uomo ragionevole chi preferisce il digiuno alla carità, o le veglie all'integrità del senno ».

3. Il digiuno naturale di chi non ha ancora mangiato è un fatto puramente negativo.

Per cui non può essere computato fra gli atti di virtù, ma tra questi poniamo solo il digiuno con cui uno ragionevolmente e di proposito si astiene dal cibo per qualche tempo.

Per cui si dice che il primo è il digiuno di chi è digiuno, mentre il secondo è il digiuno di chi digiuna, cioè di chi lo fa di proposito.

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