Summa Teologica - II-II

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Articolo 2 - Se la studiosità sia una parte [ potenziale ] della temperanza

Supra, q. 140, a. 2

Pare che la studiosità non sia una parte [ potenziale ] della temperanza.

Infatti:

1. Per la studiosità si è chiamati studiosi.

Ma qualsiasi persona virtuosa può essere così denominata: come appare dal Filosofo, il quale usa spesso il termine studioso per virtuoso [ cf. Ethic. 1, cc. 9,13; 2, cc. 4, 9; 9, cc. 2,4,8,10 ].

Quindi la studiosità è la virtù in genere, e non una parte della temperanza.

2. La studiosità si riferisce alla conoscenza, come si è detto [ a. prec. ].

Ma la conoscenza non appartiene alle virtù morali, che risiedono nella parte appetitiva dell'anima, bensì alle virtù intellettuali, che risiedono nella parte conoscitiva: infatti anche la sollecitudine è un atto della prudenza, come sopra [ q. 47, a. 9 ] si è visto.

Perciò la studiosità non è una parte [ potenziale ] della temperanza.

3. Una virtù che è tra le parti di qualche virtù principale deve assomigliare a quella quanto al modo.

Ora, la studiosità non assomiglia in ciò alla temperanza.

Infatti la temperanza dice freno: per cui si contrappone piuttosto al vizio che si trova nell'eccesso.

Invece il termine « studiosità » deriva dall'applicazione dell'anima a qualcosa: per cui pare opporsi più al vizio che si trova nel difetto, cioè alla negligenza nello studio, che alla curiosità, che è il vizio che si trova nell'eccesso.

Anzi, la sua somiglianza con quest'ultima fa dire a S. Isidoro [ Etym. 10 ] che « studioso » deriva da « studiis curiosus » [ curioso negli studi ].

Quindi la studiosità non è una parte della temperanza.

In contrario:

S. Agostino [ De mor. Eccl. 21 ] ha scritto: « Ci è proibito di essere curiosi: e ciò si ottiene con una grande temperanza ».

Ma la curiosità è esclusa da una studiosità moderata.

Quindi la studiosità è tra le parti della temperanza.

Dimostrazione:

Come si è già notato [ q. 141, aa. 3,4,5 ], la temperanza ha il compito di moderare i moti dell'appetito, perché non ecceda nel tendere verso ciò che naturalmente si desidera.

Ora l'uomo, come brama istintivamente con la sua natura corporea i piaceri della gola e quelli venerei, così con la sua anima desidera naturalmente di conoscere, secondo l'affermazione del Filosofo [ Met. 1,1 ]: « Tutti gli uomini per natura desiderano conoscere ».

Ma la moderazione di questo desiderio appartiene alla virtù della studiosità.

Quindi la studiosità è una parte potenziale della temperanza, quale virtù secondaria annessa alla principale.

E rientra nella modestia, come si è già spiegato [ q. 160, a. 2 ].

Analisi delle obiezioni:

1. La prudenza è il coronamento di tutte le virtù morali, secondo Aristotele [ Ethic. 6,13 ].

Ora, come il discernimento della prudenza rientra in tutte le virtù, così può applicarsi a tutte il termine « studiosità », il quale riguarda appunto la conoscenza.

2. Gli atti delle potenze conoscitive possono essere imperati dalla facoltà appetitiva la quale, come si è visto [ I, q. 82, a. 4; I-II, q. 9, a. 1 ], può muovere tutte le nostre facoltà.

Perciò nella conoscenza si possono distinguere due tipi di bontà.

La prima riguarda l'atto stesso della conoscenza.

E tale bontà è propria delle virtù intellettuali: che cioè su ogni cosa si sappia la verità.

- L'altro tipo di bontà riguarda invece l'atto delle potenze appetitive: che cioè si abbia la volontà retta di applicare le facoltà conoscitive in un modo o in un altro, a una cosa o a un'altra.

E ciò spetta alla virtù della studiosità.

Perciò quest'ultima viene enumerata fra le virtù morali.

3. Come dice il Filosofo [ Ethic. 2,9 ], perché un uomo sia virtuoso è necessario che si guardi da ciò a cui maggiormente tende per natura.

Siccome dunque la natura inclina specialmente a temere i pericoli di morte e a seguire i piaceri della carne, ne segue che il valore della fortezza consiste in una certa fermezza di fronte a questi pericoli, e quello della temperanza nel tenere a freno le attrattive della carne.

Rispetto alla conoscenza invece ci sono nell'uomo due tendenze contrastanti.

Poiché dalla parte dell'anima l'uomo è inclinato a desiderare la conoscenza delle cose: e da questo lato deve tenere a freno tale desiderio, per non cercare sregolatamente la conoscenza.

Invece dalla parte della natura corporea l'uomo è inclinato a evitare la fatica necessaria per l'acquisto della scienza.

Perciò rispetto alla prima di queste tendenze la studiosità è un freno: e per questo è tra le parti della temperanza.

Invece rispetto alla seconda il valore di questa virtù sta in una certa forza di applicazione nell'acquisto della scienza: e da questa prende il nome.

La prima di tali tendenze tuttavia è più essenziale della seconda in questa virtù.

Infatti il desiderio di conoscere è essenziale alla conoscenza, a cui la studiosità è ordinata.

Invece la fatica dello studio è un certo impedimento alla conoscenza, per cui è qualcosa di accidentale in questa virtù, come un ostacolo da superare.

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