Summa Teologica - III

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Articolo 3 - Se l'anima di Cristo possa conoscere nel Verbo infinite cose

In 3 Sent., d. 14, q. 1, a. 2, sol. 2, ad 2; sol. 4, ad 2; De Verit., q. 20, a. 4, ad 1 sqq.; Quodl., 3, q. 2, a. 1

Pare che l'anima di Cristo non possa conoscere nel Verbo infinite cose.

Infatti:

1. Che l'infinito sia conosciuto ripugna alla sua definizione data da Aristotele [ Phys. 3,6 ]: « L'infinito è una grandezza tale che, per quanto se ne prenda, ne resta sempre fuori qualcosa ».

Ora, è impossibile separare il definito dalla sua definizione, poiché sarebbe come ammettere la possibilità simultanea di cose contraddittorie.

Quindi è impossibile che l'anima di Cristo conosca infinite cose.

2. La scienza di realtà infinite è infinita.

Ma la scienza dell'anima di Cristo non può essere infinita, essendo limitata la sua capacità di creatura.

Quindi l'anima di Cristo non può conoscere infinite cose.

3. Dell'infinito non ci può essere nulla di più grande.

Ma nella scienza divina, assolutamente parlando, ci sono molte più cose che nella scienza dell'anima di Cristo, come si è detto [ a. prec. ].

Quindi l'anima di Cristo non conosce infinite cose.

In contrario:

L'anima di Cristo conosce tutta la propria potenza e tutte le cose che sono in suo potere.

Ma essa può mondare un'infinità di peccati, secondo quanto è scritto [ 1 Gv 2,2 ]: « Egli è vittima di espiazione per i nostri peccati, e non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo ».

Quindi l'anima di Cristo conosce infinite cose.

Dimostrazione:

La scienza ha per oggetto soltanto l'ente, poiché l'ente e il vero sono convertibili.

Ma una cosa può dirsi ente in due modi: in modo assoluto [ simpliciter ], se è un ente in atto, e in modo relativo [ secundum quid ], se è un ente in potenza.

E poiché, come dice Aristotele [ Met 9,9 ], ogni cosa viene conosciuta in quanto è in atto e non in quanto è in potenza, la scienza ha innanzitutto e principalmente come oggetto l'ente in atto.

Secondariamente poi ha per oggetto l'ente in potenza, che è conoscibile non in se stesso, ma tramite l'ente in cui si trova in potenza.

Quanto dunque al primo tipo di scienza, l'anima di Cristo non conosce infinite cose.

Poiché non esistono in atto infinite cose, neppure mettendo insieme tutti gli enti in atto di qualsiasi tempo, dato che lo stato della generazione e della corruzione non deve durare all'infinito: per cui esistono in numero determinato non solo quelle realtà che non si generano e non si corrompono, ma anche quelle generabili e corruttibili.

- Quanto invece al secondo tipo di scienza l'anima di Cristo conosce nel Verbo infinite cose.

Conosce infatti, come si è detto [ a. prec. ], tutte le cose che sono in potere delle creature.

Essendo dunque tali cose infinite, egli le conosce tutte come con una certa scienza di semplice intelligenza, e non con una scienza di visione.

Analisi delle obiezioni:

1. Come si è detto nella Prima Parte [ q. 7, a. 1 ], ci sono due specie di infinità.

La prima è di ordine formale, ed è l'infinito negativo, cioè la forma o l'atto non limitati dalla materia o dal soggetto ricevente.

E tale infinito è per se stesso sommamente conoscibile, a motivo della perfezione dell'atto, sebbene non possa venire compreso dalla capacità limitata della creatura: così infatti si dice infinito Dio.

Ora, l'anima di Cristo conosce, ma non comprende questo infinito.

L'altra specie è invece l'infinito secondo la potenzialità della materia.

E viene detto privativo, non avendo il soggetto la forma che gli compete.

Tale è l'infinito che si riscontra nella quantità.

Ora, questo infinito non è per se stesso oggetto di conoscenza, essendo come una materia priva di forma, come dice Aristotele [ Phys. 3,6 ], mentre ogni conoscenza deriva dalla forma o dall'atto.

Se dunque tale infinito dovesse venire conosciuto come si presenta, ne sarebbe impossibile la conoscenza, dato che si presenta per parti, una dopo l'altra, come nota Aristotele [ ib. ].

E allora è vero che « per quanto grande si pensi » una serie di parti, « ne resta sempre fuori qualcosa ».

Ma come le realtà materiali possono venire apprese dall'intelletto in modo immateriale, e le molteplici come se fossero una sola, così le realtà infinite possono venire apprese dall'intelletto non come infinite, ma per riduzione al finito: in modo cioè che pur essendo infinite in se stesse, per l'intelletto che le conosce risultano finite.

E in questo modo l'anima di Cristo conosce infinite cose, non passando dall'una all'altra, ma raccogliendole in un'unità superiore: p. es. in una qualche creatura la cui potenza abbraccia infinite cose, e principalmente nel Verbo stesso.

2. Nulla impedisce che una cosa sia infinita sotto un aspetto e finita sotto un altro: come nell'ordine della quantità si può immaginare una superficie infinita per lunghezza e finita per larghezza.

E anche gli uomini, se fossero infiniti di numero, costituirebbero un'infinità relativa, cioè quanto al numero, non però quanto all'essenza, poiché ogni essenza rimane sempre limitata entro i confini della sua specie.

Ciò che invece è assolutamente infinito per la sua essenza è Dio, come si è detto nella Prima Parte [ q. 7, a. 2 ].

Ora, l'oggetto proprio dell'intelligenza, come dice Aristotele [ De anima 3,6 ], è l'essenza, a cui compete la specificazione.

Così dunque l'anima di Cristo, essendo dotata di una capacità finita, conosce l'infinito per essenza, cioè Dio, ma non ne ha la comprensione, come si è detto [ a. 1 ].

L'infinito potenziale invece, che si riscontra nelle creature, può essere compreso dall'anima di Cristo, poiché si presenta ad essa dal lato dell'essenza, che non è infinita.

Infatti anche la nostra intelligenza coglie l'universale, p. es. la natura del genere o della specie, che ha una certa infinità, potendo essere predicata di infiniti individui.

3. Ciò che è infinito sotto tutti gli aspetti non può essere che unico: per cui il Filosofo [ De caelo 1,7 ] dice che non ci possono essere più corpi infiniti, dato che ognuno di essi si estenderebbe in tutte le direzioni.

Se invece si tratta di realtà infinite sotto un aspetto soltanto, allora vi potrebbero essere più infiniti in quel genere: come possono essere molte le linee di lunghezza infinita tracciate su di una superficie di larghezza limitata.

Poiché dunque l'infinito non è una qualche sostanza, ma un accidente delle cose che vengono dette infinite, come dice Aristotele [ Phys. 3,5 ], moltiplicandosi i soggetti di un infinito si moltiplicano necessariamente le sue proprietà, così da ritrovarsi in tutti i soggetti.

Ora, una proprietà dell'infinito è quella che non vi è nulla di più grande.

Se quindi prendiamo una linea infinita, in essa non c'è nulla di più grande della sua infinità.

E parimenti in ciascuna delle altre linee infinite le parti sono infinite.

Quindi in ognuna di esse non c'è nulla di più grande dell'infinità di tutte le sue parti.

Tuttavia in una seconda e in una terza linea ci sono molte altre parti, pure infinite.

E ciò si riscontra anche nei numeri: infatti i numeri pari sono infiniti, e altrettanto i numeri dispari; e tuttavia i pari e i dispari insieme sono più dei pari.

Concludendo: dell'infinito in senso assoluto non c'è nulla di più grande; di un infinito invece che è tale sotto un aspetto determinato non c'è nulla di più grande sotto quell'aspetto, ma ci può essere qualcosa di più grande al di fuori di esso.

In questo senso dunque nella potenza delle creature ci sono infinite cose, e tuttavia nella potenza di Dio ce ne sono più che in quella delle creature.

E similmente l'anima di Cristo conosce infinite cose con la scienza di semplice intelligenza, e tuttavia Dio nel medesimo modo ne conosce di più.

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