Unione/Catechisti/BagnaP/BagnaP.txt Pietro Bagna Dal "Campidoglio" al monte Bracco Il Catechista Bagna nacque a Torino il 3 aprile 1922, primogenito di tre fratelli: Pietro, Teresio e Vittorio. In famiglia, come in gran parte della piccola borghesia piemontese, dominava un senso molto vivo della dignità e della riservatezza personali che avrebbe segnato profondamente la mentalità del bambino. Il padre Annibale, uomo di grande carattere, era un calzolaio rinomato per la perizia artigianale ed ebbe l'onore di ricevere qualche commessa perfino dalle principesse di Casa Savoia. Aveva il laboratorio dentro casa, in via Balme n. 7, dove produceva scarpette per ballerine molto apprezzate per la qualità delle rifiniture. La madre, Francesca Gagliardi, di indole dolce e riservata, aveva trasmesso al figlio Piero quella particolare delicatezza d'animo che emergeva in tutti gli atti esteriori e nel modo, fine e garbato, di rapportarsi con vicini di casa e conoscenti. Le condizioni familiari, come è stato rilevato nei profili di altri grandi Catechisti, dal punto di vista economico non si potevano definire floride. Del resto i Bagna abitavano in zona Campidoglio che certo non brillava per l'alto numero dei benestanti. Perciò il primogenito, di temperamento mite e sensibile, si dovette misurare ben presto con le durezze della vita, che lasciarono nel suo animo un desiderio profondo di pace interiore. Piero, fin dalla più tenera età, avvertì una fortissima attrazione per la dimensione religiosa. Questa lo spinse alla ricerca di una valida guida spirituale che, appena adolescente, trovò in Monsignor Silvio Murzone. Il sacerdote operava presso la Casa di San Pietro Vallemina ( Pinerolo ) dove, tra i 14 e i 15 anni, Piero ebbe modo di frequentare la locale Colonia estiva intitolata a Pier Giorgio Frassati. Già allora si occupava di tenere a bada i più piccoli, dando prova di una spiccata predisposizione all'educazione dei ragazzi. Su tutto, però, prevaleva un forte desiderio di consolazioni spirituali che mal sopportava le prolungate rinunce ai colloqui con Dio. I fratelli non hanno scordato le lunghe ore di preghiera e meditazione che Piero, nella cameretta condivisa dai tre ragazzi, strappava al tempo libero e al sonno: " Pregava molto, perfino di notte; avendo una camera da letto in comune, talvolta mi svegliavo e lo trovavo inginocchiato al pavimento." ( Vittorio Bagna ) " Tutta la parte adolescenziale ha avuto un carattere mistico. Piero è stato un mistico puro. " ( Teresio Bagna ) Il padre non sembrava condividere gli slanci mistici del figlio. Si verificò persino qualche piccolo screzio. Piero aveva 14 anni quando il genitore, dopo averlo sorpreso a sistemare una folta schiera di immaginette sacre sul comodino, lo rimproverò aspramente per quello che riteneva essere un segno di "debolezza", spazzando via, con brusca energia, il piccolo altarino domestico improvvisato dal figlio: questi non poté fare altro che scoppiare a piangere, sentendosi umiliato da un gesto di disapprovazione che lo feriva negli affetti più cari. Nonostante queste piccole incomprensioni familiari, il rendimento scolastico si manteneva più che soddisfacente, permettendo a Piero di distinguersi tra gli allievi delle Scuole Magistrali frequentate presso la "Domenico Berti" di piazza Bernini ( la sezione maschile della scuola venne poi separata e spostata in via Parma ). Le professoresse erano molto impressionate dalla sua dedizione e dal suo impegno; in particolare l'insegnante di italiano elogiava apertamente la sua applicazione agli studi e la portava come esempio al fratello Teresio. Bagna, fin da ragazzo, non si limitava alla pratica assidua della preghiera e dell'Eucaristia, ma partecipava attivamente alla vita comunitaria di S. Alfonso, la parrocchia del suo quartiere, frequentando la locale sezione giovanile dell'Azione Cattolica, la Legion Tebea, così chiamata in onore dei legionari romani, che, sotto la guida di S. Maurizio, erano stati martirizzati nel 285 d.C., presso l'attuale S. Moritz in Svizzera. Negli ambienti dell'Azione Cattolica, intorno ai 16 anni, conobbe anche Michele Banchio, oggi anziano sacerdote, che a distanza di tanti anni non perde occasione per esaltare le virtù del carissimo amico. Pur osservando uno stile di vita pio e riservato, il "legionario" di via Balme si esponeva al prossimo con grande fiducia, senza musonerie, né infingimenti, manifestando il vivo desiderio di difendere con forza e determinazione i propri ideali. Un atteggiamento che talvolta può costare molto, in termini di sacrifici e delusioni. Qualcosa del genere si verificò nel 1944, durante la guerra, quando, in uno slancio di generosità "patriottica" Piero, a dispetto di un carattere solitamente pacifico e mansueto, decise di partecipare insieme al fratello Teresio ad alcune azioni partigiane. Per quaranta lunghi giorni i due Bagna militarono tra gli insorti, poi quando iniziarono i rastrellamenti, Piero decise di consegnarsi ai nazisti ( c'era il pericolo che, in assenza di risultati concreti, gli ufficiali germanici attaccassero la popolazione civile ). Sarà Teresio a convincerlo a ritirarsi oltre le linee e a ragion veduta. Infatti, i prigionieri fatti dai tedeschi in quell'occasione vennero tutti sistematicamente fucilati: in Val Pellice ci sono ancora oggi 35 lapidi a ricordare quel massacro. I due fratelli, una volta tornati a Torino, si barricarono in casa per parecchi mesi. Essi non rischiavano, infatti, una semplice reprimenda o l'invio ai campi di lavoro, ma la pena di morte che i tedeschi applicavano senza troppe distinzioni a quelli che definivano "banditi". " L'esperienza della lotta partigiana, per quanto ci riguarda, si svolse così: eravamo da pochi giorni su in montagna, sopra Barge, quando scattò un improvviso rastrellamento delle SS tedesche. Era successo questo: alcuni nostri "amici" partigiani avevano sorpreso in macchina un colonnello delle SS e lo avevano ucciso. Potete immaginare la reazione dei tedeschi, che da Hitler avevano ricevuto disposizioni feroci per questo genere di casi. Inviarono subito sulle nostre tracce duemila SS per il rastrellamento. A quel punto noi ci mettemmo in fuga; dapprima sul Monte Bracco e poi da lì scendemmo in pianura per rientrare a Torino. Siamo rimasti tappati in casa per parecchi mesi, fino alla fine della guerra. Ce la siamo vista davvero brutta: se ci avessero scovato finivamo fucilati all'istante. Inoltre non essendo compresi nell'elenco delle tessere annonarie e non potendo uscire di casa eravamo a corto anche di cibo. Alcuni miei colleghi dell'Ispettorato si adeguarono alle disposizioni tedesche e furono deportati in Germania dove affrontarono un addestramento militare spietato: noi preferimmo darci alla macchia perché l'alternativa era quella di entrare nelle formazioni fasciste di Salò. Comunque anche i tedeschi hanno vissuto dei momenti d'inferno: sia da parte dei partigiani che dei nazisti, non si risparmiavano colpi. Piero spingeva più di me per la scelta partigiana, ma in seguito, sdegnato da tanto spargimento di sangue, divenne un pacifista convinto." ( Teresio Bagna ) Chi non l'ha vissuto in prima persona ha qualche difficoltà a comprendere lo stato d'animo di totale e disperante incertezza che imperava in Italia durante l'occupazione nazista. La Repubblica di Salò governava su mandato di Hitler e, di fatto, era uno stato vassallo. I giovani a suo tempo arruolati nell'ex Regio Esercito, dopo l'8 settembre si trovarono lacerati tra il giuramento prestato al Re, la fedeltà al vecchio alleato germanico e l'esigenza, non meno pressante, di "salvare la ghirba". Intanto gli Alleati bombardavano senza sosta le città, seminando il terrore e spingendo intere famiglie a sfollare nei paesini di campagna. Si viveva alla giornata, in un clima di snervante precarietà, in cui nulla, a cominciare dalla distribuzione del cibo era sicuro. L'architetto Giuseppe Varaldo, ex presidente della Legion Tebea, conobbe Piero proprio in quegli anni e ci fornisce un quadro interessante di quelle che erano le principali preoccupazioni dei giovani del tempo. " Lui abitava in via Balme 7. Io l'ho conosciuto durante la guerra, tra la fine del'42 e il settembre del '43, ma inizialmente fu solo una conoscenza molto superficiale. Dopo la breve esperienza partigiana, Teresio e Piero si nascosero in casa per sfuggire ai rastrellamenti; in quei mesi un compagno di classe di Teresio, il geometra Maggiorini, ha frequentato la loro abitazione senza mai accorgersi della loro presenza. Essendo Piero del '22 e Teresio del '24, rientravano nelle classi richiamate dalla Repubblica Sociale. Nei primi mesi del'44 il governo di Salò richiamò anche il primo quadrimestre del '26, non ai fini del servizio militare ma per un periodo di lavoro in Germania. Da un momento all'altro ci si aspettava la chiamata del secondo e del terzo quadrimestre del '26 e dunque, come molti amici del tempo, cercai di mettere le mani avanti per evitare questo trasferimento forzato. Mi si presentarono due possibilità: entrare nella Croce Rossa, oppure lavorare alla Grandi Motori della Fiat, dove si producevano i motori per i M.A.S., i mezzi d'assalto della Marina. Solo così si otteneva il lasciapassare dei tedeschi, senza dover partire per la Germania o per il fronte. Dopo le visite mediche, nel giugno del '44 mi fu imposto di scegliere: mi decisi per la Grandi Motori - dove conoscevo il Capo Reparto della Scuola Allievi ed il Direttore Generale - e lì prestai servizio per otto mesi. L'ultimo scaglione a ricevere una chiamata formale dagli uffici di leva è stato il primo quadrimestre del '26. Ma all'antivigilia di Pasqua del '45 la Grandi Motori emanò un editto in base al quale i dipendenti delle classi '23, '24, '25 e '26 dovevano presentarsi il lunedì successivo non più alla Grandi Motori, bensì all'organizzazione tedesca Todt che eseguiva lavori presso il ponte di Brandizzo, dove tra l'altro, quasi ogni giorno c'erano mitragliamenti da parte degli Alleati; chi non si fosse presentato avrebbe perso il posto. Gli operai di carriera hanno fatto quel che dovevano fare per restare alla Grandi Motori, io, invece, visto che il secondo e terzo scaglione del '26 non erano stati richiamati, disertai l'invito e mi chiusi in casa. Pochi giorni dopo, col 25 aprile e la Liberazione è finito tutto." ( Arch. Giuseppe Varaldo ) Va considerato un altro fatto fondamentale per descrivere in maniera più fedele la situazione e gli stati d'animo vissuti dai giovani del dopoguerra. Il conflitto aveva scavato un solco molto profondo tra la generazione dei trentenni appena tornata dal fronte, dai campi di prigionia o dalla lotta partigiana e quella dei ventenni che in un modo o nell'altro, dopo l'armistizio del '43, non avevano vissuto in prima persona gli orrori della guerra. Molti giovani ex combattenti furono così provati dalle durezze patite in trincea da smarrire per strada le esuberanze e i sogni tipici della loro età, un po' come succede ancora oggi ( ovviamente su scale anagrafiche completamente diverse ), nei paesi del Terzo Mondo, ai cosiddetti bambini-soldato che assimilano il disincanto dei quarantenni prima ancora di entrare nella vita adulta. Piero Bagna, pur non avendo indossato la divisa, si sentiva per molti aspetti più vicino a questa generazione di reduci "segnati" dalle sofferenze della guerra, gente che si lasciava andare con una certa difficoltà, evitava le goliardate, teneva atteggiamenti più riservati e compassati. " Quelli della generazione immediatamente precedente alla nostra ( molti erano stati deportati in Germania e ne erano tornati completamente stravolti ) se ne stavano in un certo senso appartati rispetto al resto del gruppo giovanile della parrocchia di S. Alfonso, dove aveva sede la Legion Tebea, proprio perché c'era qualcosa - un insieme di esperienze che li accomunava fra loro e li separava da noi - che li costringeva a tenere un comportamento e degli atteggiamenti più adulti o comunque diversi dai nostri. Il Geometra Casalegno, ex presidente della Legion Tebea, era reduce dalla Germania; un altro giovane, tale Sabino, nato nel '18, era stato sotto le armi praticamente dal '38 al '46 e l'esperienza del fronte l'aveva letteralmente prostrato. Lui trentenne seguiva i ventenni ovunque andassero passivamente, senza intervenire, non si riusciva a coinvolgerlo in nulla. So che poi ha trovato lavoro come bigliettaio dei banchi del mercato presso Porta Palazzo; ma di questi reduci così duramente provati dall'esperienza bellica ne circolavano parecchi." ( Arch. Giuseppe Varaldo ) Il dopoguerra e le molteplici attività di un "laico consacrato" Dopo la guerra Piero Bagna si iscrisse alla facoltà di Magistero, dove ebbe modo e tempo di estendere i suoi interessi alla filosofia, alle lettere, alle lingue. Nutriva una grande passione per l'indagine filosofica da lui coltivata in funzione della teologia. Conseguì la laurea in Pedagogia redigendo una tesi su Emile Boutroux, il filosofo spiritualista francese che difese la religione dalle ingerenze del determinismo scientista. A questo periodo ( 1948 ) risalgono anche i primi contatti con l'Unione Catechisti, favoriti dalla frequentazione dei fratelli Fonti. La prima emissione dei voti annuali avvenne il 2 luglio 1950 ( Anno Santo ), nel Santuario di San Ignazio di Lanzo. " La motivazione che lo ha spinto ad entrare nell'Unione Catechisti era certamente il grande afflato religioso. So che non tutti i confratelli condividevano il suo rigorismo morale e teologico. Mi pare, invece, che fosse su posizioni vicine a quelle di Claudio Brusa ( il consacrato che negli anni '70 avrebbe rivalutato gli scritti di Fra Leopoldo - l'ispiratore dell'Unione Catechisti - e curato un pregevole filmato sulla Sindone, ndr. ) col quale si intendeva molto bene. Sinceramente non so a quando risalgano i primi contatti di mio fratello con l'Istituto secolare: io ho passato la vita a dare concorsi ( da direttore, da ispettore ecc. ) e non potevo seguire passo a passo la vita di mio fratello. Sicuramente le decisioni importanti le prese subito dopo la guerra. Mio padre non era favorevole perché si rendeva conto che era già troppo preso dalla scuola. E Piero soffriva di questa incomprensione, tuttavia ha perseverato poiché era uomo di "forti idee". Già durante la guerra diceva: "se mi prendono le SS mi faccio sparare … non starò lì a chiedere pietà". La sua coerenza ideale era impressionante, specialmente in ordine alla religione: questa coerenza era il suo unico vero tesoro. Poi la malattia ha trasformato le sue prove quotidiane in un'unica grande tragedia." ( Teresio Bagna ) Questa coerenza tra il "predicare" le verità di fede ed il "permeare" la società con la condivisione delle situazioni, Bagna l'aveva assimilata da Fr. Teodoreto e la coltivava con una seria preparazione dottrinaria ( un sacrificio non indifferente visti i suoi pressanti impegni professionali ). Di conseguenza, insieme a pochi altri Catechisti, cominciò a seguire i corsi di Scienze Religiose curati dal Can. Monsignor Attilio Vaudagnotti, che ritroverà alla fine della sua avventura umana, al Cottolengo. La sua tesi finale si sarebbe poi appuntata sulle apparizioni della Madonna di Lourdes. Non era attirato dal titolo accademico fine a se stesso; nutriva anzi un sincero interesse per la cultura religiosa, anche nella sue formulazioni più recenti e per questo cercava di tenersi sempre informato. In casa, collezionava con la massima cura gli articoli più significativi della stampa cattolica. Suo fratello Teresio ha custodito fino ad oggi un ricco archivio giornalistico, nel quale ogni articolo è conservato in apposite buste regolarmente datate. La qualità spirituale dei suoi interessi culturali è dimostrata dal fatto che Piero ha mantenuto una significativa corrispondenza con Carlo Carretto, noto dirigente dell'Azione Cattolica e fondatore a Spello, nei pressi di Assisi, della filiale italiana dei "Piccoli Fratelli", l'ordine religioso creato da Padre Charles de Foucault nel deserto algerino. L'affinità di Bagna con Carretto è evidente: anche se con riscontri sociali assai diversi, erano entrambi maestri elementari, molto attratti dalle tematiche filosofiche, decisamente antifascisti, propensi ad interpretare in senso religioso, piuttosto che politico, l'apostolato dell'Azione Cattolica, ma, soprattutto, sia l'uno che l'altro provenivano dal cattolicesimo impegnato torinese che anche il grande Luigi Gedda, per un breve periodo, conoscerà in prima persona. Non si tratta di semplici coincidenze. Il "laicato cattolico" italiano ha nella nostra città un caposaldo insostituibile. Nella gestione dell'Unione Piero Bagna non ricopriva un ruolo di primissimo piano e, tuttavia, la sua presenza favoriva la fedeltà al carisma del Fondatore. Fu guida assidua di Zelatori e Zelatrici del Movimento Adoratori, economo dell'Unione Catechisti presso la sede di Torino e responsabile di alcuni gruppi giovanili. Tra questi, come accennato, c'erano i ragazzi della Casa di Carità che nella bella stagione partecipavano ai campeggi "montani" organizzati dall'Unione in Valle d'Aosta: questo impegno educativo, che, a prima vista, poteva apparire "leggero", in verità metteva a dura prova la pazienza e la coerenza morale degli educatori. " Ha sempre partecipato ai campeggi allestiti per i giovani della C. d. C. a Gressoney la Trinitè, in frazione Staval. Ufficialmente svolgeva la funzione di economo, in pratica si occupava anche di seguire i ragazzi. Tra di essi ricordo in particolare i fratelli Ermanno ed Umberto Deraglia. In quel contesto Piero manifestava sempre un temperamento gioviale e mite, ma era capace di assumere atteggiamenti fermi e decisi quando occorreva riprendere qualche ragazzo o adulto che si lasciava andare a comportamenti sguaiati." ( Leandro Pierbattisti ) Era molto sensibile alle problematiche messe in luce dalle riunioni dell'Istituto secolare, particolarmente ad alcune questioni che emergevano nel corso delle assemblee tenute all'inizio e alla fine del sessennio: l'Adorazione a Gesù Crocifisso, la sua diffusione ed i rapporti tra i Catechisti. A suo tempo, anzi, fu un fedele redattore di questi incontri, come confermato dal prof. Cagnetta. Tra il 1955 ed il 1958 aiutò il Presidente Tessitore a curare la preparazione degli aspiranti Catechisti: un compito di grande responsabilità, visto che allora l'aspetto dottrinario della formazione era seguito nei minimi particolari. In queste circostanze dimostrava una grande umiltà e disponibilità di cuore, nonché una spiccata capacità di adattarsi alle esigenze altrui. Queste doti erano apprezzate anche al di fuori della cerchia ristretta dell'Istituto. Nella parrocchia di Sant'Alfonso, ad esempio, gli venivano affidati i ragazzi più intrattabili, in quanto aveva dato prova di comprensione e introspezione psicologica non comuni: insomma sapeva come prenderli. La stessa abilità la sfruttava con gli anziani che assisteva in Borgo Campidoglio, dove si prestava a svolgere lavori molto umili, quali ad esempio la cura dei piedi e delle mani. Di suo tratteneva ben poco. Sostanzialmente tutti i guadagni li devolveva in beneficenza. " Dopo il ricovero al Cottolengo ( 1978 ) ricevette la visita di alcune persone che aveva beneficato di tasca sua, durante le visite che faceva a domicilio. Stesso discorso per le madri di alcuni ragazzi che aveva aiutato ad uscire da situazioni difficili. Aveva una naturale inclinazione per il recupero dei giovani disadattati e sperava ardentemente che questi lo ricordassero con affetto." ( Luigi Amore ) Non è sempre facile apprezzare la charitas anonima di questi cristiani così semplici: ma chiunque abbia provato per qualche tempo ad assistere gli anziani può farsi un'idea della pazienza necessaria. Ma soprattutto bisogna riflettere sullo scarsissimo ritorno "pubblicitario" di questo volontariato. Bene o male il laico che parte in missione per l'Africa, il Sud America o l'India può sempre intravedervi un segno della propria dignità, del proprio "eroismo". Invece chi resta in patria, addirittura nella propria città, ad occuparsi di poveri vecchi non riceverà certo le attenzioni o gli encomi di nessuno … e in effetti questo fu il destino di Piero Bagna, che pure aveva coltivato il sogno di immolarsi in qualche lontano avamposto della Fede. In certi casi, più che di nascondimento bisognerebbe parlare di una vera e propria "missione in incognito" consumata nel perimetro del proprio quartiere. Il Catechista di via Balme non poteva, come fanno tanti volontari laici post-moderni, vantare esperienze di inculturazione tra gli indios Yanomami o i Pigmei del Congo: nel suo caso siamo agli antipodi dell'avventura esotica dai connotati romanzeschi, ideale per corroborare il "curriculum vitae", le conferenze del venerdì sera o l'album fotografico associativo; ci troviamo anzi al limite dell'oblio. Dimentico di se stesso, alieno da qualsiasi visibilità: questo anonimato è lo sfondo esistenziale scelto dal Catechista e le avversità non faranno altro che accentuarlo. Un'altra importante esperienza di Bagna è legata alle associazioni cattoliche del quartiere Campidoglio. Il Circolo dell'Azione Cattolica della parrocchia di Sant'Alfonso, a livello giovanile, era così organizzato: c'era una sezione maschile, chiamata Legion Tebea, che si riuniva nei locali adiacenti alla chiesa ( oggi convertiti in circolo ricreativo per anziani ) dove Bagna era solito tenere ai convenuti le sue lezioni di carattere storico - religioso; a qualche metro di distanza, invece, si trovava l'associazione Giovanna d'Arco che ospitava la sezione femminile del Circolo. Questa sede era gestita dalla signorina Caneparo, un'aristocratica molto attiva, proprietaria dei locali in cui si svolgevano le riunioni delle ragazze. Al principio degli anni '60, quando l'Azione Cattolica entrò in crisi, sembra per mancanza di un centro direttivo adeguato, la sezione maschile in breve si dissolse, mentre quella femminile superò indenne la crisi, grazie alla previdenza della Caneparo e alla solerzia delle suore di Maria Ausiliatrice, cui fu affidato il complesso dopo la scomparsa della nobildonna. Bagna, a differenza del sodale Claudio Brusa ( ex alpino, amante delle scalate in montagna, docente alla Casa di Carità di materie tecniche ), non era un pragmatico di temperamento atletico, anzi per certi aspetti sembrava l'antitesi del suo esuberante amico, ma nonostante ciò ha lasciato nei cattolici impegnati di Sant'Alfonso un'impressione di grande impegno e solerzia. Le sue preferenze erano evidenti: devotissimo alla Madonna, molto attento allo sviluppo delle attività dell'Unione, non perdeva occasione per elogiare la Casa di Carità. Eppure non si chiudeva nel guscio dell'Istituto, ma, incarnandone in pieno lo spirito "missionario", partecipava attivamente a realtà esterne, in primis alla vita della sua parrocchia. " Quello che oggi è il circolo anziani di Sant'Alfonso, allora ospitava la Legion Tebea. Accanto alla sala per la ricreazione dove si trovava il biliardo, c'era quella per le riunioni dove avvenivano gli incontri di formazione. Spesso pioveva dentro a causa del tetto malandato. Ebbene, in questo locale Bagna teneva i suoi colloqui e le sue lezioni di catechismo: era molto bravo, ci sapeva fare. Organizzava i ragazzi in maniera efficace - "tu fai questo, tu fai quello …" - e manteneva attivo l'ambiente. Nel primo dopoguerra, durante le riunioni associative, il Presidente Giuseppe Varaldo, dava abitualmente la parola a Piero che ci erudiva per una buona mezz'ora. Noi ragazzi restavamo smarriti, però, quando Varaldo ci diceva: "e dopo questo preambolo diamo inizio all'incontro". "Ma come - dicevamo tra noi - un preambolo di mezz'ora?". La Legion Tebea organizzava, saltuariamente e in modo non sistematico, delle gite in montagna, ma a queste iniziative, Bagna non partecipava anche perché era preso da moltissimi impegni. Si "infilava" un po' dappertutto, in quanto era una persona sempre disponibile e si prestava ad ogni nuova sollecitazione." ( Vincenzo Rampino ) Io sono stato Presidente della Legion Tebea dal 1945 al 1950, poi è subentrato Vittorio Bagna che era il mio vicepresidente. De iure, alla Legion Tebea apparteneva lo stesso Luigi Gedda ( il famoso fondatore dei Comitati Civici ) che abitava in via Musinè, ma poi si è trasferito a Roma e non lo abbiamo più visto. Spesso le riunioni si svolgevano in piedi, poiché i locali a disposizione non erano molto vasti. Certamente Piero ha svolto degli interventi a metà strada tra l'intento catechistico e quello religioso-sociale, ma non ricordo nulla che possa essere documentato da ciclostilati o dattiloscritti. " La Legion Tebea comprendeva gli animatori degli Aspiranti ( fino alla terza media ), degli Juniores ( fino ai 18 anni ), dei Seniores ( fino ai 30 ) e del Gruppo Sportivo; tutto ciò però in un clima di reciproca conoscenza, amicizia e scarsa burocrazia. La signorina Caneparo, invece, gestiva separatamente ed in prima persona l'oratorio e l'associazione femminile "Giovanna D'Arco", che manteneva pochissimi contatti con il gruppo maschile. La Legion Tebea fu in prima linea durante la mobilitazione generale dei cattolici che seguì alla minaccia dell'avanzata comunista: Vittorio e Piero Bagna, come molti altri "legionari", parteciparono nel settembre 1948 al raduno dei baschi verdi organizzato a Roma da Carlo Carretto." ( Arch. Giuseppe Varaldo ) Il Catechista si trovava spesso ad agire da solo, vista la natura particolare del suo apostolato, ma non mancavano le occasioni per instaurare dei sani rapporti di amicizia che contribuivano ad allargare la sua "fama" di uomo veramente pio e disinteressato. Una di queste felici situazioni si creò con una famiglia di vicini, i Baldi. " Ricordo il maestro Bagna come una figura chiave della mia vita. Da piccola mi ero abituata alla sua presenza in casa. Sua madre, nell'immediato dopoguerra aveva saputo che mia mamma era sarta e che faceva vari lavori di cucito in casa e perciò aveva mandato da noi il maestro, che allora era magrissimo, per confezionargli un paio di pantaloni. Questo era stato il motivo del primo incontro. "Che vita stretta" diceva mia madre mentre prendeva le misure e lui di rimando, col tono faceto che gli era familiare, rispondeva: "Eh, sì, vivo davvero in ristrettezze". Un altro tratto tipico del suo carattere, che colpiva la mia immaginazione di bambina, lo si poteva cogliere nei gesti: talvolta parlando, si faceva un segno di croce sulla fronte, quasi volesse "cristianizzare" il suo pensiero. Lui e mio padre frequentavano regolarmente la San Vincenzo parrocchiale. Approfittando della vicinanza - noi abitavamo in via Balme n. 2, la sua famiglia al n. 7 - Bagna si presentava all'ora di cena, intorno alle 8,20 ( cenavamo piuttosto tardi visto che mio padre lavorava alla Previdenza Sociale fino a sera inoltrata ), si sedeva lì a tavola insieme a noi, aspettava che mio padre avesse finito di mangiare e poi verso le 09.00 lo accompagnava alla San Vincenzo. Questo succedeva una volta alla settimana, il venerdì sera per la precisione. La sua presenza nella nostra famiglia era considerata "importante" visto che richiamava pensieri e valori davvero profondi, pur mantenendo un tono assolutamente discreto, mai invadente. Mio padre, in particolare, lo considerava un amico fraterno. Mia madre aveva una vera devozione per il maestro Bagna: quando gli offriva qualcosa da mangiare talvolta si sentiva rispondere "accetto per obbedienza" e allora si preoccupava, quasi avesse paura di forzare il Catechista a rompere qualche digiuno. Per me, infine, egli ha rappresentato, specie durante l'infanzia e l'adolescenza, una personalità di riferimento, tanto che è stato testimone di nozze al mio matrimonio celebrato proprio in Sant'Alfonso, dove Don Quaglia era da poco subentrato al defunto Don Laude. Allora ( nel '69 ) non si usava chiamare tanti testimoni di nozze: la mia famiglia avrebbe potuto invitare qualche parente stretto, diversamente scelse il maestro Bagna perché nella nostra vita familiare, dal punto di vista spirituale, la sua presenza era davvero significativa. In seguito sono tornata in casa dei Bagna nel '74, alla morte della madre, che ricordo come persona molto dolce e comprensiva. Il padre Annibale, invece, aveva un carattere molto forte." ( Signora Enrica Baldi ) Tornando ai molteplici impegni del Catechista dobbiamo tener conto degli orari, per valutare meglio la serietà della sua missione di "laico consacrato". La mattina di Bagna è dedicata al lavoro di insegnante presso l'"Alessandro Manzoni", il tardo pomeriggio e la sera all'insegnamento di Cultura e Religione presso la Casa di Carità e la Teofilo Rossi di via Bertola. Seguono, il venerdì sera, le riunioni della San Vincenzo dove fa coppia fissa col Signor Baldi, suo carissimo amico, padre della giovane Enrica Baldi che seguirà per qualche tempo come insegnante privato di italiano ( gratuitamente, s'intende ). Infine, nel conto bisogna comprendere anche i catechismi impartiti ( dopo la crisi della Legion Tebea ) negli oratori delle parrocchie di Sant'Alfonso, San Pellegrino e le Vallette. " Lavorava alla Conferenza di san Vincenzo, nei Comitati Civici, negli oratori …: in tutte le attività che gli venivano proposte, si buttava a capofitto senza per questo strafare, ma sempre con umiltà. Appena vedeva un varco ( a parte la politica ovviamente ) metteva a disposizione il suo impegno di Catechista consacrato. Alla San Vincenzo si dedicava anima e corpo e manteneva posizioni di una certa responsabilità. Il catechismo lo assorbiva moltissimo, specie a partire dalla fine degli anni '50 quando, entrati in crisi gli oratori, si era concentrato su quello che esisteva ancora, vale a dire i catechismi parrocchiali. Anche qui a Sant'Alfonso, con la crisi dell'A. C., l'oratorio maschile si è lentamente dissolto. Viceversa quello femminile, dopo la morte della solertissima signora Caneparo, è passato in mano alle Suore di Maria Ausiliatrice che hanno garantito una certa continuità. Ma era l'eccezione." ( Vincenzo e Carla Rampino ) Il Catechista Pierbattisti conferma il coinvolgimento di Bagna in un'attività più strettamente legata all'Unione Catechisti: come già parzialmente accennato in altri profili biografici, l'Istituto fondato da Fr. Teodoreto, nel 1966 aveva deciso di avviare una "sezione giovanile" dell'Unione implicante la costituzione di diversi centri in Italia e all'estero. Si sperava, così, di creare un ambiente favorevole alla selezione di nuovi Catechisti disposti a consacrarsi a Dio con i voti. In tale contesto, nel 1969, venne fondata a Torino la "Sede Fra Leopoldo" che comprendeva cinque sezioni e perseguiva due scopi fondamentali: la formazione dei nuovi Catechisti e l'animazione dei gruppi giovanili. In linea con la spiritualità di Fra Leopoldo, gli iscritti più giovani venivano chiamati "Amici di Gesù Crocifisso". La gestione dei gruppi fu così distribuita: a Claudio Brusa, oltre alla responsabilità generale della "Sede Fra Leopoldo", fu assegnato il coordinamento della sezione "Casa di Carità"; il Catechista consacrato Leandro Pierbattisti diresse dapprima la sezione relativa alla parrocchia della Sacra Famiglia ( che tra il 1969 ed il 1975 raccolse molti giovani ) e, in seguito, quella di San Vincenzo de Paoli; al Catechista Roggero e all'associato Elso Massalin, uno dei "pupilli" di Brusa, fu affidata la sezione di Santa Pelagia - dal nome della scuola media dei Fratelli delle Scuole Cristiane - la cui direzione spirituale era assicurata da Fratel Luigi Aprato ( tra il 1970-1972 gli incontri si svolsero nei locali della Chiesa di Santa Croce ); infine, a Piero Bagna venne assegnato il gruppo giovanile della parrocchia di Sant'Alfonso e, fu proprio in veste di responsabile di questo "vivaio" dell'Unione, che, come vedremo poi, Don Carlo Quaglia lo chiamò a far parte del Consiglio Pastorale di Sant'Alfonso. Due cose emergono chiaramente dall'intensa serie di attività portate avanti dal Catechista torinese. Innanzitutto lo spirito di assoluta gratuità ( nel senso morale e finanziario del termine ) che le anima: nessun secondo fine, solo sacrifici ad maiorem Dei gloriam; e poi lo sforzo di inserirsi, da buon laico consacrato, in tutte le realtà che si proponevano all'attenzione dei cattolici militanti, quasi a voler portare, ovunque, quel pizzico di sale, quello spicchio di spiritualità che, a giudizio di Fra Leopoldo, avrebbe contribuito a "rialzare la Croce" in mezzo al mondo. Ora in questa fitta rete di impegni ( San Vincenzo, Legione Tebea, giovani dell'Unione ) Bagna non era sempre solo. Talvolta veniva coadiuvato dalla prof. ssa Cecilia Giacobbe, figura molto nota nell'ambiente di S. Alfonso, che, insieme a lui, pensava e organizzava gli incontri di catechesi e cultura religiosa. Bagna, visto che non provenivano più direttive dalla Giunta Centrale dell'ACI in merito all'organizzazione degli oratori, cercò altri sbocchi al suo apostolato. È probabile anzi che abbia tenuto in diverse parrocchie altre conferenze, insieme alla professoressa Cecilia Giacobbe che spesso lo affiancava nel corso di questi incontri. Lei ormai è defunta, ma il fratello, professore anche lui, è ancora in vita. ( Vincenzo Rampino ). Il dopoguerra fu caratterizzato da una conflittualità ideologica molto accesa. In questa situazione, che rifletteva su scala nazionale il duello mondiale U.S.A. - U.R.S.S., Bagna entrò nei Comitati Civici organizzati da Luigi Gedda per far fronte all'ondata social-comunista, che, durante le elezioni del '48, minacciava di gettare l'Italia nell'orbita dell'Unione Sovietica. Qui non assunse certo posizioni direttive - non era nel suo stile - ma prestò la sua opera in maniera diligente, coerentemente alla sua vocazione. Bisogna rilevare un fatto curioso: Luigi Gedda, il celebre fondatore dei Comitati, professore di fama internazionale in campo medico, frequentatore assiduo di politici e pontefici ( ottenne ben novanta udienze papali ), abitò per qualche tempo in via Musinè, a pochi passi dalla parrocchia di Sant'Alfonso ( a breve distanza dalla stessa residenza di Piero ), e, almeno ufficialmente, risultò iscritto per qualche tempo alla Legion Tebea. In verità Gedda, classe 1902, frequentò questa sezione giovanile dell'Azione Cattolica, allora nota come Società della Gioventù Cattolica Italiana, solo fino al 1917, ma è significativo il fatto che proprio in quella zona di Torino, fosse vissuto un personaggio capace di suscitare, tra le fila dei democristiani impauriti dalla "marea rossa", quello spirito di "reconquista" che ha permesso al cattolicesimo italiano di non perire sotto la furia anticlericale della rivoluzione social-comunista. Ciò non deve stupire vista la vocazione "sociale" che la chiesa torinese ha sempre manifestato nell'ambito dei grandi conflitti di classe che hanno sconvolto il XX secolo. I membri dei Comitati Civici che organizzavano le campagne di attacchinaggio, specie nei 40 giorni che precedettero le elezioni del 1948, erano tutti coinvolti in quel turbinoso clima emotivo che risentiva ancora di odi e rancori risalenti all'ultimo conflitto, se non addirittura al "biennio rosso" ( 1919-20 ) immediatamente successivo all'altra grande carneficina del XX secolo: la Grande Guerra. " Per quanto riguarda i Comitati Civici il coinvolgimento dei cattolici militanti fu molto ampio e a diversi livelli: Comitato civico diocesano, Comitato civico parrocchiale ecc. La febbrile campagna di attacchinaggio condotta nei 40 giorni che precedettero il fatidico 18 aprile vide anche una serie di scontri coi rappresentanti del Fronte Popolare. Alla sera si lavorava fino a mezzanotte per l'organizzazione dei Comitati Civici, poi si andava a dormire per qualche ora e alle tre del mattino si usciva in strada per affiggere i manifesti. In quelle campagne notturne, per quanto riguarda la parrocchia di Sant'Alfonso, Aldo e Giorgio Ceragioli, personaggi di spicco della Legion Tebea, erano molto attivi." ( Arch. Giuseppe Varaldo ) Dopo il periodo "infuocato" dell'immediato dopoguerra, Piero allargò le sue frequentazioni ben oltre la parrocchia del suo quartiere. Padre Alfonso Catanese, parroco di San Carlo, nell'omonima piazza torinese, ricorda di averlo incontrato per la prima volta il 6 aprile del 1951. In quell'occasione aveva officiato una Messa alla presenza dei suoi ex insegnanti di seminario: era una delle prime celebrazioni, considerato il fatto che aveva ricevuto l'ordinazione il 10 marzo di quello stesso anno. Erano presenti, tra gli altri, Fratel Teodoreto e Fratel Cecilio, oltre ad un certo numero di Catechisti. Terminata la santa Messa i fedeli si spostarono in una sala adiacente alla chiesa, dove Bagna pronunciò un discorso sul tema della vocazione. C'è una fotografia d'archivio che commemora l'avvenimento, nella quale il giovane Piero, discreto come sempre, si scorge appena nell'ultima fila, in alto. Fin dai primordi della sua militanza, visse la missione catechistica con grande fedeltà allo spirito e alla lettera degli scritti del Fondatore. Non si limitava a svolgere coi ragazzi un determinato orario di formazione dottrinaria, ma allargava il suo intervento a tutta la vita interna ed esterna delle parrocchie frequentate, ora animando la liturgia, ora collaborando alla Conferenza di San Vincenzo, ora recandosi nelle case dei parrocchiani per il suo apostolato di preghiera. Padre Alfonso Catanese aveva apprezzato molto lo spirito "missionario" dell'Unione Catechisti e perciò, nel 1956, dopo essere stato nominato parroco di San Pellegrino pensò bene di affidare i nuovi corsi di catechismo all'Istituto secolare, che, secondo gli accordi, avrebbe dovuto preparare i ragazzi per le cerimonie della Cresima e della Comunione da tenersi nel 1958. Anche in questa occasione il Catechista di via Balme non si risparmiò. " Bagna tenne un corso di catechesi per diversi mesi. Un corso che ha dato i suoi frutti." ( Padre Alfonso Catanese ) In seguito, il sacerdote ebbe ancora modo di incontrare Bagna, specie in occasione dei ritiri organizzati dall'Unione. Peraltro, l'attività svolta presso la parrocchia di Sant'Alfonso, ha lasciato segni più tangibili: " Piero Bagna è stato animatore nella mia parrocchia sia per la Catechesi, sia per la Liturgia; ha fornito un contributo molto valido. Dimostrava di essere già preparato di suo come tutto il gruppo proveniente dalla Casa di Carità e dall'Unione Catechisti ( penso a Conti ), gente con una formazione solida che aveva una spiccata sensibilità per i nostri problemi anche pastorali. " ( Don Carlo Quaglia ) L'aspetto interessante di questa attività risiede, più che negli interventi di Bagna, nelle difficoltà ambientali che, dopo il '68, egli dovette affrontare per spendere al meglio la sua fortissima vocazione per il Crocifisso e la devozione mariana. In molti suoi ascoltatori, Bagna ha lasciato l'impressione positiva di un abile conferenziere, di una persona capace di suscitare interesse per la materia trattata, una capacità questa acquisita in lunghi anni di insegnamento elementare. I bambini, è cosa nota, si distraggono facilmente e per mantenere desta la loro attenzione è necessario ricorrere a qualche stratagemma psicologico. Evidentemente questa esperienza si era rivelata molto utile coi giovani degli oratori. " Lo dico senza retorica: non posseggo sue testimonianze scritte, so di certo, però, che aveva un genio speciale nello scrivere e nell'esporre relazioni dedicate ad argomenti di carattere religioso, specie per quanto concerne la Storia della Chiesa. Io l'ho sempre considerato un ottimo parlatore. Sono davvero contento che l'Unione Catechisti intenda farlo uscire dalla tomba del passato. Se gli appunti di queste conferenze ci sono, fateli tirare fuori! Contengono delle cose meravigliose. Aveva un'abilità particolare nello stimolare l'interesse degli uditori." ( Don Michele Banchio ) Il vento della contestazione Fin dal 1968 Bagna collaborò col nuovo parroco di Sant'Alfonso, Don Quaglia, succeduto allo scomparso Don Laude, avendo modo di affrontare insieme al giovane sacerdote una serie di problemi assolutamente sconosciuti alla generazione di cattolici da "reconquista" allevati sotto i battaglieri Pio XI e Pio XII. Una delle questioni più scottanti era data dalla progressiva squalificazione della dimensione spirituale che un cattivo "spirito conciliare", tutto preso dall'urgenza delle problematiche sociali, tendeva a mettere in cattiva luce per favorire il primato dell'azione e dell'assistenza sociale. In verità - e Bagna ne era l'esempio tangibile - il cristiano militante non può addurre un'attività di volontariato molto intensa per giustificare le carenze della propria interiorità, deve anzi dimostrare nelle parole e nei fatti che ogni opera buona è "agita" dallo Spirito Santo invocato nella preghiera. Del resto siamo tutti "servi inutili". Era questo l'insegnamento che Bagna cercava di trasfondere nelle sue periodiche visite a Sant'Alfonso. " Piero non guidava personalmente questi incontri, si limitava ad una partecipazione attiva: in genere noi svolgevamo una sorta di intervista su tematiche varie e lui rispondeva in base alla propria sensibilità spirituale. Il fatto fondamentale da notare, però, era che queste "inchieste" si svolgevano in un ambiente - i movimenti giovanili vicini alla parrocchia di Sant'Alfonso - che rappresentava una sorta di eresia dell'azione. Eravamo un po' come la Marta del Vangelo, distratti da tante, forse troppe cose e lui cercava invece di concentrare l'attenzione su alcuni punti nevralgici della nostra vita interiore, affinché non venissimo travolti dall'attivismo. In effetti c'è questo rischio: i sacerdoti, specie quelli più giovani, distratti come sono dall'intensa attività pastorale, finiscono per fermarsi sulla dimensione orizzontale dimenticando quella verticale. Il primato dello spirito è essenziale se si vuole dare qualcosa ai giovani attraverso l'azione pastorale. Tra questi giovani poi qualcuno tra i più affinati, può anche approfittare di questi incontri per ottenere l'ispirazione dello Spirito Santo. Dopo il '75, tra i nostri visitatori abituali, si misero in luce alcuni studenti - purtroppo le note malattie hanno impedito a Bagna di conoscerli - che dopo la laurea, o mentre ancora frequentavano l'Università, si sono orientati alla dimensione religiosa grazie agli impulsi giusti ricevuti in parrocchia. Qualcuno ha frequentato il Seminario: uno in particolare, Walter d'Anna, è diventato anche sacerdote; è l'attuale parroco dell'Addolorata del Pilonetto ed insegna nel Seminario Maggiore. Si era laureato in Fisica e Filosofia specializzandosi in Filosofia della Scienza e, come detto, ha frequentato a lungo il nostro ambiente. Lui non ha conosciuto Bagna, ma l'ho ricordato perché la carica di spiritualità trasmessa da Bagna, noi l'abbiamo portata avanti ed ha dato i suoi frutti." ( Don Carlo Quaglia ) L'altro problema era dato dal cosiddetto "vento della contestazione" che si era abbattuto, spesso con violenza inaudita, sulle vecchie istituzioni e sull'idea tradizionale della gerarchia cattolico-romana giudicata come un'eredità ingombrante del passato. L'episcopato veniva accusato di essersi conformato al bieco e borghese "principio d'autorità", segno questo di una situazione di compromesso con le strutture del potere che i vescovi avrebbero tollerato per amore del quieto vivere. I cristiani progressisti si proponevano così di infiltrarsi nei gangli della Chiesa ( parrocchie, consigli pastorali ecc. ) per scuotere dalle basi quella obbedienza a Santa Romana Chiesa che, fino ad allora, aveva rappresentato uno dei capisaldi della santificazione. " Quando sono arrivato là eravamo proprio in piena contestazione, nel '68-'69. Io, una volta subentrato al defunto Don Laude, dovevo barcamenarmi tra l'estrema sinistra e l'estrema destra, perché S. Alfonso è una parrocchia in parte borghese ed in parte proletaria: nella zona del vecchio Campidoglio, ad esempio, vivevano solo famiglie povere. Vi erano sacche di sottosviluppo davvero impressionanti. In questo clima io e il Cardinal Pellegrino cercavamo di attuare una politica d'equilibrio e abbiamo affrontato delle situazioni molto intricate. Tra queste spiccava la comunità del Vandalino, fondata da un salesiano che aveva defezionato, un certo don Merinas, il quale aveva radunato attorno a sé due o tre sacerdoti contestatori per poi creare una realtà che si poneva in contrasto palese con l'autorità episcopale di Cardinal Pellegrino. La comunità traeva il nome da Via Vandalino, in zona Pozzo Strada, dove appunto aveva sede. In seguito questi sacerdoti si sono tutti sposati col rito civile, ma la cosa più sconcertante è stata questa: il Cardinale Pellegrino era propenso a concedere loro la dispensa per passare dal sacerdozio al matrimonio, ma essi l'hanno respinta con decisione, in quanto contestavano radicalmente la struttura e le funzioni della Chiesa e dunque anche il sacramento del matrimonio. Io posso testimoniare un fatto: il Cardinale è giunto a inginocchiarsi davanti a loro quasi per chiedere scusa degli eventuali maltrattamenti inflitti, ma questi sacerdoti ribelli non hanno fatto una piega, ebbri com'erano del loro zelo ideologico. Hanno perseverato nell'errore: il diavolo in quella circostanza ha lavorato molto. Il Vandalino di Merinas a Torino era per molti aspetti analogo all'Isolotto di Don Mazzi in Firenze; ma a suo tempo Monsignor Florit, Arcivescovo di Firenze, era stato molto duro nei confronti dei ribelli, a differenza di Pellegrino che si è sempre mostrato dolce e comprensivo. Florit indirizzò a Don Mazzi una lettera molto chiara: "o ritratti o ti dimetti", un tipo di aut-aut che Pellegrino non avrebbe mai lontanamente immaginato. Un giorno io e i miei viceparroci abbiamo invitato Merinas a mettere a fuoco una volta per tutte le tematiche che ci dividevano: non l'avessimo mai fatto. Quando il discorso è scivolato sulla teologia, Merinas se ne è uscito con delle eresie sulle processioni trinitarie dal Padre e dal Figlio, da far impallidire gli eresiarchi della cristianità primitiva. Neanche Sant'Agostino è riuscito a sondare il mistero della Trinità e lui pretendeva di avere la verità in tasca. A quel punto ho bloccato il discorso e ho invitato il mio vice-parroco a prendere in cantina tre buone bottiglie di vino per brindare alla Santissima Trinità. Questo Don Merinas in più occasioni mi ha "onorato" della sua presenza, in quanto alcune cellule del suo movimento appartenevano alla parrocchia di Sant'Alfonso. Alcuni nostri parrocchiani andavano al Vandalino, assorbivano idee sovversive ispirate a Che Guevara, Fidel Castro, Marcuse ecc. e poi si presentavano al Consiglio Pastorale dove creavano veramente una grande confusione che danneggiava specialmente i nostri laici impegnati nella pastorale parrocchiale. Io ne facevo cenno a Bagna, al quale dicevo :"guardi che ci troviamo in una situazione piuttosto critica" e lui, che per mio espresso invito faceva parte del Consiglio Pastorale, concordava con me sulla novità dirompente e assolutamente ingestibile di questo fenomeno che non nascondeva chiari propositi di destabilizzazione a danno della Chiesa." ( Don Carlo Quaglia ) La descrizione dell'ambiente nel quale Bagna fu chiamato a fare opera di apostolato può darci le misure della coerenza ideale necessaria per continuare ( due o tre volte al mese ) a svolgere interventi di cultura religiosa, in tutto e per tutto fedeli al Magistero della Chiesa, tra l'indifferenza dei sacerdoti più giovani, la tiepidezza di molti membri del Consiglio Pastorale e l'ostilità degli elementi più condizionati dalla propaganda ideologica. Insomma, è una di quelle situazioni "critiche" nelle quali il "laico consacrato" si trova a dover affrontare, da solo, la messa in discussione del proprio apostolato e della propria scelta di vita: qui, cioè, può mettere finalmente alla prova la solidità delle sue convinzioni e, dopo tanti buoni propositi, prendersi la responsabilità di decidere tra compromesso e testimonianza coraggiosa. Tutti sono concordi ( Don Quaglia e Teresio Bagna in testa ) nel riconoscere a Piero, uomo dal carattere mite e bonario, una sorprendente intransigenza scevra da qualsiasi compromesso. Egli trovava, nella preghiera, la forza per calpestare il rispetto umano e la personale timidezza, e dichiarare ad alta voce le verità della fede. Ora non si tratta di apprezzare la forma pre o post-conciliare applicata da Bagna ai suoi interventi, che certo non brillavano per "progressismo teologico", quanto il coraggio necessario a mettere in gioco la propria rispettabilità nell'arena delle diatribe sessantottine che allora monopolizzavano l'attenzione di tanti finti intellettuali. L'intenzione, in assoluta buona fede, era quella di camminare sulla via indicata dal Magistero, non col tono farisaico di chi disprezza l'ignoranza altrui, ma con quella santa "cocciutaggine" che spesso ci aliena la simpatia della gente e compiace Nostro Signore proprio perché rappresenta una croce significativa per il nostro amor proprio: il rischio del ridicolo è sempre alle porte. " Di fatto possedeva una grande carica di spiritualità. In certe occasioni era persino intransigente: specie quando trattava con la nostra gente pretendeva un po' troppo. Il suo argomento prediletto era la catechesi, per la quale nutriva una vera passione. Inoltre ci parlava in termini assai lusinghieri della Casa di Carità. In un certo senso, mutuava lo spirito e le aspirazioni della Casa di Carità e li trasferiva da noi. Io avevo due o tre vice parroci - la mia parrocchia allora contava 30.000 fedeli - che, indaffarati com'erano, non erano molto inseriti nei nostri colloqui serali; allora, in diversi modi, cercavo di metterli a parte di queste riflessioni e penso ne traessero profitto. Bagna era entrato nel Consiglio Pastorale quando avevo invitato a far parte di questo consesso i rappresentanti di tutti i gruppi parrocchiali: le Conferenze di San Vincenzo, Comunione e Liberazione, Rinnovamento nello Spirito, i Neo-catecumenali e via dicendo. I nuovi movimenti avevano una forte componente giovanile, certo, ma erano spesso condizionati dalle appartenenze politiche di alcuni elementi vicini agli ambienti dell'estrema sinistra ( Democrazia Proletaria ). Si era creata una realtà paradossalmente "democratica": c'era tutto l'arco parlamentare come a Montecitorio. Perciò si polemizzava aspramente, si andava avanti fino a mezzanotte o a l'una e poi, alla fin fine, non si concludeva nulla. La mia intenzione tuttavia, sempre in linea con la politica dell'equilibrio di Cardinal Pellegrino, consisteva proprio nel dimostrarmi disponibile al libero dibattito, per sconfessare chi identificava la gerarchia cattolica con l'oscurantismo e la sopraffazione. Bagna ovviamente restava molto sconcertato dalla "politicizzazione" della pastorale e soprattutto dalla aggressività dei contendenti, abituato com'era ad ambienti ecclesiastici assai più pacifici. Ha partecipato anche ad alcuni ritiri spirituali organizzati dai sacerdoti più giovani della parrocchia, ma allora costoro erano nella totalità orientati al riformismo e di conseguenza tendevano ad emarginare le persone eccessivamente legate alla tradizione. " ( Don Carlo Quaglia ) Nel racconto di Don Quaglia, che non ci ha nascosto la scarsa simpatia nutrita dai giovani sacerdoti verso Bagna e la loro tendenza a isolarlo ( forte come sempre, quando si parla di Catechisti, torna il problema della solitudine ), emerge un altro aspetto sintomatico di quel disorientamento che colpì la Chiesa alla fine degli anni '60, vale a dire l'emergere dei cosiddetti "gruppi spontanei". Allora, la disaffezione delle nuove generazioni nei confronti della religione, veniva vissuta come una drammatica conseguenza del divorzio Chiesa-modernità che solo un traumatico "svecchiamento" delle tradizionali realtà associative cattoliche avrebbe potuto risolvere. Incominciarono così a sorgere come funghi, nelle varie parrocchie, miriadi di piccole aggregazioni, create sull'onda di un giovanilismo molto emotivo che sulle prime creava interesse e curiosità tra i giovani, ma poi, quando più intenso si faceva il lavoro pastorale, scemava inevitabilmente verso l'azzeramento delle presenze. In questo contesto si creavano all'interno della stessa parrocchia, delle situazioni conflittuali tra chi favoriva il lavoro "serio" portato avanti dall'Azione Cattolica, nonostante le mille difficoltà derivanti dagli scontri generazionali, e chi preferiva la via più facile e naif dell'improvvisazione, del "tutto e subito", del nuovismo pirotecnico promosso dai gruppi spontanei, il cui impatto iniziale, specie per gli osservatori esterni, poteva risultare molto scenografico e "vincente". Peraltro, sbolliti i primi entusiasmi, si ricadeva in quell'apatico disincanto che sui giovani può essere più deleterio di qualunque apostolato troppo "serioso". " I giovani sacerdoti privilegiavano i gruppi spontanei ( dai nomi più strani: K2, walkie talkie, Machu Picchu ecc. ) che poi, come è noto, sono dei fuochi fatui. Personalmente preferivo mandare i miei elementi migliori all'Azione Cattolica giovanile, diretta da Don Giorgio Piovano, presso i Carmelitani di Santa Teresa. Ma don Giorgio, nella nostra parrocchia, non poteva far nulla, perché i sacerdoti giovani glielo impedivano. Io, come parroco, ho sempre cercato di aggiornarmi, ma allora era molto difficile, visto e considerato che nel nostro ambiente c'era gente che intendeva sdoganare la rivoluzione. Quindi preferivo lavorare con gli elementi più solidi che provenivano dall'Azione Cattolica. Da questi uomini abbiamo tratto anche ottimi dirigenti per gli Enti locali. Questo perché l'Azione Cattolica ci dava una garanzia di continuità, cosa che ai gruppi spontanei mancava completamente. " ( Don Carlo Quaglia ) Bagna partecipava agli incontri di Sant'Alfonso almeno due o tre volte al mese, fornendo il suo personale contributo alla conoscenza della spiritualità del Crocifisso. Ma la sua attività non si limitava all'apostolato "culturale". Egli aveva sempre sentito fortissima l'esigenza di aiutare materialmente i poveri, quasi che l'eccesso di cultura potesse inaridire il virgulto della carità cristiana. Nella sua visione cattolicamente organica ( come era stato da sempre nelle intenzioni di Fratel Teodoreto che alternava la "Messa dei poveri" con la catechesi ) le opere di misericordia corporale stimolavano lo studio delle scienze religiose e queste permettevano di illuminare meglio il senso cristico delle prime. Tutto ciò era poi sublimato dal suo fare bonario e gentile, mai aggressivo, mai indiscreto, mai supponente ( quanto ci sarebbe da imparare ) che rendeva più gradito l'aiuto, quasi venisse da un fratello, invece che da un perfetto estraneo. Questa sensibilità verso i poveri, come osservato da molti conoscenti, era certamente affinata dalle esperienze dell'infanzia e della giovinezza, dove aveva avuto modo di sperimentare direttamente, sulla propria pelle, i rigori di una vita priva di lussi e comodità. Del resto la spiritualità del Crocifisso non si fonda sulla condivisione? E come si può compatire e catechizzare il povero se non si è mai assaggiata la sferza della povertà? Fr. Norberto fsc, in un "Manuale di Pedagogia" ispirato a G.B. La Salle, e pubblicato all'inizio del '900, scriveva "è assioma riconosciuto che, in qualsiasi insegnamento, in tanto otterrà efficacia l'insegnante, in quanto ci avrà messo del suo, della sua vita, del suo affetto, conforme all'oraziano "Se vuoi commuovere me, devi prima sentir dolore in te stesso" . L'infanzia difficile di altri grandi Catechisti, come Giovanni Cesone, ci permette di intuire quanto la scuola della vita possa influire sui sentimenti che animano l'apostolato dei laici consacrati. Tuttavia sarebbe riduttivo catalogare questa attenzione per le persone meno abbienti sotto l'etichetta "solidarietà di classe", in quanto le motivazioni di fondo andavano ben oltre il semplice assistenzialismo, caratterizzando un intero stile di vita. È noto ad esempio che Piero, pur avendone la possibilità rifiutò di riscuotere la pensione minima di vecchiaia che sarebbe spettata alla madre al compimento del 75° anno di età, poiché pensava di poter provvedere personalmente alle necessità della mamma e soprattutto perché aveva una concezione molto alta dell'assistenza sociale, che, per andare d'accordo con la sua vocazione di "laico consacrato", non poteva scendere ad alcun compromesso. In questa luce va compresa ogni sua attività di assistenza ai poveri. " L'ho accompagnato parecchie volte nelle case di cura, presso i malati che lui accudiva o assisteva spiritualmente: aveva un grande cuore! " ( Don Banchio ). " Seguiva assiduamente la mensa allestita dalla San Vincenzo in via Netro 3: lì serviva da mangiare e quando poteva aiutava le cuoche. Spesso andava a lavare i piedi ai poveri." ( Teresio Bagna ) " La caratterizzazione principale di Piero non era quella dell'attivista, ma quella dell'uomo di pietà e di preghiera, con una grande attenzione ai poveri ed anche una personale scelta di povertà. In parte questo stile di vita così austero derivava dalle condizioni di vita della famiglia d'origine: la sua abitazione era composta da tre, quattro stanzette, una delle quali ospitava i tre fratelli. Appena entrati ci si imbatteva nel tavolo di lavoro del padre che svolgeva la sua attività di calzolaio in casa. Tutti in famiglia erano molto umili e riservati, possedevano un altissimo senso della dignità; si restava colpiti specialmente dalla dolcezza umile della madre. Piero si era fatto la fama di giovane piissimo, molto amato dai poveri e del resto la sua attività presso la Conferenza di San Vincenzo doveva essere molto consistente. Nella sezione di Sant'Alfonso, come altrove, si svolgeva un incontro settimanale: 10 persone circa si riunivano, dicevano una preghiera, elencavano un certo numero di famiglie povere, si distribuivano i compiti, organizzavano una piccola colletta e andavano a visitarle. Prima della guerra tra i giovani di Azione Cattolica e quelli delle Conferenze di San Vincenzo c'era una certa interrelazione: gli uni venivano coinvolti nelle attività degli altri e viceversa. Io stesso, pur provenendo dalla Legion Tebea, ho frequentato per qualche tempo gli ambienti della San Vincenzo. Poi è subentrata una netta separazione. All'inizio però negli stessi locali destinati alla Legion Tebea c'era un via vai di personaggi legati alla San Vincenzo e non solo. Si verificava, insomma, all'interno dello stesso ambiente, un incrociarsi di attività, gruppi e personalità in modo del tutto a-sistematico. Non c'era la burocratizzazione di oggi. Tra i personaggi di grosso calibro della San Vincenzo che frequentavano quei locali, spiccava il nome del Prof. Giuseppe Grosso, docente di Diritto all'Università di Torino, prima Presidente della Provincia e poi Sindaco della nostra città. " ( Arch. Giuseppe Varaldo ) L'attività svolta da Bagna di concerto con Zelatori e Zelatrici per la promozione dell'Adorazione alle Cinque Piaghe era un aspetto ulteriore, davvero non indifferente, della sua militanza e spesso lo spingeva a verificare di persona lo stato della diffusione dei famosi "foglietti gialli" sui quali era stampata la preghiera. La stasi di questa divulgazione era da lui giudicata come un segno di crisi, un rifiuto delle grazie che Gesù, mediante il diario di Fra Leopoldo, aveva promesso di elargire ai suoi fedeli adoratori e alla Casa di Carità. Perciò, quando si presentava l'occasione ( anche in questi gesti umili emergeva la sua intraprendenza cristiana ), a dispetto di contesti culturali spesso ostili alle divozioni, si incaricava di distribuire personalmente le copie in sovrannumero. " Era talmente devoto del Crocifisso che a un certo punto della sua vita, quando si rese conto che nel ripostiglio della parrocchia di Sant'Alfonso erano accatastate migliaia di copie della Divozione destinate al macero, si prese la responsabilità di non lasciarle marcire nei magazzini e così decise di distribuirle davanti alle porte della Consolata. Questo faceva parte della sua assidua attività propagandistica. Lo vedevo là, impettito sulla soglia del Santuario, ad offrire queste copie e, spinto dal suo zelo, io stesso ritornai a questa pratica di Amore a Gesù Crocifisso che da tempo ormai recito ogni mattina." ( Don Michele Banchio ) L'impegno scolastico Il "maestro" Bagna insegnò per 35 lunghi anni nella scuola elementare pubblica, svolgendo la maggior parte della sua attività didattica presso la "Alessandro Manzoni" di Corso Svizzera. Per la verità questo aspetto della sua maturazione umana è stato poco approfondito, a causa della scarsità di testimonianze in nostro possesso. Di certo sappiamo che Bagna cominciò ad insegnare subito dopo il conseguimento del diploma magistrale, vincendo senza sforzo il primo concorso utile indetto dal Ministero della Pubblica Istruzione. Entrò come insegnante di ruolo nella succursale della G. Cena, situata in zona Barca/Bertolla, dove aveva iniziato a lavorare già durante il periodo bellico. Quindi, verso la fine degli anni '40, con grande dispiacere dei colleghi che ne apprezzavano il forte spirito di abnegazione, ottenne il trasferimento alla "Manzoni". Sentiva in modo radicato e profondo la sua "fedeltà" all'educazione elementare: la considerava una missione nella missione. " Quando il Direttore assegnava le classi, Piero non esitava a richiedere quelle più "difficili". Anche negli oratori si comportava in maniera analoga, pretendendo di seguire i ragazzi più indisciplinati. Queste sue scelte professionali alla fin fine lo usurarono molto a livello psicologico, anche se d'altro canto gli procurarono un'ottima reputazione tra i colleghi di lavoro. A Bertolla, ad esempio, fecero di tutto per convincerlo a rimandare il suo trasferimento alla "Manzoni", in quanto il suo contributo si era rivelato molto prezioso. " ( Teresio Bagna ) " Come insegnante di scuola elementare, per oltre 35 anni profuse il suo impegno educativo in modo cristianamente esemplare e nell'orario extra-scolastico si adattò a impartire gratuitamente lezioni private ai figli delle famiglie povere." ( Vittorio Bagna ) Pur possedendo uno spiccato senso dell'organizzazione "burocratica" ( aveva una capacità impressionante di annotare e registrare pile e pile di documenti riguardanti verbali d'assemblea e di riunioni varie ) Bagna, quando si trovò dinanzi ad un esplicito invito del Provveditore che lo sollecitava a partecipare all'apposito concorso indetto per la nomina dei nuovi direttori didattici, non se la sentì di lasciare l'insegnamento diretto, quella dimensione professionale nella quale riusciva ad offrire il meglio dei suoi carismi personali. D'altro canto le scalate al potere non lo avevano mai attirato. Egli insomma, come l'amico e sodale Claudio Brusa, aveva sviluppato la particolare capacità di intuire, oltre la nebbia del caso apparente, i disegni che Dio ci affida e soprattutto gli eventi che ci spingono a perseverare lungo determinate strade, con la consapevolezza tranquilla di Enoch che, come dice la Bibbia, "camminava col Signore" ( Gen 5,22 ). Abbiamo la presunzione di pensare che qualcosa come "l'insoddisfazione professionale" che oggigiorno affligge tanti uomini e donne in carriera, mettendo in crisi la sopravvivenza di intere famiglie, fosse quanto di più lontano si potesse immaginare dalla condizione esistenziale di Bagna. Nella scuola elementare, in un ambiente cioè estraneo alla Casa di Carità ( dove lavoravano molti "laici consacrati" dei quali alcuni mal giudicavano la scelta di privilegiare la scuola pubblica ), Bagna aveva trovato l'assetto ideale per innestare negli animi dei giovanissimi i germogli di una visione alta e nobile della vita, per "impressionare i cuori" con quella "condivisione delle situazioni quotidiane" che Fratel Teodoreto raccomandava in special modo a chi lavorava in ambienti lontani dall'Istituto secolare. E in effetti i frutti di questa semina spirituale hanno lasciato segni inequivocabili: in occasione della morte di Piero, molti suoi ex allievi inviarono decine di biglietti di condoglianze pieni di commoventi testimonianze d'affetto che, ancora oggi, il fratello Teresio ricorda con stupore e gratitudine. Per un "laico consacrato" costretto dalla malattia a troncare ogni normale relazione umana e a sospendere la catechesi ordinaria, questa sorprendente fioritura di affettuosi ricordi proveniente da quelli che furono bambini spensierati e allegri, sempre in attesa del gioco e dell'"intervallo", dimostra come per certi aspetti l'anima innocente, per quanto distratta, possa cogliere i segni profondi e amorevoli della vera educazione cristiana, più e meglio della mente erudita. In questo campo Bagna ha ottenuto senz'altro una grande vittoria morale, anche a costo di entrare in conflitto con quegli insegnanti che giudicavano il suo stile formativo troppo rigorista e quindi "superato". " Alla "Alessandro Manzoni" ha avuto delle difficoltà in quanto era molto rigido dal punto di vista etico. I colleghi più sensibili alle nuove mode culturali, a volte non concordavano con le sue posizioni, perché incominciava a farsi largo quel lassismo che ancora oggi imperversa nelle scuole. Ragion per cui ha dovuto lottare per difendere il suo modo di intendere l'educazione. Anche quando in Valle d'Aosta si occupava di controllare i ragazzi della Casa Pecoz, spesso si trovava da solo a gestire situazioni difficili: pure lì incontrò dei problemi molto seri. " ( Teresio Bagna ) Ci sono lavori, come l'agricoltura, che, specie se svolti su "terreni incolti", richiedono tempo e pazienza, ma alla fine ripagano di ogni sforzo; la cura delle anime rientra in questa categoria anche se condotta in una laicissima scuola pubblica: questo può insegnare molto sia ai frenetici fautori delle programmazioni di certe "aggiornatissime" scuole cattoliche, sia ai genitori di studenti imbottiti di inglese ed informatica ma incapaci, alla soglia della maturità, di distinguere il bene dal male. La particolare ammirazione per l'opera e la figura di don Leonardo Murialdo con il suo stile, tutto piemontese, di fondere carità cristiana e lavoro quotidiano, aveva spinto Bagna ad avvicinare il mondo della Casa di Carità. Questo sacerdote, infatti, già nel 1892 aveva inviato al sindaco di Torino un progetto per l'istruzione professionale della gioventù operaia e tale fatto può farci intendere meglio la vocazione che condusse il giovane maestro di Borgo Campidoglio a collaborare con la scuola professionale di Corso Brin. È difficile risalire con esattezza al primo incontro con Fratel Teodoreto, di certo però, ancora una volta ( come per Brusa ) si rivelò essenziale la mediazione dei fratelli Fonti. È cosa nota, ad esempio, che Bagna partecipò insieme a Pietro Fonti, alla sessione scritta di alcuni esami di concorso per l'abilitazione all'insegnamento negli istituti tecnici ( in funzione del volontariato svolto nelle scuole professionali ). L'esito della prova non fu felice, ma ciò non lo distolse dagli impegni presi con l'Unione Catechisti. Tra il 1948 ed il 1966, impiegò il suo tempo libero alla Casa di Carità dove si occupò dei corsi serali di Cultura e Religione e collaborò con i Catechisti per l'organizzazione dei soggiorni estivi per giovani in Valle d'Aosta. In tempi e modi diversi, prestò la sua opera di insegnante serale anche in altre sedi: la "Teofilo Rossi di Montelera" ( legata all'Unione Catechisti ) di via Bertola, la "Pro Labore et Schola" di piazza Palazzo di Città e la scuola serale delle Vallette. Il suo connaturato rigore morale talvolta entrava in contrasto con ambienti già allora minacciati dalla forte secolarizzazione che accompagnò il cosiddetto "boom" economico. Eppure Bagna non era un musone intrattabile. Anzi coi bambini ci sapeva fare e, all'occasione, riusciva a calarsi nella parte dell'"amicone" simpatico e pronto allo scherzo. Il Catechista Roggero ricorda divertito un episodio: " A Gressoney organizzammo una specie di Olimpiade. Avevamo preparato il nastro da sindaco per Bagna e lui ha imbastito un discorso semiserio per inaugurare i giochi." Ma che cosa rappresentava la "Casa di Carità Arti e Mestieri" per la Torino del dopoguerra? Forse molto più di quanto si possa immaginare. Grazie ai finanziamenti del Ministero del Lavoro, fu tra le poche scuole professionali ad organizzare corsi gratuiti di avviamento al lavoro per disoccupati, in modo tale da diventare un vero punto di riferimento per tutti quei giovani sbandati, soprattutto reduci di guerra, che si aggiravano nella città senza alcuna seria prospettiva di occupazione. Inoltre la scuola di Corso Brin è stata anche una sorta di porto sicuro, di "base di lancio" per molti professionisti di area cattolica che, appena entrati nel mondo del lavoro, cercavano, in assenza di raccomandazioni e protezioni politiche, un appoggio per superare il periodo di "apprendistato" post-scolastico se così possiamo dire. Alcuni nomi celebri del professionismo torinese "impararono a navigare" alla Casa di Carità, prima di affrontare il mare aperto della competizione. Non tutti amano ricordare quei faticosi inizi, ma le cose stanno in questi termini. " La Casa di Carità, nel dopoguerra, catalizzava l'attenzione di molti giovani ingegni. Io non vi ho insegnato, come fece Bagna a partire dal 1948, ma ho dato il mio contributo al grande cantiere che era sorto in Corso Brin. Prima che terminassero i lavori della nuova sede era stato ristrutturato un vecchio capannone per le celebrazioni più affollate, all'interno del quale erano stati posti un presbiterio ed un altare di legno che avevo disegnato personalmente. In seguito ho fatto delle verifiche presso la cappella dell'ultimo piano progettata dall'architetto Bardelli. Un mio assistente al Politecnico, il Prof. Bagliani ha insegnato presso la Casa di Carità. Per chi viveva nel mondo cattolico questo ente di formazione costituiva un punto fermo del panorama professionale torinese." ( Arch. Giuseppe Varaldo ) Come testimoniato dall'ex direttore Pietro Fonti, la scuola di Corso Brin selezionava, per le materie teoriche, dei docenti di prim'ordine ( e il tempo dimostrò l'oculatezza di molte assunzioni ), nell'intento di avviare con essi una collaborazione stabile e duratura. Purtroppo non si fece abbastanza, a livello di programmazione e di reciproca fiducia, per stimolare la continuità di queste presenze. Ciò non toglie che alcuni prestigiosi docenti universitari abbiano prestato la loro opera alla Casa di Carità. Tanto per fare qualche nome, basti ricordare il filosofo Gianni Vattimo, il noto e per alcuni aspetti famigerato esponente del "pensiero debole", che nel '55 ebbe modo di iniziare la sua luminosa carriera didattica proprio nelle aule della Casa di Carità. È difficile dire quanto le sue scelte di vita abbiano corrisposto alle attese riposte da Fra Leopoldo nei docenti della scuola o se il professore abbia mai ricordato in pubblico i suoi trascorsi "cattolici", tuttavia non fu l'unico caso. " Nel volgere di pochi mesi, ci rendemmo subito conto che Vattimo propendeva per una scuola di pensiero in contrasto con la nostra spiritualità e quindi la brevità della sua collaborazione fu più che giustificata. In altri casi, invece, avremmo potuto fare qualche sforzo in più per trattenere alcuni insegnanti di grosso calibro che sentivano profondamente la validità cristiana e sociale del nostro progetto formativo. " ( Pietro Fonti ) L'ex Presidente dell'Unione Domenico Conti, avvalendosi delle sue conoscenze in campo accademico, aveva contattato personalità di primo piano. Il prof. Siniscalco, docente presso la facoltà torinese di Magistero, frequentò a lungo la Casa di Carità, come pure il prof. Ennio Innaurato, vincitore di una cattedra presso la Facoltà di Architettura, e lo stesso Don Giorgio Piovano noto esponente dell'Azione Cattolica e docente di storia della filosofia all'ISSR ( Istituto Scienze Religiose ) di via XX Settembre. Insomma, la scuola di Corso Brin, che già negli anni '60 veniva portata ad esempio nei dibattiti del Parlamento italiano, grazie al contributo gratuito e disinteressato di uomini come Piero Bagna, costituì una "palestra di uomini" ( operai o professori che fossero ) di indubbio valore. Il calvario della malattia Alla Casa di Carità, Bagna esercitò la "missione laica" di docente per circa un ventennio. A partire dal 1948 prese ad insegnare Religione e Cultura nelle classi serali e festive e, tra sospensioni e riavvii, portò avanti la sua collaborazione sino al 1966, anno in cui sospese in via definitiva la propria attività a causa dei postumi di un esaurimento nervoso che lo aveva gravemente indebolito. Prima di questo tragico evento ( 1960 ), il suo già intenso ritmo di lavoro era stato ulteriormente appesantito dalle lezioni tenute, presumibilmente tra il 1958 ed il 1960, presso la scuola serale delle Vallette ( attività completamente gratuita, nonostante l'avviso contrario del padre ). Questa nuova incombenza diede il colpo di grazia alla sua già fragile costituzione. Il padre, ad un certo punto, resosi conto del suo progressivo deperimento psico-fisico cercò di metterlo in guardia da pericolosi sovraccarichi di lavoro, ma Piero, preso com'era da una catena di impegni sempre più urgenti, non sentiva ragione. " Purtroppo si assunse anche l'onere di insegnare in una scuola pubblica ( ovviamente serale ) delle Vallette. Ma quei "delinquenti" di allievi gli hanno rovinato la salute. Mio padre ha lottato duramente per distoglierlo da quel lavoro, ma Piero si è sempre rifiutato di cedere alla stanchezza, cocciuto com'era. Alla sera, dopo cena, doveva prendere il tram per arrivare fin laggiù dove lo attendevano nuovi affanni e questo ennesimo sforzo è stata la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso. " ( Teresio Bagna ) Del resto la sua salute era sempre stata molto delicata: tra i venti ed i trent'anni aveva sopportato dolori continui alla spina dorsale, dovuti ad un misterioso "mal di schiena" che spesso lo costringeva a letto. Tali disturbi col tempo scomparvero, ma ne sopraggiunsero altri legati all'affaticamento da lavoro. Erano i prodromi, spesso non compresi nella loro reale gravità, dell'"atrofia cerebrale diffusa", ovvero di un decadimento neurologico che avrebbe gradualmente invalidato tutte le sue facoltà psico-motorie. Già nel 1949, in seguito ad un grave affaticamento, Pietro Fonti aveva dovuto sostituirlo alla Teofilo Rossi; in seguito, la presenza alla Casa di Carità ( 1948-1966 ) sarà scandita da due sospensioni dell'attività didattica motivate, a quanto pare, dai suoi ricorrenti malesseri. La prima sosta forzata risale al periodo 1955-1956; l'anno seguente Piero tentò di riprendere l'insegnamento e, a costo di grandi sacrifici, tenne duro fino al 1959, quindi fu costretto a chiedere un nuovo periodo di sospensione per motivi di salute. Nel 1960 questo rosario di spine culminò con un grave esaurimento nervoso che lo portò a trascorrere un anno di riposo a Val della Torre, presso la canonica del parroco Don Bergera, dal quale Don Giuseppe Marocco, noto docente del Seminario di Torino e cognato di Vittorio Bagna, aveva ottenuto la disponibilità di due camere. Qui il Catechista, accompagnato dai genitori, ritrovò la quiete agognata, ma non riuscì a liberarsi del tutto da uno stato di depressione latente. Come accennato, queste erano solo le amare avvisaglie di futuri e assai più gravi sconquassi fisici che lo avrebbero piegato per sempre. Se bene o male l'insegnamento presso l'Alessandro Manzoni si prolungò fino alla metà degli anni '70, già col biennio scolastico '63-'64 /'65-'66 la sua presenza alla Casa di Carità giunse al termine. Superato questo tormentato periodo, Piero era tornato più volte con la mente alle giovanili ambizioni che lo avrebbero voluto sacerdote o missionario in qualche remota regione del pianeta, ma i genitori lo avevano pregato di desistere e lui non si era sentito di abbandonarli al loro destino, specie la madre che, dopo il matrimonio degli altri due figli e la scomparsa del marito avvenuta nel 1968, temeva di essere lasciata anche dal primogenito. D'altro canto, l'intenzione di intraprendere una vita religiosa più ritirata, una volta andato in pensione, ( idea probabilmente ispirata dall'esempio di Carlo Carretto col quale aveva intrattenuto una significativa corrispondenza ) sfumò definitivamente a causa di una serie di sventure che misero a durissima prova la sua tempra di consacrato. Nel 1974 anche la madre era passata a miglior vita abbandonandolo proprio nel periodo più critico della sua esistenza, quando cioè dovette imparare a convivere con quella "atrofia cerebrale diffusa" che lo avrebbe privato completamente di ogni normale relazione col prossimo. Don Carlo Quaglia, che fu parroco di Sant'Alfonso tra il 1968 ed il 1985, all'inizio degli anni '70 riconobbe in Piero qualche labile segno di depressione, ma certo non pensava ad una malattia neurologica, anzi vedeva nella crescente angoscia del Catechista l'indice di una certa fragilità psicologica. In verità, Piero percepiva distintamente l'inesorabile peggioramento della propria condizione mentale e questa consapevolezza lo angustiava profondamente. " Fin da quando mi frequentava, presentava dei sintomi di smarrimento: all'improvviso gli veniva meno la parola e non riusciva più ad articolare i suoi pensieri. Io ingenuamente pensavo che qualche gita in montagna fosse sufficiente a calmare queste crisi nervose, poi la cosa si è aggravata finché non è arrivato il colpo di grazia dell'ictus. Lui inizialmente reagiva con ottimismo a questa progressiva debilitazione, in seguito ha cominciato a preoccuparsi seriamente. Pensavo che lo facesse per eccessivo scrupolo personale e così lo incoraggiavo a riprendersi, per recuperare un minimo di equilibrio. Piero non guidava l'auto, perciò, quando cominciò a dare i primi segni della malattia, lo portavo talvolta in gita nelle valli di Cuneo, del Pinerolese, in Valle d'Aosta, per farlo evadere un po' dal grigiore metropolitano. Durante le inevitabili soste che cadenzavano queste escursioni, approfondivamo varie tematiche spirituali. Quando il sentiero si faceva troppo aspro lo lasciavo presso la chiesa di qualche località più a valle, non so … a Limone Piemonte o a San Dalmazzo di Tenda; quindi facevo la mia brava scarpinata in alta montagna e al mio rientro mangiavamo qualcosa assieme. Lui non era propenso a camminare troppo, io, invece avevo una vera passione per le escursioni. Dopo essere rientrati, alla sera, si teneva ancora qualche riunione coi viceparroci durante le quali si svolgevano altre riflessioni, finché Bagna ci salutava." ( Don Carlo Quaglia ). Dopo la morte della madre, Piero, grazie alla collaborazione di Leonardo Rollino, prese in affitto un piccolo alloggio di due vani in via Campiglia 7 dove, dal 19 marzo 1969, aveva sede il "Convitto" dell'Unione che allora comprendeva sei appartamenti. Le Costituzioni dell'Istituto secolare, infatti, raccomandavano questa forma di convivenza per i Catechisti rimasti soli, anche perché oltre a favorire una proficua collaborazione reciproca, "permetteva di sviluppare, al di fuori del lavoro e dell'apostolato, lo spirito di "fraternità" più volte caldeggiato da Fr. Teodoreto" ( L. Rollino ). Nel frattempo, però, la salute del Catechista subiva nuovi colpi: agli strascichi del vecchio esaurimento nervoso si andava sommando una grave forma di ipertensione che in pochi mesi gli avrebbe procurato gravissimi problemi circolatori. L'episodio più drammatico si verificò nel 1975 quando, durante un soggiorno estivo a Baldissero, alla presenza di un gruppo di Catechisti e di alcuni giovani, Piero venne colpito da un ictus degenerativo progressivo, un male cerebrale estremamente insidioso che avrebbe minato in modo irreparabile la sua già compromessa integrità psicofisica. Il catechista Roggero ricorda come Bagna frequentasse con grande piacere il "Centro di Vita Spirituale" ( più noto come "la Sorgente" ) avviato da Claudio Brusa a Baldissero, trovandovi compagnia e un valido sollievo a quel senso di smarrimento e solitudine che da qualche tempo - specie dopo la scomparsa dei genitori - rischiava di separarlo completamente dal resto del mondo. Bagna, pur non avendo pratica di pentole e fornelli cercò di dare il suo contributo in cucina e si adattò a pelar patate, a pulire la verdura, a preparare l'occorrente per i momenti conviviali. Insomma, disponibile com'era, scendeva dallo scranno professorale, metteva da parte la cultura e la pedagogia e improvvisava la sua corvèe cucina come una recluta di primo pelo. Sono cose facili a dirsi, ma che a molti laici comuni, gelosi della propria autorevolezza e reputazione professionale, costerebbero più di un occhio della testa. Bagna le accettava senza sforzo proprio perché guardava al comando dell'umiltà con una fedeltà fattiva, per nulla astrusa, ma anzi quasi ansiosa di imitare in tutto lo stile francescano di Fra Leopoldo, cuoco di professione. Questo quadro idilliaco fu rotto da un evento che per la gravità delle conseguenze ricorda, in parte, l'incidente stradale occorso al Catechista Brusa. Una mattina come tante altre, Roggero si recò a Chieri a far la spesa. Al ritorno incrociò sulla strada un'ambulanza che procedeva nella direzione opposta a gran velocità e i primi sospetti cominciarono a farsi strada nella sua mente. Infine la conferma: Bagna era stato colto da un malore improvviso e ricoverato d'urgenza all'ospedale di Chieri. " Anni prima aveva avuto un esaurimento nervoso che cercò di curare Val della Torre, dove mio padre l'aveva portato nella speranza di ravvivarlo un po', ma era subentrata quasi subito una grave depressione. Tutto è peggiorato in seguito all' ictus. Era con un gruppo di giovani e doveva recarsi a Baldissero sotto un sole cocente. Ha cominciato a sudare a più non posso - del resto si era appesantito parecchio, sfiorava i 90 chili - e a quel punto l'ictus lo ha stroncato. È stato ricoverato all'ospedale di Chieri dove i medici, piuttosto indecisi sul da farsi, ci dissero: "dobbiamo aspettare perché al momento non è operabile"." ( Teresio Bagna ) I legami tra l'ipertensione, l'ictus e la cosiddetta "atrofia cerebrale diffusa" sono noti da tempo alla comunità scientifica. Tuttavia, negli anni '70, la prevenzione sistematica dei problemi legati alla pressione alta e la tomografia assiale computerizzata ( TAC ) - che permette di rilevare i danni neurologici - non erano certo all'ordine del giorno. Diagnosi confuse e terapie inadeguate peggiorarono una realtà di per sé già molto critica. Per Bagna l'ictus segnò l'inizio di una progressiva paralisi ( l'"atrofia cerebrale", per l'appunto ) che, con sviluppi lenti ma micidiali, avrebbe incatenato la sua anima dentro un corpo ormai sfuggito al controllo della volontà. La situazione si fece subito talmente critica che il fratello Teresio, per alimentare Piero, doveva preoccuparsi di imboccarlo personalmente; in seguito, essendo impossibilitato ad accudirlo giorno per giorno, fu costretto ad assumere un assistente. Ma la tragedia era solo agli esordi: Piero resterà inchiodato ad un letto per 11 lunghi anni senza poter svolgere alcuna attività. Se il corpo non rispondeva più agli stimoli, d'altro canto la mente rimaneva perfettamente lucida: possiamo immaginare lo sgomento di una persona autosufficiente e inserita a pieno titolo nella società, che si ritrova improvvisamente costretta a dipendere in tutto e per tutto da perfetti estranei. La degenza presso l'ospedale di Chieri durò qualche tempo, finché i primari comunicarono ai parenti l'impossibilità di ospitarlo ulteriormente: in pratica, non essendoci più nulla da fare, Bagna veniva congedato in qualità di "incurabile" e invitato a trovare accoglienza presso qualche casa di cura per malati cronici. Ha inizio così una penosa peregrinazione che costringerà il paziente a subire una snervante trafila di trasferimenti, prima di trovare una sistemazione adeguata. Nell'ordine seguiranno: ospedale di Chieri, clinica psichiatrica di Trofarello, Villa Patrizia a Piossasco, Convitto dei Catechisti di via Campiglia, Ospedale Cottolengo. Non sempre la sua degenza fu serena, anzi. Nella clinica di Trofarello il povero Bagna venne aggredito fisicamente, riportando una serie di vistose tumefazioni al viso. Neanche i medici andavano tanto per il sottile: in presenza delle crisi che accompagnavano il decorso della malattia, il paziente veniva legato al letto senza tanti complimenti. Il fratello Teresio ed il Catechista Rollino, si resero ben presto conto della situazione osservando i segni profondi impressi sui polsi e sulle caviglie di Piero; a questo fatto va aggiunta la grave situazione d'isolamento che doveva sopportare: le visite erano ammesse solo la domenica, di conseguenza era costretto a rimanere solo per il resto della settimana. " I medici dell'ospedale di Chieri tentarono in tutti i modi di abbassargli la pressione del sangue con una terapia d'urto perfino eccessiva. Dopo averlo imbottito di tranquillanti restarono a corto di argomenti e, in modo forse un po' superficiale, ci consigliarono di farlo ricoverare presso una clinica psichiatrica di Trofarello, dove rimase per un mesetto. Quando Teresio Bagna ed io entrammo in quel posto notammo la presenza delle "stanze di sicurezza", con tanto di oblò e la cosa ci lasciò perplessi. Inoltre ci venne imposto un orario di visita molto limitato ( un giorno alla settimana ). Quando siamo tornati a trovarlo, Piero aveva il volto coperto di lividi ed i polsi segnati dai legacci: roba da denuncia. A quel punto, di fronte a simili maltrattamenti, si impose il trasferimento a Villa Patrizia. Giunti sul posto, Piero visibilmente traumatizzato dalla precedente esperienza di ricovero, non voleva entrare. Il medico responsabile gli è venuto incontro, l'ha tranquillizzato e ci ha detto: "fate decidere a lui. " ( Leonardo Rollino ) Per quanto le cure prestategli a Villa Patrizia fossero puntuali e diligenti, Bagna aveva ormai sviluppato una sorta di rigetto psicologico nei confronti degli ospedali. Inoltre, l'aspetto finanziario della degenza col passare del tempo diventava sempre più insostenibile. In breve tempo, il fratello Teresio fu costretto a riportare Piero nell'appartamento situato al pian terreno di via Campiglia 7, dove si trasferì anche lui nell'intento di assisterlo personalmente. Il peggioramento del quadro clinico, tuttavia, era ormai giunto a un punto tale, che Leonardo Rollino, grazie al buon cuore di una suora, chiese ed ottenne il trasferimento del paziente al Cottolengo, presso il reparto S. Pietro, dove vengono abitualmente ricoverati sacerdoti e religiosi. " A Villa Patrizia lo trattavano meglio, ma purtroppo le sue condizioni, che talvolta manifestavano segni di miglioramento, sulla lunga distanza peggioravano sempre di più e la retta stava diventando enorme. Così ci siamo trasferiti in via Campiglia 7, al pian terreno, presso il Convitto dei Catechisti. Ormai mio fratello era un pensionato "forzato" e io ho dovuto trascurare la mia famiglia così da assisterlo personalmente per due lunghi anni, in quanto non si trovava nessuno disponibile. Poi, ad un certo punto, mi è risultato impossibile conciliare gli impegni professionali con le sue esigenze igienico-sanitarie e si è reso necessario il ricovero al Cottolengo. L'hanno ospitato nel reparto dei sacerdoti - infermeria S. Pietro la chiamavano - dove erano presenti anche il Cardinal Pellegrino e Monsignor Vaudagnotti, il suo vecchio insegnante. Ha cominciato col perdere dapprima la voce, poi il controllo dei riflessi nervosi; non riusciva più a muoversi, bisognava imboccarlo. C'era un obiettore di coscienza, stanziato lì dall'ufficio leva, che lo imboccava a mezzogiorno; alla sera invece ci pensava il sottoscritto. Non riusciva neanche ad afferrare il cucchiaio: non faceva più niente, non muoveva un muscolo. Quando entrò al Cottolengo sillabava a stento qualche cosa, ma dopo due o tre anni è piombato nel mutismo più assoluto; solo con grandissimi sforzi riusciva ad emettere qualche flebile suono gutturale. " ( Teresio Bagna ) " Quando la suora che si era interessata la nostro caso vide da lontano la figura di Bagna avanzare nel corridoio col passo stentato e malfermo, intuì immediatamente la natura della patologia ed esclamò con voce accorata "Ma chi mi avete portato?!". Il suo reparto, infatti, non prevedeva quel genere di malati. Ero molto imbarazzato: mai più avrei pensato di poterle creare dei problemi con i superiori. Così le proposi di annullare tutto, ma lei non volle. So che da quel giorno la Direzione non ha più accettato malati senza il preventivo consulto dei medici e che la suora è stata trasferita ad un altro reparto. " ( Leonardo Rollino ) Prima di precipitare nella completa atonia muscolare, Piero, se debitamente accompagnato, faceva volentieri due passi lungo i corridoi dell'ospedale. Il suo incedere era molto esitante, avanzava con passi brevi e affrettati come chi è sul punto di cadere. Poi, riacquistata la calma, cominciava a camminare in modo più disteso riuscendo perfino a scambiare qualche parola con chi veniva a trovarlo. Il Catechista Rollino ricorda molto bene gli aspetti più angoscianti di quegli incontri: in particolare, all'arrivo di qualche nuovo visitatore Bagna si agitava come in preda alle convulsioni e solo a fatica l'attuale Presidente dell'Unione riusciva a calmarlo e a vedere in queste reazioni scomposte dei fattori indipendenti dal suo controllo, che nulla avevano a che fare coi sentimenti suscitati nel paziente dai nuovi venuti. Probabilmente l'imbarazzo dovuto all'impossibilità di esprimersi in modo adeguato, in una persona così attenta alle formalità della buona educazione, sortiva un pessimo effetto sul già precario equilibrio psichico del malato. Tuttavia le cure prestate da medici, suore e personale volontario del Cottolengo furono amorevoli e impeccabili, anche perché i compagni di reparto avevano nomi importanti: tra questi, come detto, il Cardinal Pellegrino che morirà quattro mesi dopo il decesso di Piero. In quel periodo di fiducia ritrovata nei medici, se così possiamo dire, il paziente fece la conoscenza di Luigi Amore, un amico avventista di Teresio, che divenuto volontario al Cottolengo si troverà a tagliare i capelli, tanto al Catechista che al Cardinale. Il nuovo collaboratore, due o tre volte alla settimana, si preoccupava di avvicendare Teresio nell'assistenza materiale e psicologica che il malato richiedeva. Col suo spirito gioviale ed un modo di fare semplice e accattivante, entrò ben presto in confidenza con Piero, diventando come "uno di famiglia". " Luigi Amore lavorava come operaio alla catena di montaggio della Carello ( la nota ditta di componenti per auto ) e veniva a trovarmi alla Parini, per farsi correggere alcune poesie che si dilettava a comporre nel tempo libero. In quel periodo io avevo enormi problemi a conciliare la mia attività scolastica con l'assistenza a Piero, così Luigi si è offerto di aiutarmi. Già allora aderiva alla Chiesa avventista del settimo giorno, eppure la sua intesa con Piero è stata subito perfetta." ( Teresio Bagna ) " Quando ho distribuito in fabbrica il primo volumetto di poesie, il mio collega Adresco ne ha fatto avere una copia alla figlia che frequentava la scuola Parini. Il testo è poi finito nelle mani della Prof.ssa Mariangela Re, l'insegnante di italiano, che lo ha fatto leggere al direttore, ovvero al Prof. Teresio Bagna. Questi ha valutato positivamente i contenuti ora sociali, ora spirituali delle mie poesie e si è offerto di correggere la parte formale. Io ovviamente ho accettato. Non mi sembrava vero che un Professore potesse interessarsi agli scritti di un semplice operaio autodidatta. Durante i nostri incontri, però, spesso si congedava dicendomi: "Deve scusarmi: ora la lascio perché mio fratello mi attende al Cottolengo". Non volevo essere indiscreto e sulle prime non ho indagato. Poi, però, quando ho conosciuto meglio la situazione mi sono offerto di aiutarlo come volontario al Cottolengo. In fondo gli ero debitore delle ore che aveva dedicato a me. Il volontariato mi ha sempre gratificato molto: anche oggi assisto i tossicodipendenti presso l'associazione ARCO di corso Trapani, diretta da Fratel Celestino. Io ho conosciuto Piero Bagna nel 1981, quando già aveva perso l'uso della parola e la cosa mi è dispiaciuta moltissimo perché lo consideravo una "persona stupenda" che meritava davvero di essere ascoltata. " ( Luigi Amore ) Amore frequenterà il Catechista per circa 7-8 anni avendo modo di apprezzarne la fortissima fibra interore. Piero soffriva molto, eppure non lasciava trasparire nulla dal suo sguardo dolce e mansueto, se non una grande carica di benevolenza e sopportazione. Le suore confidavano di non averlo mai sorpreso a lamentarsi; accettava le tribolazioni praticamente senza reagire. Un atteggiamento che per certi versi ricorda la cosiddetta "morte mistica" . " Una mattina lo abbiamo trovato con la testa a ciondoloni. È rimasto così immobile per parecchio, evidentemente era in uno stato di impressionante prostrazione, eppure non ha levato neanche un lamento. Mai, però, in nessuna occasione si mostrava depresso o abbattuto, i suoi occhi sprizzavano sempre un'energia positiva. Questo lo riconoscevano tutti. Anche mia moglie venne a visitarlo più volte rimanendo impressionata dalla sua particolare spiritualità "muta". " ( Luigi Amore ). Ormai le facoltà di Piero erano in gran parte ottenebrate dal male, ma chi aveva occasione di visitarlo rilevava in lui il forte desiderio di non arrecare fastidio ad amici e familiari, sempre assumendo quel tono e quella delicatezza di atteggiamenti che lo aveva contraddistinto fin da bambino. Il rancore che talvolta caratterizza i ricoverati più anziani, quasi si sentissero "offesi" dalla salute pimpante di chi li avvicina ( infermieri o volontari che siano ), era un sentimento assolutamente estraneo alla sua mentalità tutta conformata alla charitas Christi che consuma il corpo, ma non scoraggia il vero Catechista e anzi illumina chi gli sta accanto. " Piero Bagna ha portato per lunghi anni le sofferenze del Crocifisso nella sua carne; la sua malattia lo testimonia fuor di ogni dubbio; non gli ho mai sentito espressioni di ribellione o fastidio. Quando mi "parlava" col linguaggio dei segni non si dilungava sui problemi personali, ma preferiva attirare la mia attenzione su questioni spirituali. Aveva un vivissimo senso del pudore e non perdeva occasione per scusarsi del fatto di dover essere accompagnato in tutti i suoi piccoli spostamenti quotidiani. Parlava a gesti e con gli occhi e sensibile com'era, avvertiva la mia presenza dal suono della camminata. " ( Luigi Amore ) Quando la progressiva paralisi ha colpito gli organi della fonazione il suo sacrificio si è ulteriormente affinato: stava realmente diventando un "corpo morto" ( come si legge sul Diario di Fra Leopoldo a proposito della santificazione di Fr. Teodoreto ), un olocausto vivente offerto ogni giorno al Signore per la santificazione propria e altrui. Tuttavia, e qui sta la ragione del dramma, la sua lucidità non diminuiva affatto. Anzi, aveva sviluppato un acutissimo senso dell'udito ed una sorta di sesto senso grazie al quale riusciva a intuire i sentimenti dei suoi interlocutori in modo impressionante. " La sua capacità d'ascolto si era estremamente affinata. Con largo anticipo percepiva il suono dei miei passi sul corridoio agitando gli occhi in modo talmente caratteristico che le suore si dicevano l'una all'altra: "Sta arrivando il fratello, sta arrivando il fratello. " ( Teresio Bagna ) Piero teneva molto al saluto dei Catechisti che, prima di perdere l'uso della parola, accoglieva quasi sempre recitando un'Ave Maria e ripetendo la formula lasalliana "Viva Gesù nei nostri cuori sempre". Purtroppo gli impegni professionali spesso contrastanti con il severo orario di visita del Cottolengo, impedivano ai sodali una frequentazione assidua del paziente e Bagna soffrì molto per questa inevitabile emarginazione, in quanto, perfino in ospedale voleva continuare a combattere la sua "buona battaglia" di laico consacrato: del resto solo chi capiva il linguaggio degli occhi riusciva a stabilire con lui un minimo di dialogo, gli altri erano costretti a contemplare un corpo praticamente inerte e la situazione, per persone poco avvezze alle malattie neurologiche, poteva risultare davvero penosa. L'aspetto più inquietante della sua condizione, paradossalmente, consisteva nel suo apparente stato di salute. Al di fuori della completa atonia muscolare, la malattia non dava esternamente alcun segno di sé. La digestione regolare, le analisi senza esito negativo: tutto sembrava far di Bagna un malato immaginario. In verità il cervello stava lentamente perdendo il controllo del corpo. Nonostante la graduale diminuzione dei contatti con l'Unione Catechisti, Bagna proseguì imperterrito sulla via tracciata da Fr. Teodoreto: trasformare la vita in una "comunione vitale" con Gesù. Il massimo esempio di assimilazione al Crocifisso lo fornirà restando "inchiodato" ad un letto d'ospedale, umiliato da un mutismo che gli impediva di comunicare i propri sentimenti se non coi lampi degli occhi che quasi nessuno comprendeva, tormentato dalle piaghe di decubito che gli laceravano le carni. In questa situazione molti amici non ebbero più il coraggio di andarlo a trovare: le domande restavano senza risposta, i tremiti che scuotevano le mani lasciavano interdetti, il confronto col dolore umano era davvero impressionante e apparentemente senza sbocchi. So che all'epoca della sua malattia era considerato una specie di "santo" proprio per l'atteggiamento di disponibilità col quale aveva scelto di partecipare alla Croce di Cristo per salvare se stesso e gli altri. In quel periodo sono andato qualche volta a trovarlo al Cottolengo per impartirgli la benedizione, ma non abbiamo avuto modo di scambiarci parole molto significative: la sua condizione psicofisica glielo impediva.( Don Carlo Quaglia ) La sua malattia è stata un'esperienza davvero crocifiggente … lo andavo a trovare volentieri perché per me era proprio come un caro fratello, ma quando ero lì, accanto al letto, provavo una pena infinita a non poter più colloquiare con lui. ( Don Michele Banchio ). Per quanto si sforzasse, Bagna non poteva nascondere agli amici il peso davvero logorante della croce che si gli era stata caricata sulle spalle: il suo stato di prostrazione fisica, di vigile annichilimento, se così possiamo dire, era per molti aspetti disumano. Ma il suo spirito resisteva indomito e l'agonia proseguiva. Questa specie di "morte mistica", ovvero di radicale e concreto distacco dal mondo, mediata dalle tappe forzate della malattia, ha un qualcosa di "tremendum" che davvero fa dire agli uomini sani "Signore, abbi pietà di noi!". Se questo è infatti il purgatorio che tocca alle anime pure già in questa vita, cosa sarà di noi nell'altra? Giovanni Trovati, ex direttore della Stampa e vecchio compagno di scuola di Piero, ha giustamente interpretato questo sentimento, scrivendo una riflessione che ci rappresenta un po' tutti: "Penso a lui tutte le sere e lo prego di scongiurare Dio di non mettermi a così dure prove. Per la comunione dei santi possano le sue sofferenze compensare le nostre mancanze nella misteriosa economia del nostro credo". Anche questa paura, profondamente umana, ha contribuito a ridurre le visite degli amici al capezzale di Piero. Il suo volto, la sua condizione era ed è ancora oggi un memento talvolta fin troppo spietato, per chi ripone segretamente ogni speranza nella scienza umana. " Un giorno sono andato a fargli visita e l'ho trovato in uno stato davvero desolante. I suoi muscoli erano attraversati da tremiti improvvisi, stringeva e contorceva le mani come se nervi e tendini fossero tormentati da un dolore continuo. Si aveva l'impressione che il corpo non obbedisse più alla sua mente. " ( Vincenzo Rampino ). Fra Leopoldo per anni aveva ammonito i "falsi sapienti" che riponevano ogni speranza nell'uomo e nel suo lavoro, proprio perché, di fronte a situazioni analoghe a quelle di Bagna, in cui si contempla un fallimento della scienza medica lungo 11 anni, essi si riducono a considerare solo due strade: oblio o disperazione. Il laicismo radicale non sopporta di assistere giorno dopo giorno a queste clamorose sconfessioni della fede scientista, segno tangibile dell'impotenza della ragione, e così giunge a suggerire soluzioni ancora più drastiche, come l'eutanasia. Di contro, l'orizzonte esistenziale di Bagna non finiva nella camera del suo ospedale, ma spaziava oltre, permettendogli di scorgere la "lux recondita" proprio là, nell'oceano della sua sofferenza, dove tutti gli altri vedevano solo le tenebre della desolazione. Quanta forza in quella debolezza senza fine! Il fratello Teresio ancora oggi si commuove al ricordo di quell'eroico e usurante cammino di ascesi, del quale furono ammirati testimoni l'amico e assistente Luigi Amore, le suore del Cottolengo e i Catechisti dell'Unione. Il sigillo di questa commozione è stato da lui impresso in una serie di "Pensieri" che condensano 11 anni di amorevoli cure, scandite dalla quotidiana contemplazione di un fratello sospeso tra il massimo abbassamento della malattia ed il richiamo gioioso dell'eternità, che tutto placa. " Gli undici anni di sofferenza di Pietro sono come un cumulo di rocce che aumenta sempre più con il trascorrere del tempo, opprimendomi il cuore. La mia capacità filosofica di reagire alla morte è una modestissima e ridicola cosa, infantile, terribile, vago gioco. Il problema del dolore cosmico e la sofferenza del puro aumenta il mistero e rende illusoria la capacità razionale dell'uomo … A uno che voleva solo fare del bene sono capitate cose che non augurerei neppure al più malvagio degli uomini. Il grido delle notti ripetuto con eco sempre più fievole: "Iddio perché fai questo quando i poveri e i derelitti mi attendono?" risuonerà nel mio animo fino all'angelica tromba dell'Oltretempo … Per lungo interminabile tempo parlarono solo più i suoi dolcissimi occhi, trasumanato dialogo per puri di cuore, per cercatori di luce. " ( Teresio Bagna ) L' "immobile santificazione", avvenuta nella limitatezza e nella solitudine di una camera d'ospedale, in fondo ha coinvolto anche chi seguiva Piero da vicino, secondo quella modalità di "impressionare i cuori" che era stata raccomandata da Fratel Teodoreto ai suoi Catechisti. Parenti e amici più stretti hanno partecipato anch'essi al dolore del paziente, così come questi "cooperava" alla Passione di Cristo, ma ne hanno ottenuto in cambio una straordinaria lezione di vita. E, in effetti, non potendo articolare suoni, non potendo erudire il prossimo con le categorie della teologia, a Bagna non restava che "immolarsi come ostia umana" nel più perfetto silenzio e nella più penosa immobilità, quasi a voler esercitare una catechesi dei cuori veramente mistica, tutta spirituale, assolutamente sciolta dalla contingenza troppo umana di gesti e parole inutili. " Del periodo del ricovero ricordo con tristezza la terribile quotidianità che i fratelli dovevano affrontare per occuparsi del loro congiunto, il tutto, com'era nello stile della famiglia, nella massima riservatezza, senza mai esternare nulla. " ( Arch. Giuseppe Varaldo ). " Senza la fede mio fratello non avrebbe potuto sopportare 11 anni di un simile calvario: ne convenivano tutti, medici, suore, amici. " ( Teresio Bagna ) Il paziente aveva intuito - cosa prodigiosa in assenza di qualsiasi suggerimento esterno - che il suo assistente non era di confessione cattolica ( era infatti avventista ) e così, messa da parte l'Ave Maria, lo invitava con gesti eloquenti a recitare il Padre Nostro. Questo è già indice di una sensibilità non indifferente, vista la spiritualità di stampo mariano che contraddistingueva Bagna. Pur essendo così puntiglioso in materia di dottrina, non si tirava indietro quando si trattava di fare dell'autentico "ecumenismo". Questa disponibilità ovviamente non lo distolse dagli obblighi del suo stato che nei limiti del possibile onorò fino all'ultimo respiro. Egli partecipò quotidianamente alla Santa Comunione, non solo in termini di sacramentali, ma, ad un livello superiore, con la condivisione dei dolori di Cristo, secondo quella prospettiva, quella seconda iniziazione che Fratel Teodoreto aveva chiaramente indicato nei suoi scritti. Questa fedeltà al carisma del Fondatore segnò ogni istante della sua agonia. Bagna, dopo un martirio di 11 anni, moriva il 9 giugno 1987 lasciando un'eredità di cristiana sopportazione che, nei suoi aspetti più intimi, lo avvicina senz'altro ai Catechisti Brusa e Tessitore. Conclusione Poche persone hanno conosciuto, al pari di Piero Bagna, il dolore della separazione, della solitudine e della malattia. Da bambini diamo quasi per scontato l'affetto delle persone care ( genitori, amici, cugini ecc. ), ma crescendo ne scopriamo tutta la pericolosa precarietà, scoperta amara perché dagli abissi della tristezza e della malinconia, che talvolta riempiono come una fitta coltre di nebbia la vita adulta, ci salva solo l'affetto sincero e disinteressato delle persone amate. Bagna, animo nobile e sensibile, attraversò più volte le amare paludi della depressione ( allora si chiamava "esaurimento" ) eppure, in quei momenti, furono in pochi a cogliere la gravità delle sue sofferenze morali. Poi, all'improvviso, il suo corpo divenne lo specchio di queste sofferenze e gli si spalancò dinanzi il baratro del morbo incurabile. Ma persino dopo l'ictus i medici continuavano ad avere le idee piuttosto confuse sulla natura del suo male. Al clima di perplessità che circondava il quadro clinico del Catechista certo non pose rimedio la diagnostica, che allora, almeno in campo neurologico, era priva di adeguati strumenti d'analisi. Forse anche queste incertezze ed incomprensioni ( pensiamo alla degenza nella clinica di Trofarello ) rientravano negli "esami dell'umiltà" coi quali la Provvidenza chiamò Piero a testimoniare la saldezza della Fede ( Gb 2,10 ). La fase più intensa del suo pellegrinaggio terreno gli costò 11 anni di forzata inattività, eppure ne riuscì ad intuire chiaramente la valenza mistica, ovvero quell'applicazione dei meriti di Nostro Signore che attivamente promuove la salvezza delle anime. Di qua la benevolenza e la pietas che Bagna riuscì a trasmettere con stupefacente continuità fino alla fine dei suoi giorni. Giovanni Trovati, l'amico delle medie superiori, ci ricorda come i riflessi di questa opzione per Dio fossero manifesti prima ancora della consacrazione ( 1950 ), "impressionando i cuori" di adolescenti già segnati dalle prove della vita: "… ti volevo scrivere la sera stessa del funerale di tuo fratello. In chiesa m'aveva sopraffatto un'onda di ricordi … Ma erano ricordi fatti di sensazioni ed era difficile metterli in ordine. Di tutti i compagni di scuola uno solo era Pietro Bagna. Gli volevo bene, lo ammiravo. Era diverso da tutti noi. Già aveva scelto senza tentennamenti, senza i momentanei entusiasmi propri dell'età e le repentine delusioni, di essere "uomo di Dio". Il primo giorno di scuola della prima superiore salii le scale di casa di corsa per gridare la bella notizia: "Mamma, mi hanno messo nel banco con Bagna". Allora ci si chiamava per cognome. Tanto ero contento e sapevo che contenta sarebbe stata mia madre, che per i pochi momenti delle scale, mi ero dimenticato che nessuno sarebbe stato ad ascoltarmi. Mia madre era morta tre mesi prima. Questo episodio, che mi porto fisso nella memoria, ti dice quanto tuo fratello valesse per me e per i miei genitori. " ( Giovanni Trovati ). L'ex Presidente dell'Unione Carlo Tessitore, in un ricordo personale redatto in occasione della morte di Bagna, ci ha lasciato il profilo esemplare di quella che non è l'interpretazione cattolicamente ortodossa del calvario di un malato cronico, ma una realtà nitida, cristallina e vera che come un raggio di luce, dopo tante tenebre, squarcia il buio delle disillusioni restituendo ai Catechisti e agli amici di Bagna il "senso" costruttivo e luminosamente esaltante di tanta sofferenza. " ( P. Bagna ) attese la fine con eroica pazienza e serenità, offrendo a Gesù Crocifisso, al quale si era consacrato, la più difficile e profonda partecipazione: quella del dolore e di un dolore particolarmente penoso. Caro Bagna, non avrei mai immaginato, io assai più anziano di te e pieno di acciacchi, di dover stendere il tuo necrologio. Non vedremo più il tuo contegno raccolto, edificante, specie nei Ritiri, né il tuo sorriso limpido e sereno, che riempiva il tuo silenzio, ma non dimenticheremo il tuo contegno esemplare in tutte le circostanze, né le lacrime silenziose con cui ci accoglievi all'Ospedale. E contiamo sulla tua intercessione per ciascuno di noi e per tutta l'Unione Catechisti, da te tanto amata, che ti ha perduto in questo mondo, ma ti ha acquistato in Cielo, accanto a Fratel Teodoreto e ai nostri fratelli dell'Unione. " ( "L'Amore a Gesù Crocifisso", C. Tessitore, settembre 1987 ). Quante volte, nel corso delle quotidiane traversie, ci sentiamo inappagati e fuori posto. Pensiamo a come dovesse trovarsi "fuori posto", al limite dell'alienazione, un uomo così solerte e pieno di interessi, ma costretto ad una sosta forzata di 11 anni, costretto a diventare un "peso" per gli altri, lui che aveva sempre cercato di rendersi utile al prossimo. Parlare di frustrazione, di senso di inadeguatezza sarebbe davvero riduttivo: essere coscienti della propria inutilità e non avere la possibilità fisica di sfogare questo peso sull'anima, di condividere con amici e conoscenti, almeno a parole, questa angoscia, è una prova maiuscola per qualunque "spirito forte". Piero tuttavia sapeva che per sollevare, in ossequio a Cristo, le grandi croci che toccano ai consacrati spiritualmente più forti, era necessario abbassarsi e di parecchio: essendo riuscito a perseverare sino alla fine, come un cero consumato e livellato dall'inesausta fiamma di Cristo, il buon Piero, all'approssimarsi dell'innalzamento promesso ( Lc 18,14 ), non poteva che sentirsi legittimamente gratificato. " Alla vigilia della morte, pur non potendo più parlare, mi sussurrò in modo distinto e chiaro un "grazie". " ( Vittorio Bagna ) È la firma di un apostolato oscuro e dimenticato, che si apre, finalmente, con immensa gratitudine, alla meritata ricompensa. Noi restiamo qui, ad inseguire i nostri finti successi temporali, le nostre effimere gioie materiali e Piero, invece, immensamente più saggio e più "forte", ha scalato fino alla vetta il monte della sofferenza. Non dobbiamo guardare alla sua memoria con pena e tristezza, ma pensare alla gioia incontenibile di chi ce l'ha fatta, di chi finalmente da lassù può aiutarci, meglio di qualsiasi Catechista, ad uscire fuori dai labirinti dei nostri desideri mancati, delle nostre ambizioni frustrate che crediamo di poter soddisfare qui sulla terra, con i surrogati illusori della mondanità, e che invece troveranno piena soddisfazione solo nell'intimità con Cristo.