Unione/Catechisti/CesoneG/CesoneG.txt Giovanni Cesone Cenni biografici La vita di Giovanni Cesone è la riprova, se ce ne fosse bisogno, di come sia concretamente possibile applicare alla realtà quotidiana di una grande metropoli industriale, l'invito evangelico a farsi bambini per entrare nel Regno di Dio. È difficile, in effetti, trovare concentrate m un'unica persona le pesanti responsabilità che derivano dalla gestione di un gruppo di laici ed insieme quella freschezza e mansuetudine ulteriore che tanto compiace lo Spirito Santo. Di solito i posti di comando, per quanto modesto possa essere il contesto in cui si opera, rendono l'uomo cinico, calcolatore. Per l'Unione Catechisti, l'Istituto Secolare fondato da Fratel Garberoglio, Cesone, più che un amministratore puntiglioso, fu un alfiere, un portabandiera, un instancabile animatore. Colui che diventerà, in un certo senso, "il pupillo" del Fondatore, non brillava certo per erudizione o per spirito imprenditoriale. Anzi, non è mancato qualcuno che lo giudicò inidoneo a ricoprire certi incarichi di alto livello: ma il Fratello cercava di radicare il suo Istituto sulla roccia della "santità irradiante" e dell' "umiltà che penetra dappertutto" ed il discepolo prediletto rispondeva appieno a queste qualità. Giovanni nacque a Torino il 26 luglio 1898 ( quando la modernizzazione industriale e culturale del Paese si apprestava a cambiare per sempre il volto della vecchia capitale sabauda ), servì come un fedele soldato la causa dell'Unione per più di mezzo secolo e infine, 66 anni dopo, il 28 novembre 1964, rese l'anima al Signore degli Eserciti, cui aveva donato le sofferenze dei suoi ultimi giorni, penando e pregando senza sosta in una cameretta della clinica Bertalazona, presso Caselle, dove era stato ricoverato a causa di un male incurabile. Le notizie biografiche che lo riguardano sono piuttosto scarse: sappiamo che la madre sosteneva a stento il magro bilancio familiare rivendendo giornali all'angolo della strada. Rimasto orfano del padre in tenera età, a causa delle ristrettezze economiche in cui versava la famiglia, fa affidato ad una cugina. In seguito frequentando le scuole popolari della ROMI, ebbe modo di conoscerne il Direttore, Fratel Teodoreto Garberoglio che lo prese subito in simpatia. Lo "storico" incontro avvenne quando il Fratello, nell'aprile 1913, iniziò a costituire il primo nucleo della futura Unione Catechisti; aveva intenzione di selezionare un gruppo di ragazzini volenterosi e capaci, disposti a sostenere le fatiche della preghiera e così passando di classe in classe, non senza esaminare i compiti e le pagelle degli scolaretti, finì coll'incrociare lo sguardo buono e allegro del piccolo Gioanin. I voti dell'allievo erano discreti, la bontà di carattere evidente. Fu, insomma, "amore" a prima vista: cogli anni Fr. Teodoreto divenne il padre spirituale del ragazzo, un punto di riferimento essenziale nel suo percorso di crescita, quella garanzia di certezza patema che Giovanni non aveva mai avuto. Fu, infatti, Fr. Teodoreto che lo spronò a sostenere da privatista l'esame necessario a conseguire il diploma di ragioniere, e quindi a spianargli la strada per divenire prima Presidente e poi Economo dell'Unione Catechisti. Cesone rivendicava con forza questo privilegio particolare, ne andava fiero, ed era chiaro che per lui il tutto assumeva una forte e per certi aspetti commovente valenza sentimentale. Col tempo si era sviluppata tra i due una santa amicizia, una comunione di anime che ricorda da vicino il rapporto che anticamente poteva legare il monaco al proprio discepolo. Non si trattava solo di una severa e rigorosa direzione spirituale, ma di un affetto che permetteva a Giovanni di sfogare con una persona amica le proprie angosce e miserie, sicuro di riceverne in cambio rassicurazioni e incoraggiamenti. I segni di questo affiatamento erano pochi ma preziosi. Cesone amava ricordare un episodio in particolare: durante un corso di esercizi spirituali chiusi, Fr. Teodoreto si accorse di avere dimenticato chissà dove il proprio rasoio e perciò con la massima naturalezza del mondo chiese a Giovanni di prestargli il suo, dicendo, quasi fossero parenti strettì, "Tra di noi…". Dopo qualche esperienza professionale, Cesone cominciò a dedicarsi a tempo pieno ai problemi dell'Unione occupandosi ora dell'amministrazione, ora della scuola serale. Fra gli elementi della prima leva del 1913, Cesone fu uno dei pochi a sostenere attivamente la Crescita dell'Unione per più di cinquant'anni, dal primo ritiro a Pessinetto fino alla inaugurazione della Casa di Carità di Corso Brin e oltre. La sua presenza ha caratterizzato in maniera costante il periodo della fondazione e le prime fasi di sviluppo dell'Istituto, diventando per molti indecisi una garanzia di continuità. Non perse mai la voglia di lottare sul "fronte delle operazioni", anche se prediligeva il confronto diretto con zelatori, catechisti e benefattori, piuttosto che le laboriose strategie di ingegneria finanziaria. Davanti ai prestigiosi interlocutori che sempre più spesso, gestendo le pubbliche relazioni dell'Unione, gli capitava di incontrare non poteva certo vantare titoli od onorificenze particolari: discretamente però, la sua figura piccola e gentile era diventata familiare anche alle persone ricche e potenti della città. Le sue iniziative "diplomatiche" erano ardite, talvolta perfino un po' avventate: come un avanguardista, come un esploratore sempre in avanscoperta, cercava nuovi spunti di crescita perché ambiva ad estendere l'Unione in tutto il mondo. Ma non dimenticava di curare le relazioni con l'Onnipotente. L'abitudine spesso manifesta uno stile di vita virtuoso. Cesone, perciò, osservava con scrupolosa dedizione due appuntamenti che periodicamente rinnovavano la sua fedeltà all'insegnamento di Fra Leopoldo Musso o.f.m. ( ispiratore dell'Unione Catechisti ed estensore della devozione alle Cinque Piaghe ) e alla spiritualità del Crocifisso: questi appuntamenti erano la Messa commemorativa svolta sulla tomba del francescano il 27 di ogni mese e la "Via Crucis" che Cesone seguiva tutti i venerdì, incurante dei ritardi o delle difficoltà che tale pratica ininterrotta poteva causargli. Dalla costanza nella preghiera discendeva, come naturale conseguenza, l'assiduità del suo insegnamento catechistico, che dai tempi dell'adolescenza, quando istruiva i bambini della parrocchia di San Massimo, lo aveva portato ad insegnare religione dapprima presso la scuola serale di via delle Resine e poi alla Casa di Carità. Ai giovani di questo istituto, in un periodo che va dal 1931 al 1964, dedicò gran parte del suo tempo libero, alternando le lezioni di religione, con i corsi di Cultura Generale e più raramente ( appena tre anni ) di matematica. Giovanni Cesone contagiava tutti col suo ottimismo e buon umore, eppure il ricordo della sua fanciullezza trascorsa tra mille disagi economici, avrebbe dovuto farne ( a sentire le moderne teorie sociologiche ) un emarginato, un persona frustrata e piena di livore contro la società. Si racconta che la cugina, quando Giovanni aveva appena un anno e mezzo, per ovviare alla cronica scarsezza di vestiti, si ridusse a tagliuzzare ai lati la federa di un cuscino, per ricavarne una camiciola adatta alle esigenze del bebé. Questo episodio da l'idea di quanto poco rosea fosse la condizione sociale del piccolo Gioanin: eppure il bambino, quasi ispirato da un'angelica serenità, appariva sempre allegro e giocoso. Evidentemente gli affetti familiari compensavano egregiamente le ristrettezze economiche: oggi al contrario, sempre più spesso, i nostri adolescenti conoscono la depressione ed i disturbi più o meno gravi ad essa connessi, pur vivendo in contesti economici di pieno benessere. A mancare forse è proprio la terapia dell'amore cristiano che per anni Cesone cercherà di inculcare ai suoi giovani allievi. Per la verità tutto quel buon umore non suscitava sempre e solo simpatia attorno alla sua persona. Al tempo delle scuole elementari, ad esempio, un maestro pizzicò Giovanni in uno dei suoi caratteristici scoppi di allegria. Apriti cielo: l'insegnante, interpretando il riso come un insulto alla propria autorità, additò il ragazzino e pieno di risentimento esclamò: "Tu ridi. Fuori!". Solo il provvido intervento di Fr. Teodoreto impedì al maestro di ottenere l'espulsione del bimbo dalla scuola. La mano ferma del Fratello accompagnò e protesse Cesone anche in altre delicate circostanze "scolastiche": Giovanni, infatti, aveva incontrato, a causa degli impegni di lavoro, non poche difficoltà a preparare in maniera adeguata l'esame da privatista per il diploma di ragioniere. Il giovane, che aveva ripreso con fatica gli studi a più di trent'anni, era assai dubbioso circa l'esito della prova orale. Fr. Teodoreto lo rassicurò con un'affermazione profetica: " "Sarai interrogato sulla pagina che scorrerai cinque minuti prima dell'esame". Ed effettivamente le cose si svolsero proprio in questo modo, indicando, in maniera indiretta e misteriosa, i frutti sorprendenti di quell'abbandono totale in Cristo che il Fratello sapeva insegnare coi piccoli fatti della vita. Sotto la sua guida spirituale Cesone, in qualità di primo Presidente Generale dell'Unione ( 1926-1933 ) e quindi di Economo, seguì personalmente tutte le fasi cruciali di sviluppo dell'Unione: i primi passi della Casa di Carità presso la chiesa Madonna della Pace, il trasferimento della stessa in via Feletto, la collaborazione con la Messa del Povero. Come Presidente seguì alla lettera le indicazioni lasciate da Fra Leopoldo nel suo Diario, cercando di installare nuove sedi dell'Unione in tutti i Paesi in cui operavano i Fratelli delle Scuole Cristiane, la cui collaborazione gli sembrava già allora indispensabile. I tempi, però, non erano ancora maturi e Cesone dopo sette anni di onorata presidenza passò all'economato. A partire dal 1933, tra gravi crisi economiche e inaspettate riprese, si dedicò senza tregua alla ricerca dei fondi necessari all'avvio della Casa di Carità: fu uno sforzo immane che non di rado assunse i toni di una vera e propria lotta per la sopravvivenza. Anche se impedito da un'imperfezione congenita al piede destro, Cesone macinava senza sosta chilometri e chilometri di strade cittadine per arrivare laddove lo attirava il buon cuore e la generosità dei torinesi. Molti furono i successi, ma altrettanti furono i contrasti e i fallimenti dovuti in parte alla precocità eccessiva di certe decisioni, in parte alla durezza degli uomini. Tuttavia, il meglio di sé Cesone lo diede animando i gruppi di zelatori e zelatrici, diffondendo la spiritualità del Crocifisso, intessendo una fitta rete di conoscenze e di cordiali rapporti con umili e potenti che si rivelò preziosissima per l'immagine pubblica ed il buon nome dell'Unione. Nel 1938 lascia l'appartamento della cugina, e si trasferisce, insieme al catechista Giovanni Cordiale, presso la Casa di Carità, dove l'Unione avvia un primo esperimento di vita comunitaria ( Colloqui con Fr. Teodoreto, pag. 25/618 bis ). Dopo la morte di Fr. Teodoreto ( 1954 ), gli acciacchi dell'età e in particolare alcuni disturbi circolatori cominciarono a tormentarlo in maniera sempre più insistente, costringendolo a limitare la sua attività "sul campo". Tuttavia, continuava ad animare con grande solerzia le riunioni delle Zelatrici e ad impartire lezioni di Catechismo presso la Casa di Carità e la Casa provinciale delle Figlie della Carità. Nel 1964, in seguito al ricovero in clinica, non gli fu più possibile nascondere il suo precario stato di salute: era ormai chiaro che stava per scoccare la sua ultima ora. Da quel momento ogni incontro coi Catechisti che venivano a visitarlo si trasformò in una riunione di preghiera. Alla vigilia della morte l'orazione si fece realmente "continua", secondo gli auspici che lo stesso Fra Leopoldo aveva più volte espresso nel suo Diario ( anche 1 Ts 5,17: "pregate incessantemente" ). L'agonia era scandita dalle invocazioni al Signore, invece che dai sospiri di un'anima disarmata e sconfitta: l'insospettabile energia manifestata in quelle ore nasceva dalla perfetta consapevolezza del momento. Il veterano dei Catechisti per tutta la vita aveva combattuto "l'ignoranza religiosa" e, dunque, non si era fatto cogliere impreparato; il suo spirito ingenuo e fanciullesco ancora una volta aveva avuto ragione di tutti quei dubbi e quelle esitazioni che tante volte deprimono anche i temperamenti più forti nell'ora solenne e decisiva del trapasso. Giovanni morì la mattina del 28 novembre 1964, giorno dedicato alla festività di Santa Caterina Labourè, la messaggera di Maria Regina dell'Universo, alla cui intercessione si era rivolto, affinché l'Unione potesse estendersi in tutto il mondo. Testimonianze Padre Agnello Giobergia frequentò Giovanni Cesone assiduamente tra il 1947 ed il 1964: " Ricordo che fu lui stesso a confidarmi che, fin dai suoi anni giovanili, poté godere della formazione di Protei Teodoreto, che l'aveva preso in particolare considerazione e lo ammaestrava paternamente e lui mi ha sempre dimostrato l'orgoglio per questa prerogativa … perché mi diceva: "Fr. Teodoreto faceva così e così, mi esortava, mi voleva molto bene mi prendeva sotto le sue ali …"e credo che questo fatto abbia inciso su tutta la sua vita e gli abbia conferito … uno stile, un modo di agire e di esprimersi da catechista completo e fedele alla sua vocazione ". Invece a livello di apostolato, la qualità speciale che molti riconoscono a Cesone consisteva, come accennato, nella capacità di mettere in relazione tutti gli elementi dell'Unione, di coltivare preziosi rapporti personali, di far sentire l'Istituto come una cosa viva, positiva, vicina alla gente di tutte le condizioni sociali: " Cesone era il collegamento tra tutti gli zelatori, i devoti che ruotavano attorno all'Unione … Era adatto a quel compito, per il suo savoir-faire bonario, semplice e specialmente per l'abilità nel curare la clientela dei benefattori " ( Padre Giobergia ). Alle capacità, se così possiamo dire, diplomatiche si assommava un'indiscutibile vocazione per le attività di promozione e propaganda, sia per quanto concerneva l'immagine dell'Istituto presso la pubblica opinione, sia per quanto riguardava la diffusione mondiale della Devozione a Gesù Crocifisso: " Lui veniva di frequente a S. Tommaso come longa manus dell'Unione Catechisti, come propagandista ha sempre esercitato la funzione di tramite tra l'UC e la pubblica opinione … teneva i rapporti con un folto gruppo di zelatori dell'Unione che coltivava con assiduità e col quale, ogni anno, celebrava l'anniversario della morte di fra Leopoldo, scomparso il 27 gennaio 1922 " ( Padre Giobergia ). " Possedeva un grande spirito di pietà, di preghiera, e lasciò la sua prima attività professionale per dedicare interamente la sua vita all'Unione Catechisti, specialmente nella diffusione dell'Adorazione a Gesù Crocifisso … era lui che dirigeva gli zelatori e le zelatrici della Devozione. Nei primi anni dell'UC, si lavorava alla diffusione di questa preghiera, e questo era un compito fondamentale. Si trovavano ovunque moltissimi foglietti con la devozione, perfino per terra…" ( ing. Pintonello ). Quest'opera generalizzata di promozione sfruttava diversi espedienti, quali gite e pellegrinaggi presso importanti santuari, il tutto, però, veniva sempre svolto all'insegna del dialogo diretto e personale con Catechisti e Zelatori, che riconoscevano in Cesone uno di loro, non certo un'autorità altezzosa e lontana dalla vita di gruppo: " Lui si avvaleva di frequenti contatti personali con tutti … dava una certa importanza non solo ricreativa, ma anche formativa, ad iniziative turistiche, sempre con mete religiose…" ( Padre Giobergia ). Pochi Catechisti avevano conosciuto altrettanto bene Fra Leopoldo ed era stata proprio questa lunga frequentazione a trasmettergli la "febbre" per la Devozione alle Cinque Piaghe. Il fatto è testimoniato anche da un articolo del 1961, in cui Cesone ricorda il primo incontro col Servo di Dio avvenuto il 16 agosto 1917, quando Padre Osenga ofm, degente presso l'Ospedale Militare, lo aveva pregato di portare il suo saluto al frate di Terruggia. L'articolo di Cesone ci rammenta, tra l'altro, che le prime esperienze mistiche di Fra Leopoldo precedettero e quindi forse motivarono il suo ingresso in convento, in quanto si manifestarono già al tempo della permanenza in casa del Barone Ricci de Ferres, dove il Servo di Dio lavorava come cuoco alle dipendenze dei conti Caissotti di Chiusano. A questa precisazione segue un paragrafo dedicato, per l'appunto, alla "Devozione" che, a giudizio del Catechista, era stata "veramente dettata dal Signore". Questa affermazione la dice lunga sul giudizio che il primo Presidente dell'Unione si era fatto a proposito di Fra Leopoldo. Non stupisce, quindi, che Cesone sia stato il più convinto e attivo propagandista dell'Adorazione: anzi, durante le commemorazioni mensili del frate, teneva molto a che la Devozione fosse recitata a gran voce da tutto il gruppo degli associati. Quella preghiera era realmente "il suo cavallo di battaglia" ( Padre Giobergia ). Essendo molto affezionato ai luoghi della memoria di Fra Leopoldo, ogni pretesto era buono per recarsi nel convento di San Tommaso: passava ore nella cappella dove il francescano aveva ricevuto le sue rivelazioni e più volte aveva chiesto ai frati il permesso di apporre una targhetta commemorativa, nel coro, presso la decima stazione della Via Crucis, dove il Servo di Dio soleva inginocchiarsi. Avrebbe voluto scrivervi "qui pregava Fra Leopoldo". La sua proposta però era stata accolta dai religiosi di San Tommaso con poco entusiasmo ( Padre Giobergia ). Lo spirito leopoldino aveva profondamente pervaso tutto il suo repertorio catechistico: conosceva praticamente a memoria tutto il Diario e non perdeva occasione per citare i detti, introducendo i suoi interventi con queste parole: "nel diario di Fra Leopoldo in questo stesso giorno è riportato un certo avvenimento ecc." ( Catechista Albino Baiano ). Prendeva spunto da date e ricorrenze per esporre in maniera viva e diretta quelle pagine, descrivendo con minuzia fatti e situazioni, quasi volesse evocare il fervore irradiato dal frate e riallacciare ogni volta la "catena" di eventi provvidenziali che aveva portato un umile ragazzine come lui ai vertici dell'Unione Catechisti. " Deve averli letti e riletti più volte, e meditati, fino a interiorizzarli profondamente " ( Catechista Albino Baiano ) Questo atteggiamento ricorda da vicino un metodo di studio molto diffuso presso gli antichi monaci, i quali, ad esempio, leggevano e meditavano i Salmi in continuazione, fino ad impararli a memoria, per poterli "ruminare" giorno e notte, come una sorta di cibo spirituale di difficile assimilazione, ma anche di grandissimo frutto. San Francesco di Sales non aveva agito diversamente a proposito del "Combattimento spirituale", un libricino di poche pagine che era divenuto per lui un "vademecum", un "libro carissimo" che portava sempre con sé, ben prima che quel testo fosse onorato dalla Chiesa come uno dei capolavori dell'ascetica italiana. Alla luce di questi precedenti, "l'interiorizzazione" del Diario appare dunque come una pratica affatto stravagante, ma in linea con modalità e metodi di apprendimento presenti nella tradizione cristiana. Sicuramente l'assimilazione dei Detti aveva fortificato due qualità essenziali del carattere di Cesone: l'umanità e l'imperturbabilità. La prima si manifestava soprattutto nei rapporti con i ragazzi che riusciva a mettere sempre a loro agio e che amabilmente, senza forzature, invitava a confidarsi, dimostrando un sincero interesse per le loro aspirazioni e ambizioni. " Cesone coi giovani era alla mano spontaneo, umano una persona semplice e alla buona senza sofisticazioni, non si dava arie, non saliva in cattedra " ( Catechista. Albino Baiano ). Per rompere il grigiore di incontri troppo formali e l'imbarazzo che metteva a disagio gli ultimi arrivati non esitava a spandere il buon umore con arguzie e battute di spirito che prendevano di mira i modi stravaganti di qualche zelatrice un po' sempliciotta: il tutto senza malizia, ma sempre nell'intento di creare un'atmosfera positiva e costruttiva, un clima psicologico favorevole alla collaborazione tra i vari gruppi dell'Unione. La facilità al riso e alla battuta era una qualità posseduta fin da piccolo che si era rivelata molto utile per aprire una breccia nei cuori dei giovani. La sua umanità traspariva anche da altri fattori: curava molto l'accompagnamento della preghiera, preoccupandosi di non appesantire troppo gli orari dei ritiri spirituali, onde evitare inopportune disaffezioni o sforzi di meditazione prematuri per ragazzi appena adolescenti. " Nel pomeriggio si adorava il Santissimo, durante i ritiri. I catechisti più anziani stavano per parecchie ore in ginocchio a pregare, mentre quelli adolescenti venivano dolcemente richiamati da un colpetto alle spalle e una raccomandazione sussurrata: "Ora alzatevi un poco, uscite in terrazzo… andate a prendere una boccata d'aria… distraetevi. Voi siete giovani… " " ( Sig. Vacchetta ). L'imperturbabilità era, invece, il frutto della lunga pratica con Fr. Teodoreto che, come è noto, aveva fatto dell'umiltà la virtù principale del proprio percorso di santificazione: Cesone, con l'interiorizzazione del Diario e i preziosi colloqui col Fratello, acquisì dunque la capacità di non scomporsi neanche nelle situazioni più sgradevoli e umilianti. Due cose in particolare lo facevano soffrire: il poco credito di cui godevano i Detti presso alcuni autorevoli Fratelli e Catechisti, e l'indolenza nel conformarsi allo spirito dell'Unione che spesso si assommava a sterili contestazioni sui vari progetti da attuare. Mai nulla di facile e piano, sembrava tutto in salita: eppure Cesone evitava di trascendere anche perché l'infinita venerazione che nutriva per l'umilissimo Fratel Teodoreto gli impediva di adoperare quel piglio autoritario, quel "carattere" che taluni pretendevano da lui. " Ricordo che nelle contrarietà … era sempre molto calmo e imperturbabile … non si sbilanciava per entusiasmo nelle cose positive, non si deprimeva per quelle negative " ( Padre Giobergia ). In tutto questo dispendio di "amore umile e mortificato" - come diceva Fr. Teodoreto - Cesone era sostenuto da convinzioni granitiche: l'Unione, cui avrebbe dedicato tutta la vita, essendo diventata un'occupazione a tempo pieno che lo assorbiva totalmente, doveva essere considerata da tutti gli associati, in primis da quelli che ricoprivano ruoli di responsabilità, un'impresa più che umana, ovvero una missione divina, una "cosa sacra", come aveva scritto Fra Leopoldo, estremamente seria, per la quale valeva la pena vivere e morire e che era in grado di cambiare realmente il mondo in meglio. Gioie ed amarezze alla luce dei colloqui con Fr. Teodoreto La qualità speciale dell'amicizia intercorsa tra Cesone e Fr. Teodoreto emerge in maniera chiara dai cosiddetti "colloqui" che Giovanni anno dopo anno aveva trascritto a futura memoria. In genere si tratta di dubbi e contrarietà ( mai pubblicamente espressi ) che vengono sottoposti al giudizio equanime di Fr. Teodoreto. Le risposte a questi quesiti sono sempre improntati al massimo equilibrio, nell'intento di non incrinare l'unità dell'Istituto: secondo la visione soprannaturale del Fratello infatti le sofferenze andavano donate a Cristo e l'adozione di ogni altra misura, specie se disciplinare, doveva servire più a ammaestrare che a reprimere. A Giovanni, sopra ogni cosa, premeva la compattezza e l'integrità dell'Unione: delusioni e dispiaceri trovavano sfogo nella cella di Fr. Teodoreto, la camera di decompressione delle sue frustrazioni, ma all'esterno il Catechista faceva ogni sforzo per dare un'impressione di cordialità e buon umore, due sentimenti che tra l'altro erano abbastanza consoni al suo carattere bonario ed estroverso. Sembra che Giovanni avesse una spiccata vocazione per l'opera di propaganda e le relazioni coi benefattori. La sua umiltà gli permetteva di non urtare la suscettibilità dei grandi signori e d'altro canto gli attirava la benevolenza dei ragazzi, che lo consideravano quasi uno di loro. Le sue giornate spesso trascorrevano passando di porta in porta per contattare vecchi e nuovi sostenitori, presentare nuove esigenze, confermare vecchi impegni, coltivare antiche conoscenze. Girava per la città sempre a piedi, munito di un pesante borsone in cuoio e sovente rincasava tardi a casa senza aver concluso niente. Soleva dire che era afflitto da continui alti e bassi d'umore: a tratti gli sembrava di aver il mondo in tasca, in altri momenti gli pareva di perdere tempo. I motivi per scoraggiarsi certo non mancavano, specie quando i progetti a lungo coltivati naufragavano miseramente. Uno di questi riguardava l'edificio di Villa Nicolas e l'attiguo ma incompiuto tempio ottagonale. Intorno al 1872 vi si sarebbe dovuto insediare un misterioso Istituto per le missioni che non vide mai la luce; poco dopo il complesso ( residenza più tempio ) venne acquistato dai Fratelli Cristiani che lo cedettero in affitto ai Catechisti. Sembravano avverarsi i detti di Fra Leopoldo circa l'erezione di un tempio dedicato a Gesù Crocifisso sulla collina torinese; non solo, la stessa Unione pareva ormai aver trovato, negli edifici attigui, una sede adeguata alle sue funzioni. Ma così non fu, in quanto i Fratelli, in un periodo di emergenza bellica, ordinarono lo sgombero dei locali che vennero affittati da un Ente Statale addetto alla distribuzione dell'energia elettrica, mentre i Catechisti restarono, come si suoi dire, a bocca asciutta, nonostante che nei mesi precedenti fossero state impiegate risorse ingenti nel restauro dei locali. Cesone rimase molto scosso dall'inconveniente, arrivando a parlare senza mezzi termini di un "affronto" portato ai danni dell'Istituto. Come già detto altrove questa fu una delle prove d'obbedienza a cui il buon Dio sottopose Fr. Teodoreto e l'intero suo Istituto, ma non si può certo dire che l'effetto di questa umiliazione abbia influito positivamente sul morale dei Congregati, che da troppo tempo erano costretti a mendicare locali adatti all'insegnamento ed ai ritiri spirituali. Cesone consumò la sua pia vendetta quando individuò nei pressi di Corso Brin un terreno adatto a questi scopi e non lesinò sforzi per trasformare quel terreno nel baricentro di un apostolato che lui avrebbe voluto di respiro internazionale. L'anonimo estensore del ricordo del 1965, sintetizza questa sua potente aspirazione con un'espressione lapidaria: "trapiantare l'Istituto in tutti i paesi". Purtroppo, gli sforzi messi in campo all'epoca del suo mandato di Presidente erano destinati all'insuccesso, in quanto la Struttura dell'associazione non era ancora abbastanza solida. Tuttavia questa tensione all'espansione mondiale dell'Istituto ci riporta alla spiritualità presente nel Diario di Fra Leopoldo Maria Musso: " L'opera che verrà sarà mondiale " ( III, 1336,4 ). La premessa indispensabile alla realizzazione di questo grande sogno consisteva nella diffusione della Devozione alle Cinque Piaghe che ebbe in Cesone un attivissimo promotore, se non il maggiore, tanto che ancora oggi qualcuno ricorda come in quegli anni le sedi dell'Unione fossero stracolme di foglietti con la redazione multilingue della nota preghiera. In tanti riconobbero a Cesone la capacità di ravvivare la propaganda e rinsaldare i rapporti tra Catechisti e zelatori. Non si rintanava certo nel suo ufficio ( ammesso che lo avesse ) a rifinire relazioni o comunicati associativi: al contrario era sempre in giro, sempre sulla strada, in compagnia del fedele borsone ed in sintonia col detto evangelico "Bussate e vi sarà aperto". Quando gli fu affidato l'incarico di Economo, ebbe a patire non poche angustie, dovute alle ristrettezze economiche che travagliavano i Catechisti. Di fronte a bilanci costantemente ridotti all'osso, privi com'erano di quelle rendite che fanno la gioia di quanti preferiscono affidarsi al conto in banca piuttosto che alla Provvidenza, Cesone doveva lottare e soffrire ogni giorno per mantenere entrate ed uscite nei limiti della decenza. Da un colloquio col Fratel Teodoreto, del resto, emerge la diffidenza per i virtuosismi finanziari legati ai prestiti bancari, che avrebbero pericolosamente vincolato il senso ed il futuro di un Istituito che doveva staccarsi, il più possibile dai gioghi umani, proprio per incatenarsi in tutto e per tutto al cuore di Cristo. Questa scarsa vocazione per le manovre affaristiche attirò su Cesone molte critiche, lo si accusò di essere poco energico nell'amministrazione finanziaria, di mancare di faccia tosta e spregiudicatezza, qualità indispensabili nella gestione economica di grandi iniziative private. Ma se questo è il cristianesimo allora tanto vale dedicarsi alle speculazioni in Borsa. La rinuncia a certi sistemi di accumulo è invece il labile, ma significativo sintomo di una mentalità disinteressata ispirata al più autentico spirito evangelico e del resto abbondantemente suffragata dalle esortazioni di Fr. Teodoreto, il quale ammoniva spesso i Catechisti con queste parole: " Se fate calcoli il Signore si ritira " I colloqui con Fratel Teodoreto non sono trascrizioni casuali: evidentemente Cesone ha trattenuto per sé le cose che riteneva più significative, in modo tale che oggi, rileggendo quegli appunti, noi intuiamo di riflesso quelli che erano i temi più cari al suo cuore. Cesone appare innanzitutto preoccupato per quelle false attrattive che a lungo andare distraggono l'attenzione dei Catechisti da compiti più essenziali, quali ad esempio la "vita di preghiera" o la promozione dell'Adorazione. " Tutti si rivolgono a voi per le preghiere perché vi considerano uomini di grande preghiera. Se effettuerete questo ideale il Signore vi manderà nuove vocazioni. Sfrondate le vostre attività dalle opere troppo esteriori, mirate alla vita intima " ( Colloqui, pag. 3 ). Si dedicava alle pratiche devozionali col massimo scrupolo e puntiglio: spesso guidava personalmente, con voce stentorea e decisa, le varie fasi degli incontri di preghiera, controllando che ogni momento dedicato alla meditazione venisse preso sul serio. La costanza nella preghiera era giudicato un metodo essenziale per mantenere viva e ardente la "fiamma" dell'Istituto. " … tenere la fiamma accesa che a suo tempo divamperà e si svilupperà " ( Colloqui, pag. 4 ). Viene alla mente il tempio della dea Vesta, nell'antica Roma, presso il quale le sacerdotesse addette al culto dovevano mantenere accesa la fiamma divina anche a costo della vita. Ne possiamo trarre una valida metafora di quello che era l'impegno morale e spirituale osservato nel tempo dal Catechista, al fine di non spezzare quel continuum di grazie e divine illuminazioni che da Fra Leopoldo in poi aveva tenuto in piedi l' "Ordine del Crocifisso". Si percepisce negli articoli e negli scritti redatti da Cesone un'ansia profonda - che è anche tipicamente teodoretiana - per tutto ciò che potrebbe incrinare il legame che unisce Dio e l'Unione, vanificando, così, i sacrifici di un'intera generazione di Catechisti. Cesone si sentiva, grazie alla paternità spirituale di Fr. Teodoreto, carne e sangue di quel prodigioso progresso morale e materiale che aveva portato alcuni giovani torinesi ad organizzarsi per lottare contro le perversioni del pensiero dominante. Tutti andavano in una direzione, quella facile e promettente del modernismo, dell'edonismo, della fuga dalla Croce. Cesone no: Gioanin, come veniva chiamato ai tempi della scuola il piccolo ragazzino sempre vispo e sorridente, guidato dall'altro Gioanin venuto da Vinchio d'Asti, aveva imparato a remare contro le illusioni della modernità, guidato dalla fede incrollabile in una vittoria lontana ma certa. L'esasperante lentezza del cammino aveva fatto molte vittime tra i "tiepidi". Tanti chiacchieroni erano entrati nell'Istituto, avevano zelato per qualche anno ma poi, alla prima occasione erano spariti dalla circolazione: in pochi, da quel lontano 1913, anno del primo ritiro spirituale, erano rimasti, come dice il profeta Elia, a "struggersi di zelo" per la causa del Signore. E tra quei pochi spiccava senz'altro Giovanni Cesone. La sua è stata una risalita alla "sorgente" - come diceva sovente - della fede a dispetto di mode, tendenze e ideologie: come i salmoni che per poter trasmettere i propri geni alle nuove generazioni sono spinti a nuotare controcorrente scontrandosi con i flutti, gli scogli affioranti e le fauci di belve affamate, così i Catechisti della prima ora hanno dovuto penare decine di anni prima di toccare con mano i frutti tangibili del loro apostolato. Molti non hanno resistito a questa attesa esasperante e si sono perduti lungo la via. Chi ha tenuto accesa la fiamma è riuscito però anche a mantenere viva la santa "irradiazione" sui giovani, in modo tale che, al di là di singoli e transeunti successi o insuccessi materiali, restasse operante quella santificazione che Dio, più di ogni altra cosa, pretende da coloro che si riuniscono in suo nome. " Più sarete invasi dal divino e più sarete raggianti e conquisterete " ( Colloqui, pag. 5 ). Parole magnifiche queste, che dicono tutto o quasi dell'apostolato catechistico nutrito di preghiera e amplificato dal divino profumo delle virtù. La preminenza assoluta assunta da questo imperativo morale - "essere invasi" dal divino - non poteva che porre in secondo piano i calcoli dell'economato, in cui peraltro consisteva la Croce di Cesone, mettendo nella giusta luce i problemi finanziari e le carenze di denaro liquido. Nei colloqui con Fr. Teodoreto ritroviamo una situazione comune alle antiche comunità monastiche, quando cioè il discepolo oppresso da dubbi e paure, temendo di perdere di vista le coordinate della missione, cerca di ritrovare il lume del discernimento nell'ascolto del Maestro. Nel caso specifico di Cesone, sono anche in gioco gli affetti personali. Il cuore dell'uomo ha bisogno in un modo o nell'altro di essere riscaldato nell'abbraccio della comprensione, della consolazione, della confidenza, altrimenti rischia di avvilirsi. L'uomo disincantato, inutilmente e gratuitamente avvilito, non porta frutto, ma affonda lentamente nella propria mediocrità; ecco perché l'amicizia con Fr. Teodoreto è così essenziale al prosieguo della missione di Cesone. Durante i colloqui col Fratello egli ricaricava le batterie dello spirito, sfogava i propri livori, purgava l'anima dalle eccessive contrarietà evitando così di cadere nella spirale della sfiducia e dello sconforto. Se infatti i santi come Fra Leopoldo trovano le consolazioni dell'amicizia direttamente in Cristo, gli altri comuni mortali vivono la solitudine, con profonda prostrazione, percependo intorno a sé un pauroso vuoto affettivo. Non meraviglia dunque che Cesone dedichi un articolo del bollettino alla vicenda di abbandono e solitudine vissuta da una zelatrice dell'Unione, in quanto molto verosimilmente si sentiva molto coinvolto da certe problematiche ( specie dopo la morte della cugina, la sua seconda madre ). " Si era rivolta a lui ( a Fra Leopoldo ) per consiglio la zelatrice Vincenza Sisone, rimasta sola per la morte della mamma e fra Leopoldo dopo aver pregato le fece rispondere: "Abbiamo una mammina in cielo si faccia coraggio non sarà mai sola! Il Signore ha una cura speciale delle persone sole" ( 2-2-1918. ) Dopo circa trent'anni di serena solitudine … moriva felice come lei stessa ebbe a dichiarare " ( Bollettino sett-dic. 1961 ). Non si può dire che Cesone potesse contare su molti amici personali ( Padre Giobergia ). Pur coltivando miriadi di relazioni amichevoli con benefattori e zelatori, Giovanni non aveva mai avuto occasione di incontrare - a parte Fratel Teodoreto ovviamente - un amico vero e disinteressato capace di apprezzarlo a prescindere dalle cariche istituzionali che ricopriva. Il tema della solitudine, del resto, come abbiamo osservato anche a proposito di Fra Leopoldo è, attualmente, dopo la crisi della famiglia "tradizionale", uno dei grandi drammi della modernità, e si accompagna in genere a quello della morte, che viene sistematicamente rimosso dall'immaginario collettivo. La morte in solitudine è ormai un esito scontato per molte persone costrette a consumare la vecchiaia nell'isolamento totale, come poveri naufraghi abbandonati al marasma della moderna città. Sempre più spesso i giornali riferiscono di vecchi deceduti, nell'indifferenza generale, in squallidi appartamenti dove i loro poveri resti vengono scoperti a giorni di distanza dalla morte. È l'indizio di uno stile di vita improntato all'individualismo, che se in gioventù assicura molta libertà, nella maturità porta progressivamente ad un paradossale isolamento nella folla. A questa "cattiva solitudine" si contrappone la comunione delle anime consacrate all'adorazione del Dio vivente, del Dio-persona che attraverso la preghiera e i sacramenti fa sentire la sua presenza viva e reale vicino a noi. L'esperienza della signorina Sisone oltre ad illuminare, in maniera indiretta, un aspetto della personalità di Cesone, ci consente di apprezzare meglio le finalità della preghiera praticata nell'Unione. La fede proposta dal Catechista, per usare un'espressione di La Salle ripresa dalla celebre circolare 328, è "sanguigna", ossia nutre e sostenta l'anima affranta più che solleticare i palati raffinati dei grandi pensatori. Quando Cesone è preoccupato Fr. Teodoreto gli suggerisce una terapia che per molti aspetti racchiude il senso dell'Adorazione alle Cinque Piaghe e la soprannaturale utilità della sua pratica quotidiana: " Ricordati dei detti di Fra Leopoldo: "tu pensa a Me, Io ( Gesù Crocifisso ndr. ) penso a tè"" ( Colloqui, pag. 13/863 ). Inquadrata nel contesto del male di vivere, questa indicazione focalizza in maniera efficacissima il senso di un detto che senza gli appunti di Cesone probabilmente sarebbe passato inosservato. Concentrando mente e cuore su Cristo, sulle sofferenze da lui patite per scongiurare l'effetto ultimo e definitivo dell'inesorabile giustizia divina, attiriamo l'attenzione di Gesù sui nostri crucci. Il nostro sguardo attira il suo sguardo. Lo dimostra anche il Vangelo: chiunque si sforza di fissare gli occhi su di Lui, chiunque si fa largo nella folla dei pensieri per "toccare" il Suo mantello viene immancabilmente a contatto con la forza sanante della Croce: con l'Adorazione, Cristo pensa a noi, condivide le nostre amarezze e così facendo le stempera nel fuoco dell'Amore. Ecco perché attraverso Fra Leopoldo e grazie all'esegesi di Fr. Teodoreto possiamo meditare, non senza rinnovato compiacimento, questa breve quanto meravigliosa promessa "tu pensa a Me, Io penso a tè - cioè mi preoccupo di tè": parole che dovettero influire non poco sul desiderio di preghiera che così spesso infiammava Giovanni Cesone. Anche nel giudizio sulle persone Cesone manifesta un criterio profondamente cristiano, che prende le mosse dalla qualità delle intenzioni. Nell'età moderna i pregi dell'uomo sono stati spesso valutati con criteri biologici o economici, ma dai colloqui con Fr. Teodoreto emerge invece la precedenza di un altro metro, basato sull'introspezione del cuore, per la quale, secondo l'antica tradizione monastica, va privilegiato il punto di vista divino, l'attaccamento o meno alla Causa della Croce. Per il resto, in quest'ottica, lo stato esistenziale conta assai poco; il fatto che si sia sposati o meno, congregati o zelatori, è relativo, ciò che importa soprattutto è la l'affinità con le vocazioni e i carismi dell'Unione " Per esempio Serra Mario è molto vicino allo spirito dell'Unione anche se sposato … noi facciamo delle distinzioni: congregati, anziani, ma il Signore guarda ai cuori, vede i cuori " ( Colloqui, pag. 14 ). Il cristianesimo ribalta tutti i comuni metri di giudizio: intelligenza, bellezza, successo vengono sostituiti da umiltà, carità, donazione. Oggi più che mai non si può barare sugli aspetti scomodi e apparentemente "asociali" della dottrina cristiana: stare vicini allo spirito dell'Unione significa anche imparare a remare contro gli pseudovalori laicisti che insegnano falsi amori, falsi sogni, false libertà. Nell'Unione, insomma, la visione del mondo risulta rovesciata: quest'inversione di giudizio può determinare la "controrivoluzione" dei cuori puri decisi a convertire quelli di pietra. È, dunque, la riforma del mondo annunciata da Fra Leopoldo. Da altre riflessioni desunte dai colloqui con Fra Teodoreto si può trarre anche qualche spunto di riflessione sull'origine divina dell'ispirazione e dell'attività catechistica. Nel 1946, durante una malattia che lo costringeva a letto, Fr. Teodoreto confida a Cesone il contenuto di una sua illuminazione mistica: " mediante una luce speciale ho capito che tutto parte dal Cuore Sacratissimo di Gesù … tutto parte dal Cuore Sacratissimo di Gesù " ( Colloqui, pag. 16 ). Riferendosi poi ad un anniversario salesiano aggiunge "Anche voi fate bene, se non con grandi mezzi, almeno con grandi ideali". Siamo ormai nel 1946, l'epoca di don Bosco e del teologo Murialdo è passata da un pezzo, eppure il molo attribuito all'interpretazione mistica dell'agire cristiano è ancora assolutamente centrale: la fornace che forgia buoni catechisti è la stessa di sempre, è il cuore ardente di Gesù. Cesone annota questi appelli e queste esortazioni quasi a non voler dimenticare l'origine e la finalità del suo cammino, che poi peraltro coincidono. Nell'Unione, l'Alfa e l'Omega dell'apostolato convergono nella dimensione soprannaturale: la Casa di Carità, le donazioni, i terreni, i progetti sono solo un mezzo per traghettare le vittime dell' "indifferentismo" religioso verso "cieli nuovi" e "terre nuove", in questo modo le disavventure temporali passano in secondo piano, o meglio vengono inquadrate nella loro giusta prospettiva. Riguardo alla spiacevole vicenda di Villa Nicolas, prima ceduta in affitto ai Catechisti e poi fatta sgombrare, Fr. Teodoreto trae una curiosa lezione di antiburocrazia: " Ciò dimostra … che coi Fratelli sarà meglio trattare alla buona senza contratti. Il contratto della Villa non ci ha dato che dispiaceri e noia " ( Colloqui, pag. 18 ). L'approccio burocratico ai problemi dell'Apostolato può ingenerare spiacevoli equivoci, rischia di raffreddare il modo di porsi rispetto ai doveri della missione, spinge i Catechisti a sottovalutare il comando della carità, privilegiando la giustizia cartacea. Se il Fratello scarica le colpe sulla cattiva qualità umana dei rapporti basati sugli incartamenti e i moduli notarili, Cesone, dal canto suo, scalpita non poco per "l'affronto dello sfratto" e insiste nel rilevare la posizione di spiacevole disagio in cui è stata posta suo malgrado l'Unione. Di fronte al perentorio ordine di trasloco Fr. Teodoreto, tralasciando ogni possibile intervento presso il direttore del Collegio, consiglia a Cesone l'infallibile scelta dell'obbedienza: " L'ubbidienza è la via più sicura " ( pag. 18 ). I colloqui ci rivelano anche il grande scrupolo col quale Giovanni Cesone conduceva i suoi affari: ad esempio, dopo la rinuncia al tempio di Villa Nicolas, egli riceve un'offerta di 700 lire destinate, guarda a caso, proprio alla Chiesa del Crocifisso: viste le circostanze, potrebbe convogliare quel denaro su altri fondi, ma preferisce consultare in via preventiva il Fratello. In queste pagine si palesa pure quella che Fr. Teodoreto definisce senza mezzi termini una "tentazione del demonio", ossia il desiderio a lungo represso di acquisire una totale indipendenza dai Fratelli, in modo da evitare quella sorta di sottomissione ufficiosa che i Catechisti dovevano tributare ai figli del La Salle. Molti giudicavano intollerabile questa specie di tutela operativa, a motivo della quale troppo spesso bisognava ridursi a chiedere il beneplacito dei Fratelli per intraprendere questa o quella attività. Fr. Teodoreto reagisce con durezza a simili intolleranze, arrivando ad evocare le insidie del demonio e a paventare, in caso di divorzio dai Fratelli, la dissoluzione dell'Unione. Qual'è il pensiero di Cesone in materia? Difficile affermarlo con certezza: da una parte manifesta per i Fratelli il massimo rispetto e una grande considerazione, dall'altra non si nasconde che le "molteplici incomprensioni" come diceva lui " fanno pensare a più di uno che le due istituzioni siano fatte per vivere separatamente " ( Colloqui, pag. 26/607 ). Alle incomprensioni in ambito organizzativo, si assommano quelle di carattere finanziario, in quanto si verificano "errate interpretazioni delle deliberazioni" e una scarsa coordinazione tra i vari gruppi dell'Unione. Verrà così mensilmente convocata una riunione dove si discuteranno le proposte di carattere economico di tutti i consiglieri ed il cui fine sarà appunto quello di "unire i cuori e affiatare i vari gruppi dell'Unione" ( pag. 28 ). Ad un certo punto sorgono problemi anche sulle cosiddette "risorse umane": nel 1928 ad esempio il Direttore del "La Salle" chiede con forza di riavere a disposizione il Catechista Ughetto che evidentemente ricopriva già da tempo nell'Unione un molo piuttosto importante. Si parla della cessione del Catechista come di cosa da farsi "in via eccezionale". Dunque, le difficoltà non mancano, tuttavia Cesone e Fr. Teodoreto si impegnano sempre a smorzare i contrasti in modo da evitare che i saltuari problemi potessero diventare motivo di gravi disillusioni o peggio ancora di devastanti diserzioni. Bisogna anche far fronte a pericolose infiltrazioni che minacciano la purezza morale dell'Opera: in un sogno, risalente al maggio 1918, Cesone riceve da G.B. La Salle l'ispirazione a liberarsi della zizzania che infesta l'Unione. Di lì a poco si confida con Fr. Teodoreto, il quale gli fa un nome ben preciso, sostenendo che la tal persona non è quel che dice di essere e bisogna pregare per lui. Il Fratello prenderà carta e penna per scrivere all'anima provata dalla tentazione, esortandola a non "attaccarsi al cuore" degli altri. I modi misteriosi di questa introspezione psicologica non sono nuovi al Fratello: anche nella biografia curata da Fr. Leone emergono episodi simili, relativi alla cattiva condotta di alcuni novizi che, con loro grande sorpresa, vengono redarguiti da Fr. Teodoreto circa comportamenti e mancanze di cui nessuno, salvo i diretti interessati, era a conoscenza. I colloqui delineano dunque la figura di un Catechista sempre molto attento ai consigli dei suoi maestri, specie quando questi travalicano il comune buon senso e si richiamano a carismi e illuminazioni particolari. La personalità delineata dagli scritti Anche gli articoli pubblicati sul bollettino dell'Unione sono ricchi di spunti e riflessioni tratti da una visione soprannaturale della realtà quotidiana, che trova nelle confidenze rilasciate a Cesone da Fra Leopoldo e Fr. Teodoreto conferme e spiegazioni preziose per il progresso sulla via della virtù. Nel 1928, ad esempio, ricordando le ultime ore di vita del Segretario del Crocifisso, il Catechista riporta un'interessante riflessione del francescano su Paolo Pio Perazzo, il "santo ferroviere" pioniere del moderno apostolato laico: " Era un'anima bella! … non era compreso da tutti : … si capisce del resto il motivo, egli quando parlava diceva cose spirituali! " ( gen.-mar.1928 ). Le relazioni col mondo ispirate ad ima visione della vita integralmente spirituale, provocano sovente l'esclusione o l'emarginazione dal consesso sociale. Questa amara verità era anche un avvertimento rivolto a tutti i Catechisti che si trovavano a dover operare in contesti professionali spesso ostili ad una scelta di vita che poteva persino precludere carriera e successi, come era avvenuto appunto nel caso di Paolo Pio Perazzo. Nell'estate del 1934 Cesone dedica qualche pagina di approfondimento al tema della riparazione, che insieme alla lotta contro "l'ignoranza religiosa", rappresenta una delle vocazioni fondamentali dei Catechisti. L'articolo è introdotto, come spesso accade negli scritti di Cesone, da un passo del Diario leopoldino: " Dammi, o mio Dio, lo spirito di Penitenza che per tutto il tempo della mia vita non mi lasci sfuggire occasione senza ricavarne copiosi frutti, per la misericordia del Signore " ( mag.-ag. 1934 ). Cesone, molto acutamente, accosta l'invito penitenziale del francescano alle esortazioni che il profeta Giona rivolgeva alla città di Ninive, minacciata dalla collera divina. In quel caso i niniviti dopo molte esitazioni accettarono i consigli del profeta e la penitenza li salvò da un tremendo destino. Il confronto con la situazione italiana del primo dopoguerra è molto più impietosa: a causa del conflitto l'Unione Catechisti ha perso un prezioso membro, Savino Castello, mentre l'Italia ha dovuto contare centinaia di migliaia di vittime ed un numero impressionante di orfani e di mutilati. Cesone si chiede il senso di questo immane dispendio di lacrime e sangue e nel menzionare la giustizia universale tra i popoli, richiamata a suo tempo come causa scatenante della guerra, molto mestamente confronta le due giustizie: quella rivendicata presso i tavoli di pace dei vincitori e quella amministrata dal divino tribunale. " Noi sentimmo e sentiamo la passione della giustizia, ma di fronte a Tè, o Signore, siamo noi giusti? Possiamo noi erigerei a giudici degli altri popoli che Tu, Padre nostro, vuoi che chiamiamo fratelli? " ( mag.-ag. 1934 ). La questione è assai delicata in quanto riguarda il fragile equilibrio che sussiste tra le ragioni fondanti il diritto politico internazionale, che spesso sotto il manto dell'ipocrisia nasconda il livore dei potenti, e la giustizia intima, profonda, genuina che deve abitare nel cuore di ciascun uomo. L'analisi prosegue con interessanti considerazioni sulle intenzioni che devono animare le scelte politiche adottate dai cristiani: anche nei confronti delle politiche assistenziali attuate dal governo a favore dell'istituto familiare, il credente deve domandarsi dove arriva l'interesse grettamente economico ( maggiore peso demografico, maggior numero di contribuenti ) e dove inizia l'autentica difesa della famiglia naturale. Cesone poi recupera il tema cardinale del secolarismo: " Ora, poi, le altre scienze in misura più o meno grande hanno soffocato quei germogli e oggi il nostro corano è il giornale politico, economico, commerciale, letterario … bisogna formare l'italiano integrale cioè convinto e praticante… una vita veramente sublime di riparazione … sarà quella che colla preghiera e col sacrificio costituisca attorno a noi un magnanimo drappello di generosi e di forti, di vittime, se occorre, affinché i castighi del Signore siano allontanati dalla Patria e dal mondo" ( mag-ag. 34 ). In effetti, con l'affermarsi del progresso scientifico, il ruolo dell'insegnamento della religione è stato progressivamente trascurato, quasi si volesse fame materia per bambinetti immaturi e superstiziosi. La preminenza così assunta da materie quantitative, ha condotto ad un costante e preoccupante scoordinamento delle conoscenze umane ormai escluse da ogni relazione col divino, originando una vera e propria mutilazione delle facoltà spirituali. Quest'uomo dimezzato, che è stato privato delle sue aspirazioni più sublimi, non può che assistere inerte al "soffocamento dei germogli" di vita cristiana. Di conseguenza, anche in vista di una sana educazione civica del cittadino italiano, dice Cesone, urge un ritorno all'uomo "integrale" che sappia, col sacrificio e la preghiera, diventare "vittima" di quella purificazione a cui tutte le nazioni devono sottoporsi per allontanare i flagelli divini. In questo modo la giustizia dell'uomo torna a sottomettersi alla giustizia divina e la scienza umana al superiore discernimento del Bene e del Male che solo la religione può assicurare. Un altro argomento che affascina Cesone riguarda modi, luoghi e tempi coi quali "ricaricare" le pile esauste dello spirito. Questa esigenza, santitissima da parte del Catechista, trova un felice anche se momentaneo sviluppo presso la famosa villa Nicolas, dove Cesone credeva di aver finalmente individuato il suo "piccolo romitaggio". L'Unione verrebbe così a trovare, secondo le parole del Catechista, la sua "unione" con Dio nel raccoglimento di un luogo elevato, significativamente situato in una posizione dominante rispetto a quella città, da cui bisogna imparare a distaccarsi. Questo spiega il grande attaccamento di Cesone per Villa Nicolas che riteneva essere il porto da cui sarebbe salpata alla volta del mondo l'azione "vivificatrice" preannunciata da Fra Leopoldo. Cesone torna sul concetto dell'isolamento, parlando di giovani "eremiti": non è un caso. Anche San Francesco insegna che prima di adempiere qualsiasi missione in nome di Gesù e meglio raccogliere le proprie forze nel silenzio della meditazione. Per riaffermare il valore quasi mistico attribuito al complesso di Villa Nicolas, Cesone evoca l'immagine evangelica del monte Tabor, dove di fronte alla Trasfigurazione del Cristo, gli Apostoli vennero invasi da un sentimento di soprannaturale appagamento che li fece sentire come avvolti e protetti da una sorta di agiata familiarità col divino: " Luogo di pace e di quiete che ben si addice alla contemplazione delle cose più alte e che fa ripetere ai catechisti alla fine di ogni ritiro: "Signore, buona cosa è per noi lo stare qui" " ( sett. ott. 34 ). In un articolo intitolato "Catechisti Associati", invece, si sottolinea la necessità di collaborare col clero per favorire l'avvento del Regno di Dio nella dimensione sociale, attraverso l'insegnamento della Religione. Viene sottolineato con forza il legame che unisce i Catechisti associati all'Azione Cattolica, il movimento che Papa Pio XI aveva sostenuto con tanta determinazione. Gli associati vengono detti i "fanti" dell'apostolato cattolico, intendendo così enfatizzare il sentimento di santa riconquista che doveva animarli, ben oltre il semplice dovere dell'insegnamento religioso. Il vivaio di questi Catechisti viene individuato nelle scuole dei Fratelli cristiani dove già a suo tempo Fr. Teodoreto aveva avuto modo di selezionare le prime leve dell'Unione. In modo indiretto, quindi, si ribadisce la centralità della collaborazione tra Fratelli e Catechisti, una collaborazione i cui ingranaggi andavano oliati senza tregua, al fine di produrre gli agognati frutti delle vocazioni. Nella mente di Cesone si profila un percorso molto lineare, in cui distinguiamo dapprima il lavoro propedeutico svolto a scuola dai Fratelli, quindi la scelta degli elementi più promettenti e, infine, la loro opera di catechesi, condotta in simbiosi col clero delle parrocchie. In questo sistema di reciproca assistenza, è essenziale evitare incomprensioni o rotture, che possano inceppare il meccanismo di conversione sociale messo in atto ( mar. apr.1935 ). Nel 1936 Cesone affronta uno dei fondamenti della vita .associativa: l'unità di fine e di mezzi che deve animare l'Unione Catechisti. Questa volta l'articolo prende l'avvio da un passo del Vangelo di San Giovanni nel quale Gesù rivolge un accorato appello al Padre celeste affinché "tutti siano una cosa sola; come tu sei in Me, Padre, ed io in Tè, così anch'essi siano una cosa sola in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato" ( Gv 17,20-21 ). Il testo prosegue identificando in quella accorata preghiera il vincolo che unisce i credenti a Santa Madre Chiesa e questa alla perfetta unità della Trinità. Il riferimento non è fuori luogo, in quanto chiunque abbia avuto esperienza di vita associativa conosce le difficoltà che minacciano la coesione interna dei gruppi: ostilità repressa, umiliazioni, torti subiti e restituiti, ripicche di vario genere si sommano ad una litigiosità che spesso, purtroppo, rappresenta la nota dolente e congenita dei popoli latini. Si avverte la mancanza di uniformità e conformità ai disegni dei Fondatori e in genere anche un'indolenza mascherata nei modi più diversi. Questo indica la mancanza del "fuoco" irradiante e santificante che deve animare le associazioni cattoliche e forse anche una scarsa consapevolezza sui fini particolari e generali che ogni associazione è chiamata a svolgere. Cesone richiama questi obiettivi citando il Regolamento che individua "nell'insegnamento della religione nelle Parrocchie e nelle Scuole" l'attività principe dell'Unione Catechisti, ma aggiunge anche un'osservazione che colpisce al cuore un'altra tendenza congenita a molte associazioni cattoliche, le quali spesso, col pretesto dell'adeguazione ai tempi, manipolano e deformano le stesse finalità per cui sono state fondate sfuggendo così a quella disciplina dei carismi che permette alla Chiesa cattolica di unire tante realtà diverse nell'unico Corpo Mistico: " … la Chiesa, pur conservando la sua perfetta unità, ha dato vita a molti organismi detti Ordini e Congregazioni religiose ai quali comunicò gli stessi suoi caratteri come le madri nostre ci diedero i lineamenti naturali " ( luglio-agosto 1936 ). " Questa ( l'insegnamento della religione ) è la nostra bandiera ed il nostro ideale che se varierà nell'attuazione e nell'estensione non dovrà mai cambiare nella sostanza " ( luglio-agosto 1936 ). Qualsiasi entità amministrativa, economica o statale annienta il suo futuro ogni volta che rinnega il proprio passato: lo stesso impero romano perdendo di vista la sua missione di civiltà ha condannato a morte se stesso. Analogamente, se la "substantia" operativa e soprannaturale che fonda l'Unione viene meno, svanisce anche il senso di una grande missione: questa al contrario può restare viva solo se si è in grado di puntare oltre le piccole sicurezze della vita. "Tutti insieme poi tendiamo alla perfezione": solo così si può aderire "all'anima" dell'Unione. La capacità di coesione è la premessa indispensabile all'azione missionaria vera e propria, che consiste nell' "impermeare la società dello … Spirito", il quale, a sua volta, discende a noi, per l'appunto, dalle Piaghe di Cristo. Ecco spiegata l'apprensione di Giovanni Cesone: quanto più i Catechisti operano uniti come fratelli, tanto più i loro propositi prenderanno forma. " Unitevi! Unitevi! - pare gridi a noi colle sue Piaghe il Divin Salvatore - cercatemi anime, impermeate la società del mio spirito, portate il mio verbo dappertutto …" ( luglio-agosto 1936 ). Pochi mesi dopo la stesura di quest'articolo intitolato "la forza dell'unità", ne viene pubblicato uno analogo dal titolo "la forza della santità" che prende le mosse sempre dal medesimo passo del quarto Vangelo ( Gv 17,20-21 ): questa sequenza di "forze" ci fornisce un'idea del meccanismo mistico intravisto da Cesone. La santità trova nell'unità reciproca tra associati e nell'attaccamento di questi alla Croce di Cristo la condizione necessaria alla sua affermazione e diffusione. L'unità crea quel clima psicologico ( si pensi al cosiddetto "spirito di corpo" e all' "esercito … fervente e unito come i cori dei Beati e degli Angeli" cui accenna Cesone ) che permette all'aspirante Catechista di concentrarsi sulla propria santificazione, senza farsi distrarre da forme sterili di competizione interna. L'ideale proposto - santificare gli altri santificando se stessi - trasforma così l'Unione in una fucina di santi, in una "cosa sacra" secondo le precise indicazioni fomite da Fra Leopoldo nel suo Diario. Ogni altro interesse incepperebbe quella particolare dinamica di eventi che, legando i Catechisti fra loro per poi "incatenarli" alla Croce di Cristo, produce attraverso una mistica "irradiazione" la santificazione delle anime: " Solo la santità può produrre la santità. Lo compresero gli apostoli e tutti si conservarono fedeli nel nome di Cristo alla Verità e comunicarono la loro vita intima alle anime che avvicinarono " ( sett.-dic.1936 ). Nell'estate del 1940 ( stagione tragica vista l'entrata in guerra dell'Italia ) Cesone, quasi intravedendo l'immane sciagura che si stava abbattendo sulla Nazione, scrive un pezzo dal titolo sintomatico "Farce Domine" ( Risparmiaci, o Signore ) in cui affronta un tema scottante, oggi molto trascurato: quello dei "flagelli" divini, rispetto ai quali Fra Leopoldo incoraggiava la recita della Devozione a Gesù Crocifisso. La tesi di fondo dell'articolo insiste sulla modestia degli atti penitenziali richiesti a quanti vogliano scansare le maledizioni del Cielo: in fondo basta un segno reale e concreto di pentimento per rientrare nella grazia del Signore. " Sappiamo che basta una parola di vivo pentimento uscita da un cuore amante e penitente per ottenere un generoso perdono e per sentirsi ripetere come alla Maddalena: "Molto ti è stato perdonato perché molto hai amato ". Ora non ci stupiremo se, ai giorni nostri, così pieni di serie preoccupazioni, ci si invita alla recita della Devozione a Gesù Crocifisso, ricordandoci una solenne promessa che trascriviamo dagli scritti di Fra Leopoldo: "La devozione a Gesù Crocifisso fermerà i flagelli " ( mag.-giu. 1940 ). Segue un'esposizione ragionata in sette punti dell'Adorazione al Crocifisso nell'ambito della quale ogni paragrafo è preceduto dall'invocazione "Parce Domine" che, considerando la drammatica fase storica attraversata dal Paese, rappresenta un preambolo doveroso e diretto a trasformare la preghiera in una sorta di pubblico "esorcismo" in grado di allontanare le calamità della guerra che incombono come un'affilata mannaia sul destino del Paese. Per la verità l'Italia negli anni a venire subirà tremendi flagelli, ma un destino peggiore toccherà a tante nazioni vicine ( pensiamo all'Albania ) che subiranno per anni il peso di una dittatura fanaticamente atea e materialista. In questa prospettiva, possiamo dire, che lo scudo della preghiera ( come accadde al tempo dell'invasione unna ), ha contribuito a salvare l'Italia da un abisso di tragedie e misfatti che anche il regnante Pontefice, nella sua travagliata gioventù, ha ben conosciuto. " Farce domine … Conforta o Signore, gli afflitti, illumina gli erranti, da pensieri di pace ai Reggitori di popoli e a tutti fa che risplenda l'idea della fratellanza umana che tu proclami con mistico silenzio dall'alto della croce. Il mondo è sconvolto, non vorrai abbandonarlo alla deriva dei suoi delitti giacché la tua Divozione è il tuo nuovo mezzo di Redenzione " ( 1940 ). Nel 1942, nel pieno della sciagurata vicenda bellica, sul bollettino appare uno scritto dedicato all'incontro di Fratel Teodoreto con Papa Pio XI. Accompagnato dal teologo Michele Peyron, il Fratello illustra al Pontefice i tre capisaldi dell'azione condotta dai Catechisti - Casa di Carità, Devozione e Messa del Povero - per poi menzionare, alla fine del suo promemoria, la figura di Fra Leopoldo, il ruolo importante avuto dai suoi consigli, dalle sue preghiere ed il processo di beatificazione che lo riguardava. La risposta del Pontefice è concisa, ma molto incoraggiante: " Non vi è apostolato migliore di quello del catechismo, in questi tempi di ignoranza religiosa " ( nov. - dic. 1942 ). Cesone commenta le due sezioni della frase soffermandosi sul concetto di catechismo e ignoranza religiosa. Il primo è il libro della sapienza eterna che va vissuto, più che discusso, nella sua integrità, la seconda è la malattia che affligge la società moderna "gonfia di scienza", ma sempre più digiuna di Religione. Il Papa poi individua due classi privilegiate cui indirizzare il lavoro, la preghiera e il sacrificio dei Catechisti: sono i "piccoli e i poveri", ovvero le categorie più indifese e quindi più esposte al morbo dell'indifferentismo religioso. L'insegnamento del Catechismo viene giudicato il mezzo più efficace per allontanare una volta per sempre le influenze nefaste di una guerra che ha fatto uscire interi popoli dalla grazia di Dio, a causa delle "nostre negazioni ed apostasie" contrarie alle verità della Fede. Anche in questo consiste la missione dei "crociati del Catechismo": riportare l'Italia ed il mondo sotto il manto protettivo della grazia celeste. Come si può notare Cesone usa argomentazioni "forti" che denunciano un criterio di giudizio squisitamente soprannaturale e che spiccano, visti i controlli del regime fascista sulla stampa, per la condanna netta di negazioni e apostasie che, a giudicare da quel "nostre", sicuramente fanno riferimento, senza distinzioni di sorta, a tutte le ideologie totalitarie che in quegli anni agitavano gli animi degli italiani. La riparazione pro-pace diventa il tema centrale di un altro articolo apparso nel medesimo anno ( 1942 ); anche qui emerge con forza la consapevolezza di un dovere "mistico" che cade sulle spalle dei Catechisti, ogni qual volta la collettività cade vittima di grandi sciagure storielle, morali o naturali. " Iniziativa di preghiere riparatrici solennemente propugnata dai membri dell'Unione il Venerdì santo 1941. La cosa … potrà lasciare indifferenti gli scettici, i pavidi ed i superficiali, ma non gli amanti di Gesù Crocifisso. Per essi, e solo per essi trascriviamo dal diario spirituale di fra Leopoldo le seguenti poche parole … Era il 30 aprile 1915 … la bufera della guerra infuriava ovunque e vi faceva pesare sulla nostra diletta Patria un'ora tremendamente grave … Quante famiglie si erano rivolte a lui! Quante madri! Quante spose e quanti soldati! A lui povero cuoco perché pregasse … Gesù Crocifisso a lui affidava la grande missione "Dirai ai Torinesi che io voglio loro bene; ed essi vogliono essere per me? " ( gen. - apr. 1942 ). Segue una preghiera direttamente rivolta a fra Leopoldo, affinché ottenga per i Catechisti i segni di un "bene" prezioso, duraturo, autentico. È un tema questo dello scontro tra bene effimero e bene evangelico che abbiamo già esaminato in altra sede e che qui emerge in maniera chiarissima alla mente di Cesone: " Rispondi Fra Leopoldo; tu dal cielo vedi i nostri cuori, il nostro ardente desiderio di vedere il trionfo della croce, non un trionfo effimero, ma un trionfo fatto di opere di penitenza … indizio di un bene duraturo … tu vedi, o fra Leopoldo, i Catechisti del tuo Gesù Crocifisso come si prodigano. Ma son pochi, son deboli … Ottieni loro una Fede sempre più viva, uno spirito di rinuncia e di povertà sempre più grande, perché anche le loro anime diventino plastiche, docili strumenti in mano all'Onnipotente. Rispondi o Fra Leopoldo per i nostri Zelatori e Zelatrici … che non contano ormai più i sacrifici, le donazioni, gli atti di dedizione al Signore " ( gen. - apr. 1942 ). Qui oltre a sottolineare il valore speciale del "bene" di origine soprannaturale che rappresenta, in un certo senso, il prodotto finale di tutta l'attività catechistica, si insiste su altri temi familiari alla spiritualità di Fr. Teodoreto: la povertà di spirito, l'umiltà della rinuncia, la docilità allo Spirito di Dio, e soprattutto la "donazione" del sé al Signore, argomento che aveva ispirato al Fratello un fondamentale articolo apparso sul bollettino nel 1939: " Dio vuole che il cristiano, appena giunto all'età della ragione, si dia e si consacri a Lui con tutto il cuore … Ma purtroppo sono pochi i cristiani che giunti al momento in cui cominciano a conoscersi e a riflettere, fanno a Dio una donazione completa di se stessi… Fra Leopoldo invece "si è dato a Dio completamente, senza riserve " mentre molti cristiani "si credono in diritto di disporre di sé stessi e ritengono che Dio non esiga una dipendenza completa" " ( lug.- ag. 1939 ). Nel 1946 all'indomani di un conflitto disastroso, le cui conseguenze pesano ancora come un macigno sulla coscienza storica della nazione italiana, viene indetta a Torino, in modo ufficiale, la prima Giornata del Crocifisso che forse meglio di tante altre iniziative esprimeva la volontà di espiazione e rinascita di un popolo che era stato tanto offeso nei suoi sentimenti più profondi. " Troppe ragioni ci inducono a tornare alla sorgente del cristianesimo, a Gesù morente sulla Croce, per fronteggiare il marasma dell'ateismo che sta sferrando attacchi su attacchi alla nostra fede che deve mostrarsi all'altezza dei bisogni dell'ora che volge … O il mondo ritornerà a Gesù Crocifisso o l'ateismo più feroce farà strage di ogni residuo di civiltà cristiana … senza il Crocifisso non vi può essere che il materialismo, il libertinaggio e la disonestà " ( gen. apr. 46 ). Queste parole non hanno bisogno di commento, poiché esprimono una tale chiarezza d'intenti che si possono definire quasi programmatiche. Da dove veniamo, dove andiamo? Cesone sembra voler applicare questo interrogativo ai Catechisti. E la risposta è spudoratamente poco diplomatica: ritornare alla Croce, per marciare contro il materialismo. Dopo la sfida lanciata ai primi del secolo dal modernismo, è il materialismo, nelle sue molteplici sfaccettature comuniste, consumistiche e libertarie ad alimentare l'odio per la Chiesa, i Sacramenti ed in genere la visione soprannaturale delle vicende umane. Nella contemplazione del Crocifisso, Cesone attende l'illuminazione e la fortificazione delle anime che sono chiamate a contrastare lo sfilacciamento dell'ordine morale, in simili iniziative, quindi, l'Unione spera di attestare alla città di Torino e al mondo, il radicale bisogno di nutrimento spirituale che ogni società, per quanto avanzata possa essere, deve poter assicurare alle nuove generazioni se non vuole cadere in pericolosi e irreversibili processi di decadenza etica e civile. L'interazione con la parrocchia è invece il fulcro di uno scritto del 1947, nel quale, parlando delle "Giornate del Crocifisso", vengono ripresi due concetti già cari alla spiritualità di Fr. Teodoreto. Ovvero, il Crocifisso inteso come "sorgente" del cristianesimo e la tensione ad "irradiare e permeare" le parrocchie con lo strumento dell'Unione. Nel secondo caso Cesone ricorre ad un termine piuttosto sintomatico: "movimento". Lungi da una visione statica e burocratica della missione catechistica, egli sottolinea la necessità di smuovere quasi fisicamente l'inerzia dell'indifferentismo religioso "avvicinando" con l'attività parrocchiale e varie iniziative, quali ad esempio, le "Giornate del Crocifisso", "il popolo alla Passione di Gesù da cui è venuta al mondo la salvezza ed ogni civiltà" ( gen-giu. 47 ). Da notare, che, ancora una volta Cesone collega il momento spirituale della devozione a quello dello sviluppo civile e sociale. Si sottintende, insomma, un effetto a cascata che porta gli uomini dalla purificazione morale al progresso civile. Questa visione della storia è quanto di più scandaloso si possa opporre al progressismo illuminista, secondo il quale, al contrario, ogni progresso nascerebbe grazie all'emancipazione dalle superstizioni religiose. Vengono in mente i libri dei Re dell'antico Israele, dove di ogni monarca viene discusso il maggiore o minore attaccamento alla legge di Dio e se ne fa discendere la salvezza morale e temporale del Regno. Questa prospettiva storica oggi verrebbe sprezzantemente definita come primitiva e tribale: in verità, dall'editto di Teodosio del 380 anche l'Italia, attraverso la comunità ecclesiale, fa parte del nuovo regno di Davide e stando così le cose sarebbe davvero ora di pensare che prima di avviare le riforme statali è necessario procedere alla riforma ulteriore dell'uomo. La legislazione umana è, infatti, inetta a trasformare il carattere dell'individuo. Per Cesone quest'azione di rinnovamento morale e civile può essere innescata dai Catechisti a partire dalle parrocchie. In occasione della posa della prima pietra della Casa di Carità Arti e Mestieri, emerge invece un'altra esigenza fondamentale che viene formalmente convalidata dalle parole pronunciate in quell'occasione dal cardinale Maurilio Fossati, il quale: " Ricorda d'aver letto un accorato messaggio di un vescovo missionario che invoca con insistenza l'aiuto dei catechisti nella sua missione per … attuare un'efficace opera di penetrazione nelle famiglie " ( 26 giugno 1947 ). Stupisce che sia proprio un esterno, per di più un vescovo, a suggerire ai Catechisti un'azione su scala mondiale. Più di 50 anni fa veniva così ventilata una stretta collaborazione tra laici Catechisti e sacerdoti missionari: l'attualità del progetto vista e considerata l'esplosione di sette di ogni genere in Africa e Sudamerica non può non passare inosservata, anche se sul momento, nel 1947, le priorità erano altre: "… molti siano gli operai che, formati dai Catechisti, sappiano portare la loro fede negli stabilimenti … questa è la vera opera di ricostruzione, più necessaria di quella delle nostre case distrutte, perché senza fondamento morale la società non può vivere … ". Nel clima emergenziale del secondo dopoguerra la rifondazione morale della Nazione ha il sopravvento su tutto, persino sulla pressante necessità di ricostruire materialmente case ed abitazioni. Il tono profondamente "soprannaturalizzato" di questi discorsi ci da il polso di un clima spiritualmente "forte", che paradossalmente, era emerso dalle macerie di uno degli eventi più devastanti che l'Italia avesse mai dovuto affrontare. Giovanni Cesone: Presente! Fa quasi impressione e un po' di tenerezza osservare la foto commemorativa del primo ritiro spirituale del 1914. Quei cravattini stretti stretti, quei curiosi cappelli da film muto, quegli stendardi pieni di svolazzi e frange, ci portano alla preistoria dell'Unione, eppure fanno parte della vita vissuta di uomini che fino agli anni sessanta del secolo scorso parteciparono attivamente alla crescita morale e materiale dell'Istituto. Tra quel mitico 1914 ed il fatidico 1950, anno d'inaugurazione della nuova Casa di Carità, erano trascorsi ben 36 anni, e dal punto di vista storico si erano verificati gli avvenimenti più qualificanti di tutto il XX secolo. La fine della belle epoque, la Grande Guerra, l'avvento dei regimi totalitari, il secondo conflitto mondiale e l'inizio della guerra fredda ( conclusasi solo nel 1989 ). È successo di tutto: ciò nonostante lo sviluppo dell'Unione ha proseguito nel suo lento ma inesorabile cammino annunciato da Fra Leopoldo. Ebbene ciò è stato possibile grazie alla coriacea caparbietà di uomini modesti, umili, perfino ingenui in certe loro pretese, ma sempre profondamente convinti di contribuire alla crescita di una "cosa sacra". L'affinità di temperamento che legava Fra Leopoldo a Giovanni Cesone derivava certamente da quella "fanciullesca umiltà" che rendeva i loro modi gradevolmente simpatici e accattivanti. Oltre a questa innegabile qualità, c'era anche un altro fattore che li accomunava: la naturale bontà dei sentimenti, mai offuscata da ipocrisie e sottigliezze. Questo patrimonio di "bene duraturo" - per usare un'espressione di Cesone - religiosamente custodito nei loro cuori attraverso la preghiera, è stato il combustibile sacro che ha permesso all'Unione di alimentare la "fiamma" dell'apostolato. Ed è appunto l'apprensione per questa fiamma che spiega l'attivismo del "pupillo" di Fr. Teodoreto: la sua presenza costante tra zelatori e catechisti era diretta a riattizzare, ove ce ne fosse bisogno, il calore della fede. Voleva essere sempre in mezzo all'Unione "viva", quella fatta di uomini e donne oranti, per tastare il polso della situazione, per saggiare la tempra dei nuovi arrivati. Abbiamo detto che passava le giornate in cerca di nuovi e vecchi benefattori, ma abbiamo anche visto quanto fosse poco attratto dalle speculazioni finanziarie. Perché? Semplice: queste, come la paglia buttata nel caminetto, potevano causare qualche improvvisa vampata, ma non rendevano tanto quanto i vecchi ceppi capaci di ardere per delle notti intere. E di notti l'Unione ne attraversò parecchie ( si pensi al biennio 1920-21 od ai problemi sorti con la GLAC nei primi anni cinquanta ). L'Economo con l'animo di fanciullo aspirava soprattutto a formare, attraverso la sua presenza militante e vigilante, degli ottimi Catechisti, capaci cioè di ardere per la causa del Crocifisso. Questo atteggiamento non derivava da una visione "romantica" o irreale dell'apostolato cattolico, bensì da una corrispondenza totale e "senza riserve" alla chiamata del Signore: Cesone, giovanissima recluta al tempo della prima "leva" selezionata da Fr. Teodoreto, è letteralmente invecchiato sul campo della "buona battaglia" ( 2 Tm 4,7 ). La sua fedeltà merita il rispetto e la riconoscenza dovuta agli autentici soldati di Cristo.