Unione/Catechisti/DemariaC/DemariaC.txt Un ricordo del Catechista Carlo Demaria Tra le cose che sembrano meno conciliabili con l'apostolato cristiano spicca senz'altro la scienza contabile. Non sono pochi, anche negli ambienti cattolici, quelli che guardano con sospetto gli esperti in materie economiche. I sospetti aumentano quando entrano in campo gli specialisti nelle operazioni di Borsa. Si pensa subito a speculazioni, aggiotaggi, tassi usurari. Ebbene nella storia della Chiesa torinese dove abbondano vocazioni di tutt'altra natura, la vita e l'opera del Dott. Carlo Demaria costituiscono una clamorosa smentita di certi luoghi comuni. Questo illustre Catechista dell'Unione, dottore in economia, dirigente di un ufficio finanziario, docente di matematica ecc. può, di primo acchito, suscitare una certa soggezione, dovuta ai suoi innegabili meriti professionali. Anzi, a dire il vero, i personaggi troppo "perfetti" provocano, talvolta, reazioni di antipatia nella gente comune. Ma fu proprio nel campo dei rapporti umani che Demaria dimostrò sempre una gentilezza e finezza di sentimenti tale da garantirgli l'affetto dei più umili, a cominciare da quello degli emarginati che in più occasioni ebbe modo di aiutare personalmente. In quest'uomo tanto "mite e umile di cuore" ( Mt 11,29 ), quanto competente e capace, possiamo forse trovare una delle espressioni migliori di quello spirito che Fratel Teodoreto volle imprimere all'Unione Catechisti, portando fin nel cuore dell'attività professionale il "fuoco" che Cristo diceva di essere venuto ad accendere sulla Terra ( Lc 12,49 ). Una vita in salita Il Dr. Carlo Demaria nacque a Torino l'11 giugno 1901. La famiglia era composta da tre fratelli e due sorelle. Il padre, Prof. Luigi Demaria, era un latinista, insegnava lettere in Seminario e, come spesso accadeva in quei tempi, si dilettava anche a comporre poesie per le grandi occasioni, quali matrimoni, festività ecc.. La sua attività principale, tuttavia, era quella giornalistica che svolgeva presso i più importanti periodici cattolici. Lo stipendio non era certo favoloso, ma sufficiente a sostentare una famiglia composta da sette elementi. La madre di Carlo, Ezilda Leonardo-Mussa era originaria di Castellamonte dove era stata battezzata il 17 dicembre 1858. A ventisette anni, il 30 aprile 1885, aveva sposato il Prof. Luigi Demaria, trasferendosi a Torino. Carlo trascorre la propria infanzia in Borgo Dora, frequentando la scuola elementare di Via La Salle gestita dai Fratelli delle Scuole Cristiane e abbinata a quella di Via delle Resine. La famiglia, a quel tempo, abitava in Corso Napoli: la zona, a chiara vocazione industriale, era stata ravvivata da numerose iniziative cattoliche nate anche grazie all'impegno dei grandi santi sociali torinesi. Carlo, in particolare, coi fratelli Alessandro e Felice, ebbe modo di frequentare l'Oratorio di San Gioacchino e la relativa sede dell'Azione Cattolica. La famiglia del giovane era di modeste condizioni, ma l'educazione di chiara matrice cristiana, permetteva ai fratelli Demaria di crescere in un ambiente pervaso da sani valori morali. La serenità familiare venne interrotta dalla morte di Luigi Demaria, il padre di Carlo, avvenuta il 24 febbraio 1922. Tale evento segna una svolta decisiva nella vita del giovane, costringendolo ad affrontare nuove e gravose responsabilità. In verità già da qualche anno Carlo aveva dovuto mettere da parte le proprie ambizioni accademiche per dedicarsi a problemi ben più immediati. In seguito alle pressanti esigenze familiari, infatti, quando ancora frequentava la scuola di ragioneria, il giovane, dopo un breve tirocinio come fattorino in una banca, era stato costretto a trovarsi un impiego presso l'ufficio di un agente di cambio, il sig. Giubergia. Ostinatamente deciso a conseguire il diploma di ragioneria, dovette conciliare gli orari di studio con quelli del lavoro, sottoponendosi a gravi rinunce. Il fratello maggiore Alessandro, intanto, interrotti gli studi tecnici, aveva trovato lavoro presso la Fiat di Via Cigna e, sposatosi, era andato a vivere per proprio conto. Il resto della famiglia, nel frattempo, si era trasferito in via Baltea 29 ( Barriera di Milano ): qui, a poco più di vent'anni, il giovane Carlo era diventato il nuovo capofamiglia, ma la situazione non poteva certo definirsi prospera e felice. Margherita e Maria, le due sorelle, erano affette, sin dalla nascita, da gravi patologie: una era soggetta ad un disturbo cronico della vista che la rendeva quasi cieca, l'altra era poliomielitica. Ovviamente non si sarebbero mai sposate ed, in tempi in cui l'assistenza dello Stato scarseggiava, il loro mantenimento economico e sanitario costituiva un problema non indifferente. Dopo la morte della Signora Ezilda, Felice, il fratello minore di Carlo, si trasferisce temporaneamente presso la famiglia di Alessandro, il fratello maggiore: nel 1943 anche Felice trova moglie e si sistema. Di conseguenza tocca a Carlo, rimasto celibe, occuparsi delle sorelle malate e in particolare di quella poliomielitica che era sempre motivo di grande apprensione: come confermato dai parenti ancora in vita la poveretta "fu accudita con amore fino alla fine" ( Sig.ra Salomone ). Curandola personalmente Carlo conobbe il senso cristiano della sofferenza, abbinando al naturale affetto fraterno quella paziente sollecitudine che i malati cronici richiedono. Quella tragica esperienza familiare era stata una dura scuola di apostolato ispirato allo spirito di sacrificio e alla carità cristiana. Le due sorelle verranno a mancare nel 1949 e nel 1953. Nonostante la difficile situazione personale Carlo riuscì a proseguire gli studi: ottenuto il diploma di ragioneria, si iscrisse all'Università, conseguendo nel 1942 la laurea in Economia e Commercio. In base ad una nuova legge, che negava ai non laureati l'iscrizione all'Albo degli Agenti di Cambio, Carlo non avrebbe più potuto vantare i titoli necessari per lo svolgimento della sua professione. In questo senso gli studi universitari, più che un vezzo, furono per lui un obbligo. Questo periodo di transizione è caratterizzato anche da un nuovo impiego nella sezione amministrativa della Nebiolo, una ditta meccanica specializzata nella produzione di macchine per la stampa. Intanto, il signor Giubergia, da buon principale, intuendo le doti del suo ex-dipendente, aveva segnalato quel volenteroso impiegato ad un suo cliente, un alto dirigente della STET ( antenata dell'attuale Telecom ). Nel 1951 avviene l'assunzione: Carlo diviene responsabile dell'Ufficio Azioni STET di Torino, occupandosi di un settore finanziario legato allo scambio dei titoli in Borsa. Era certamente un incarico di prestigio e ben retribuito. La sua posizione di dirigente verrà confermata con l'iscrizione all'albo dei Revisori dei Conti. Le sue preziose capacità organizzative, il puntiglio, l'impegno esemplare lo fecero stimare ben presto da tutti i colleghi. Fede e competenza tecnica Spesso, si attardava in ufficio, ben oltre i consueti orari di lavoro, verificando che tutti i lavori fossero stati eseguiti in maniera inappuntabile: prendeva queste precauzioni per evitare che, all'indomani, qualche improvvisa "magagna" potesse mettere nei guai i colleghi più giovani ed inesperti ( Sig.ra Salomone ). Evidentemente, teneva molto a mantenere in ufficio un clima di operosa serenità, prevenendo, con sana prudenza cristiana, le situazioni equivoche che avvelenano i rapporti tra dipendenti e superiori. Fu in azienda che Carlo ebbe modo di conoscere Padre Agostino Gandolfo, il noto Gesuita della Chiesa dei SS. Martiri, allora Cappellano della STET, che l'avrebbe assistito spiritualmente fino alla fine dei suoi giorni. Il tempo libero di Carlo Demaria era interamente consacrato all'apostolato e all'insegnamento. Fin da giovane, insieme al fratello Alessandro, aveva svolto lezioni di Catechismo: si era dedicato con costanza a questo impegno e nella maturità si sarebbe occupato in particolare dei ragazzi della Parrocchia di S. Giuseppe Cottolengo, nell'allora periferia torinese. All'impegno catechistico alternava quello assistenziale. Trascorreva le domeniche con i barboni della Messa del Povero: quest'iniziativa, tuttora viva, consisteva nella assistenza settimanale agli sbandati della città. Ogni domenica, duecento, trecento barboni, venivano lavati, sbarbati e sfamati da alcuni volontari. A Torino la Messa del Povero contava su due o tre punti di ristoro: ricordiamo la sede gestita dalle Suore dell'Opera Pia Lotteri di Via Villa della Regina, la sede di Via Colombini ed il ricovero comunale di Via Moncrivello, situato presso alcuni capannoni militari in disuso risalenti alla I Guerra Mondiale ( pur tra mille traversie la Messa del Povero resiste gagliardamente ancora oggi in Largo Tabacchi ). Alla Messa del Povero l'alto dirigente della STET non si vergognava di applicare i suoi molti talenti a compiti umilissimi come il taglio della barba e altre analoghe mansioni che apparivano in stridente contrasto col suo status sociale ( Suor Vincenza Caselli ). Tutto questo, evidentemente, non bastava ad esaurire la solida e concreta laboriosità di Carlo Demaria. Il Nostro decide così di tuffarsi nell'attività scolastica. Il primo contatto con gli ambienti della Casa di Carità avviene presso la Parrocchia di Nostra Signora della Pace intorno al 1925. Con l'anno scolastico 1929-1930 inizia ufficialmente l'attività didattica: Carlo, per ovvi motivi d'ufficio, seguirà i ragazzi dei corsi serali dedicandosi prevalentemente all'insegnamento della matematica; gli ultimi anni invece lo vedranno concentrarsi su materie meno tecniche, come Religione e Cultura. Demaria prese molto sul serio l'impegno assunto con la Casa di Carità: in breve tempo conseguì, infatti, l'abilitazione alla docenza e l'iscrizione all'albo degli insegnanti. Il suo stile didattico era improntato alla chiarezza e all'efficacia espositiva. A differenza di tanti guru della pedagogia post-modema aveva un'unica preoccupazione: essere compreso. La sua missione consisteva nell'inculcare metodi di apprendimento utili alla soluzione dei problemi immediati. "Aveva un modo di spiegare - dicevano i suoi allievi di matematica - che faceva entrare le cose nella testa senza tanti bla, bla, bla" ( Sig. Prono, ex allievo della Casa di Carità di via Feletto ). Accompagnava inoltre le scolaresche in visita al Cottolengo, intendendo così spiegare agli allievi come nulla nella vita, a cominciare dal dono della salute, possa essere dato per scontato. L'attività didattica del Demaria, come quella di tutti gli altri colleghi della Casa di Carità, era assolutamente gratuita e non retribuita: il Catechista infatti intendeva l'insegnamento come una vera e propria missione "intra moenia", un'opera da attuarsi nella propria città, nel proprio quartiere, nel proprio ambiente, ma con lo stesso spirito con cui i missionari educavano i giovani di Paesi esotici e lontani. Per Carlo Demaria i quartieri industriali di Torino erano realmente Terra di Missione. Il tempo, però, non gli bastava mai in quanto troppo spesso, dopo otto ore di duro lavoro, si recava a scuola col pensiero fisso di dover tornare alla sera in ufficio per verificare, come detto, che tutto fosse in ordine. Questo orario tiranno gli pesava parecchio, così, un giorno, uscendo dalla Casa di Carità di Via Brin, al termine di un' Adunanza, manifestò all'attuale Presidente dell'Unione Catechisti una sua segreta speranza: "Una volta in pensione, intendo dedicarmi completamente alla Casa di Carità". Purtroppo questo desiderio di dedizione "a tempo pieno" rimase, per una serie di tragiche circostanze, inappagato: ciononostante, grazie ad una fede profonda e consapevole non smetteva mai di considerarsi come un missionario in giacca e cravatta, temporaneamente prestato alla STET, ma sempre più proteso con la mente e col cuore all'apostolato giovanile. Aveva, insomma, profondamente interiorizzato l'ammonimento paolino sulla carità, a cui era stata intitolata, per espresso consiglio di Fra Leopoldo Musso ofm ( 1850-1922 ), la scuola dei suoi ragazzi. Non si trattava di attivismo fine a se stesso: Demaria cercava anche di comunicare una "gentilezza d'animo" che mettesse a proprio agio studenti e colleghi. Nessuna posa professorale: solo la preoccupazione di rendersi utile. Questo era il senso attualissimo della sua testimonianza di carità. Sacrifici e sobrietà si rispecchiavano anche in uno stile di vita spartano: Margherita, la sorella maggiore, amava ricordare che mentre i colleghi della STET viaggiavano su "macchinoni" di lusso" Carlo, testardamente, si ostinava a rimandare l'acquisto dell'auto recandosi in ufficio a piedi ( Sig.ra Salomone ). Demaria praticamente non andava mai in vacanza; d'estate dedicava qualche giorno, con gli altri Catechisti, alle ferie e ai ritiri spirituali ( sovente a Ronco Canavese ); per il resto le uniche occasioni "mondane" erano rappresentate da qualche gita trascorsa in compagnia della famiglia del fratello Alessandro a Collaretto Castelnuovo ( Santuario di S. Elisabetta ). La sua era una forma di ascesi semplice, ma efficace. Alla cuginetta ancora in tenera età, egli amava ripetere "Guarda, Carolina, prendi in considerazione un tuo difetto e poi combattilo per tutto l'anno; eliminato questo passa al successivo e così via di seguito per tutta la vita" ( Sig.ra Salomone ). Gentilezza e bontà d'animo erano le qualità che più impressionavano i suoi interlocutori: uomo di poche parole, non lo si poteva certo definire di carattere chiuso. Diciamo che non amava inflazionare i discorsi con i luoghi comuni della chiacchiera di circostanza. La sua concretezza si manifestava in episodi molto rivelatori. Durante la guerra, nei giorni bui dell'occupazione tedesca, insieme al Cardinal Fossati ed altri giovani attivisti cattolici, percorse più volte i sotterranei di Torino per mettere in salvo i giovani partigiani perseguitati dalla terribili rappresaglie naziste ( Sig.ra Salomone ). Anche il suo impegno presso la Messa del Povero travalicava il semplice volontariato assistenziale: in un'occasione, ad esempio, si adoperò personalmente per arredare la cameretta di uno sbandato. Questi, dopo essere stato abbandonato dalla moglie aveva perso il ben dell'intelletto e trovatesi in mezzo ad una strada era stato costretto a spartire un modesto locale con un altro poveraccio. Avuto il permesso dalla cugina, Carlo affittato un carretto, consegnò ai due indigenti il mobilio che era stato lasciato dalla defunta sorella della madre. In questo modo la spoglia cameretta poté trasformarsi finalmente in un'abitazione civile ( Sig.ra Salomone). Quel povero diseredato, che pranzava quasi sempre al Cottolengo, rimase molto affezionato alla famiglia di Carlo, cercando, con visite saltuarie e piccoli doni, di ripagare un gesto di carità che, in un modo o nell'altro, gli aveva restituito la dignità di essere umano. Per un certo periodo Demaria ospitò in casa anche due aspiranti seminaristi ( Sig.ra Salomone ): aveva molto a cuore, infatti, il problema delle vocazioni, e quando poteva si sforzava di trovare "nuovi operai" per la vigna del Signore; anzi, sovente invitava i suoi stessi familiari a pregare per la buona riuscita delle nuove vocazioni ( Sig.ra Salomone ). In più occasioni, infine, aveva utilizzato la sua posizione per trovare un lavoro a giovani disoccupati. Il profilo morale del personaggio sarebbe incompleto se non rammentassimo che buona parte delle sue retribuzioni finivano in opere di beneficenza. Questa vita cristianamente "integralista" - nei contenuti più che nelle apparenze - fiorì in seguito all'incontro con personalità eccezionali. Oltre alla dura esperienza familiare che lo costrinse a vivere la povertà sulla propria pelle e a risalire con le proprie forze la china del disagio sociale, sembra che, all'origine della sua scelta di vita, ci sia stata, la figura esemplare di Fratel Teodoreto. I primi rapporti col Fratello, probabilmente, risalgono all'adolescenza, quando Carlo frequentava la scuola di Via La Salle. La "carità praticata" dal fondatore dell'Unione Catechisti ha costituito sicuramente un modello d'azione fondamentale, venendo a corroborare, con la sua serena perseveranza, la naturale "compassione" che Carlo doveva nutrire per tutti i giovani studenti-operai ansiosi di diventare parte attiva della società. In questo senso possiamo dire che l'adesione all'Unione Catechisti ha costituito il necessario inquadramento spirituale di una vita che tanti sforzi consacrava, quotidianamente, all'apostolato laicale. Carlo compì il suo noviziato nel 1930 ed emise i primi voti nel 1932 a Chieri; in seguito, nel 1949, formulò i voti perpetui a Castelvecchio, dinanzi al Cardinal Fossati, nell'ambito del primo gruppo che l'Unione Catechisti, dopo l'erezione a Istituto Secolare, aveva preparato per le professioni perpetue. La corretta e rigorosa formazione dei Catechisti costituiva la premessa ideale per una impostazione coerentemente cristiana dell'educazione, se non del recupero, giovanile. Anche se in contesti diversi, il Catechista leggeva negli occhi dei ragazzi di periferia le frustrazioni e i sogni che aveva vissuto lui stesso in prima persona. Questa motivazione "esistenziale", questa tensione di riscatto sociale avevano trovato il giusto incanalamento nella pedagogia cristiana: il successo di tale formula, libera da ogni interpretazione cinica o materialista delle ingiustizie sociali, andava trasmessa ai giovani nei "fatti" della vita. Questo permette di fissare i poli opposti del suo modus vivendi; l'estrema discrezione, se non laconicità, del suo dire e la grandissima intensità del suo operare. Carlo parlava coi fatti: ma il suo era un parlare cristiano, nutrito dalla preghiera. Il tecnico iscritto all'albo dei Revisori di Conti, il docente di matematica, non si stancava mai di esortare i giovani all'adorazione del SS. Crocifisso. Non c'è contraddizione tra Fede e Ragione insegna il regnante Pontefice ( Enciclica "Fides et Ratio" ). Non c'è contraddizione tra competenza tecnica e preghiera: questo insegnava Carlo Demaria. Un "martirio" vivificante Il Nostro trascorre gli ultimi anni di vita in un nuovo appartamento, situato in Via Magenta 50. Il suo martirio si consumò nel segno della malattia: colpito da un male incurabile dovette subire continui interventi per l'aspirazione dell'acqua accumulata nei polmoni in seguito alla pleurite. Quelle operazioni lo angustiavano oltre ogni dire: "È come se mi infliggessero tante pugnalate" diceva ai parenti che si recavano a trovarlo a Pietra Ligure, presso l'Ospedale di Santa Corona, dove era stato ricoverato. Padre Gandolfo lo ricordava in sala mensa seduto all'angolo di un tavolo, confuso tra pazienti di ogni estrazione sociale, ricavandone una grande lezione di umiltà cristiana: "Quanta edificazione mi diede vederlo insieme a persone di condizione sociale tanto inferiore a lui! Pensavo che il Dott. Demaria avesse veramente imparato le grandi lezioni che Gesù ci da dalla Croce". Il calvario durò più di un anno, un anno che egli seppe far fruttare anche in termini di apostolato. I poveri che negli anni aveva tanto favorito non si stancavano di chiedere notizie sulla salute del loro benefattore, pregando per una guarigione miracolosa. Anche in ospedale Carlo si comunicava spesso, trasmettendo al prossimo la forza rigenerante del suo fervore. Grazie a quel mirabile esempio, un vicino di letto dopo un lunghissimo digiuno spirituale si era riaccostato ai Sacramenti della Confessione e della Comunione rendendo grazie al Cielo per quella malattia che gli aveva permesso di ritrovare, dopo tanta desolazione, la speranza. Nella sofferenza Demaria si sforzava di assimilarsi pienamente al Cristo, con effetti davvero edificanti. Durante la degenza ospedaliera non mancarono alcuni momenti di riflessione che, a distanza di tanti anni, ce lo fanno sentire umanamente più vicino. Parlando con un parente giunto a visitarlo, disse: "Fino a quando si tratta di confortare e sostenere a parole i malati è tutto facile … ma quando siamo noi a soffrire allora tutto si complica" ( Sig.ra Salomone ). Pronunciate da una persona così devota, queste parole possono dare un'idea del terribile supplizio che dovette sopportare in quei giorni: la solitudine che si può vivere nell'agonia, momento definitivo e drammatico di confronto con Sorella Morte, può richiamare, infatti la terribile sensazione di abbandono che anche Cristo visse sulla Croce. Padre Agostino Gandolfo sottolinea l'aspetto "provvidenziale" di quella prova estrema cui il Signore l'aveva sottoposto. Una prova destinata a metterne in luce il livello di virtù raggiunta dopo tanto esercizio al sacrificio, ma pure utile a fargli acquisire, dopo le tante sofferenze segrete del cuore, quei meriti eterni che, nell'economia della salvezza, più di tutto servono a raggiungere la definitiva purificazione per l'accesso alle gioie celesti. Carlo Demaria era perfettamente cosciente di questo fatto e, nelle ultime lettere scritte a Padre Gandolfo, questa consapevolezza assume i toni di un testamento spirituale: "Penso a quanto saremo riconoscenti alla nostra umanità che fu compagna fedele della nostra anima e sua degna abitazione. Il ricordo di tutto ciò che ha sofferto e meritato sarà una bella consolazione al termine della nostra carriera mortale" ( 3-9-60 ). In data 6-8-60: "Mi sento molto più animato a soffrire quel tanto che il Divin Padre vorrà, con la sicurezza che alla fine tutto ridonderà alla maggior gloria di Dio" ( 6-8-60 ). "Questi frequenti interventi … mi sembrano tante pugnalate nella schiena. E fino a quando? Lo sa il signore! Si direbbe che egli rinnovi sempre l'acqua e il sangue - leggi pleurite ndr. - perché lo possa versare in unione col sangue e l'acqua sgorgati dal divino Crocifisso e così unito lo possa offrire al Divin Padre per gli stessi fini per i quali N.S. si immola continuamente sugli altari". Qui riemerge con forza un tema caro alla mistica cattolica: la condivisione della Croce mediante l'offerta al Cielo delle proprie sofferenze. L'oblazione del dolore consacrato a Dio testimonia anche una pratica sublime della carità: se prima si donavano ai giovani ( ossia al prossimo ) lavoro e tempo libero, ora molto più drasticamente e direttamente si donano al Signore le sofferenze dell'agonia. Qui l'assimilazione virtuosa al Calvario di Cristo, così presente nella spiritualità francescana di Fra Leopoldo Musso - il propugnatore della nota Adorazione al Crocifisso - diventa realtà vissuta. Il seme lanciato dal frate di Terruggia incomincia a germogliare. Carlo morì il 4 maggio 1961. Due giorni dopo, alle 17,30, il feretro, sostando dinnanzi alla Casa di Carità, venne accolto da una folla di studenti, che, in commosso silenzio, resero all'illustre insegnante l'ultimo omaggio. Il personaggio era stato umanamente "grande", ma così umile nei modi e nelle pretese da lasciare pochi ricordi palpabili: di lui non ci restano, a quanto risulta, ne scritti, ne memorie. Pur tuttavia, ancora nel recente 1996, gli amici e i colleghi rimasti, onoravano la sua memoria con messe di suffragio e generose donazioni. L'eredità morale impressa da Carlo nei loro cuori, evidentemente, non è stata consunta dal tempo, ma ha continuato a brillare fino ai nostri giorni. Il ricordo di quello stile di vita esemplare, come la torcia tenuta in mano da un atleta della fede, va consegnato alle nuove generazioni di Catechisti nella speranza che susciti, nei cuori dubbiosi, il calore della carità cristiana.