Esperienze programmatiche d'una Scuola Professionale

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Primi orientamenti

Articolo apparso nella "Rivista lasalliana" Vol. XXXII fasc. 3 settembre 1958

La « Casa di Carità Arti e Mestieri » ebbe in modi e circostanze straordinarie la sua insegna caratteristica congiuntamente ad altre indicazioni programmatiche tramite il servo di Dio Fra Leopoldo Maria Musso O.F.M., morto in concetto di santità il 27 gennaio 1921.

Una prima realizzazione delle nuove scuole professionali cristiane sfociò nell'attuale Istituto Arti e Mestieri di Torino, retto dai Fratelli delle Scuole cristiane.

Successivamente e precisamente nel 1925, i Catechisti del SS. Crocifisso e di Maria SS. Immacolata, guidati ed incoraggiati dal loro Fondatore, il venerato Fratello Teodoreto delle S.C., iniziarono una scuola festiva gratuita, che si sviluppò più tardi come la seconda ed integrale realizzazione dell'Opera voluta da Gesù Crocifisso, tramite il pio francescano laico.

L'articolo che segue presenta alcuni degli sviluppi più salienti della scuola attuata dai Catechisti.

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Lo sviluppo attuale dell'Opera è stato conseguito in una fiduciosa fedeltà all'insegna caratteristica, in quanto ogni cosa è stata attuata, o perché reputata come direttamente contenuta nel titolo « Casa di Carità Arti e Mestieri », o perché, indicata dalle circostanze, appariva coerentemente opportuna.

La prima prerogativa dell'Opera è stata la gratuità dell'insegnamento, specialmente riaffermata allorché ebbero inizio i corsi diurni, e per di più corsi pratici, e non solo teorici, e perciò maggiormente onerosi.

Trattandosi di aiutare giovani operai a conseguire cose indispensabili sia per la terra che per il Cielo, i Catechisti fin dagli inizi tennero per fermo che la buona volontà era la sola contropartita da richiedersi.

La gratuità non fu di poco giovamento alla più schietta abnegazione degli insegnanti ed alla conseguente fruttuosa applicazione degli allievi.

Se n'ebbero perciò risultati presto notevoli e assai apprezzati tanto dalle famiglie che dalle aziende, nonostante le comprensibili difficoltà iniziali incontrate da insegnanti giovani e inesperti, e nonostante che gli allievi provenissero di frequente da ambienti ammorbati da ideologie nefaste e da costumi assai poco cristiani.

In verità l'Opera nacque gratuita prima ancora di venire contrassegnata come « Casa di Carità », e quasi per naturale fecondità dell'esempio offerto dai Fratelli delle Scuole Cristiane con le scuole elementari e i corsi serali professionali di via delle Rosine.

Ma inalberata l'insegna, la « carità » resa tanto più dominante dal ricordo del commento commovente di Fra Leopoldo - concorse a ribadire la gratuità dell'insegnamento, specialmente allorché - come abbiamo detto ebbero inizio i corsi diurni di qualifica.

Nell'immediato secondo dopo-guerra, i Catechisti, per tenere fede a quel tanto d'indispensabile che loro si palesava per lo sviluppo dell'Opera, intuirono che se la nuova sede in Borgata Vittoria richiedeva per un più pieno impiego l'apertura di corsi diurni, questi avrebbero dovuto essere rivolti all'insegnamento di ben individuati mestieri, tra i più richiesti dalla industria locale.

In sostanza, si trattava di attuare nel campo della scuola di lavoro due sostanziali innovazioni: una di finalità, l'altra di apprezzamento.

La prima consisteva nel superare la generica scuola tecnica statale differenziata solo per settore tecnico, con una scuola di mestieri qualificata per professione o gruppo di professioni affini, in grado cioè d'impartire ai giovani l'effettiva capacità di assolvere compiti di lavoro qualificato.

Naturalmente ogni cosa dovevasi effettuare senza danno alla preparazione tecnica generale, ma aggiungendovi la « professionalità » come ulteriore sviluppo con l'enorme guadagno di un pronto impiego al termine degli studi, senza incertezze e tirocini mortificanti.

Ne sarebbe così conseguita la innovazione di apprezzamento, in quanto si sarebbe in questo modo contribuito a che la scuola fosse non già ricercata come dispensatrice di titoli, quanto piuttosto come fucina di quelle capacità che si richiedono per attendere degnamente al proprio compito nella vita.

Ma se tutto questo è presto detto, come sarebbe stato presto fatto?

Dove mai - infatti - reperire i mezzi ingenti e i programmi che si richiedevano?

come raccogliere il corpo insegnante all'uopo preparato?

le famiglie avrebbero poi scelto, per i figli e oltre il 14° anno di età, una scuola diurna sia pure gratuita, che non offriva se non la prospettiva di « operaio », senza altri riconoscimenti ufficiali che la capacità di lavoro acquisita?

A quel tempo perciò non mancarono all'Unione dubbi e perplessità, complicati da questioni di principio, poiché i Catechisti non costituivano, né costituiscono un'istituzione di insegnanti se non di catechismo: i corsi diurni invece esigevano che, dato il piccolo numero, una buona parte di essi lasciasse ogni altra occupazione per dedicarsi unicamente allo sviluppo di una scuola professionale a ciclo integrale, cioè non più concepita come integrazione tecnica ed educativa da impartirsi dopo il normale orario di lavoro.

Ma l'insegna, indicando e proclamando le « Arti » e i « Mestieri » come impegno di « carità », concorse non poco a stabilire e a confortare il nuovo ordine di cose.

Così ebbero inizio i corsi triennali di qualifica …

Anzi, anche i corsi serali furono gradualmente trasformati in corsi teorico-pratici di qualifica.

Svolti i primi corsi, sperimentati i nuovi programmi derivati per lo più da quelli in uso presso alcune scuole aziendali, i Catechisti ebbero coscienza d'una pericolosa alternativa.

« Ha da essere "scuola-officina" - ci si domandava - o "scuola ed officina" »?

I « tecnici », sottolineando la necessità di aiutare i giovani « a guadagnarsi il pane », propendevano per la « scuola-officina » concepita come luogo dove essenzialmente s'impara un mestiere; gli « umanisti », sostenendo che si dovesse sopra ogni cosa « formare l'uomo », optavano per la scuola da affiancarsi al lavoro, pensando di compensare in classe le presunte inefficienze educative dell'officina.

A questo punto fu proprio la provvidenziale insegna, ritenuta come programmatica, a indicare la via da percorrere.

Infatti l'appellativo di « casa » singolarmente indicava la natura organica della nuova scuola professionale dispiegantesi unitariamente, pur nella diversità di funzioni, proprio in forza del compito specifico che avrebbe dovuto essere in tutto e in ogni cosa tematicamente educativo.

La nuova scuola nei laboratori come nelle aule, nel lavoro come nello studio avrebbe dovuto amorevolmente cooperare la formazione degli allievi in quanto uomini, cittadini e cristiani.

Proprio a somiglianza di ciò che s'attua in famiglia …

Dunque, niente più contrapposizioni o parallelismi tra cultura e lavoro, bensì integrazioni reciproche:

l'educazione avrebbe dovuto svilupparsi principalmente come umanizzazione e santificazione del lavoro, riconoscendolo e integrandolo dinamicamente nella tavola - opportunamente presentata - degli essenziali valori umani e cristiani;

il lavoro a sua volta avrebbe dovuto prodursi come aspetto integrante l'affermazione umana e la professione cristiana dei giovani lavoratori.

Ma quale fosse in effetti il valore pedagogico del lavoro, quali ne fossero i rapporti profondi e i richiami vicendevoli con le altre attività umane e soprattutto con quella religiosa, appena s'intravvedeva.

D'altra parte, l'interpretazione organica del titolo caratteristico, per cui la determinazione « Arti e Mestieri » non risultasse semplicemente aggiunta, ma apparisse davvero come specificante la generica eppur suggestiva indicazione programmatica espressa dall'appellativo « Casa di Carità » esigeva appunto che si appurassero le ragioni e i modi secondo cui il lavoro poteva e doveva considerarsi parte integrante del tipico programma educativo dell'Opera.

Comunque gli scritti di Fra Leopoldo confermavano la via da percorrere.

Infatti proprio per « salvare anime » e « formare nuove generazioni » era richiesta l'apertura di « Case di Carità » nelle quali si sarebbero dovuti « insegnare ai giovani, arti e mestieri ».

Dal che si deduce che il lavoro degli artigiani e degli operai opportunamente inteso e insegnato, doveva considerarsi come l'attività educativa e santificatrice caratterizzante la nuova Opera.

Il venerato Fr. Teodoreto, cercando di cogliere la giustificazione di questa nuova scuola professionale voluta da Gesù Crocifisso, scriverà: « Il Servo di Dio intuì mirabilmente che il nuovo compito degli educatori cristiani sarebbe stato non solo di dare una formazione cristiana alla gioventù operaia, ma di liberare per tal mezzo ogni cuore umano dalla schiavitù della materia mediante la santificazione del lavoro » ( Segretatio Cap 23,1 ).

Dunque uno degli aspetti fondamentali e caratteristici della nuova scuola avrebbe dovuto consistere nel « salvare » per l'eternità e « formare » nel tempo le giovani generazioni « mediante » la santificazione del lavoro.

Ma la santificazione del lavoro richiede che il lavoro possa essere come tale santificabile, cioè includa nella sua essenza propria, una caratteristica « potentia obedientialis » alla vita divina.

Santificare il lavoro è lo stesso che « santificarsi » mediante il lavoro, il che è possibile se la vita divina può innestarvisi in modo che esso possa prodursi come sviluppo della medesima.

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