Esercizi del 3/11/1969

Domenico Conti

Tema: La povertà evangelica

1 - La povertà evangelica
2 - La povertà di Gesù
3 - La povertà evangelica per rapporto alla consacrazione
4 - Tre gradi della povertà
5 - Povertà ed obbedienza
6 - Povertà evangelica e consacrazione secolare e catechistica
7 - Ardente povertà di Gesù
8 - Conclusione

Stamattina mediteremo sulla povertà evangelica e la consacrazione.

Consacrazione è lo stato dell'Unione ed il fondamento della nostra vita catechistica, cioè la risposta alla nostra vocazione.

1 - La povertà evangelica

Parliamo innanzi tutto della povertà evangelica, non di una povertà qualunque vogliamo parlare, non della povertà dei buddisti, non di quella degli stoici, ma della povertà evangelica.

Così la castità perfetta, per i catechisti congregati, e lo spirito di castità perfetta per i catechisti associati concernono e investono tutta la nostra affettività, tutto il nostro tendere "verso", per unirsi "a" ( la nostra affettività non solo sensibile, ma anche spirituale e le potenze generative ), così la povertà riguarda l'avere e la facoltà di avere intesa nel senso più ampio.

La povertà si esercita in ordine all'avere.

La Populorum progressio e la povertà

Tutti ricordiamo quanto si afferma nella " Populorum progressio" circa l'aspirazione di ogni uomo e di ogni popolo: l'aspirazione a conoscere, a fare, ad avere di più per essere di più.

La povertà evangelica si esercita per rapporto all'avere, alla facoltà dell'avere, a tutto l'avere.

Le doti personali intese come "avere"

Prima verso l'avere che è più evidente, più individuabile, cioè l'avere relativo ai beni esteriori e alle condizioni di vita, ma poi anche, e non dimentichiamolo, l'avere relativo al "me", cioè alle doti personali e alle capacità personali e anche alla stessa esistenza personale in quanto avuta.

La povertà è contro l'avere

La povertà è contro la ricchezza, concepita come frutto di avidità, espressione di avidità che implica brama di avere di più, di avere per avere di più, di godere di avere, di fare per l'avere e avere di più, di godere di avere e godere di avere di più.

C'è anche il godere per l'avere di più, l'uso cioè dell'avere.

La povertà è contro la ricchezza come egoistico possesso di beni esteriori e personali.

Egoistico possesso è quello che non si apre all'essere di più, ma si ferma semplicemente all'avere di più, all'uso e godimento di esso: all'avere cioè, in una parola, fine a se stesso.

Questa è la luce in cui bisogna vederla altrimenti la povertà non si capisce.

Cosa comporta la povertà: la fuga

La povertà comporta da un lato la fuga, la rinuncia, lo spogliamento relativo all'avere come avere: la fuga dal fare soltanto per avere sempre di più; la fuga dall'uso, dal godimento dell'avere in quanto avere da un lato; dall'altro lato la povertà richiede di avere, di fare per avere; di usare dell'avere solo per l'essere, per la crescita dell'essere e nell'essere.

Crescita dell'essere nell'Amore

Ma non si ha crescita dell'essere nell'Essere se non si ama l'Essere e se non si ama nell'Essere: cioè se non si ama Dio e in Dio ( Dio che è l'Essere perfettissimo, principio e fine di ogni essere ).

Come vedremo la povertà è per l'amore e l'amore dell'Essere Dio, nell'Essere Dio, di tutti gli altri essere principiati, finalizzati a Dio.

Differenza tra la povertà cristiana e l'"altra" povertà

Ecco la differenza fra la povertà cristiana e le altre povertà!

La povertà rimane ambigua ed equivoca circa i suoi esiti, ambigua circa il fatto che sia valore o disvalore ed equivoca circa i fini; per lo meno equivoca se non è animata e finalizzata dall'Amore per Dio e dall'Amore in Dio, verso tutto ciò che è di Dio e da Dio a cominciare da noi stessi, dal nostro prossimo.

Ecco perché fanno accapponare la pelle certi discorsi sulla Chiesa dei poveri e sulla povertà della Chiesa che mettono in ombra questo fondamento, questa giustificazione.

Gesù è la causa e il modello della povertà

La causa efficiente, la causa che fa essere evangelicamente poveri, la causa esemplare, cioè il modello a cui devono attingere tutte le povertà evangeliche, la causa finale, cioè lo scopo specifico a cui è finalizzata la povertà evangelica è Gesù povero.

È solo in Lui, per Lui e con Lui che possiamo esercitare la povertà, per amore e come amore nell'Essere e quindi negli esseri principiati e finalizzati nell'Essere.

La povertà evangelica è perfezionata dallo Spirito

La povertà evangelica è quella cioè che prende le mosse da Gesù, che è mossa dallo Spirito di Gesù e che raggiunge la sua pienezza, perfezionata dal dono dello Spirito Santo.

Secondo S. Tommaso, questo dono è il dono del timore di Dio che ci porta alla beatitudine dei poveri di spirito; mossa dallo Spirito di Gesù si esercita, questa povertà, per rapporto agli stessi oggetti, agli stessi contenuti e per gli stessi fini della povertà di Gesù e in un modo sempre più vicino a quello di Gesù.

Non esiste un' un'altra povertà evangelica.

2 - La povertà di Gesù

Vediamo ora qual è l'oggetto cioè il contenuto della povertà di Gesù; essa si esercita in relazione all'avere esteriore e all'avere personale.

Povertà di Gesù in relazione alle condizioni di vita

In relazione all'avere esteriore, cioè ai beni e alle condizioni di vita vediamo il Vangelo di Mt 8,19-20: "Uno scriba si avvicinò a Gesù e gli disse; 'Maestro ti seguirò dovunque andrai'.

Gli disse Gesù: le volpi hanno tane e gli uccelli del cielo hanno nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo".

Al giovane ricco sappiamo cosa Gesù dice: "se vuoi essere perfetto va, vendi tutto ciò che hai, dallo ai poveri poi vieni e seguimi".

Ancora, Gesù dirà a tutti: "chi vuoi essere mio discepolo vada, dia tutto ai poveri, rinneghi se stesso (ecco la povertà personale) prenda la sua croce e mi segua".

Quindi la povertà di Gesù si esercita intanto rispetto all'avere relativo ai beni, alle condizioni di vita, tutto in funzione dell'essere, e poi rispetto all'avere come doti, capacità personali.

L'esistenza personale come povertà

La stessa nostra esistenza personale in quanto avuta, è la povertà della croce.

In Lc 10,21 la povertà di Gesù rispetto ai suoi poteri e con le sue prerogative di Figlio di Dio, quando ripieno dello Spirito di Dio, portato dallo Spirito va nel deserto.

Povertà di Cristo in riferimento ai suoi poteri

Il diavolo lo tenta, lo sollecita perché egli eserciti e dimostri il suo avere non per l'essere, ma in quanto avere, mostri le sue prerogative di Figlio di Dio, i suoi poteri di Messia.

La tentazione sta in questo: non quei poteri per l'essere, ma quei poteri per l'avere, il compiacimento a vuoto, senza altro fine che dimostrare che ha.

S. Paolo: avere in noi lo stesso sentire di Gesù

E S. Paolo nell'epistola ai Filippesi ci esorta a non mirare al nostro interesse personale, ma di pensare ciascuno a quello degli altri e poi dice S. Paolo di avere in noi lo stesso sentire che fu in Cristo Gesù.

E vogliamo vedere questo sentire? "Lui, che avendo forma di Dio non riputò una preda l'essere uguale a Dio": in un certo senso essendo lui Figlio "ha": il Figlio è generato dal Padre, cioè ha dal Padre di essere Figlio.

Gesù diviene simile agli uomini

Esinanì invece se stesso prendendo forma di schiavo, divenendo simile agli uomini: si umiliò ancor più facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce.

Ora, maggior rinuncia ( c'è la morte della sua natura umana ), maggior spogliamento dell'avere in funzione dell'essere, e dell'essere degli uomini e dell'Essere primo che è il Padre, non esiste.

Movente della povertà di Gesù: l'amore del Padre

Abbiamo visto i contenuti di questa povertà, l'oggetto, vediamo ora il movente.

È l'amore del Padre che lo muove, ed è l'amore verso il Padre e l'amore che è lo Spirito Santo, che inabita in Gesù.

Difatti abbiamo citato poco fa  S. Luca; spinto dallo Spirito Santo va nel deserto e sostiene quelle tentazioni ed in quel modo.

Quindi il movente è l'amore: l'amore del Padre nell'amore che è lo Spirito, l'amore di Gesù per il Padre nello Spirito e l'amore per gli uomini.

Il fine della povertà di Gesù in S. Paolo

Il fine di questa povertà di Gesù? Lo troviamo nel Nuovo Testamento: per es. nella Epistola ai Filippesi: "Iddio lo esaltò e gli diede un nome che è sopra ogni altro nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi in cielo, in terra nell'inferno ogni lingua confessi che Gesù Cristo è Signore a gloria di Dio. ( Fil 2,10-11 )

A gloria di Dio Padre, manifestazione - conunicazione e per la salvezza degli uomini fatti ad immagine e somiglianza del Padre, cioè dell'essere.

Vediamolo nella 2 Cor 8,9ss quella magnifica sentenza di S. Paolo: "Conoscete infatti l'opera di grazia del Signore nostro Gesù Cristo: per voi egli, ricco com'era, si fece povero per arricchire voi mediante la sua povertà".

Modi della povertà

E qual è il modo di questa povertà? Gratuitamente, totalmente, universalmente, sono i modi della povertà di Gesù nei nostri confronti.

a) Gratuitamente, cioè senza cercare un corrispettivo.

b) Totalmente, senza riserve di nulla: abbiamo visto che arriva fino a esinanire se stesso in quanto uguale a Dio, a prendere la forma di servo e umiliarsi facendosi ubbidiente fino alla morte di croce.

c) Universalmente, c'è un abbraccio per tutti in questa povertà; è per tutti questa povertà; è un modo veramente divino.

3 - La povertà evangelica per rapporto alla consacrazione

Che cosa è la consacrazione

Abbiamo detto il primo giorno, che la consacrazione è un dedicarsi a Dio, un riservarsi per Dio, al fine di essere per Dio e di vivere per Dio e di far vivere per Dio, perché c'è una consacrazione agli uomini in Dio e per Dio.

Modello della consacrazione

È sul modello di Cristo, del Consacrato per eccellenza, archetipo di ogni consacrazione, che si concreta questa consacrazione e si esprime mediante anche la povertà evangelica, proprio per il nostro dedicarci, al fine di essere e vivere "per" Dio e per gli uomini per Dio, che noi pratichiamo la povertà evangelica.

Povertà e consacrazione

Dobbiamo cioè essere poveri in guanto la povertà contribuisce alla nostra consacrazione a Dio e in Dio agli uomini; consacrazione che è essere "per", essere "di" e vivere "per"…

La povertà è in funzione della consacrazione principalmente; subordinatamente la consacrazione è in funzione della povertà, ma solo perché questa a sua volta possa crescere la nostra consacrazione.

L'Essere è l'Amore

È l'Essere l'orizzonte in cui ci dobbiamo muover.

L'Essere, cioè l'Amore, l'amore per l'essere, nell'Essere.

Vediamo l'epistola ai Corinti cosa ha detto S. Paolo: Cantico della carità ( 1 Cor 13,2 ): "E se distribuissi per sfamare i poveri tutti i miei beni, anzi se donassi tutto il mio corpo al fuoco, se non ho la carità a nulla mi serve"; guardate che parla anche della carità relativa all'avere esteriore, all'avere personale, il corpo, la vita; "se non ho la carità a nulla mi serve".

La povertà deve condurre alla consacrazione

Ecco perché sono molto strani quelli che vogliono esercitare la povertà rifuggendo dalla consacrazione in nome di non so che cosa.

E lì sarebbe interessante vedere almeno cosa io riesco a capire della cosi detta secolarizzazione.

È cosa molto strana che uno desideri essere veramente povero e non veda che questo in definitiva lo porta a una consacrazione come impegno stabilmente assunto di "essere per", di "vivere per"; molto strana e molto sospetta.

Deve esserci almeno una consacrazione nella sostanza se non anche nella forma ( perché ogni consacrazione deve avere anche un aspetto formale di carattere pubblico ); è un impegno assunto davanti alla Chiesa, davanti alla Chiesa nella profondità dello spirito, se non negli atti esterni particolari.

Dunque dobbiamo essere poveri in quanto questa povertà contribuisce alla nostra consacrazione a Dio e in Dio alla nostra consacrazione agli uomini.

Ripeto: la povertà in funzione della consacrazione e viceversa, ma solo perché questa maggior povertà possa esprimersi e risultare un accrescimento della nostra consacrazione, del nostro amore effettivo.

4 - Tre gradi della povertà

1° grado della povertà. Passare dall'avere per avere, all'avere per essere: dal fare per avere al fare che sia finalizzato all'essere, dall'uso dell'avere per avere, dal godimento di avere e dell'avere all'avere per essere.

Ciascuno di noi non deve tener nulla né come bene esteriore, né come bene interiore soltanto per avere; non deve fare nulla solo per crescere nell'avere, non deve usare di nulla soltanto per godere di avere e dell'avere, questo è peccato!

Ecco perché risulta che il superfluo lo dobbiamo dare ai poveri.

È qui che ha fondamento la dottrina del superfluo dato ai poveri.

L'avere in funzione dell'Essere

2° grado della povertà. Si tratta di giungere all'avere, al fare ed all'uso e godimento dell'avere solo in funzione dell'Essere.

Non più in funzione nostra e mediatamente noi in funzione dell'Essere e degli altri esseri che vediamo simili a noi e all'Essere che è principio di noi; ma al contrario in funzione dell'Essere.

Prima cioè in funzione di Dio e in Lui e per Lui in funzione del proprio essere.

Cioè dobbiamo avere cura del nostro essere e degli altri esseri secondo la Sua volontà e come Sua volontà.

In ciò dovrebbe consistere l'esercizio abituale della nostra povertà.

Ma poi c'è un livello diremo eroico. Non il primo, che è di tutti i cristiani e della minima condizione per essere cristiani, non il secondo.

Livello eroico della povertà: arrivare al sacrificio del proprio essere

3° grado della povertà. Non dovremmo più tendere all'avere, al fare, all'uso, al godimento dell'avere in funzione dell'essere, ma bisognerebbe giungere allo spogliamento, al dono, al sacrificio per quanto è possibile addirittura del proprio essere per l'Essere, per Dio.

E da Lui e per Lui sacrificarsi per tutti gli altri esseri e anche per noi stessi, ma solo in quanto mossi e guidati da Lui.

Veramente arriviamo a non essere più noi a disporre, ma ci lasciamo disporre da Lui, al quale facciamo inizialmente sacrificio e dono di tutto, della stessa nostra esistenza e chi dovrà muoverci è solo il suo Spirito.

Questa è la beatitudine dei poveri di spirito, prodotta dal dono del timore che perfeziona la virtù infusa della speranza secondo la dottrina di S. Tommaso.

5 - Povertà ed obbedienza

È già in questo senso che la povertà si fa obbedienza "usque ad mortem, mortem autem crucis".

Svalutare la povertà come obbedienza è un grosso equivoco quello in cui si rischia di cadere.

La caricatura della povertà come obbedienza, è quella di chi, avendo un superiore consenziente per motivi giustificati, chiede che gli dia il permesso di usare ciò che vuole.

Se a volte il superiore concede è semplicemente per non mettere in angustia, in tormento, in condizione di peccato grave chi ha contratto un voto; perché intuisce che non c'è la comprensione, ed è dinnanzi ad una situazione particolare per cui è meglio per un equilibrio generale dare piuttosto un permesso che creare una frattura.

È quindi una questione di prudenza del superiore; speriamo che sia illuminata, che non agisca secondo la prudenza della carne, ma agisca secondo quella dello Spirito.

La povertà come obbedienza è una povertà che è fatta di conformità eroica a quella di Gesù, che come culmine della povertà si è fatto obbediente ( pensateci a questo ), non solo spogliandosi Lui di questo e di quello, ma sino all'ultimo.

Ecco come si fa il sacrificio di se stessi: rendendoci obbedienti!

Non c'è altro modo per veramente sacrificare se stessi che donare se stessi.

Questo si è veramente l'eroismo della povertà!

L'altro è una caricatura della povertà.

6 - Povertà evangelica e consacrazione secolare e catechistica

La nostra consacrazione è secolare perché è vissuta non solo nel mondo ma per mezzo del mondo.

È catechistica perché è vissuta mediante la rilevanza catechistica di tutta la nostra vita e atti catechistici tecnicamente  qualificati.

Sviluppo della povertà

Cioè la nostra povertà non è solo praticata nell'ambiente in cui noi viviamo, e intesa come preparatoria accanto alla missione catechistica, ma invece si sviluppa e si nutre e cresce per mezzo del mondo e della nostra qualificazione catechistica.

Spogliamento di noi stessi

Dobbiamo arrivare, attraverso i vari gradi indicati, allo spogliamento di noi stessi attraverso l'obbedienza "usque ad mortem mortem autem crucis" e questo proprio nel nostro impegno nel mondo, nell'assolvimento dei nostri compiti mondani, per amore del mondo in Cristo, Cristo Luce, Cristo Verità.

Dobbiamo quindi trovare nei nostri compiti secolari, nella nostra dedizione agli uomini, nel nostro appartenere al mondo, un alimento per la nostra povertà evangelica e quindi per la nostra consacrazione.

Gli associati e la povertà

Gli associati lo debbono trovare questo alimento, per la loro povertà specificatamente nella vita coniugale e familiare.

Guai se l'associato vive la sua vita coniugale e familiare non accrescendo la sua consacrazione per mezzo del matrimonio e per mezzo della famiglia; in questo caso non accresce la sua povertà secondo i vari gradi che ho detto, nello spirito dell'Unione, e per mezzo anche di una intonazione catechistica di esempio, di attività.

Allora è fuori strada, non ha lo spirito dell'Unione.

Quindi la nostra povertà deve accrescersi nel decidere e nel l'esercitare il nostro impiego professionale.

La povertà catechistica, finalizzata a scopi catechistici, deve vivere, crescere nell'esercizio dei nostri compiti familiari e civili; nel trafficare con le realtà naturali o comunque con le opere dell'uomo, la civiltà dell'uomo.

Con quale spirito accrescere l'essere del mondo

In quanto catechisti siamo più evidentemente chiamati ad accrescere l'essere del mondo, degli uomini, crescendovi l'Essere, crescendovi Gesù luce del mondo, Gesù verità del mondo, ed è secondo questo spirito che dobbiamo aiutare le opere dell'Unione.

La carità intanto è un ordine, l'essere è un ordine, non una confusione!

Ma proprio perché l'Unione compie quella funzione di gruppo, tutto quello che abbiamo, compreso anche il denaro, lo diamo prevalentemente per questo ed è secondo questo spirito che dobbiamo aiutare le opere e lo sviluppo dell'Unione.

Gradi di perfezione e la Regola

Dobbiamo raggiungere quel grado di perfezione per es. adombrato dall' art. 57,2: "evitare gli affari che facilmente generano litigi, le speculazioni e gli impegni lucrosi, che non permettono di partecipare agli esercizi comuni dell'Istituto", oppure all' art. 70,6 "Chiedere al presidente i permessi particolarmente per le cose di qualche importanza, come dedicarsi a studi, a insegnamenti, a lavori straordinari, accettare un impiego, cambiare residenza, accingersi  un viaggio"; oppure l' art. 16: "I Catechisti, quando sono liberi di sé e si sentono mossi dallo spirito apostolico, possono offrirsi - non solo  le loro cose, ma se stessi - al superiori, per andare in qualunque luogo ed estendere sempre più il bene che fa l'istituto".

7 - Ardente povertà di Gesù

In definitiva noi dobbiamo, come la nostra consacrazione secolare catechistica ci impegna, essere imitatori e partecipi di Gesù Cristo e della sua ardente carità nei confronti del mondo.

Dico ardente povertà.

Il povero

Quando noi parliamo della povertà, poco per volta illanguidiamo la figura del povero; è uno che diventa smunto, sbiadito in tutto e per tutto: non questo, non quello, non quest'altro.

E ci dimentichiamo che l'anima della povertà è l'amore e che man mano che aumenta lo spogliamente, cresce l'ardore interiore.

L'amore anima della povertà

Vogliamolo vedere in Gesù questa crescita di ardore, man mano che aumenta lo spogliamente? Lo vediamo smunto.

Vi ricordo i due gridi di Gesù sulla croce; sono gridi potentissimi. S. Matteo li riporta entrambi.

Uno è questo: vediamo la povertà di Gesù come si accompagna con l'ardore, addirittura cresce con un grido sulla croce: "Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?" ( Mt 27,46 )

E che cosa vogliamo di più povero e d'altra parte di più ardente?

E alla fine "Gesù, dopo aver dato ancora un altro grido, spirò" ( Mt 27,50 )

S. Luca dice che quel grido è stato seguito da queste parole: "Padre nelle tue mani rimetto lo spirito mio" - non è povertà? - "ciò detto spirò". ( Lc 23,46 )

Che cosa ci ha dato Gesù

Ricordiamoci che Gesù ci ha dato tutto il suo avere di essere e continua a darcelo nell'Eucaristia.

Per es. ci ha dato come uomo la sua carne immolata, il suo sangue versato, ci ha dato la sua Madre, ci ha dato il suo Spirito a prezzo della sua croce.

Ecco "emisit spiritum" e qui è lo Spirito Santo!

E alla fine ha dato se stesso nell'abbandono del Padre dopo essersi fatto peccato, dopo aver assunto il nostro non essere, essersi fatto in qualche modo non essere e non solo aver rinunciato ad essere.

8 - Conclusione

E allora, concludendo, dobbiamo sì provvedere alla conservazione e all'efficienza del nostro essere mediante un avere proporzionato: attenzione però all'efficienza del nostro essere.

Efficiente per poterlo ancora e sempre più completamente dare questo essere e dare secondo la nostra vocazione secolare e catechistica.

E continueremo a provvedere a questo essere per poterlo dare, finché lo daremo definitivamente e completamente accettando l'impossibilità di conservarlo ancora in questa vita nel momento della morte, ad imitazione di Gesù, partecipando all'offerta di Lui.

E non basta: continueremo questo nostro essere a darlo nella visione beatifica e amantissima di Dio, nel possesso di Dio, dell'Essere che è Dio e lo daremo a gloria Sua e a salvezza degli uomini.

Diventeremo degli intercessori e lo daremo questo nostro essere perché altri sulla terra, in modo particolare, possano servire la povertà del Signore segnatamente nell'Unione e per mezzo dell'Unione.

Questo avverrà se avremo capito che cosa il Signore vuole da noi con la povertà evangelica praticata nell'intimità e come intimità di Gesù Crocifisso!