Lettera N° 67

Torino, aprile 2019

Così Gesù ha sofferto …

Riportiamo qui la descrizione dei dolori di Gesù fatta da un grande studioso francese, il medico dott. Barbet che l'ha redatta sulla scorta dei Vangeli e della Sindone: dà la possibilità di capire realmente i dolori di Gesù durante la sua passione.

Io sono soprattutto un chirurgo; ho insegnato a lungo.

Per tredici anni sono vissuto in compagnia di cadaveri; durante la mia carriera ho studiato a fondo l'anatomia.

Posso dunque scrivere senza presunzione.

Gesù entrato in agonia nel Getsemani – scrive l'evangelista Luca - pregava più intensamente.

E diede in un sudore "come gocce di sangue" che cadevano fino a terra.

Il solo Evangelista che riporta il fatto è un medico, Luca.

E lo fa con la precisione di un clinico.

Il sudar sangue, o ematoidrosi, è un fenomeno rarissimo.

Si produce in condizioni eccezionali: a provocarlo ci vuole una spossatezza fisica, accompagnata da una scossa morale violenta causata da una profonda emozione, da una grande paura.

Il terrore, lo spavento, l'angoscia terribile di sentirsi carico di tutti i peccati degli uomini devono aver schiacciato Gesù.

Tale tensione estrema produce la rottura delle finissime vene capillari che stanno sotto le ghiandole sudoripare, il sangue si mescola al sudore e si raccoglie sulla pelle; poi cola per tutto il corpo fino a terra.

Conosciamo la farsa del processo imbastito dal Sinedrio ebraico, l'invio di Gesù a Pilato ed il ballottaggio fra il procuratore romano ed Erode.

Pilato cede e ordina la flagellazione di Gesù.

I soldati spogliano Gesù e lo legano per i polsi a una colonna dell'atrio.

La flagellazione si effettua con delle strisce di cuoio multiple su cui sono fissate due palline di piombo e degli ossicini.

Le tracce nella Sindone di Torino sono innumerevoli; la maggior parte delle sferzate è sulle spalle, sulla schiena, sulla regione lombare e anche sul petto.

I carnefici devono essere stati due, uno da ciascun lato, di ineguale corporatura.

Colpiscono a staffilate la pelle, già alterata da milioni di microscopiche emorragie del sudor di sangue.

La pelle si lacera e si spacca; il sangue zampilla.

A ogni colpo Gesù trasale in un soprassalto di dolore.

Le forze gli vengono meno: un sudor freddo gli imperla la fronte, la testa gli gira in una vertigine di nausea, brividi gli corrono lungo la schiena.

Se non fosse legato molto in alto per i polsi, crollerebbe in una pozza di sangue.

Poi lo scherno dell'incoronazione.

Con lunghe spine, più dure di quelle dell'acacia, gli aguzzini intrecciano una specie di casco e glielo applicano sul capo.

Le spine penetrano nel cuoio capelluto e lo fanno sanguinare ( i chirurghi sanno quanto sanguina il cuoio capelluto ).

Dalla Sindone si rileva che un forte colpo di bastone, dato obliquamente, lasciò sulla guancia destra di Gesù una orribile piaga contusa; il naso è deformato da una frattura dell'ala cartilaginea.

Pilato, dopo aver mostrato quell'uomo straziato alla folla inferocita, glielo consegna per la crocifissione.

Caricano sulle spalle di Gesù il grosso braccio orizzontale della croce; pesa una cinquantina di chili.

Il palo verticale è già piantato sul Calvario.

Gesù cammina a piedi scalzi per le strade dal fondo irregolare, cosparso di ciottoli.

I soldati lo tirano con le corde.

Il percorso, fortunatamente, non è molto lungo, circa 600 metri.

Gesù, a fatica, trascina un piede dopo l'altro; spesso cade sulle ginocchia.

E la spalla di Gesù è coperta di piaghe.

Quando egli cade a terra, la trave gli sfugge e gli scortica il dorso.

Sul Calvario ha inizio la crocifissione.

I carnefici spogliano il condannato; ma la sua tunica è incollata alle piaghe e il toglierla è atroce.

Avete mai staccato la garza di medicazione da una larga piaga contusa?

Non avete sofferto voi stessi questa prova che richiede talvolta l'anestesia generale?

Potete allora rendervi conto di che si tratta.

Ogni filo di stoffa aderisce al tessuto della carne viva: a levare la tunica, si lacerano le terminazioni nervose messe allo scoperto dalle piaghe.

I carnefici danno uno strappo violento.

Come mai quel dolore atroce non provoca una sincope?

Il sangue riprende a scorrere; Gesù viene disteso sul dorso.

Le sue piaghe si incrostano di polvere e di ghiaietta.

Lo distendono sul braccio orizzontale della croce.

Gli aguzzini prendono le misure.

Un giro di succhiello nel legno per facilitare la penetrazione dei chiodi: orribile supplizio!

Il carnefice prende un chiodo ( un lungo chiodo appuntito e quadrato ), lo appoggia sul polso di Gesù, con un colpo netto di martello glielo pianta e lo ribatte saldamente sul legno.

Gesù deve avere spaventosamente contratto il volto.

Nello stesso istante il suo pollice, con un movimento violento si è posto in opposizione nel palmo della mano: il nervo mediano è stato leso.

Si può immaginare ciò che Gesù deve aver provato: un dolore lancinante, acutissimo, che si è diffuso nelle dita, è zampillato, come una lingua di fuoco, nella spalla, gli ha folgorato il cervello.

È il dolore più insopportabile che un uomo possa provare, quello dato dalla ferita dei grossi tronchi nervosi.

Di solito provoca una sincope e fa perdere la conoscenza.

In Gesù no.

Almeno il nervo fosse stato tagliato netto!

Invece ( lo si constata spesso sperimentalmente ) il nervo è distrutto solo in parte: la lesione del tronco nervoso rimane in contatto col chiodo: quando il corpo sarà sospeso sulla croce, il nervo si tenderà fortemente come una corda di violino tesa sul ponticello.

A ogni scossa, a ogni movimento, vibrerà risvegliando dolori strazianti.

Un supplizio che durerà tre ore.

Il carnefice e il suo aiutante impugnano le estremità della trave; sollevano Gesù mettendolo prima seduto e poi in piedi; quindi facendolo camminare all'indietro, lo addossano al palo verticale.

Poi rapidamente incastrano il braccio orizzontale della croce sul palo verticale.

Le spalle della vittima hanno strisciato dolorosamente sul legno ruvido.

Le punte taglienti della grande corona di spine vi hanno lacerato il cranio.

La povera testa di Gesù è inclinata in avanti, poiché lo spessore del casco di spine le impedisce di appoggiarsi al legno.

Ogni volta che il martire solleva la testa, riprendono le fitte acutissime.

Gli inchiodano i piedi.

È mezzogiorno.

Gesù ha sete.

Non ha bevuto dalla sera precedente.

I lineamenti sono tirati, il volto è una maschera di sangue.

La bocca è semiaperta e il labbro inferiore comincia a pendere.

La gola, secca, gli brucia, ma egli non può deglutire.

Ha sete.

Un soldato gli tende, sulla punta della canna, una spugna imbevuta di bevanda acidula, in uso tra i militari.

Tutto ciò è una tortura atroce.

Uno strano fenomeno si produce sul corpo di Gesù.

I muscoli delle braccia si irrigidiscono in una contrazione che va accentuandosi: i deltoidi, i bicipiti sono tesi e rilevati, le dita si incurvano.

Si direbbe un ferito colpito da tetano, in preda a quelle orribili crisi che non si possono descrivere.

È ciò che medici chiamano tetanìa, quando i crampi si generalizzano: i muscoli dell'addome si irrigidiscono in onde immobili; poi quelli intercostali, quelli del collo e quelli respiratori.

Il respiro si è fatto, a poco a poco, più corto.

L'aria entra con un sibilo, ma non riesce più ad uscire.

Gesù respira con l'apice dei polmoni.

Ha sete di aria: come un asmatico in piena crisi, il suo volto pallido a poco a poco diventa rosso, poi trascolora nel violetto purpureo e infine nel cianotico.

Gesù, colpito da asfissia, soffoca.

I polmoni, gonfi d'aria non possono più svuotarsi.

La fronte è imperlata di sudore, gli occhi escono fuori dall'orbita.

Che dolori atroci devono aver martellato il suo cranio!

Ma cosa avviene?

Lentamente con uno sforzo sovrumano, Gesù ha preso un punto di appoggio sul chiodo dei piedi.

Facendosi forza, a piccoli colpi, si tira su alleggerendo la trazione delle braccia.

I muscoli del torace si distendono.

La respirazione diventa più ampia e profonda, i polmoni si svuotano e il viso riprende il pallore primitivo.

Perchè questo sforzo?

Perché Gesù vuole parlare: "Padre, perdona loro: non sanno quello che fanno".

Dopo un istante il corpo ricomincia ad afflosciarsi e l'asfissia riprende.

Sono state tramandate sette frasi pronunciate da lui in croce: ogni volta che vuol parlare, dovrà sollevarsi tenendosi ritto sui chiodi dei piedi; inimmaginabile!

Sciami di mosche, grosse mosche verdi e blu, ronzano attorno al suo corpo; gli si accaniscono sul viso, ma egli non può scacciarle.

Dopo un po', il cielo si oscura, il sole si nasconde: d'un tratto la temperatura si abbassa.

Fra poco saranno le tre del pomeriggio.

Gesù lotta sempre: di quando in quando si solleva per respirare.

È l'asfissia periodica dell'infelice che viene strozzato.

Una tortura che dura tre ore.

Tutti i suoi dolori, la sete, i crampi, l'asfissia, le vibrazioni dei nervi mediani, gli hanno strappato un lamento: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?".

Ai piedi della croce stava la madre di Gesù.

Potete immaginare lo strazio di quella donna?

Gesù grida: "Tutto è compiuto".

Poi a gran voce dice: "Padre, nelle tue mani raccomando il mio spirito".

E muore.

( Dal vol. di Mons. Fausto Rossi « Ancora nel Getzemani Egli cerca l'amore, 1986 ( esaurito )

Fratel Egidio Mura dei Fratelli delle Scuole Cristiane

morto a Torino Centro La Salle il 27/01/ 2019

Stralcio di una sua intervista: Sono stato fortunato: infanzia serena, vita realizzata

Sono nato in un paese lambito dalle acque del lago di Garda.

La mia famiglia era patriarcale.

A mezzogiorno, a pranzo, stando alla testimonianza delle mie zie ancora in vita: Teresa di anni 96, Angela di 93 e Gina di 90, eravamo normalmente a tavola in 23, anche gli operai mangiavano con noi.

L'azienda gestita da mio papà era un mulino ad acqua in fase di trasformazione.

La nonna, con i suoi 8 figli, era l'autorità morale.

L'accoglienza era sacra.

Il suo motto quando arrivava un povero a pranzo o a cena era: "La carità copre la moltitudine dei peccati".

Nessuno contestava questa sua affermazione ed era il "lasciapassare" per aiutare chi si trovava in difficoltà.

Io, durante l'inverno, avevo l'incarico di portare ai poveri uno scaldino con la brace perché potessero scaldarsi, delle calze, dei fazzoletti.

Insieme mangiavamo con molta naturalezza.

Il gusto del "Sacro" era insito in me fino dalle classi elementari: alzarmi presto la mattina per servire la Messa mi dava gioia, raccontare ai più piccoli i miracoli di Gesù del Vangelo ( fare catechismo a 8 anni ), organizzare la partita di calcio con i compagni di 4° e 5° elementare mi rendeva felice, soprattutto quando mio zio, finita la partita, portava tutti a fare un giro in barca.

Fin da piccolo captavo la sincera fede delle persone che mi circondavano.

Ricordo la catechista Bruna che in bicicletta, tutte le mattine, percorreva chilometri per venire a Messa e poi andava a trovare i malati del paese.

Quattro sacerdoti di indole differenti mi presentarono la santità, vissuta in maniera diversa:

Don Giovanni Calabria ( ora Santo ) quando arrivava in oratorio lo circondavamo con venerazione e io vedevo in lui un papà buono.

Don Luigi il parroco, tutti i giorni andava in bicicletta a trovare i malati all'ospedale e portava notizie ai familiari,

Don Giuseppe che aiutava me e i miei amici nel doposcuola

e Don Piero, ormai anziano, che recitava il rosario lungo la strada con semplicità.

Aveva venduto tutte le sue proprietà per costruire una casa per gli anziani.

Nella mia adolescenza ebbi un incontro fortuito con un Fratello delle Scuole Cristiane, venuto al paese, invitato dal Parroco, a parlare ai giovani per la festa di San Luigi Gonzaga ( patrono dei giovani ).

Il dialogo si trasformò in un invito rivolto a me e a due miei amici ( attualmente Fr. Luigi e Fr. Celestino ) a seguirlo per continuare gli studi e fare esperienza di gruppo.

Conoscendo la vita di questi religiosi educatori dei giovani, io e i miei due amici accettammo volentieri di entrare a far parte della loro "famiglia religiosa" denominata "Fratelli delle Scuole Cristiane".

A vent'anni iniziammo l'attività educativa come maestri.

Io fui inviato a Piacenza nel 1958.

Mi fu affidata una classe di 1° elementare e l'incarico di servire i Poveri ( 25 famiglie con molti figli provenienti dal meridione ).

Ciò che era "scartato" veniva "privilegiato".

Da allora la mia esperienza come educatore a scuola e l'incarico dei poveri con i miei allievi diventati giovani generosi si ampliò con altre attività educative e ricreative.

Fui inviato, nel 1969, a Massa Carrara dove i Fratelli erano molto stimati e amati dalla popolazione e dal clero.

Con i giovani della scuola e dell'oratorio istituimmo il "Natale del Povero" preparando i pacchi per i bisognosi della città.

Nel 1976 fui trasferito a Torino con i giovani generosi di conoscere noi fratelli educatori.

Anche con loro la partecipazione domenicale alla Santa Messa e il servizio a tavola ai Poveri fu una terapia positiva.

Dopo l'esperienza del Noviziato con i giovani in formazione la mia vita continuò sempre nel mondo giovanile, presso le nostre scuole, creando e visitando periodicamente i gruppi del Vangelo che si radunavano ogni settimana nei vari istituti.

L'annuncio di Gesù e il servizio ai poveri erano presentati in simbiosi.

La bellezza di vivere in gruppo e fare il bene arricchì il Centro Andrea di tanti volontari e volontarie e favorì tante amicizie dove scaturirono nuove famiglie coronate dall'amore dei loro figli.

La resurrezione di Gesù ci riempie il cuore di gioia e di riconoscenza per quanto ci ha amato e per le atroci sofferenze patite per riscattarci ed anche per averci adottati come suoi figli.

Tutto per puro amore!

Anche noi dobbiamo meditare e cercare, per quanto ci è possibile, di ricambiarlo nell'amore del prossimo, espresso nelle varie occasioni che incontriamo nelle nostre abituali attività quotidiane.

A tutti auguro con fraterno affetto una Buona Pasqua

Leandro