Padri\Agostino\AnimaOrig\AnimeOrig.txt L'anima e la sua origine Libro I A Renato 1.1 - Agostino ringrazia Renato di avergli mandato i libri di Vincenzo Vittore Certamente anche prima, carissimo fratello Renato, avevamo avuto prova della tua sincerità verso di noi, della tua fraterna benevolenza e del contraccambio del tuo amore, ma adesso ci hai fornito una prova ancora più grande con la tua amichevole diligenza, mandandomi i due libri di Vincenzo Vittore ( questo è infatti il nome che ho trovato scritto sopra di essi ): una persona che per la verità io ignoravo assolutamente, ma che non è per questo da disprezzare. È nell'ultima estate che me li hai mandati, anche se sono stati consegnati a me alla fine dell'autunno, essendo io stato assente. Come avresti tu, carissimo a me, potuto omettere o, meglio, non sentire il dovere di portare a mia conoscenza qualsiasi scritto di qualsiasi autore capitato nelle tue mani, dove, sebbene lo scrittore si rivolgesse ad altri, tuttavia si faceva e si leggeva il mio nome e si andava contro ad affermazioni mie, pubblicate in alcuni miei libri? Hai fatto così quello che dovevi fare come mio sincerissimo e dilettissimo amico. 2.2 - Giudizio su Vincenzo Vittore Ma quello che mi fa sentire un po' mortificato è che finora la tua santità mi conosce meno di quanto vorrei, dal momento che hai creduto che io me la sarei presa come se tu mi avessi fatto un torto, facendomi noto ciò che ha fatto un altro. Vedi invece quanto ciò sia lontano dal mio animo: io non mi sento offeso nemmeno da costui. Trovandosi ad avere alcune opinioni diverse dalle mie, avrebbe dovuto forse starsene zitto? Proprio questo mi deve far piacere: che ci abbia dato anche la possibilità di leggere ciò che non ha taciuto. Si dirà che, parlando di me, avrebbe dovuto scrivere a me, invece che ad un altro. Ma per il fatto che non era conosciuto da me non ha osato presentarmisi nel momento di confutare le mie affermazioni. Non ha creduto nemmeno di consultarmi su problemi dove gli sembra di non dovere aver dubbi, ma d'essere in possesso d'una sentenza di sua piena conoscenza e certezza. Ha obbedito invece ad un suo amico, dal quale dice d'essere stato spinto a scrivere. E se nel corso della discussione ha detto qualcosa che ridondasse a mio disonore, sono disposto a credere che non l'abbia fatto con l'animo di chi vuol denigrare, ma per la necessità in cui si trova chi sostiene la sentenza opposta. Quando infatti mi è ignoto e incerto l'animo d'una persona verso di me, credo sia meglio pensare il meglio che incolpare senza prove. Forse, supponendo che il suo scritto poteva arrivare tra le mie mani, l'ha fatto per amore verso di me, perché vuole che io non sbagli su quei punti dove non crede d'essere piuttosto lui a sbagliare. Per questo devo aver cara la sua benevolenza, anche se sono costretto a riprovare la sua sentenza. Perciò nelle questioni dove non condivide la retta dottrina, mi sembra che sia ancora da correggere con mitezza e non da esecrare con asprezza, tanto più che, come sento dire, si è fatto cattolico da poco, e di ciò ci dobbiamo congratulare con lui. Si è liberato dallo scisma e dall'errore dei donatisti o più precisamente dei rogatisti, dov'era prima impigliato. A patto tuttavia che intenda la verità cattolica come va intesa, perché godiamo veramente della sua conversione. 3.3 - Pregi e difetti nel modo di scrivere di Vincenzo Vittore Ha tali risorse d'eloquio da saper esporre il proprio pensiero. Bisogna dunque trattarlo così che ritenga, come gli dobbiamo augurare, la retta dottrina, e non faccia diventare dilettevoli argomenti futili, e non gli sembri d'aver detto la verità solo perché l'ha detto con eleganza. Per quanto, anche nel suo stesso modo di scrivere c'è molto da emendare e da sfrondare da una eccessiva verbosità. E questo suo difetto è dispiaciuto anche a te, da persona grave che sei, come indicano i tuoi scritti. Ma è un difetto questo che o si corregge con facilità o, senza danno della fede, si ama da persone di carattere leggero e si tollera da persone di carattere grave. Abbiamo già infatti degli scrittori cristiani spumeggianti nello stile, ma sani nella fede. ( Tt 1,13; Tt 2,2 ) Non c'è dunque da disperare che anche in lui questo difetto, pur tollerabile se gli rimane, si possa tuttavia emendare e moderare, condurre o ricondurre ad una forma semplice e solida. Soprattutto perché è un giovane, si dice, e quanto manca alla sua esperienza potrà essere supplito dalla sua diligenza, e la cruda pasta che scodella la sua loquacità la porterà a cottura la maturità degli anni. Ciò che sarebbe increscioso, pericoloso o dannoso è questo: che lodando la sua eloquenza si faccia accettare la sua insipienza e in una coppa preziosa si beva un veleno mortale. 4.4 - Affermazioni contraddittorie di Vincenzo Vittore sulla origine dell'anima da Dio Vengo subito ad indicare i punti principali che nella sua trattazione meritano d'essere espunti. Dice che " l'anima è stata fatta da Dio e non è parte o natura di Dio "; e questo è completamente esatto. Ma poiché non vuol confessare che è stata fatta dal nulla, poiché non accenna a nessun'altra creatura da cui sia stata tratta, poiché le assegna come autore Dio senza credere che egli l'abbia fatta né da cose inesistenti, cioè dal nulla, né da alcunché di esistente che non sia quello che è Dio, bensì crede che l'abbia fatta dalla sua stessa divinità, non si accorge d'andare a finire così proprio nell'errore che pensava d'avere evitato: l'anima non è altro che la natura di Dio, e conseguentemente dalla natura di Dio il medesimo Dio trae una realtà della quale lui stesso che la fa è la materia da cui la fa. Ne segue ancora che è mutevole la natura di Dio, e poiché la natura di Dio stesso si è mutata in peggio, viene condannata dallo stesso Dio. Tutto ciò tu vedi con la tua intelligenza di credente come meriti di non essere accettato e di essere escluso e bandito lontano dal cuore dei cattolici. Pertanto sia che l'anima venga originata da un soffio o sia essa stessa un soffio di Dio, non emana però da Dio ma è Dio che l'ha creata dal nulla. Se l'uomo alitando non può fare dal nulla il suo alito, ma restituisce l'aria che prende dall'esterno, non per questo dobbiamo pensare che attorno a Dio circolassero già allora delle arie e che egli ne abbia aspirata una particella esigua e l'abbia poi espirata quando alitò sul volto dell'uomo e gli fece in quel modo l'anima. ( Gen 2,7 ) Anche se questo fosse vero, nemmeno allora ciò che Dio alitò sull'uomo poteva venire da Dio stesso, ma veniva da qualcosa di respirabile che preesisteva. Lungi però da noi che neghiamo la possibilità dell'Onnipotente di fare dal nulla l'alito della vita perché l'uomo divenisse un essere vivente, e che c'imprigioniamo in tali ristrettezze da credere o che esistesse già qualcosa di diverso da Dio con cui egli potesse fare l'alito o che abbia tratto da se stesso ciò che vediamo fatto da lui come qualcosa di mutevole. Ciò che infatti emana da Dio è necessariamente della sua stessa natura e quindi immutabile come Dio. L'anima al contrario, come tutti sanno, è mutevole. Non emana dunque da Dio, non essendo immutabile come Dio. Se poi non è stata fatta con nessun'altra cosa, è stata fatta certamente dal nulla, ma è Dio che l'ha fatta. 5.5 - Secondo Vincenzo Vittore l'anima è un corpo Costui poi, sostenendo che " l'anima non è spirito ma è un corpo ", che cosa vuol ottenere se non che siamo composti non d'anima e di corpo, bensì di due o anche di tre corpi? Infatti, poiché dice che " siamo composti di spirito, d'anima e di corpo " ed asserisce che " sono corpi tutti e tre ", logicamente ci crede composti di tre corpi. Nella quale opinione da quanta assurdità egli sia inseguito penso che si debba mostrare a lui piuttosto che a te. Ma questo è un errore sopportabile in un uomo che non conosce ancora l'esistenza di qualcosa che, pur senza essere un corpo, potrebbe tuttavia avere qualche somiglianza con un corpo. 6.6 - Un rebus di Vincenzo Vittore: a causa della carne l'anima meritò d'inquinarsi nella carne! Chi al contrario saprebbe ben sopportare quello che dice costui, nel suo secondo libro, tentando di risolvere la difficilissima questione del peccato originale? Come fa il peccato ad interessare il corpo e l'anima, se l'anima non si trae dai genitori ma viene ispirata nuova da Dio? Tentando dunque di risolvere un problema tanto spinoso e scabroso, scrive: "L'anima ricupera giustamente mediante la carne la sua condizione originale, che è sembrato per poco avesse perduta a causa della carne: comincia a rinascere mediante la medesima carne per la quale aveva meritato d'esser macchiata". T'accorgi che, avendo osato al di là delle sue forze, è caduto in un baratro tanto profondo da dire che l'anima ha meritato d'esser macchiata a causa della carne, mentre non sa dire in nessun modo donde l'anima abbia tratto tale merito prima d'esser unita alla carne. Se infatti è dalla carne che l'anima comincia ad avere il demerito del peccato, dica, se può, in che modo prima del suo peccato abbia meritato d'inquinarsi nella carne. Il demerito per essere mandata nella carne peccatrice che la inquinasse o dipende da lei stessa o dipende da Dio. Quest'ultima ipotesi è la più lontana dalla verità. Evidentemente prima d'esser unita alla carne non poté meritare a causa della carne d'esser mandata ad inquinarsi nella carne. Se tale demerito dipese dunque da lei stessa, in che modo se lo poté acquisire, dato che prima della carne essa non ha fatto nessun male? Se poi si dicesse che ha ricevuto tale demerito da Dio, chi potrebbe stare ad ascoltare uno sproposito simile? Chi lo sopporterebbe? Chi permetterebbe che lo si dicesse impunemente? Adesso infatti non si cerca che cosa l'anima dopo l'unione con la carne abbia meritato per esser condannata, bensì in che modo prima dell'unione con la carne abbia meritato la condanna d'esser mandata ad inquinarsi nella carne. Lo spieghi, se può, costui che ha osato scrivere che l'anima ha meritato d'esser macchiata a causa della carne. 7.7 - Un altro testo sibillino di Vincenzo Vittore Similmente in un altro passo, proponendosi di dipanare in qualche modo la medesima matassa nella quale si era intrigato, domanda a nome dei suoi avversari: " Perché mai Dio ha colpito l'anima con una pena tanto ingiusta da volerla relegare nel corpo del peccato, dove per l'unione con la carne comincia ad esser peccatrice l'anima che altrimenti non l'avrebbe potuto essere? ". Nel gorgo scoglioso, direi, di tale mare avrebbe dovuto guardarsi dal naufragio e non azzardarsi in acque dalle quali non avrebbe potuto tirarsi fuori passando oltre, ma se mai ritornando, cioè pentendosi. Tenta costui di liberarsi ricorrendo alla prescienza di Dio, ma invano. Coloro infatti dei quali la prescienza di Dio preconosce che saranno risanati da lui, li preconosce peccatori, non li fa peccatori. Al contrario, se Dio liberasse dal peccato le anime che, innocenti e pure, avesse egli stesso implicate nella colpa, allora sanerebbe una ferita inferta da lui a noi, non una ferita trovata da lui in noi. Dio ben ci guardi dal dire e non ci accada mai di dire che Dio, quando monda le anime dei bambini nel lavacro della rigenerazione, corregge allora il male che ha fatto egli stesso a loro unendole, immuni com'erano dal peccato, alla carne peccatrice che le contaminasse con il suo peccato originale. Tuttavia costui accusa le anime dicendo che hanno meritato a causa della carne d'esser macchiate, senza saper dire in che modo prima dell'unione con la carne abbiano esse potuto meritare una così grande enormità di male. 8.8 - Un terzo testo di Vincenzo Vittore Costui, pensando vanamente di poter risolvere la presente questione con la prescienza di Dio, s'imbroglia ancora di più e dice" Se l'anima che non poteva esser peccatrice meritò d'esser peccatrice, non rimase tuttavia nel peccato, perché, modellata sul Cristo, non doveva essere nel peccato, come non lo poteva essere ". In che modo vanno intese queste espressioni: " Non poteva essere peccatrice ", o: " Non poteva essere nel peccato " se non, come credo, unite alla condizionale: se non veniva nella carne? Non avrebbe potuto infatti essere peccatrice per il peccato originale o essere in qualsiasi modo nel peccato originale a causa della sola carne, se l'anima non si trae dal genitore. Noi dunque vediamo che l'anima è liberata dal peccato mediante la grazia, ma non vediamo in che modo abbia meritato di rimanere impaniata nel peccato. Che significano allora le sue parole: " Se meritò d'esser peccatrice, non rimase tuttavia nel peccato "? Se gli domanderò perché non rimase nel peccato, risponderà esattissimamente che l'ha liberata la grazia del Cristo. Come dunque dell'anima peccatrice del bambino dice in che modo è stata liberata, dica così altrettanto in che modo ha meritato d'esser peccatrice. 8.9 - L'unica cosa saggia per Vincenzo Vittore è la ritrattazione Ma che cosa può dire, dopo che gli è capitato esattamente quello che aveva previsto? Prima infatti di proporre la questione scrive: " Altre ingiurie incalzano da parte di gente che abbaia con queruli borbottamenti e noi, sbattuti da una specie di turbine, andiamo a fracassarci ripetutamente tra scogli immani ". Se lo dicessi io di lui, probabilmente si arrabbierebbe. Sono parole sue: le ha premesse prima di proporre la questione nella quale fa vedere gli scogli stessi contro cui è andato a fracassarsi ed è naufragato. A tanto è stato ridotto, ed ora, spinto, sbattuto, incagliato tra scogli così paurosi, è in tale condizione da non potersi liberare se non correggendo quello che ha detto, dal momento che gli è impossibile far vedere per quale demerito sia diventata peccatrice l'anima, della quale non ha esitato ad affermare che, prima d'ogni suo peccato, ha meritato di diventare peccatrice. Chi potrebbe meritare senza peccato un castigo così immane da non esser senza peccato già prima d'uscire dal seno materno, perché concepito in una colpa non sua? Da questa pena libera le anime dei bambini che sono rigenerati nel Cristo, senza nessun loro merito precedente, la grazia gratuita: altrimenti non sarebbe più grazia. ( Rm 11,6 ) Perciò quest'uomo molto intelligente, a cui dispiace in tanta difficoltà la nostra esitazione ( non dotta, è vero, ma tuttavia cauta ), dica, se può, con quale merito l'anima sia arrivata a questa pena dalla quale la libera la grazia senza merito. Lo dica così da poter difendere con qualche argomento quello che dice, se n'è capace. Non lo esigerei, se egli non avesse detto che l'anima ha meritato d'esser peccatrice. Dica se il merito dell'anima fu buono o cattivo. Se buono, come ha potuto finire nel male l'anima con un merito buono? Se cattivo, da dove viene all'anima un merito cattivo prima d'ogni peccato? Dirò ancora: Se buono, la grazia allora non libera l'anima gratuitamente, ma debitamente, essendo stata preceduta la grazia da un merito buono, e così la grazia non sarà più grazia. ( Rm 11,6 ) Se invece cattivo, domando in che consista. Sarà forse il fatto d'esser venuta nella carne, dove non sarebbe venuta se non vi fosse stata mandata da colui nel quale non c'è ingiustizia? ( Rm 9,14 ) Mai dunque se non con il risultato di precipitarsi in errori sempre più gravi potrà costui affannarsi a tenere in piedi la propria sentenza, con la quale ha detto che l'anima ha meritato d'esser peccatrice. E per la verità, quanto a quei bambini dei quali nel battesimo si lava il peccato originale, costui ha trovato in un certo senso qualcosa di passabile da dire, perché " ai predestinati dalla prescienza divina alla vita eterna non avrebbe potuto nuocere per nulla l'essere contagiati per poco tempo da un peccato altrui ". E questo suo modo di dire si potrebbe tollerare, se egli non s'intrigasse nelle sue stesse parole affermando che l'anima ha meritato d'esser peccatrice: uno sproposito questo dal quale non si libera affatto se non pentendosi d'averlo detto. 9.10 - La sorte dei bambini morti senza battesimo Per quanto invece riguarda quei bambini che vengono prevenuti dalla morte prima d'esser battezzati nel Cristo, costui nel voler rispondere ha osato promettere ad essi non solo il paradiso, ma anche il regno dei cieli, non sapendo come cavarsela senza esser costretto a dire che Dio condanna alla morte eterna anime innocenti che egli immette dentro la carne peccatrice senza nessun precedente demerito di peccato. Ma sentendo in qualche modo quale svarione fosse l'aver detto che le anime dei bambini sono redente senza la grazia del Cristo per la vita eterna e il regno dei cieli, e che il peccato originale si può sciogliere in esse senza il battesimo del Cristo, dove si opera la remissione dei peccati: vedendo dunque in quale profondo e pericoloso gorgo si fosse buttato, scrive: " Decreto senz'altro che si offrano per essi assidue oblazioni e continui sacrifici da parte di santi sacerdoti ". Ecco un altro errore dal quale non sarà mai in grado d'uscire se non pentendosi d'averlo detto. Chi potrebbe infatti offrire il corpo del Cristo tranne che per coloro che sono membra del Cristo? Ma da quando il Cristo dichiarò: Se uno non rinasce dall'acqua e dallo Spirito, non può entrare nel regno di Dio ( Gv 3,5 ), e: Chi avrà perduto la sua anima per causa mia, la troverà, ( Mt 10,39 ) nessuno diventa membro del Cristo se non per mezzo o del battesimo nel Cristo o della morte per il Cristo. 9.11 - L'episodio del buon ladrone non diminuisce la necessità del battesimo Perciò anche quel ladrone che prima della croce non fu servitore del Signore, ma sulla croce fu suo confessore, quel ladrone dal quale talvolta si capta o si tenta di captare il pretesto d'andare contro il sacramento del battesimo, è computato da S. Cipriano tra i martiri battezzati nel proprio sangue, come è capitato a molte persone non battezzate durante l'imperversare della persecuzione. L'aver infatti confessato il Signore crocifisso gli fu valutato tanto e gli valse tanto presso colui che sa pesare i meriti, quanto se fosse stato crocifisso lui stesso per il Signore. Eccone la ragione: la sua fede fiorì dal legno della croce proprio quando marcì la fede dei discepoli, destinata a rifiorire solamente con la risurrezione di Gesù per il terrore della cui morte era marcita. Essi disperarono di chi moriva, egli sperò in chi con lui moriva. Essi abbandonarono l'autore della vita, costui si abbandonò supplichevole ad un suo compagno di pena. Essi si dolsero della sua morte d'uomo, costui credette che Gesù dopo la morte sarebbe diventato re. I discepoli trascurarono colui che prometteva la salvezza, il ladrone rese onore ad un compagno con il quale condivideva la croce. Nel ladro che ebbe fede nel Cristo si trovò la statura del martire, proprio quando crollarono quelli che sarebbero stati i martiri futuri. E ciò fu certamente chiaro agli occhi del Signore che a lui non battezzato, ma come lavato dal sangue del martirio, conferì subito tanta felicità. ( Lc 23,43 ) Ma anche tra noi chi non immaginerebbe con quanta fede, con quanta speranza, con quanta carità avrebbe potuto accettare la morte per il Cristo vivente quel ladro che seppe cercare la vita nel Cristo morente? A ciò si aggiunge, perché non si afferma senza credibilità, che quel ladro, diventato credente sulla croce accanto al Signore, fu asperso dall'acqua sgorgante dal suo costato, come se fosse il più santo battesimo. ( Gv 19,32.34 ) Per tacere che nessuno riesce a convincerci, perché nessuno di noi lo sa, che quel ladro non sia stato battezzato prima della sua condanna. Ma ciascuno può prendere come vuole tutti questi particolari, purché non si valga dell'esempio di questo ladrone per negare il precetto del battesimo da parte del Salvatore, e nessuno prometta ai bambini non battezzati una condizione quasi intermedia tra la dannazione e il regno dei cieli di una qualsiasi quiete o felicità e in un qualsiasi luogo. Questo è infatti quanto ha promesso ad essi anche l'eresia pelagiana, perché essa da una parte non teme la dannazione per i bambini, ritenendo che non abbiano in nessun modo il peccato originale, e dall'altra non spera per i bambini il regno dei cieli se non giungono al sacramento del battesimo. Costui al contrario, mentre confessa che i bambini sono impegolati nel peccato originale, ha osato promettere a loro non ancora battezzati anche il regno dei cieli: e non hanno osato questo nemmeno i pelagiani che escludono assolutamente i bambini da qualsiasi peccato. Ecco in quali lacci di presunzione s'intriga costui, se non si pente d'aver scritto tali spropositi. 10.12 - Il caso di Dinocrate Quanto poi al racconto riguardante Dinocrate, fratello di santa Perpetua, né si tratta d'una Scrittura canonica, né Perpetua ha scritto, né l'ha scritto chiunque abbia scritto quel racconto, in tal modo da dire che fosse deceduto senza il battesimo quel ragazzo che morì a sette anni di età e per il quale si crede che Perpetua nell'imminenza del martirio pregò che fosse trasferito dalle pene alla pace e fu esaudita. I fanciulli infatti di quell'età possono mentire e dire la verità, confessare e rinnegare. È per questo che quando si battezzano, rendono già il Simbolo e rispondono da sé per se stessi alle interrogazioni. Chi sa dunque se quel ragazzo, dopo il battesimo, in tempo di persecuzione, non sia stato allontanato dal Cristo ad opera dell'empio suo padre mediante l'idolatria e per questo non sia finito nella dannazione della morte e non sia uscito da essa perché donato alle preghiere della sorella che era sul punto di morire per amore del Cristo? 11.13 - Il caso dei bambini pagani Ma anche se si concedesse a costui quello che, salva la fede cattolica e la regola ecclesiastica, non si concede per nessuna ragione, cioè che il sacrificio del corpo e del sangue del Cristo si offra a favore di persone non battezzate di qualsiasi età, come se per tale atto di pietà da parte dei loro cari siano aiutate a raggiungere il regno dei cieli, che cosa ha pronto costui per rispondere sul conto di tante migliaia di bambini che nascono da gente pagana, che non capitano tra le mani dei cristiani per nessuna compassione né divina né umana, che partono da questa vita in quella tenerissima età senza il lavacro della rigenerazione? Dica, se può, in che modo coteste anime hanno meritato di diventare tanto peccatrici da non essere liberate dal peccato nemmeno in seguito. Se infatti chiedo perché meritino d'esser condannate, se non si battezzano, giustamente mi si risponde: A causa del peccato originale. Se chiedo pure da dove hanno tratto il peccato originale, costui mi risponderà: Diamine, dalla carne peccatrice. Se allora chiederò per quale causa hanno meritato d'esser condannate nella carne peccatrice quelle anime che non avevano fatto nulla di male prima della loro unione con la carne, trovi qui costui che cosa rispondere, tanto più che questi bambini si condannano a subire il contagio di peccati altrui in tal modo che né il battesimo li rigenera dopo che sono stati mal generati, né i sacrifici li purificano dopo che sono stati inquinati. Infatti questi bambini sono nati e continuano fino ad oggi a nascere in tali luoghi e da tali genitori da non poter essere aiutati con nessuno di quei mezzi. Qui evidentemente ogni argomentazione fa cilecca. Non chiediamo infatti come le anime abbiano meritato d'esser condannate dopo che sono state messe a condividere la sorte della carne peccatrice, ma chiediamo come le anime abbiano meritato d'esser condannate a subire la pena di condividere la sorte della carne peccatrice senza aver nessun peccato prima d'esser messe a condividere la sorte della carne peccatrice. Non serve dire: " Non fu di nessun danno la contaminazione temporanea del peccato altrui per quelli a cui nella prescienza di Dio era stata preparata la redenzione ". Noi adesso parliamo precisamente di quelli che, uscendo dal corpo prima del battesimo, non sono soccorsi in nessun modo dalla redenzione. Non serve dire: " Le anime che non ha lavate il battesimo, le monderanno i frequenti sacrifici offerti per esse e Dio, prevedendo ciò, ha voluto che per breve tempo i peccati altrui si attaccassero a loro senza nessun esito di dannazione eterna e con la speranza della felicità eterna ". Noi adesso parliamo precisamente di quelle anime che, nascendo tra gli empi e dagli empi, non hanno potuto trovare nessuno di questi aiuti. I quali, se potessero essere applicati, non potrebbero certamente giovare ai non battezzati, come nemmeno quei sacrifici, che costui ha ricordati dal Libro dei Maccabei ( 2 Mac 12,43 ) e che furono offerti per i peccatori morti, avrebbero potuto loro giovare minimamente, se non fossero stati circoncisi. 11.14 - Due soluzioni inaccettabili Trovi dunque costui, se può, la risposta da dare, quando gli si domanda come abbia fatto l'anima, senza nessun peccato né originale né personale, a meritare d'esser condannata a subire il peccato originale di un altro in tal modo da non potersene liberare, e veda quale voglia scegliere di queste due risposte: se dire che vengono sciolte dal nodo del peccato originale anche le anime dei bambini che muoiono e che se ne vanno da questo mondo senza il lavacro della rigenerazione e per le quali non si offre il sacrificio del corpo del Signore, sebbene l'Apostolo insegni che per uno solo tutti finiscono nella condanna, ( Rm 5,16.18 ) tutti s'intende quelli ai quali non viene in soccorso la grazia a liberarli con la redenzione per mezzo di uno solo; o se dire che quelle anime, immuni da ogni peccato sia originale che proprio e assolutamente innocenti, semplici e pure, sono punite con la dannazione eterna da un Dio giusto, dopo che egli stesso di sua iniziativa le immette nella carne peccatrice senza dover mai essere liberate. 12.15 - Altre due soluzioni inaccettabili Per conto mio confermo che non va data né l'una né l'altra di coteste due risposte e nemmeno una terza: cioè che le anime abbiano peccato in un'altra vita prima d'aver la carne per meritare d'esser condannate a venire nella carne. A questo proposito l'Apostolo dichiara apertissimamente che Esaù e Giacobbe, quando non erano ancora nati nella carne non avevano fatto nulla di bene o di male. ( Rm 9,11 ) Da ciò risulta che i bambini, per aver bisogno della remissione dei peccati, non possono che aver contratto il peccato originale. E non va data neppure una famosa quarta risposta: cioè che il giusto Dio relega e condanna a venire nella carne peccatrice le anime di quei bambini che sono destinati a morire senza battesimo, perché ha previsto che sarebbero vissuti malamente, se avessero raggiunto l'età dell'uso del libero arbitrio. Questo non ha avuto l'ardire di dirlo nemmeno Vincenzo Vittore, benché ridotto in tante ristrettezze. Anzi egli parla abbastanza manifestamente e sbrigativamente anche contro una tale vana affermazione già quando dichiara: " Dio sarebbe ingiusto, se volesse giudicare l'uomo che non è nato per le opere della sua propria volontà che non ha compiute ". È appunto in questo modo che ha risposto, quando trattava la questione sollevata da coloro che domandano: Perché mai Dio si mise a creare l'uomo di cui sapeva con la sua esatta previsione che non sarebbe stato buono? L'avrebbe infatti giudicato quando non era ancora nato, se non l'avesse voluto creare proprio perché prevedeva che non sarebbe stato buono. Ed è vero, come sembra anche a costui, che Dio avrebbe dovuto giudicare l'uomo in base alle opere da lui compiute, non in base alle opere previste e non ammesse mai all'esistenza. Poiché se i peccati che un uomo avrebbe potuto commettere nella sua vita si condannassero in lui senza che li abbia commessi perché è morto prima, non sarebbe stato concesso nessun beneficio a chi fu rapito perché la malizia non ne mutasse i sentimenti: ( Sap 4,11 ) egli sarebbe giudicato allora secondo la malizia che ci sarebbe stata in lui e non secondo l'innocenza che invece è stata trovata in lui. E non ci potrebbe essere sicurezza di nessun morto che sia stato battezzato, perché anche dopo il battesimo gli uomini possono non solo peccare come che sia, ma perfino apostatare. Che dire dunque d'un battezzato che è stato rapito via da questa vita e che sarebbe diventato apostata se avesse continuato a vivere: penseremo forse che non gli è stato concesso nessun beneficio con l'essere rapito perché la malizia non ne mutasse i sentimenti e crederemo che a causa della prescienza di Dio sia da esser giudicato non come un membro fedele del Cristo, ma come un apostata? Quanto sarebbe stato meglio, se si puniscono i peccati non ancora fatti, non ancora pensati, ma previsti e di là da venire, che quei due fossero scacciati dal paradiso prima del peccato, per impedire che si peccasse in un luogo così santo e beatifico! Che dire del fatto che va a finire assolutamente nel nulla la prescienza divina, se non accadrà ciò che si prevede? Con quale logica infatti si può dire previsto un futuro che non sarà mai futuro? In che modo dunque si puniscono i peccati che non esistono in nessun modo, cioè i peccati che non sono stati commessi né prima della carne in questa vita, perché essa non era ancora cominciata, né dopo la carne, perché sono stati prevenuti dalla morte? 13.16 - Vincenzo Vittore è dalla parte dell'eresia pelagiana Pertanto il tempo intermedio da quando l'anima fu mandata nella carne fino al suo disciogliersi dalla carne, poiché si tratta dell'anima d'un bambino che non è giunto all'età del libero arbitrio, non trova per essere condannato, se non riceve il battesimo, nient'altro che il peccato originale. Che per questo peccato l'anima sia giustamente condannata non lo neghiamo, perché è giusta la legge che stabilisce un castigo per il peccato. Ma ci chiediamo la ragione per cui l'anima è stata condannata a subire questo peccato, se essa non si trae da quell'unica anima che peccò nel primo padre del genere umano. Perciò, se Dio non condanna gli innocenti, né fa che non siano innocenti quelli che vede innocenti, e se soltanto il battesimo del Cristo nella Chiesa del Cristo libera le anime sia dai peccati originali, sia dai peccati propri, e se le anime non ebbero prima della carne nessun peccato, e se non si possono punire con legge giusta i peccati prima che si commettano e tanto meno i peccati che non sono stati mai commessi, Vincenzo Vittore non dica nessuna di queste quattro bestialità e spieghi, se può, per quale demerito le anime dei bambini, che uscendo dal corpo senza battesimo si mandano alla dannazione, siano state mandate, pur senza aver peccato in nessun modo, nella carne peccatrice per trovarvi il peccato che le facesse condannare giustamente. Ebbene, se scansando questi quattro errori che la sana dottrina condanna, ossia se non osando dire o che Dio fa peccatrici le anime che esistevano già senza peccato, o che il peccato originale si scioglie nelle anime senza il sacramento del Cristo, o che le anime hanno peccato in qualche altro luogo prima d'esser mandate nella carne, o che nelle anime si puniscono i peccati che esse non hanno mai avuti: se non volendo dire tali errori, perché non sono certamente da dirsi, dirà che i bambini non contraggono il peccato originale, né hanno alcunché che li faccia condannare, se escono da questa vita senza aver ricevuto il sacramento della rigenerazione, incorrerà nell'eresia pelagiana, senza dubbio condannabile, ed egli stesso sarà da condannare. Perché questo non gli capiti, quanto sarebbe meglio che si attenesse alla mia esitazione sull'origine dell'anima per non avere la presunzione d'affermare ciò che e non comprende con la ragione umana e non difende con l'autorità divina, e quindi non esser costretto a professare la propria insipienza per la vergogna di confessare la propria ignoranza. 14.17 - Per dimostrare l'origine dell'anima umana per nuova creazione divina Vincenzo Vittore usa testi biblici incerti Qui probabilmente costui dirà che la sua sentenza gode del patrocinio dell'autorità divina, perché è convinto di provare con testimonianze delle sante Scritture "che le anime non sono fatte da Dio attraverso la propaggine, ma sono ispirate nuove da Dio nelle singole persone ". Lo provi, se può, e sarò pronto a confessare d'aver imparato da lui quello che cercavo con tanta insistenza. Ma cerchi costui altre testimonianze, e chi sa che non le trovi, perché con queste testimonianze che ha già messe nel suo libro non l'ha provato. Tutte le testimonianze usate da lui sono valide per dimostrare qualcosa, ma risultano ambigue quanto al problema dell'origine dell'anima. Per esempio, è certo che Dio ha dato agli uomini il respiro e lo spirito, perché il profeta afferma: Così dice il Signore che crea i cieli e distende la terra con ciò che vi nasce e dà il respiro al popolo che la abita e lo spirito a quanti la calcano. ( Is 42,5 ) Costui vuole che s'intenda questo testo nel senso della sentenza che difende e che quindi in forza delle parole Dà il respiro al popolo si deve credere che Dio non fa le anime al popolo attraverso la propaggine, ma le ispira nuove. Abbia allora il coraggio di dire che non è stato Dio a darci la carne, dal momento che essa ha avuto origine dai nostri genitori. E dove l'Apostolo dice del chicco di frumento che Dio gli dà un corpo come ha stabilito, ( 1 Cor 15,38 ) neghi, se osa, che il frumento nasca dal frumento e l'erba nasca dal suo seme secondo la stessa specie. Che se non osa negarlo, donde sa allora in che senso la Scrittura abbia detto: Dà il respiro al popolo, se traendolo dai genitori o se ispirandolo nuovo? 14.18 - Esegesi di un testo biblico usato da Vincenzo Vittore O donde sa altresì se nelle parole: Che dà il respiro al popolo che la abita e lo spirito a quanti la calcano ( Is 42,5 ) non ci sia la ripetizione di un medesimo concetto, cosicché ambedue i vocaboli debbano intendersi d'una stessa realtà e il profeta abbia voluto indicare non l'anima e lo spirito di cui vive la natura umana, sibbene lo Spirito Santo? Se infatti non si potesse con il respiro indicare lo Spirito Santo, il Signore dopo la risurrezione non avrebbe alitato sui discepoli dicendo: Ricevete lo Spirito Santo. ( Gv 20,22 ) E non sarebbe stato scritto negli Atti degli Apostoli: Venne all'improvviso dal cielo un rombo come di respiro che si abbatte gagliardo, e apparvero a loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro, ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo. ( At 2,2-4 ) Che ci sarebbe da obiettare, se il profeta avesse voluto proprio preannunziare lo Spirito Santo dicendo: Che dà il respiro al popolo che la abita, e quasi per spiegare che cosa aveva chiamato " respiro " ripete e dice: E lo spirito a quanti la calcano? Ciò infatti avvenne con grande evidenza quando furono tutti pieni di Spirito Santo. O se non si possono dire ancora popolo i centoventi che si trovavano tutti insieme allora nello stesso luogo, certamente, quando quattro o cinquemila insieme credettero, furono battezzati e ricevettero lo Spirito Santo, ( At 4,31 ) chi potrebbe dubitare che abbia ricevuto allora lo Spirito Santo tutto un popolo, e una moltitudine che camminava sulla terra, cioè una moltitudine di gente che la calcava? Lo spirito che si dà invece alla natura umana come sua parte componente, tanto se si dà mediante la propaggine, quanto se si ispira di nuovo - su nessuna delle due ipotesi mi pronunzio, finché l'una o l'altra non apparisca chiara senza incertezze -, non è dato a coloro che calcano la terra, ma a coloro che sono inclusi ancora nell'utero materno. Diede dunque il respiro al popolo che la abita e lo spirito a quanti la calcano, quando credettero insieme in molti e furono ripieni di Spirito Santo. Ed è Dio stesso che dà lo Spirito Santo al suo popolo, benché non lo dia a tutti insieme, ma a ciascuno secondo il suo tempo, fino a quando partendo da questa vita e arrivando in questa vita l'intero numero del medesimo popolo giunga a compimento. Dunque in questo passo della santa Scrittura non sarebbero realtà diverse il " respiro " e lo " spirito " ma si tratterebbe della ripetizione del medesimo concetto. Come non è altro " colui che abita nei cieli " e altro " il Signore ", né " ridere " è diverso da " beffarsi ", ma è sempre una stessa idea ripetuta nelle parole del salmo: Colui che abita nei cieli si ride di loro e il Signore se ne fa beffe. ( Sal 2,4 ) O quando dice: Ti darò le genti come tua eredità e i confini della terra come tuo possedimento, ( Sal 2,8 ) non intende una cosa per " eredità " e un'altra cosa per " possedimento ", né c'è differenza tra " genti " e " confini della terra ", ma è sempre la ripetizione del medesimo concetto. E troverà costui nei detti divini altre innumerevoli espressioni di tal genere, se sta attento a quello che legge. 14.19 - Non è in discussione il fatto che l'anima di ogni uomo venga da Dio, ma il modo Quello che il testo greco chiama pnohv nei codici latini è stato reso in maniere diverse: talvolta " respiro ", talvolta " spirito ", talvolta " ispirazione ". In questo testo profetico di cui parliamo ora i codici greci hanno pnohvn dove in latino è detto: Dà il respiro al popolo che abita la terra. ( Is 42,5 ) Lo stesso vocabolo è adoperato anche quando fu animato l'uomo: E Dio soffiò nelle sue narici un respiro di vita. ( Gen 2,7 ) Il medesimo vocabolo è così tradotto nel salmo: Ogni spirito lodi il Signore. ( Sal 150,6 ) Lo stesso si trova così tradotto in questo passo del libro di Giobbe: È il soffio dell'Onnipotente che fa l'uomo intelligente. ( Gb 32,8 sec. LXX ) Non ha voluto dire " respiro " ma " soffio ", mentre in greco c'è pnoh,v come troviamo anche nelle parole del profeta di cui stiamo discutendo. E almeno in questo passo di Giobbe non so se si debba nutrire il dubbio che sia stato significato lo Spirito Santo. Si trattava infatti di dire donde venga agli uomini la sapienza: Non sono i molti anni a dar la sapienza, ma certo c'è uno spirito nell'uomo, è il soffio dell'Onnipotente che fa l'uomo intelligente. ( Gb 32,7-8 ) Con questa ripetizione voleva far capire che le parole: C'è uno spirito nell'uomo non sono dette dello spirito umano. Intendeva appunto mostrare da dove gli uomini abbiano la sapienza: non l'hanno da se stessi, e lo spiega ripetendo: È il soffio dell'Onnipotente che fa l'uomo intelligente. Similmente si legge in un altro passo del medesimo libro: L'intelligenza comprende le parole pure delle mie labbra: lo Spirito di Dio mi ha creato, il soffio dell'Onnipotente mi ha fatto intelligente. ( Gb 33,3-4 ) Anche in questo testo quello che chiama " ispirazione " o " soffio " è in greco pnohv che nelle precedenti parole del profeta è reso con " respiro ". Perciò mentre sarebbe temerario negare che le parole: Dà il respiro al popolo che abita la terra e lo spirito a coloro che la calcano siano state dette dell'anima o dello spirito dell'uomo, sebbene vi si possa intendere molto più credibilmente anche lo Spirito Santo, con quale argomento oserà qualcuno stabilire definitivamente che in quel passo il profeta ha voluto significare l'anima o lo spirito che fa vivere la nostra natura? Del resto, anche se dicesse apertissimamente: " Dà l'anima al popolo che abita la terra ", ci sarebbe ancora da domandarsi se lo stesso Dio dia l'anima attraverso l'origine dagli ascendenti della specie ( come attraverso l'origine dagli ascendenti della specie è sempre Dio che dà il corpo non solo all'uomo e alla bestia, ma anche al seme del frumento e d'ogni altra pianta, secondo quello che ha stabilito ( 1 Cor 15,38 ) ), o se Dio ispiri un'anima nuova alla maniera in cui la ricevé il primo uomo. 14.20 - La questione andrebbe risolta con testi biblici sicurissimi Ci sono anche taluni che intendono il testo del profeta così da voler che si prenda solo per l'anima il " respiro " nella frase: Dà il respiro al popolo che la abita, ( Is 42,5 ) cioè la terra, e ritengono invece che con l'altra frase: Lo spirito a coloro che la calcano sia stato significato lo Spirito Santo, cioè nello stesso ordine in cui anche l'Apostolo scrive: Non vi fu prima il corpo spirituale, ma quello animale, e poi lo spirituale. ( 1 Cor 15,46 ) Così questa sentenza del profeta scolpirebbe anche un'elegante immagine, cioè avrebbe detto: " A coloro che la calcano " per indicare " coloro che la disprezzano ". Quelli infatti che ricevono lo Spirito Santo disprezzano i beni terreni per amore dei beni celesti. Tutte queste interpretazioni si trovano a non essere contrarie alla fede: sia che uno voglia intendere, in ambedue, il respiro e lo spirito che fanno parte della natura umana, sia che li intenda ambedue dello Spirito Santo, sia che riferisca il respiro all'anima e lo spirito invece allo Spirito Santo. Ma se anche qui si deve intendere l'anima e lo spirito dell'uomo, come non c'è da dubitare che sia Dio a darlo, così c'è da domandare ancora per quale via lo dia: se attraverso la propaggine, come è lui stesso che dà le membra del corpo, ma le dà tuttavia attraverso la propaggine, oppure se lo distribuisca alle singole persone ispirandolo in esse nuovo e senza propaggine. È questo che noi vogliamo dimostrato non con testimonianze ambigue, come fa costui, ma con qualche testimonianza certissima dei detti divini. 14.21 - La questione è questa: l'anima umana viene oggi da Dio alla stessa maniera del corpo o alla maniera della prima anima? Allo stesso modo anche nel testo dove Dio dice: Lo Spirito esce da me e ogni respiro di vita l'ho fatto io, ( Is 57,16 ) le parole: Lo Spirito esce da me si devono intendere dello Spirito Santo, di cui anche il Salvatore afferma: Procede dal Padre, ( Gv 15,26 ) ma non si può negare che sia stato detto di ciascun'anima il resto: Ogni respiro di vita l'ho fatto io. Ma è lui stesso che fa pure ogni corpo, e nessuno però dubita che faccia il corpo umano attraverso la propaggine. Perciò rispetto all'anima, pur nella certezza che è Dio a farla, dobbiamo chiederci ulteriormente da che cosa la faccia: se attraverso la propaggine come il corpo o se ispirandola come fece la prima. 14.22 - Un testo del profeta Zaccaria Aggiunge anche come terza testimonianza il passo del profeta Zaccaria: Il Signore ha formato lo spirito dell'uomo nel suo intimo. ( Zc 12,1 ) Quasi che lo si neghi! Ma la questione è da che cosa lo formi. Anche l'occhio corporeo dell'uomo da chi è formato se non da Dio? E credo che non fuori dell'uomo, ma nell'uomo, e tuttavia, com'è certo, Dio lo forma attraverso la propaggine. Poiché dunque è Dio che forma anche lo spirito dell'uomo nel suo interno, dobbiamo chiederci se lo formi con una nuova ispirazione o perché è stato tratto dalla propaggine. 14.23 - Anche il libro dei Maccabei afferma il fatto, ma non spiega il modo dell'origine dell'anima umana da Dio Sappiamo pure che la madre dei giovani Maccabei, più feconda di virtù quando i suoi figli soffrirono il martirio che di virgulti quando essi germogliarono da lei, li esortò con queste parole: Figli, io non so come siate apparsi nel mio seno; non io vi ho dato lo spirito e l'anima, né io ho dato forma al volto e alle membra di ciascuno di voi. Ma è Dio che ha fatto il mondo con tutte le cose che ci sono e ha fatto il genere umano e scruta l'attività di tutti, ed è lui che con la sua grande misericordia restituirà a voi lo spirito e l'anima. ( 2 Mac 7,22-23 ) Conosciamo bene questi testi, ma non vediamo in che modo essi suffraghino quello che afferma costui. Chi infatti tra i cristiani negherebbe che sia Dio a donare agli uomini l'anima e lo spirito? Ma penso che costui allo stesso modo non possa negare che sia Dio a dare agli uomini la lingua, gli orecchi, le mani, i piedi, tutti i sensi del corpo, la forma e la natura di tutte le membra. Come potrebbe negare che tutte queste realtà siano doni di Dio senza dimenticarsi d'essere cristiano? Ma come consta che Dio fa e dona queste entità materiali attraverso la propaggine, così dobbiamo chiederci anche da che cosa faccia lo spirito e l'anima dell'uomo il medesimo Dio che li dona con la sua efficienza: se attraverso i genitori, se dal nulla, se, come afferma costui, ma è un errore che dobbiamo assolutamente scartare, da una qualche sostanza esistente del respiro di Dio, creata non dal nulla, bensì dalla stessa natura di Dio. 15.24 - La sicurezza di Vincenzo Vittore non ha base biblica Poiché dunque le testimonianze delle Scritture alle quali ricorre non insegnano affatto quello che si sforza di dimostrare ( non sono per niente esplicite per quanto concerne la presente questione ), con quale diritto dice: " Affermiamo convintamente che l'anima viene dal respiro di Dio e non per trasmissione, perché è da Dio che è data "? Come se il corpo sia dato da un altro che non sia colui che lo crea e dal quale, per mezzo del quale, nel quale sono tutte le cose: ( Rm 11,36 ) benché non dalla sua natura divina, ma dalla sua attività. " Né dal nulla " dice costui " perché procede da Dio ". Quanto a ciò noi non ammoniamo che c'è ancora da cercare se sia vero, ma confermiamo senza esitazione che non è vero quanto dice costui, ossia che l'anima non viene né per trasmissione, né dal nulla: questo, ripeto, non è assolutamente vero. Delle due ipotesi infatti una è sicura: se l'anima non viene per trasmissione, viene dal nulla; non viene infatti da Dio, perché non è della stessa natura di Dio: un errore in cui sarebbe del tutto sacrilego credere. Ma ancora una volta noi reclamiamo o cerchiamo testimonianze certe per stabilire che non venga per trasmissione, non quelle che ha portate costui e che non risolvono la questione posta da noi. 15.25 - Fu esemplare l'umiltà della madre dei Maccabei Magari in un problema tanto profondo, finché ignora che cosa dire, costui imitasse la madre dei Maccabei! La quale, pur sapendo che aveva concepito i suoi figli dal marito e che essi erano stati creati per lei dal Creatore di tutte le cose, sia quanto al corpo, sia quanto all'anima e allo spirito, tuttavia dichiara: Io non so come siate comparsi nel mio seno. ( 2 Mac 7,22 ) Vorrei che costui dicesse che cosa ignorava quella donna. Sapeva bene quello che ho già detto: come erano venuti nel suo seno quanto al corpo, perché non poteva dubitare d'averli concepiti dal marito. Confessava anche, perché ugualmente lo sapeva, che Dio aveva dato ad essi l'anima e lo spirito, che egli aveva formato i loro volti e le loro membra. Che cosa dunque ignorava? Non ignorava forse ciò che ignoriamo noi pure: se l'anima e lo spirito, che Dio certamente aveva dato ad essi, l'avesse tratti dai genitori o l'avesse ispirati nuovi come al primo uomo? Ma fosse questo o fosse altro quello che ignorava sul formarsi della natura umana, quella donna diceva d'ignorarlo e non difendeva temerariamente quello che ignorava. Eppure a lei non direbbe costui ciò che non si è vergognato di dire a noi: L'uomo, quando è in onore, non comprende: si comporta come gli animati irragionevoli e diviene simile ad essi. ( Sal 49,13 ) Ecco, quella donna disse dei suoi figli: Io non so come siate comparsi nel mio seno, senza per questo comportarsi come gli animali irragionevoli. Io non so, disse, e come se le chiedessero il perché aggiunse: Non io vi ho dato lo spirito e l'anima. Colui dunque che ve ne ha fatto dono sa da che cosa ha fatto ciò che vi ha donato: se l'abbia fatto discendere fino a voi attraverso la propaggine o se l'abbia ispirato nuovo. È questo, disse, che io non so. Né ho dato forma ai volti e alle membra di ciascuno di voi: ( 2 Mac 7,22 ) lo sa colui che ve li formò se li abbia formati insieme con l'anima o se abbia dato l'anima dopo che le membra erano già state formate. In qual modo dunque, se nel primo modo o nel secondo, fossero comparsi i figli nel suo seno non lo sapeva, e nondimeno sapeva che tutto quello che Dio aveva dato Dio l'avrebbe ridato come l'aveva dato. Ma scelga costui, in un mistero così profondo e segreto della natura umana, che cosa questa donna abbia ignorato: soltanto non l'incolpi di mentire, né la abbassi al livello degli animali irragionevoli perché ignora. Checché fosse quello che ignorava, ciò faceva parte certamente della natura umana, e tuttavia una creatura umana lo ignorava senza colpa. Perciò anch'io nei riguardi della mia anima dico: Non so come essa sia venuta nel mio corpo, perché non sono stato io a darmela: lo sa colui che me l'ha donata se l'ha tratta da mio padre o se l'ha creata nuova per me come per il primo uomo. Lo saprò anch'io, se il Signore me lo insegnerà, quando vorrà. Ma per ora lo ignoro e non ho vergogna, come l'ha costui, a confessare di non sapere quello che non so. 16.26 - Una testimonianza di S. Paolo che non serve bene a Vincenzo Vittore " Impara! Ecco l'Apostolo insegna " scrive costui. Sono prontissimo ad imparare, se l'Apostolo insegna, perché per mezzo dell'Apostolo non insegna altri che Dio. Ma che cos'è una buona volta quello che l'Apostolo insegna? " Ecco " scrive costui " parlando agli Ateniesi afferma risolutamente proprio questo, dicendo che Dio dà a tutti la vita e lo spirito ". ( At 17,25 ) Chi lo nega infatti? " Ma cerca di capire " continua costui " quello che l'Apostolo dice: "Dà" dice, non: "Diede", richiamando ad un tempo indeterminato e continuo, non parlando del passato e del già fatto. E quanto dà senza interruzione, lo dà sempre, come sempre è colui che lo dà ". Ho trascritto le sue parole come le ho trovate nel secondo libro di quelli che mi hai mandati. Osserva prima di tutto fin dove s'è spinto intestandosi nell'affermare quello che ignora. Ha osato dire che Dio non adesso soltanto e in questo secolo, ma per un tempo infinito, senza interruzione e sempre in senso assoluto dà le anime a coloro che nascono. " Dà sempre, come sempre è colui che dà ". Che cosa abbia detto l'Apostolo, poiché è abbastanza aperto, lungi da me negare di capirlo, ma che quanto dice Vincenzo Vittore sia contro la fede cristiana lo deve capire anche lui stesso e deve guardarsi dal continuare a dirlo. Quando infatti i morti saranno risorti, nessuno nascerà più e perciò Dio non darà più le anime a chi nasce, ma giudicherà insieme ai loro corpi le anime che dà adesso in questo secolo. Non sempre dunque le dà, benché sia per sempre colui che adesso le dà. Né tuttavia dal fatto che il beato Apostolo non dice: " Diede ", ma: " Dà " si conclude ciò che vuole concludere costui, cioè che Dio non dà le anime attraverso la propaggine. È sempre evidentemente Dio che le dà, anche se le dà attraverso la propaggine. Perché, e anche le membra del corpo e i sensi del corpo e la forma del corpo e addirittura la sostanza del corpo è Dio stesso che li dà agli uomini, benché li dia attraverso la propaggine. Né, a riprova, per il fatto che il Signore dice: Se Dio veste così l'erba del campo che oggi c'è e domani verrà buttata nel forno, ( Mt 6,30 ) non dice: " Vestì ", riferendosi alla prima volta che la creò, ma dice: " Veste ", riferendosi a ciò che fa anche adesso, non negheremo che i gigli nascano dai semi della loro specie. Che dire allora se, analogamente, anche l'anima e lo spirito dell'uomo è dato da Dio finché sarà dato e tuttavia è dato attraverso la propaggine della specie umana? È questo un punto di vista che io né sostengo, né respingo. Ma se è da sostenersi o se è da respingersi, io ricordo che si deve sostenere o si deve respingere in base a testimonianze trasparenti e non in base a testimonianze ambigue. Né per il fatto che dichiaro di non saperlo ancora sono equiparabile agli animali irragionevoli, ma piuttosto alle persone caute, perché non oso insegnare quello che ignoro. Io poi non voglio per rivalsa, quasi contraccambiando maledizione con maledizione, paragonare costui ad una bestia, ma lo ammonisco come figlio a confessare l'ignoranza di ciò che ignora e a non presumere d'insegnare ciò che non ha imparato ancora, per non rischiare d'esser paragonato non alle bestie, ma a coloro dei quali l'Apostolo dice: Pretendono di essere dottori della legge, mentre non capiscono né quello che dicono, né alcuna di quelle cose che danno per certe. ( 1 Tm 1,7 ) 17.27 - Nella questione della origine dell'anima da Dio non si può trascurare il modo in cui viene da Dio il corpo umano Da che dipende infatti che riguardo alle Scritture di cui parla sia così disattento da sostenere, quando legge che gli uomini vengono da Dio, che essi " vengono da Dio solo nell'anima e nello spirito " e non anche nel corpo? Quello infatti che dice l'Apostolo: Da lui noi siamo, ( At 17,28 ) costui non lo vuole riferire al corpo, ma esclusivamente all'anima e allo spirito. Se i corpi non vengono da Dio, allora è falso quello che è scritto: Da lui, per lui, in lui sono tutte le cose. ( Rm 11,36 ) Dove poi il medesimo Apostolo dice: Come la donna deriva dall'uomo, così anche l'uomo ha vita dalla donna, ( 1 Cor 11,12 ) ci spieghi costui quale propaggine abbia voluto intendere l'Apostolo: se dell'anima o del corpo o d'ambedue. Ma egli esclude che le anime vengano dalla propaggine. Resta dunque, secondo lui e secondo tutti quelli che respingono la propaggine delle anime, che nel dire: Come la donna deriva dall'uomo, così anche l'uomo ha vita dalla donna, l'Apostolo abbia indicato unicamente il corpo maschile e il corpo femminile, perché la donna fu fatta dall'uomo e perché anche l'uomo potesse poi nascere per mezzo della donna. Ma se nel dire questo l'Apostolo non voleva intendere altresì l'anima e lo spirito, ma solamente il corpo d'ambedue i sessi, perché mai soggiunge immediatamente: Tutto poi proviene da Dio, se non perché anche i corpi vengono da Dio? Dice appunto: Come la donna deriva dall'uomo, così anche l'uomo ha vita dalla donna, tutto poi proviene da Dio. Scelga dunque costui di che cosa questo sia stato detto. Se dei corpi, allora anche i corpi sono da Dio. Perché dunque costui ogni volta che nelle Scritture legge nei riguardi degli uomini che essi vengono " da Dio ", non vuole che s'intendano anche i corpi, ma unicamente le anime e gli spiriti? Se invece la frase: Tutto poi proviene da Dio è stata detta sia del corpo d'entrambi i sessi, sia dell'anima e dello spirito, allora la donna deriva dall'uomo in tutte le sue parti. La donna deriva dall'uomo, l'uomo ha vita dalla donna, tutto poi proviene da Dio. " Tutto " che cosa se non ciò di cui parlava, ossia e quell'uomo da cui deriva la donna, e quella donna che ha vita dall'uomo, e quell'uomo che nasce per mezzo della donna? L'uomo infatti che nasce per mezzo della donna non è lo stesso uomo da cui deriva la donna, bensì l'uomo nato successivamente dall'uomo mediante la donna, come gli uomini nascono tuttora. Quindi se l'Apostolo, quando scriveva questi testi, parlava dei corpi, sicuramente i corpi d'ambedue i sessi vengono da Dio. Ora, se Vincenzo Vittore non vuole che vengano da Dio se non le anime e gli spiriti degli uomini, la donna deriva certamente dall'uomo anche nell'anima e nello spirito, e così non rimarrà più nulla per coloro che si oppongono alla propaggine delle anime. Se invece Vincenzo Vittore distingue così da dire che la donna deriva dall'uomo nel corpo, ma deriva da Dio nell'anima e nello spirito, come sarà vero quello che dice l'Apostolo: Tutto poi proviene da Dio, se il corpo della donna deriva dall'uomo in tal modo da non venire da Dio? In conclusione, per lasciar dire all'Apostolo la verità piuttosto che preferire questo scrittore all'Apostolo, la donna deriva dall'uomo o nel corpo soltanto o in tutto ciò che costituisce la natura umana - non affermiamo come certo nulla di tutto questo, ma stiamo ancora cercando dove stia la verità -, l'uomo nasce per mezzo della donna, sia che si tragga dal padre tutta la natura umana che nasce per mezzo della donna, sia che si tragga solamente la carne, ed è questo il punto su cui è ancora accesa la questione, tutto poi proviene da Dio: e su questo punto non c'è nessuna questione, ossia proviene da Dio e il corpo e l'anima e lo spirito, e dell'uomo e della donna. Benché infatti non siano nati da Dio o non siano stati tratti da Dio o non siano emanati da Dio così da essere della sua medesima natura, nondimeno vengono da Dio. Da colui infatti dal quale sono stati creati, costituiti, fatti, dal medesimo ricevono il dono di esistere. 17.28 - Nell'interpretare la Scrittura non si trascuri il suo parlare figurato Scrive costui: " Ma l'Apostolo dicendo che Dio dà a tutti la vita e lo spirito e aggiungendo che fece tutto il genere umano da un unico sangue ( At 17,25-26 ) riporta l'anima e lo spirito nella loro origine al Creatore e l'origine del corpo alla trasmissione ". Tutt'altro. Chi non vuol negare temerariamente la propaggine delle anime, prima che apparisca chiaro se essa ci sia o non ci sia, ha motivo d'intendere che l'Apostolo in questa sua frase ha detto: Da un unico sangue per significare: Da un unico uomo, prendendo la parte per il tutto con figura retorica. Se infatti è lecito a costui intendere il tutto dalla parte nella frase: E l'uomo divenne un'anima vivente, ( Gen 2,7 ) dove è sottinteso anche lo spirito, di cui qui la Scrittura tace, perché non dovrebbe essere permesso ad altri di prendere la frase: Da un unico sangue così da poter sottintendere nel " sangue " anche l'anima e lo spirito, atteso che l'uomo, significato con la parola " sangue " non consta di solo corpo, ma anche d'anima e di spirito? Chi infatti difende la propaggine delle anime non deve aggredire costui con l'argomento che nel primo uomo è stato scritto: In lui tutti hanno peccato. ( Rm 5,12 ) Non si dice che in lui peccò la carne di tutti, ma si dice " tutti ", cioè tutti gli uomini, e l'uomo non è carne soltanto. Come dunque chi difende la propaggine delle anime non dev'essere aggredito con questo argomento, perché forse si dice tutti gli uomini volendoli intendere nella carne soltanto, a sua volta costui non deve aggredire i sostenitori della propaggine delle anime argomentando dalle parole: Tutto il genere umano da un unico sangue, ( At 17,26 ) come se esse restringessero la propaggine alla carne soltanto. Perché, se fosse vero quanto sostengono costoro, cioè che l'anima non viene dall'anima, ma solamente la carne dalla carne, allora la frase: Da un unico sangue non indicherebbe tutto l'uomo con una sua parte, ma soltanto la carne d'un uomo soltanto, mentre nella frase: In lui hanno peccato tutti si dovrebbe intendere solamente la carne di tutti gli uomini che si è propagata da Adamo, significando la Scrittura la parte con il tutto. Viceversa, se è vero che da tutto l'uomo è propagato tutto l'uomo, cioè il corpo, l'anima e lo spirito, allora la frase: In lui hanno peccato tutti gli uomini ha un senso proprio, mentre la frase: Da un unico sangue avrebbe un senso metaforico, usando la parte per il tutto, cioè indicando con il sangue tutto l'uomo che è composto d'anima e di carne, o d'anima, di spirito e di carne, come ama esprimersi costui. Infatti le rivelazioni divine delle Scritture sono solite indicare sia il tutto con la parte, sia la parte con il tutto. Il tutto è indicato con la parte nelle parole: A te ricorre ogni carne, ( Sal 65,3 ) intendendo con la carne l'uomo intero. Al contrario è indicata la parte con il tutto quando si dice che il Cristo fu seppellito, mentre fu seppellita soltanto la sua carne. Ora, quanto alla proposizione contenuta in questo passo dell'Apostolo: Dio dà a tutti la vita e lo spirito, ( At 17,25 ) penso che essa, secondo il precedente ragionamento, non scomodi nessuno. È vero che Dio dà, ma ci chiediamo ancora in che modo dia: se con una nuova ispirazione o attraverso la propaggine. Con molta esattezza è detto che è Dio stesso a dare anche la sostanza della carne, senza tuttavia negare che sia data da Dio attraverso la propaggine. 18.29 - Un testo della Genesi Vediamo ora quel famoso passo della Genesi dove la donna, fatta dal fianco dell'uomo, fu presentata a lui ed egli esclamò: Questa volta essa è osso dalle mie ossa e carne dalla mia carne. ( Gen 2,23 ) Costui crede a questo proposito che "Adamo avrebbe dovuto dire: Anima dalla mia anima o spirito dal mio spirito, se anche l'anima o lo spirito fosse stato tratto da lui". Ma coloro che ammettono la propaggine delle anime, stimano di trovare un più valido appoggio per la loro sentenza nella circostanza che, mentre è scritto che Dio staccò una costola dal fianco dell'uomo e formò con essa la donna, non è stato aggiunto che Dio soffiò sul volto di lei l'alito della vita: ( Gen 2,7 ) e questo perché, dicono, la donna aveva già ricevuto l'anima attraverso l'uomo. Se fosse vero, dicono, che non aveva già ricevuto l'anima, la santa Scrittura non avrebbe mancato in nessun modo d'informarci d'un tale fatto. Quanto alle parole d'Adamo: Questa volta essa è osso dalle mie ossa e carne dalla mia carne, invece che: Spirito o anima dal mio spirito o dalla mia anima, costoro possono rispondere, come si è detto sopra, che la parte sta per il tutto nell'espressione: " osso e carne mia ", e si vuol dire che si tratta di elementi in stato di vita e non di morte. Né infatti è da negarsi che l'Onnipotente l'abbia potuto fare per la ragione che nessuno di noi può tagliare una qualche parte dalla carne umana insieme all'anima. Infatti come mai, al posto di quello che soggiunse: Questa sarà chiamata donna, perché è stata tratta dall'uomo, ( Gen 2,23 ) Adamo non disse piuttosto, nel senso dell'opinione di costoro: Perché la sua carne è stata tratta dall'uomo? In questo caso dunque coloro che seguono una sentenza diversa da quella di costui possono dire che, non essendo stato scritto che fu tratta dall'uomo la carne della donna, bensì " la donna dal suo uomo ", si deve intendere tutta la donna con l'anima e con lo spirito. Benché infatti l'anima non abbia sesso, non è tuttavia che quando si nominano le donne si debbano necessariamente intendere senza l'anima. Altrimenti non si esorterebbero ad ornarsi in questo modo: Non di trecce e ornamenti d'oro, di perle o di vesti sontuose, ma di opere buone, come conviene a donne che fanno professione di pietà. ( 1 Tm 2,9-10 ) Certo, la pietà è dentro l'anima o dentro lo spirito, e nondimeno sono state nominate le donne ad adornarsene anche nell'interno dove non c'è in nessun modo il sesso. 18.30 - Le affermazioni devono essere molto caute Mentre dunque costoro hanno combattuto tra di loro a botta e risposta, il giudizio che io pronunzio in mezzo alle due parti è questo: ammonisco gli uni e gli altri che non si fidino di sé in problemi sconosciuti e non osino affermare temerariamente ciò che ignorano. Se infatti fosse stato scritto: Soffiò l'alito della vita sulla faccia della donna ed essa divenne un'anima vivente, nemmeno allora si potrebbe concludere che l'anima non si propaga attraverso i genitori, se ciò non si leggesse scritto ugualmente anche del figlio di Adamo e di Eva. Era possibile infatti che un membro preso senz'anima dal corpo di Adamo avesse bisogno di ricevere l'anima, mentre invece l'anima del figlio si traeva dal padre attraverso la madre mediante la trasmissione della propaggine. Dal momento che si è al contrario taciuto di ciò, vuol dire che si è occultato, non che si è negato, ma non è stato nemmeno affermato. Si deve dunque appurare con prove più chiare se eventualmente in altri testi non sia stato serbato il silenzio su questo problema. Conseguentemente, né coloro che difendono la propaggine delle anime trovano un aiuto nel fatto che Dio non soffiò sul volto della donna, né coloro che negano la propaggine delle anime, per il fatto che Adamo non disse: " Anima dalla mia anima ", devono esser convinti di ciò che ancora ignorano. Come infatti, senza risolvere la questione ma lasciandola intatta, la Scrittura ha potuto tacere l'informazione che la donna riceve l'anima alla pari del suo uomo dal soffio di Dio, così, senza risolvere la questione ma lasciandola intatta, la Scrittura ha potuto tacere l'informazione perché Adamo non ha detto: " Anima dalla mia anima ". Quindi, se l'anima della prima donna viene dall'uomo, la parte sta per il tutto nella proposizione: Questa volta essa è osso dalle mie ossa e carne dalla mia carne, ( Gen 2,23 ) perché fu tratta dall'uomo tutta la donna intera e non la sua carne soltanto. Se al contrario l'anima della donna non viene dall'uomo, ma fu Dio a ispirarla in lei come nell'uomo, allora con il tutto si è indicata la parte là dove si legge: Fu tratta dal suo uomo, ( Gen 2,23 ) perché sarebbe stata tratta la carne di Eva e non tutta Eva. 18.31 - I testi incerti della Scrittura hanno bisogno di altri testi sicuri Benché dunque con queste testimonianze, innegabilmente ambigue rispetto al nostro problema, non si risolva la presente questione, tuttavia una cosa so: coloro che sono dell'opinione che l'anima della donna non viene dall'anima dell'uomo, perché non è stato detto: " Anima dalla mia anima ", ma è stato detto: Carne dalla mia carne, argomentano alla stessa maniera degli Apollinaristi o di altri, quali che siano, contro l'anima del Signore. Essi la negano, perché leggono scritto: Il Verbo si fece carne. ( Gv 1,14 ) Se qui infatti, affermano costoro, fosse compresa anche l'anima, si sarebbe dovuto dire: Il Verbo si fece uomo. Ma la vera ragione per cui a questi si replica che la Scrittura è solita indicare con il nome di carne tutto l'uomo, come per esempio nel testo: E vedrà ogni carne la salvezza di Dio, ( Is 40,5; Lc 3,6 ) perché senza l'anima la carne non può vedere nulla, è che da moltissimi altri luoghi delle Scritture sante risulta senza nessuna ambiguità la presenza nell'umanità del Cristo non della sola carne ma altresì dell'anima umana, cioè dell'anima razionale. Perciò anche quelli che difendono la propaggine delle anime potrebbero prendere il tutto come espresso dalla parte nella frase: Osso dalle mie ossa e carne dalla mia carne ( Gen 2,23 ) per sottintendervi pure l'anima, come non intendiamo che il Verbo si sia fatto carne senza l'anima. Ma, come da altre testimonianze si deduce che il Cristo possedeva un'anima umana, così anche costoro dovrebbero da altre testimonianze non ambigue dimostrare la propaggine delle anime. Parimenti ammoniamo anche coloro che escludono la propaggine delle anime perché assicurino con documenti certi l'ispirazione di anime nuove da parte di Dio, e allora potranno sostenere che la frase: Osso dalle mie ossa e carne dalla mia carne non usa metaforicamente la parte per il tutto così da doversi intendere insieme anche l'anima, ma è detta in senso proprio e soltanto della carne. 19.32 - L'anima umana non può venire da Dio senza essere creata dal nulla A questo punto vedo che il presente libro è già da concludere. Esso contiene tutte le ragioni che mi sembravano le più necessarie per svegliare nei lettori la coscienza di doversi guardare dal condividere con l'individuo di cui mi hai mandato i due libri l'errore di credere che le anime vengano così dal respiro di Dio da non venire dal nulla. Chi crede in quest'errore, anche se a parole lo nega, in realtà grida che le anime hanno la medesima sostanza di Dio ( At 17,28 ) e sono stirpe di Dio non per munificenza divina ma per natura. Non si può in nessun modo ragionevolmente negare che ciascuno tragga la specie della propria natura da dove trae l'origine della propria natura. Costui viceversa contraddice talmente se stesso da dire che " le anime sono stirpe di Dio non per natura ma per munificenza divina, e tuttavia - dice - non le ha fatte Dio dal nulla, ma traggono origine da Dio stesso ", e così non esita a ricondurle alla medesima natura di Dio, mentre prima l'aveva negato. 19.33 - Le tante assurdità di Vincenzo Vittore Quanto poi all'infusione di anime nuove senza la propaggine, certamente non proibiamo in nessun modo che essa si difenda, però si difenda da parte di coloro che possano trovare o nei Libri canonici qualche testimonianza che non sia ambigua per la soluzione di questa intricatissima questione, o trovino nei propri ragionamenti qualche argomento che non sia contrario alla verità cattolica; non da parte di coloro che facciano la figura di Vincenzo Vittore, il quale, non trovando che cosa dire e non volendo rinunziare al suo proposito, senza misurare in nessun modo le proprie forze, per non tacere, ha osato dire che " a causa della carne l'anima meritò di macchiarsi e di diventare peccatrice ", senza poter scoprire nell'anima prima della carne nessun merito né buono né cattivo. Dice anche che " il peccato originale può essere sciolto nei bambini che escono dal corpo senza battesimo e si deve offrire il sacrificio del corpo del Cristo per essi ", i quali non sono stati incorporati al Cristo con i sacramenti del Cristo nella Chiesa del Cristo, e che " essi, emigrando da questa vita senza il lavacro della rigenerazione, non raggiungono soltanto l'eterno riposo, ma possono raggiungere anche il regno dei cieli ". E scrive tante altre assurdità, che è sembrato troppo lungo raccogliere ed esporre tutte in questo libro. Rimanga dunque stabilito: se la propaggine delle anime è falsa, non sia mai che venga ributtata da gente siffatta; e se l'infusione di anime nuove è vera, non sia mai che venga patrocinata da gente siffatta. 19.34 - Esortazione a guardarsi dall'errore e dall'eresia Per queste considerazioni coloro che vogliono difendere l'opinione per cui si dice che le anime si ispirano nuove nei nascenti e non si traggono dai genitori, si guardino assolutamente dal seguire qualcuno di questi quattro errori che ho ricordati sopra: cioè non dicano che è Dio a far peccatrici le anime a causa di un peccato originale altrui; non dicano che i bambini morti senza battesimo possono giungere alla vita eterna e al regno dei cieli, potendo qualsiasi altro mezzo sciogliere in essi il peccato originale; non dicano che le anime hanno peccato in qualche altro luogo prima della carne e che per questo loro demerito furono precipitate nella carne peccatrice; non dicano che in quelle anime sono giustamente puniti i peccati previsti dalla prescienza divina, benché non trovati in esse, non essendo stato consentito a loro di raggiungere quella vita dove commetterli. Senza far dunque nessuna di queste quattro affermazioni, perché ognuna di esse è falsa ed empia, trovino inoltre su questo argomento testimonianze certissime delle Scritture, e allora potranno difendere la loro sentenza non solo senza incontrare la mia opposizione, ma anche con la mia adesione e la mia gratitudine. Se invece non trovano nessuna testimonianza certissima da parte delle rivelazioni divine su questo argomento e si sentono spinti dalla mancanza di prove a dire qualcuno di quei quattro spropositi, si frenino, per non essere trascinati dalla stessa mancanza di prove a dire perfino che le anime dei bambini non hanno il peccato originale, in consonanza con l'eresia pelagiana, una volta condannabile e recentissimamente condannata. È meglio per ognuno riconoscere di non sapere quello che non sa piuttosto che incorrere in una eresia condannata o fondare una eresia nuova nel tentativo temerario di difendere ciò che non sa. Vi sono altre affermazioni false e assurde di questo individuo, nelle quali non devia dall'orbita della verità altrettanto pericolosamente, ma pur devia ugualmente. Essendo molte, poiché se il Signore lo vorrà, mi riprometto di scrivere qualcosa anche a lui a proposito dei suoi libri, le esaminerò forse tutte o in grandissima parte, se non potrò tutte, in quella occasione. 20.35 - Ringraziamenti a Renato, auguri a Vincenzo Vittore Quanto poi a questo libro che a preferenza di qualsiasi altro ho creduto di dover scrivere a te, perché da vero cattolico e da buon amico ti sei preso cura tanto della nostra fede quanto della mia reputazione con sincerità e amore, lo darai a leggere o a copiare alle persone alle quali lo potrai dare o alle persone alle quali giudicherai di doverlo dare. In esso ho creduto mio dovere rintuzzare e confutare la presunzione di cotesto giovane, ma in modo tuttavia da dimostrargli il mio amore e il mio desiderio che non sia condannato ma emendato, e che nella grande casa che è la Chiesa cattolica, dove l'ha portato la misericordia divina, progredisca tanto da essere nella Chiesa un vaso santificato per nobile uso, utile al Signore, sempre pronto ad ogni opera buona, ( 2 Tm 2,20-21 ) sia vivendo rettamente, sia proclamando una dottrina sana. Ora, se è necessario che io ami lui, come faccio, quanto più sarà necessario che io ami te, o fratello, di cui conosco ottimamente la benevolenza nei miei riguardi, nonché la fede cattolica prudente e saggia! Tutto questo ti ha indotto a copiare e a mandare a me con una carità veramente fraterna e limpidamente sincera quei libri che ti sono dispiaciuti e nei quali hai trovato il mio nome trattato in maniera diversa da come avresti voluto. Perciò sono tanto lontano dall'adirarmi contro la tua carità per aver fatto questo, che piuttosto mi sarei dovuto adirare in nome dei diritti dell'amicizia, se non l'avessi fatto. Ti rendo dunque abbondanti grazie. Del resto, in che modo abbia io preso il tuo comportamento te l'ho indicato ancora più palesemente con lo scriverti senza nessun indugio questo libro, appena ho letto quei libri. Libro II Al presbitero Pietro, al Signore. Fratello dilettissimo e conpresbitero Pietro, il Vescovo Agostino salute al Signore 1.1 - L'occasione di questo libro: l'accoglienza di Pietro ai libri di Vincenzo Vittore Mi sono giunti due libri di Vincenzo Vittore, che egli ha scritti alla tua santità. Me li ha mandati il nostro fratello Renato, il quale, sebbene laico, è però prudentemente e scrupolosamente preoccupato della fede sua e delle persone che ama. Dalla loro lettura mi sono accorto che si tratta d'uno scrittore senza dubbio fluido nel discorrere, non solo fino a bastare, ma anche fino a straripare: con la riserva tuttavia che non è ancora ben preparato, come si richiede, nei problemi sui quali ha voluto parlare. Se una tale preparazione gli sarà concessa per munificenza del Signore, egli potrà giovare a molti. Non è davvero piccola la sua capacità d'esporre e d'abbellire le proprie sentenze, se prima di tutto si adopera d'aver giuste sentenze. Sono infatti molto pericolosi gli errori esposti elegantemente, perché alle persone meno provviste sembra che portando una veste elegante portino anche la verità. In qual modo però tu stesso abbia accolto quei medesimi libri io non lo so, ma tuttavia, se è vero quanto ho sentito, si dice che alla fine della loro lettura sei saltato così dalla gioia che, dopo aver baciato sulla testa tu vecchio quel giovane, tu presbitero quel laico, l'hai ringraziato d'averti insegnato quello che ignoravi. E qui io non disapprovo certamente la tua umiltà, anzi al contrario ti lodo anche dell'onore che hai reso a chi si è fatto tuo maestro: e non è nemmeno un uomo, ma la Verità stessa che si è degnata di parlarti per mezzo di lui, purché ti sia possibile indicare quali verità tu abbia apprese per mezzo di lui. Vorrei pertanto che nella tua risposta tu insegnassi a me quali siano le verità che costui ha insegnate a te. Lungi infatti da me la vergogna d'imparare da un presbitero, se tu non hai avuto vergogna d'imparare da un laico, con umiltà da encomiare e da imitare, se è la verità che tu hai imparata. 2.2 - Nozioni secondarie sulla distinzione tra anima e spirito nelle quali si è esercitato Vincenzo Vittore La ragione per cui, o fratello dilettissimo, io desidero conoscere che cosa tu abbia imparato da lui è questa: congratularmi per te se è verità già conosciuta da me, imparare da te se invece è verità non conosciuta da me. Quello che tu ignoravi è forse che sono due realtà distinte l'anima e lo spirito, secondo le parole della Scrittura: Hai ritirato dal mio spirito la mia anima? ( Gb 7, 15 sec. LXX ) E che ambedue appartengono alla natura dell'uomo, cosicché l'uomo nella sua completezza sia spirito, anima e corpo, ma che talvolta la parola " anima " comprende queste due realtà insieme, come nel testo: E l'uomo diventò un'anima vivente? ( Gen 2,7 ) Qui è sottinteso appunto lo spirito. Similmente che talvolta ambedue sono compresi nella parola spirito, come nel passo: E, chinato il capo, rese lo spirito? ( Gv 19,30 ) E qui si deve intendere anche l'anima. E che ambedue sono di una sola sostanza? Io penso che queste verità ti fossero già note. Se invece le ignoravi, sappi che non hai imparato delle verità che si ignorino con grande pericolo. E se qui c'è da fare a tal proposito qualche distinzione più sottile, è meglio farla con lui stesso, del quale conosciamo già anche la terminologia: se, dicendo anima così da sottintendere anche spirito, l'una e l'altro siano l'anima e invece lo spirito sia una qualche parte dell'anima; se con questo nome d'anima si indichi, come sembra a costui, il tutto per mezzo d'una sua parte oppure se lo spirito sia ambedue le realtà, ma sia una parte dello spirito quella che si dice propriamente anima, o se quando si dice spirito così da sottintendere insieme l'anima, si adoperi anche in questo caso la parte per indicare il tutto: così infatti piace a costui. La verità è che queste sottigliezze, come ho detto, e si discutono e si ignorano senza nessun pericolo o certamente senza un grande pericolo. 2.3 - I sensi del corpo e i sensi dell'anima Ugualmente mi stupirei se ti avesse insegnato che altri sono i sensi del corpo e altri invece i sensi dell'anima: e tu, uomo di tale età e dignità, prima d'aver ascoltato costui, credevi che fossero una sola e medesima facoltà quella con la quale si distingue il bianco dal nero, come sanno fare con noi anche i passeri, e quella con la quale si giudica il bene e il male, come li vedeva Tobia, anche dopo aver perduto le luci della carne. ( Tb 4 ) Se è così, allora quando leggevi o sentivi: Illumina i miei occhi, perché non mi addormenti mai nella morte, ( Sal 13,4 ) non pensavi che agli occhi della carne. O se questo è un testo oscuro, quando ripensavi alle parole dell'Apostolo: Gli occhi illuminati del vostro cuore, ( Ef 1,18 ) credevi certo che noi avessimo il cuore sotto la fronte e sopra la bocca. Non sia mai che io pensi questo di te. Nemmeno questo dunque ti ha insegnato costui. 2.4 - Teme Agostino che Vincenzo Vittore abbia guadagnato Pietro al suo errore O se per caso tu prima della dottrina di costui, che ti rallegri d'aver trovata adesso, pensavi che la natura dell'anima fosse una porzione di Dio, di questo, sì, ignoravi la falsità con terribile pericolo. E se da costui hai imparato che l'anima non è una porzione di Dio, ringrazia quanto puoi Dio di non essere emigrato dal corpo prima d'averlo imparato. Ne saresti infatti emigrato da grande eretico e da orrendo bestemmiatore. In nessun modo tuttavia io potrei pensare di te nemmeno questo: che tu, cattolico come sei e presbitero non immeritevole, ritenessi che la natura dell'anima sia una porzione di Dio. Perciò confesso alla tua dilezione il mio timore che forse costui ti abbia invece insegnato qualcosa che sia contrario alla fede che avevi. 3.5 - L'errore circa la creazione dell'anima Come infatti non penso che nella Cattolica tu abbia mai ritenuto che l'anima sia una porzione di Dio, o che in nessun modo la natura dell'anima e di Dio sia la medesima natura, così temo che, se mai, tu abbia aderito all'errore di costui che dice: "Dio non creò l'anima dal nulla, ma essa proviene così da Dio da essere emanata da lui ". Anche questa parola infatti egli ha messa tra le altre con le quali è uscito nella presente questione fuori di strada in un immane precipizio. Ma se è questo che ti ha insegnato, non voglio che tu lo insegni a me, anzi voglio pure che tu disimpari quello che hai imparato da lui. Non basta non credere e non dire che l'anima sia una parte di Dio. Non diciamo nemmeno del Figlio e dello Spirito Santo che siano una parte di Dio e tuttavia diciamo che il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo sono di una sola e medesima natura. Non basta dunque che non diciamo che l'anima sia una parte di Dio, ma bisogna anche dire che essa e Dio non sono d'una sola e medesima natura. Costui al riguardo dice sì, giustamente, che " le anime sono stirpe di Dio per munificenza divina e non per natura ", e quindi non le anime di tutti gli uomini, ma le anime dei fedeli: tuttavia è ricaduto di nuovo nell'errore che aveva evitato e ha detto che Dio e l'anima sono della stessa natura. Non proprio in questi termini, ma con sentenza aperta e manifesta. Poiché infatti dire che l'anima proviene così da Dio da non averla egli creata né da un'altra natura, né dal nulla, bensì da se stesso, che altro tenta di far accettare se non quello che nega con altre sue parole, cioè che l'anima è della medesima natura di Dio? Ogni natura appunto o è Dio, che non ha nessuno come autore, o è da Dio perché ha Dio stesso come autore. Ma la natura, che ha Dio come autore che la fa esistere, o è natura che non è stata fatta o è natura che è stata fatta. Ora, la natura che non è stata fatta e tuttavia proviene da Dio: o è generata da Dio o procede da Dio. La natura generata è l'unico Figlio, la natura procedente è lo Spirito Santo, e questa Trinità è d'una sola e medesima natura. I Tre infatti sono una sola essenza, ed ognuno dei Tre è Dio, e tutti insieme sono un unico Dio, immutabile, eterno, senza nessun inizio di tempo o termine. La natura invece che è stata fatta si chiama creatura, mentre si dice Creatore Dio, cioè la Trinità. Si dice dunque che la creatura proviene così da Dio da non essere stata fatta di natura divina. La ragione infatti per cui si dice che la creatura proviene da Dio è che ha Dio come autore che la fa esistere, non così da esser nata da Dio o da esser proceduta da Dio, ma così da esser stata creata, costituita, fatta da Dio: per alcune creature senza partire da nessun'altra natura, cioè partendo assolutamente dal nulla; per esempio il cielo e la terra o meglio tutta la materia dell'intera mole dell'universo creata insieme al mondo; per altre creature partendo da un'altra natura già creata precedentemente e già chiamata all'esistenza: per esempio l'uomo maschio dal fango, la donna dall'uomo maschio, l'uomo in genere dai suoi genitori. Tuttavia ogni creatura proviene da Dio, ma creante o dal nulla o da qualcosa, non generante o producente dalla sua propria natura. 3.6 - Dio non ha fatto l'anima dalla sua propria essenza Io parlo così con un cattolico, più per ricordare che per insegnare. Non penso che siano verità nuove per te, o verità già udite, sì, ma tuttavia non credute, e piuttosto, com'è mia convinzione, tu leggi la mia lettera con tale attenzione da riconoscere in essa anche la tua fede, che è comune a noi nella Chiesa cattolica come dono del Signore. Se dunque, come avevo cominciato a dire, parlo così con un cattolico, da dove pensi tu, ti prego di dirmi, che venga l'anima, non dico quella di ciascuno di noi, ma la prima data al primo uomo? Se dal nulla, e tuttavia fatta ed ispirata da Dio, credi tu quello che credo io. Se al contrario pensi che venga da una qualche altra creatura, la quale abbia servito quasi da materia all'arte di Dio per fare l'anima, come la polvere per fare Adamo, o la costola di lui per fare Eva, o le acque per fare i pesci e gli uccelli, o la terra per fare tutte le specie d'animali terrestri, ( Gen 2, 7.22 ) questo non è cattolico, non è vero. Se poi pensi, e ciò non sia mai, che Dio non abbia fatto o non faccia le anime né dal nulla né da un'altra qualsiasi natura, ma da se stesso, cioè dalla sua propria natura, questo, sì, l'hai imparato da lui, ma non mi rallegro con te, né mi compiaccio: sei uscito ben lontano dall'orbita della fede cattolica con Vincenzo Vittore. Più tollerabile sarebbe, per quanto sia falso, ma più tollerabile sarebbe, come dicevo, che tu credessi l'anima creata da Dio per derivazione da qualche altra creatura già fatta da Dio, piuttosto che dalla natura di Dio, per non riportare con orrenda bestemmia alla natura di Dio il fatto che essa è mutevole, il fatto che pecca, il fatto che diventa empia, il fatto pure che, se continuerà ad essere empia fino alla fine, sarà condannata senza fine. Butta via, o fratello, butta via, ti prego, quest'opinione, che non è davvero la nostra fede, ma un errore d'esecranda empietà, perché non ti accada, uomo grave sedotto da un giovane e presbitero da un laico, ritenendo che questa sia la fede cattolica, d'esser radiato dal numero dei fedeli: e il Signore tenga lontana da te questa sventura! Perché, con te non ci si deve comportare come con Vincenzo Vittore, né cotesto tuo errore tanto orrendo è degno in te della stessa indulgenza che in quel giovane, sebbene sia da lui che è passato in te. Costui è una matricola entrata da poco a curarsi nell'ovile cattolico, tu appartieni all'albo dei pastori cattolici. Non vogliamo che ad una pecorella ulcerosa, venuta dall'errore al gregge del Signore, si lasci, prima d'esser medicata, rovinare un pastore con pestifera infezione. 3.7 - Pietro ha il dovere di scrivere per chiarire la sua posizione Se dici: - Non è stato lui a convincermi di ciò, né ho aderito in nessun modo a cotesto suo errore, sedotto dalla soavità di uno stile eloquente ed elegante quanto si voglia -, io ne rendo grandi grazie a Dio. Ma chiedo che cosa, dopo averlo baciato in testa, come si va dicendo, te l'abbia fatto ringraziare d'aver imparato da lui quello che ignoravi fino al momento d'ascoltare la sua dissertazione, o, se è falso che tu abbia fatto e detto quanto ti si attribuisce, ti chiedo che ti degni di notificarci proprio questo, perché con la tua lettera si faccia tacere il vano rumore. Se poi è vero che con quel gesto d'umiltà ti sei mostrato riconoscente a lui, sono pronto a godere, se egli non ti ha insegnato quell'errore che più sopra ti ho dimostrato quanto sia da detestare e da evitare. 4 - E non ti riprendo d'essere stato grato con tanta umiltà ad un maestro, se da lui, benché in qualche punto discorresse in modo diverso dalla fede, tu hai imparato qualcosa di vero e di utile, ma domando che cosa sia: forse che l'anima non è spirito, ma corpo? Non reputo certamente che sia un gran danno di dottrina cristiana ignorare simili cose, e, se si discute con sottigliezza delle specie dei corpi, ciò che s'impara ha un costo di difficoltà che è superiore alla sua utilità. Ma se il Signore vorrà che io, come desidero, scriva a quello stesso giovane, forse la tua dilezione imparerà in quel mio scritto come Vincenzo Vittore non ti abbia insegnato nemmeno questo: se tuttavia è questo che ti rallegri d'aver imparato da lui. Ma chiedo che non ti rincresca di rispondere, perché non si tratti eventualmente di qualche altra verità, che risulti utile o che appartenga alla fede necessaria. 4.8 - Gl'insegnamenti della parabola dell'epulone e del povero È forse questo finalmente quello che tu stesso ignoravi, quello che costui crede rettissimamente e molto salutarmente, cioè che le anime sono giudicate appena escono dai corpi, prima d'andare a quel giudizio dal quale devono essere giudicate, quando saranno già stati restituiti i corpi, per essere tormentate o glorificate nella stessa carne con la quale vissero qui? Chi potrebbe essere stato tanto sordo per ostinazione mentale contro il Vangelo da non sentirsi dire queste verità o da non credere ad esse, pur sentendosele dire, in quel povero che fu portato dopo la morte nel seno di Abramo e in quel ricco di cui si descrive il supplizio nell'inferno? ( Lc 16,19-31 ) Ma ti ha forse insegnato costui in qual modo l'anima senza il suo corpo poteva desiderare una stilla d'acqua dal dito del povero, quando lo stesso Vincenzo Vittore ha confessato che l'anima non cerca gli alimenti materiali se non per rincalzare le rovine del suo corpo corruttibile? Sono queste le sue parole: " Forse perché l'anima cerca le vivande o le bevande, noi crediamo che il pasto vada a finire ad essa? ". E poco dopo: " Da qui si capisce e si dimostra che il sostentamento dei cibi non riguarda l'anima, ma il corpo. A questo si provvede, oltre il cibo e per la medesima ragione, anche il vestito: la somministrazione degli alimenti appare necessaria al medesimo corpo cui competono pure i vestiti". Illustra questa sua sentenza, già esposta con sufficiente chiarezza, anche con una similitudine, dicendo: " In che modo provvede un qualsiasi inquilino alla propria abitazione? Se sente tremare il tetto o vacillare le pareti o cedere le fondamenta, non cerca forse puntelli, non ammassa cataste per poter sorreggere con ogni cura e premura quella casa che minaccia di rovinare su se stessa, perché il pericolo dell'abitazione non sia una minaccia pendente sull'abitatore? Così devi dunque riconoscere" conclude costui " che anche l'anima desidera il cibo per la sua carne e che dalla carne le sorge senza dubbio lo stesso desiderio ". Questi appunto i pensieri che quel giovane espone con parole luminosissime e abbondantissime, asserendo che gli alimenti non si cercano per l'anima, ma per il corpo, certo grazie alla premura dell'anima, ma perché abitatrice della casa e puntellatrice con provvida refezione delle imminenti rovine della sua carne moribonda. E allora spieghi costui che cosa di rovinoso desiderava di puntellare l'anima di quel ricco, che non aveva più il suo corpo mortale, e ugualmente soffriva la sete, e desiderava una gocciola d'acqua dal dito di quel povero. Ha dove esercitarsi cotesto maestro dei vecchi: cerchi e, se gli sarà possibile, troverà per quale sua necessità quell'anima mendicasse negli inferi l'umido alimento, pur in misura tanto esigua, sebbene fosse già fuori dalla sua rovinosa abitazione. 5.9 - La stranezza dell'insegnamento di Vincenzo Vittore Il fatto che costui creda nell'incorporeità di Dio mi porta a congratularmi con lui che per questo almeno si distacchi dai deliramenti di Tertulliano. Questi ha sostenuto appunto che, come l'anima, anche Dio è corporeo. Ma Vincenzo Vittore, pur dissentendo da Tertulliano su questo punto, tenta di persuadere i lettori di affermazioni ancora più strabilianti: cioè che l'incorporeo Dio non fa dal nulla l'alito corporeo, ma lo esala dalla sua stessa natura. Oh dottrina degna che ogni età le tenda gli orecchi, degna d'avere per discepoli uomini gravi di anni e perfino presbiteri! Legga, legga in assemblea quanto ha scritto, inviti alla sua proclamazione persone conosciute e persone sconosciute, dotte e non dotte. O vecchi, accorrete a gara con i giovani, imparate ciò che ignoravate, udite quello che mai udiste. Ecco, lo insegna costui: non da qualcosa che esista in qualche modo, né da ciò che non esiste in nessun modo Dio crea l'alito; ma da ciò che Dio è in se stesso, sebbene egli sia incorporeo, ispira un corpo. Dio stesso dunque muta in corpo la propria natura, prima che essa si muti nel corpo del peccato. Oppure, costui dice che Dio non muta alcunché della sua natura, quando crea l'alito? Allora, non lo crea da ciò che Dio è in se stesso, perché tra lui e la sua natura non c'è differenza. Chi, anche se fosse malatissimo di mente, lo vorrebbe pensare? Se dice che Dio crea l'alito traendolo così dalla propria natura da rimanere integro in se stesso, ciò non fa questione: il problema è invece se ciò che non proviene da un'altra creatura, né dal nulla, ma da Dio, non sia proprio lo stesso che è Dio, cioè della sua medesima natura ed essenza. Dio infatti rimane integro anche dopo aver generato il Figlio, ma poiché l'ha generato da se stesso, non ha generato altro che ciò che egli è in se stesso. A parte infatti che il Verbo ha assunto l'uomo e si è fatto carne, ( Gv 1,14 ) il Verbo Figlio di Dio è, sì, un altro distinto dal Padre, ma non altro: ossia è un'altra persona, ma non una natura diversa. E quale è la ragione di ciò se non perché non è stato creato per derivazione da un'altra creatura o dal nulla, ma è nato da Dio stesso, non perché fosse migliore di quello che era, ma semplicemente perché fosse e perché fosse ciò che è il Padre dal quale è nato, ossia d'una sola e medesima natura, uguale, coeterno, pari a lui in tutto, ugualmente immutabile ugualmente invisibile, ugualmente incorporeo, ugualmente Dio, assolutamente tutto ciò che è il Padre, tranne che egli è il Figlio e non il Padre? Se invece [ dice che ] Dio, pur rimanendo integro in se stesso, crea, non dal nulla né da un'altra creatura ma da se stesso, qualcosa diverso da sé e a sé inferiore, e un corpo emani così dall'incorporeo Dio, questo è un errore che mai un cuore cattolico dovrebbe bere: non è infatti una polla della fonte divina, ma una balla del cuore umano. 6.10 - Altro è imparare, altro è credere di avere imparato Quanto maldestramente poi costui si affanni a sottrarre l'anima che reputa corporea alle sofferenze del corpo, discutendo sull'infanzia dell'anima, sui paralitici e sugli impedimenti dei sensi dell'anima, sull'amputazione delle membra del corpo che non taglia l'anima, non lo devo trattare con te, ma piuttosto con lui: è lui appunto che deve sudare per rendere conto delle sue affermazioni, perché non sembri che della superficialità d'un giovane vogliamo affaticare la gravità d'un vecchio. Che poi costui non faccia provenire dal seme dell'anima le somiglianze dei costumi che si riscontrano nei figli è un modo di sentire senza dubbio coerente per tutti coloro che negano la propaggine delle anime, ma nemmeno coloro che la sostengono fanno leva su questo particolare per la loro asserzione. Vedono infatti anche dei figli differenti dai genitori nei costumi e giudicano che ciò dipenda dal fatto che anche una medesima persona ha spesso altri costumi diversi dai suoi costumi, non certo per aver ricevuto un'altra anima, ma per aver mutato la sua vita in meglio o in peggio. Così ammettono la possibilità che un'anima non abbia i medesimi costumi dell'anima da cui è propagata, dal momento che lei stessa, pur essendo la medesima, può avere costumi diversi in tempi diversi. Perciò se è questo che credi d'aver imparato da lui, cioè che l'anima non viene per trasmissione, volesse il cielo che tu in questo avessi imparato la verità: io con immenso piacere mi affiderei a te come mio maestro. Ma altro è imparare e altro è credere d'aver imparato. Se dunque credi d'aver imparato quello che non sai ancora, vuol dire che non hai imparato seriamente, ma hai creduto temerariamente ciò che hai ascoltato graditamente e con la loro soavità le parole t'hanno iniettato nell'animo la loro falsità. Non ti dico questo perché io mi senta già certo della falsità dell'opinione che le anime vengano ispirate nuove piuttosto che tratte dalla radice dei genitori: ciò è precisamente quello che stimo si debba chiedere ancora a coloro che sono in grado d'insegnarlo; ma te lo dico perché costui ha trattato di questo problema non solo in modo da non risolvere una questione che è ancora in discussione, ma anche in modo da sfornare tali opinioni che sulla loro falsità non c'è ombra di dubbio. Volendo infatti provare opinioni dubbie ha osato fare affermazioni che senza nessun dubbio sono da riprovare. 7.11 - L'anima non esisteva prima di unirsi al corpo Oppure, dubiterai tu forse di riprovare che costui parlando dell'anima dica: " Tu non vuoi che l'anima contragga dalla carne del peccato la sua infermità, mentre vedi che la santità a sua volta arriva all'anima passando attraverso la carne, per restaurare la sua condizione con la medesima carne con la quale aveva perduto il suo merito? Oppure, perché il battesimo lava il corpo, non può arrivare all'anima o allo spirito quanto si crede conferito dal battesimo? L'anima ricupera giustamente mediante la carne la sua condizione originale, che è sembrato per poco avesse perduta a causa della carne: comincia a rinascere mediante la medesima carne per la quale aveva meritato d'esser macchiata". Conta quanti errori in queste parole abbia commessi cotesto tuo maestro. Dice: " L'anima ricupera la sua condizione con la medesima carne a causa della quale aveva perduto il suo merito ". Dunque l'anima aveva un qualche modo di essere e un qualche merito buono prima della carne, merito che costui vuole ricuperato da essa mediante la carne, quando la carne si lava con il lavacro della rigenerazione. L'anima pertanto era già vissuta in qualche posto prima della carne, in uno stato buono e in un merito buono, stato e merito che venne a perdere dopo che venne nella carne. Dice costui: " L'anima ricupera mediante la carne la sua condizione originale che è sembrato per poco avesse perduta a causa della carne". L'anima dunque aveva una condizione antica prima della carne: questo significa " originale "; e tale condizione quale poteva essere se non una condizione beata e lodevole? È di questa condizione che costui assicura il ricupero da parte dell'anima mediante il sacramento del battesimo, poiché costui non vuole che l'anima tragga origine per propaggine da quell'anima che risulta essere stata un tempo felice nel paradiso. Come fa dunque a dichiarare in un altro passo: " Convintamente asserisco che l'anima non viene per trasmissione né dal nulla, né da se stessa, né prima del corpo "? Ecco, nel passo di sopra vuole che le anime vivano prima del corpo in qualche posto tanto beatamente che quella stessa beatitudine venga restituita ad esse mediante il battesimo. E come se si fosse di nuovo dimenticato di se stesso, aggiunge: " Comincia a rinascere mediante la medesima carne per la quale aveva meritato d'esser macchiata ". Precedentemente aveva fatto capire che a causa della carne era stato perduto un merito buono, adesso invece suppone un merito cattivo che abbia fatto venire o mandare l'anima nella carne, dicendo: " Per la quale aveva meritato d'esser macchiata ". Se l'anima infatti merita di macchiarsi, non si tratta certamente di un merito buono. Dica quale peccato abbia commesso l'anima, prima d'esser macchiata dalla carne, così da meritare d'esser macchiata dalla carne. Dica, se può, quello che non può in nessun modo, perché non può trovare qui in modo assoluto che cosa dire di vero. 8.12 - Contraddizioni chiarissime Similmente scrive poco dopo: " Se l'anima che non poteva esser peccatrice meritò d'esser peccatrice, non rimase tuttavia nel peccato, perché, modellata sul Cristo, non doveva esser nel peccato come non lo poteva essere ". Ti prego, o fratello, dimmi: non è forse vero che hai letto queste parole e le hai meditate almeno dopo, e hai pensato che cosa fosse quello che avevi lodato nel suo proclamare, o che cosa te l'avesse fatto ringraziare alla fine del suo proclamare? Dimmi, per favore, qual è il senso della proposizione: " L'anima che non poteva esser peccatrice meritò d'esser peccatrice "? Che cosa significano le parole: " Meritò " e: " Non poteva ", dal momento che non avrebbe potuto meritare ciò se non fosse già stata peccatrice, ma non lo sarebbe stata se non avesse potuto esserlo, perché peccando prima d'ogni demerito si facesse con il peccato un demerito per cui giungere per abbandono da parte del Signore ad altri peccati? Ha detto forse: " Non poteva esser peccatrice ", perché non avrebbe potuto esser peccatrice se non veniva nella carne? Che cosa dunque fece per meritarsi di essere inviata là dove potesse diventare peccatrice, dal momento che se non ci fosse venuta, non avrebbe potuto altrove diventare peccatrice? Dica: che cosa fece per meritarlo? Se infatti meritò d'esser peccatrice, vuol dire che aveva già peccato in qualche modo per meritare d'esser peccatrice ancora di nuovo. Se però non aveva peccato in nessun modo, come poté meritare di essere peccatrice? Ma forse questi rilievi sembreranno oscuri o si faranno per pretesto passare come oscuri, mentre sono apertissimi. Non doveva infatti scrivere costui che l'anima, della quale non potrà trovare prima della carne nessun merito, né buono né cattivo, meritò di essere peccatrice a causa della carne. 9.13 - Un testo biblico male applicato da Vincenzo Vittore Ma veniamo a testi ancora più chiari. Si trovava costui in grandi angustie nello spiegare come il vincolo del peccato originale tenga strette le anime se esse non traggono origine da quella che peccò per prima, ma vengono ispirate da Dio nella carne peccatrice assolutamente pure da ogni contagio e propagazione di peccato. Perché non gli si obietti che è Dio che ispirando così le anime le fa diventare colpevoli, ha tentato dapprima di proteggere questa sua opinione con la prescienza di Dio, perché egli ha preparato ad esse la redenzione. Nel sacramento di questa redenzione si battezzano i bambini, perché sia lavato il peccato originale che le loro anime hanno contratto dalla carne, quasi che Dio corregga il proprio operato, avendole fatte macchiare quando erano innocenti. Ma, arrivato il momento di parlare di quelli che non vengono soccorsi con tale mezzo e spirano prima d'esser battezzati, ha detto: " In questo caso non mi voglio impegnare come un innovatore, ma cerco d'orientarmi in qualche modo attraverso un'analogia. Diciamo che bisogna tenere conto di questi bambini che, predestinati al battesimo, sono prevenuti dal tramonto della vita presente prima che rinascano nel Cristo. È di essi infatti che leggiamo scritto: È stato rapito, perché la malizia non ne muti i sentimenti o l'inganno non ne travii l'animo. Per questo lo ha tolto in fretta da un ambiente malvagio, perché la sua anima era gradita al Signore. ( Sap 4,11.14 ) E ancora: Giunto in breve alla perfezione, ha compiuto una lunga carriera ". ( Sap 4,13 ) Chi si rifiuterebbe d'avere un tanto maestro? I bambini dunque che la gente in maggioranza vuol far battezzare e muoiono mentre si corre al sacramento, se venissero trattenuti per pochi istanti di più in questa vita così da morire subito dopo il battesimo, verrebbero ad esser corrotti dalla malizia nei loro sentimenti e traviati nell'animo dall'inganno, e perché questo non accadesse a loro si è venuti in loro aiuto con il rapimento prima che con il sacramento del battesimo? Dunque è nello stesso battesimo che si sarebbero corrotti, e sarebbero rimasti ingannati se fossero stati rapiti dopo il battesimo. Oh dottrina da applaudire e da seguire! Piuttosto, oh dottrina da detestare e da esecrare! Ma proprio questo costui pretese dalla sapienza di voi che foste presenti quando egli proclamò i suoi volumi e soprattutto dalla sapienza di te a cui scrisse e consegnò i libri declamati: confidò che foste pronti a credere scritto per i bambini non battezzati ciò che è stato scritto per tutti i santi che sono morti in età prematura e che gli stolti stimano maltrattati, quando sono stati rapiti in fretta da questa vita, senza aver potuto raggiungere gli anni che gli uomini si augurano come una grande munificenza divina. Che senso ha poi la proposizione: " I bambini predestinati al battesimo sono prevenuti dal tramonto della vita presente prima che rinascano nel Cristo ", come se una qualche forza della sorte o del fato o di qualsiasi altra specie non consenta a Dio di portare a termine quello che ha predestinato? E com'è possibile che li rapisca Dio stesso, perché gli sono piaciuti? È forse Dio stesso che per un verso li predestina al battesimo e per l'altro verso non permette che si compia ciò che ha predestinato? 10.14 - Paradiso e Regno dei cieli Ma considera che cosa ardisca ancora costui, al quale nella profondità tanto grande dell'attuale questione dispiace la nostra esitazione più cauta che saputa. Scrive: " Oserei dire che costoro possono giungere all'indulgenza dei peccati originali, non così però da essere introdotti nel regno celeste, come al ladrone, credente certo ma non battezzato, il Signore non diede il regno dei cieli, sibbene il paradiso, ( Lc 23,43 ) avendo egli già detto: Chi non sarà rinato dall'acqua e dallo Spirito Santo, non entrerà nel regno dei cieli. ( Gv 3,5 ) Tanto più che il Signore dichiara che sono parecchie le abitazioni presso il suo Padre, ( Gv 14,2 ) designando nelle abitazioni i molti e diversi meriti degli abitatori: chi non è battezzato viene condotto all'indulgenza, chi è battezzato viene condotto alla palma che è preparata mediante la grazia ". Ti accorgi che costui separa dal regno dei cieli il paradiso e le abitazioni che esistono presso il Padre, perché anche per i non battezzati ci sia abbondanza di posti nella felicità eterna. Né si avvede, mentre lo dice, d'essere tanto deciso a non separare dal regno dei cieli il soggiorno di qualsiasi bambino battezzato da non temere di separare dal medesimo regno dei cieli la stessa casa di Dio Padre o alcune sue parti. Il Signore Gesù non dice infatti: " Nell'universo della creazione " o " in una qualsiasi parte dell'universo ", ma dice: Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. ( Gv 14,2 ) Come potrà trovarsi nella casa di Dio Padre chi non è battezzato, dal momento che non può avere Dio come padre se non chi è rinato? Non sia costui ingrato a Dio che si è degnato di liberarlo dallo scisma dei donatisti o dei rogatisti, non cerchi di dividere la stessa casa di Dio Padre e di porne qualche parte fuori dal regno dei cieli, dove possano abitare i non battezzati. E con che diritto presume costui d'entrare nel regno dei cieli, dal quale separa, per la parte che vuole, la casa dello stesso Re? Ma è dall'episodio di quel ladrone che, crocifisso accanto al Signore, sperò nel Signore ugualmente crocifisso, e dall'episodio di Dinocrate, fratello di santa Perpetua, che costui argomenta che anche ai non battezzati può essere data l'indulgenza dei peccati e un soggiorno tra i beati, come se qualcuno a cui sia empio non credere gli abbia rivelato che quei due non furono battezzati. Su di essi però ho esposto con più ampiezza il mio pensiero nel libro che ho scritto al nostro fratello Renato. Lo potrà conoscere la tua dilezione, se non disdegnerai di leggere quel libro, perché non lo potrà negare a chi glielo chiederà. 11.15 - Il sacrificio eucaristico non si può offrire per i bambini non battezzati Ansima tuttavia costui e si sente soffocare in strette paurose. Valuta forse infatti più attentamente di te il male della sua affermazione, cioè che senza il battesimo del Cristo si scioglie nei bambini il peccato originale. Da ultimo per ricorrere in qualche modo, almeno in ritardo, su questo problema ai sacramenti della Chiesa scrive: " Decreto senz'altro che si offrano per essi assidue oblazioni e continui sacrifici da parte di santi sacerdoti ". Costui, se ti piace, abbitilo anche come censore, se era poco averlo come dottore, perché tu offra il sacrificio del corpo del Cristo anche per coloro che non sono stati incorporati al Cristo. Nell'osare appunto d'introdurre con i suoi libri una novità tanto nuova, estranea alla disciplina ecclesiastica e alla regola della verità, non dice " Penso ", non dice " Stimo ", non dice " Ritengo ", non dice nemmeno " Suggerisco ", o " Dico ", ma dice " Decreto ", perché evidentemente, se ci sentissimo feriti dalla novità o dalla perversità della sua dottrina, ci sentissimo atterriti dall'autorità del suo decreto censorio. Te la vedrai tu, o fratello, come ti sia possibile sopportare cotesto tuo docente, ma tuttavia non sia mai che i sacerdoti cattolici, fedeli alla sana dottrina, e tra loro bisogna contare anche te, si arrendano quietamente ad ascoltare come censente uno che piuttosto desiderano resipiscente, dolente e con salutarissima correzione penitente per aver concepito e anzi per aver perfino scritto cotesti errori. " Ma che si debba fare questo " prosegue Vincenzo Vittore " lo sostengo con l'esempio dei Maccabei caduti in battaglia. Dopo che essi si furono furtivamente appropriati di oggetti proibiti e caddero nello stesso combattimento, troviamo che fu presa dai sacerdoti questa decisione: un'oblazione di sacrifici riparasse per le anime di coloro che si erano resi colpevoli della trasgressione". ( 2 Mac 12,39-46 ) Lo dice così, come se avesse letto che quei sacrifici furono offerti per persone non circoncise, alla stessa maniera in cui ha decretato che si offrano questi nostri sacrifici per persone non battezzate. La circoncisione era appunto il sacramento di quel tempo che prefigurava il battesimo del nostro tempo. 12.16 - Vincenzo Vittore si pronunzia apertamente contro la rivelazione Tuttavia costui, paragonato a quello che egli stesso è apparso successivamente, erra ancora in maniera abbastanza tollerabile. Infatti, come se si fosse pentito non di quello di cui avrebbe dovuto pentirsi, cioè d'aver osato affermare che ai non battezzati è rimesso il peccato originale e concessa l'indulgenza di tutti i peccati per esser mandati nel paradiso, ossia nel luogo di tanta felicità, e meritare d'aver soggiorni beati nella casa di Dio Padre, ma piuttosto come se si fosse pentito d'aver concesso ad essi sedi d'una beatitudine minore fuori dal regno dei cieli, aggiunge e dice: " Oppure, se qualcuno non si contentasse eventualmente di credere che alle anime del ladrone e di Dinocrate sia stato concesso provvisoriamente e temporaneamente il paradiso - poiché secondo lui ci sarà ancora per essi nella risurrezione il premio del regno dei cieli, sebbene a ciò si opponga quella solenne sentenza del Principe: Chi non sarà rinato dall'acqua e dallo Spirito Santo, non entrerà nel regno dei cieli ( Gv 3,5 ) - si abbia nondimeno in questa parte anche il mio non ostile consenso, atteso che si tratta d'amplificare e l'effetto e l'affetto della misericordia e della prescienza divina ". Ho trascritto queste parole come le ho lette nel suo secondo libro. Sarebbe mai possibile a qualcuno avere in questa causa un'audacia, una temerarietà, una presunzione ancora più ampia nell'errore? Egli stesso ricorda, egli stesso cita, egli stesso riporta nel suo scritto l'affermazione del Signore, egli stesso dice: " Sebbene a ciò si opponga quella solenne sentenza del Principe: Chi non sarà rinato dall'acqua e dallo Spirito Santo, non entrerà nel regno dei cieli ", e nondimeno osa levare la cervice del proprio decreto censorio contro la sentenza del Principe! " Abbia " dice " anche il mio non ostile consenso " chi ritiene che le anime dei non battezzati meritano provvisoriamente il paradiso - è per esse infatti che ricorda il ladrone e Dinocrate, quasi usando d'una prescrizione o meglio d'una pregiudiziale - e chi ritiene che nella risurrezione costoro saranno trasferiti in condizioni migliori e riceveranno il premio del regno dei cieli: " sebbene " dice " a ciò si opponga la sentenza del Principe ". E qui considera dunque da te stesso, te ne prego, o fratello: chiunque presta il suo assenso a chiunque contro l'autorità della sentenza del nostro Principe, quale sentenza meriterà dal medesimo Principe? 12.17 - Peggio dei pelagiani L'autorità dei Concili cattolici e della Sede Apostolica ha condannato giustissimamente i novelli eretici Pelagiani, perché hanno osato concedere ai bambini non battezzati un luogo di pace e di salvezza, sebbene fuori dal regno dei cieli. Non l'avrebbero osato, se non avessero negato nei bambini la presenza del peccato originale, che fosse necessario assolvere mediante il sacramento del battesimo. Costui al contrario dice come cattolico che i bambini sono avvinti dal peccato originale, e tuttavia li assolve da tale vincolo senza il lavacro della rigenerazione, e dopo la morte li manda con la sua misericordia nel paradiso, ma dopo la risurrezione con una sua misericordia ancora maggiore li introduce pure nel regno dei cieli. Altrettanta misericordia parve bene a Saul di dover avere quando risparmiò il re che Dio aveva comandato d'uccidere, ( 1 Sam 15 ) ma meritamente la disobbedienza misericordiosa o la misericordia disobbediente fu riprovata e condannata perché l'uomo eviti che l'uomo meriti misericordia dall'uomo contro la sentenza di colui che ha fatto l'uomo. Tuona con la bocca del proprio corpo la Verità: Chi non sarà rinato dall'acqua e dallo Spirito, non può entrare nel regno di Dio. ( Gv 3,5 ) E per escludere da questa sentenza i martiri, ai quali sia accaduto d'essere uccisi per il nome del Cristo prima di esser lavati dal battesimo del Cristo, dice in un altro passo: Chi avrà perduto la sua anima per causa mia la troverà. ( Mt 10,39 ) E perché a nessuno che non sia rinato con il lavacro della fede cristiana si prometta la cancellazione del peccato originale, grida l'Apostolo: Per la colpa di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna. ( Rm 5,18 ) Contro la qual condanna additando il Signore l'unico rimedio di salvezza: Chi avrà creduto e sarà stato battezzato, dice, sarà salvo, ma chi non avrà creduto sarà condannato. ( Mc 16,16 ) Questo misterioso credere si compie nei bambini mediante la risposta di coloro che li portano, perché non vadano, se ciò non avvenisse, tutti alla condanna per la colpa di uno solo. E tuttavia, contro voci tanto manifeste, con le quali canta all'unisono la Verità, esce fuori allo scoperto la vanità di un uomo più furioso che misericordioso a dire: " Non solo non vanno alla dannazione i bambini, anche se nessun lavacro della fede cristiana li assolve dal vincolo del peccato originale, ma godono pure della felicità del paradiso provvisoriamente dopo la morte e possederanno dopo la risurrezione anche la felicità del regno dei cieli ". Questi spropositi costui oserebbe forse mai dirli contro la fondatissima fede cattolica, se non osasse tentare di risolvere la questione dell'origine dell'anima, che è superiore alle sue forze? 13.18 - Troppa presunzione Costui infatti è rimasto bloccato dentro gole orrende da quelli che obiettano: " Perché Dio ha colpito l'anima con una pena tanto ingiusta da volerla relegare nel corpo del peccato, dove per l'unione con la carne comincia ad esser peccatrice lei che non avrebbe potuto esser peccatrice? ". Dicono proprio così: " L'anima non avrebbe potuto esser peccatrice, se Dio non l'avesse associata alla sorte della carne peccatrice ". Costui non poteva scoprire con quale giustizia Dio l'abbia fatto, soprattutto riguardo alla dannazione eterna dei bambini che muoiono senza battesimo e quindi senza essere stati purificati dal peccato originale; né poteva scoprire la ragione per cui un Dio giusto e buono, pur prevedendo che a queste anime di fanciulli non sarebbe venuto in soccorso il sacramento della grazia cristiana, le abbia mandate, quando erano libere da ogni macchia di propaggine, nel corpo che si trae da Adamo e le abbia avvinte con il laccio del peccato originale, rendendole in tal modo meritevoli della dannazione eterna. Poiché però costui non voleva neppure dire che anch'esse traggono origine peccatrice da quell'unica anima, ha preferito uscire dalla sua drammatica situazione con un miserabile naufragio piuttosto che frenare con provvida deliberazione, ammainate le vele e fermati i remi della sua discussione, la sua temeraria navigazione. Vile è apparso appunto agli occhi di questo giovane il nostro tentennamento senile, come se a questa molestissima e pericolosissima questione fosse più necessario lo slancio della eloquenza che il consiglio della prudenza. E l'ha previsto anche da se stesso, ma inutilmente. Sul punto infatti di proporsi queste obiezioni, come se gli fossero mosse dagli avversari, dice: " Di qui altre ingiurie incalzano da parte di gente che abbaia con queruli borbottamenti, e noi, sbattuti da una specie di turbine, andiamo a fracassarci proprio tra scogli immani ". Detto questo, si è proposta la sopraddetta scogliosissima questione, dove è naufragato dalla fede cattolica, a meno che con la penitenza non ripari le sue falle. Io, per evitare quel turbine e quegli scogli, non ho voluto avventurare tra di essi la mia navicella e ho scritto su questo argomento in tal modo da giustificare il mio tentennamento piuttosto che far mostra di un temerario e presuntuoso atteggiamento. Costui, trovata presso di te una mia opera, l'ha derisa e si è buttato tra quegli scogli con una baldanza più avventata che avveduta. Ma penso che tu veda adesso dove l'abbia condotto cotesta sua eccessiva fiducia in se stesso, ma ringrazio Dio ancora di più, se tu lo hai visto già prima. Poiché infatti costui non voleva frenare la sua pazza corsa, dopo un corso dubitoso è incorso in un risultato disastroso, asserendo che ai bambini defunti senza rigenerazione cristiana Dio concede e al presente il paradiso e nell'avvenire il regno dei cieli. 14.19 - L'origine dell'anima è una questione dove la Scrittura non aiuta Quanto poi alle testimonianze d'ogni genere che ha riferite dalle Scritture e con le quali si è come provato a provare che Dio non trae le anime dalla propaggine della prima anima, ma alla stessa maniera di quella prima le ispira una per una per tutte e singole le persone, quelle testimonianze, per quanto si attiene alla presente questione, sono tanto incerte e ambigue da potersi prendere facilissimamente anche in un senso diverso da quello che vuole costui. L'ho già dimostrato sufficientemente, penso, in quel libro che ho mandato al nostro amico ricordato sopra. I testi usati da Vincenzo Vittore, nei quali si legge che Dio dà o fa o forma le anime, non indicano con che cosa le dia o le faccia o le formi: se con la propaggine della prima o se ispirandole come la prima. Al contrario costui per lo stesso fatto che nella Scrittura si legge che Dio dà o fa o forma le anime crede subito che nella Scrittura sia negata la propaggine delle anime, mentre per testimonianza della stessa Scrittura Dio dà o fa o forma anche i corpi, che tuttavia nessuno dubita esser dati, fatti, formati da Dio attraverso la propaggine del seme. 14.20 - Sono necessarie ancora delle ricerche Ugualmente nel testo dove si legge che Dio fece tutto il genere umano da un unico sangue ( At 17,26 ) e nel testo dove Adamo esclama: Questa volta è osso dalle mie ossa e carne dalla mia carne, ( Gen 2,23 ) poiché nel primo caso non è detto: " Da un'unica anima ", e nel secondo non è detto: " Anima dalla mia anima ", costui stima che si neghi l'origine delle anime dei figli dai genitori e l'origine dell'anima di Eva dal marito. Come se dicendo non " Da un unico sangue ", ma " Da un'unica anima " s'intendesse altro che l'uomo intero, senza negare la propagazione del corpo. Così pure se fosse stato detto: " Anima dalla mia anima ", non si negherebbe certo la carne che risultava presa da Adamo. La Scrittura infatti indica il più delle volte il tutto con la parte, come la parte con il tutto. Certamente se in quel passo citato da costui, invece che " Da un unico sangue ", fosse stato scritto che il genere umano è stato fatto da un unico uomo, non verrebbero danneggiati coloro che negano la propaggine delle anime, sebbene l'uomo non sia soltanto anima, né soltanto corpo, ma ambedue. Risponderebbero infatti che la Scrittura poteva indicare la parte con il tutto, cioè la sola carne dell'uomo con la parola uomo. Così dunque a loro volta coloro che difendono la propaggine delle anime, sostengono che nella frase: " Da un unico sangue " il sangue indica l'uomo, ossia la parte indica il tutto. Se dunque sembrano avvantaggiati gli uni dalla frase: " Da un unico sangue " al posto di: " Da un unico uomo ", gli altri sembrano avvantaggiati dal testo: A causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte, e così ha raggiunto tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato in lui, ( Rm 5,12 ) al posto di dire: " In lui ha peccato la carne di tutti ". Similmente se i primi sono favoriti dal testo: Questa volta è osso dalle mie ossa e carne dalla mia carne, ( Gen 2,23 ) perché si dice la parte e non il tutto, a loro volta i secondi sono favoriti da quanto segue immediatamente: Questa si chiamerà donna, perché è stata tratta dall'uomo. ( Gen 2,24 ) Avrebbe dovuto dire, osservano: " Perché la sua carne è stata presa dall'uomo ", se dall'uomo non fosse stata presa tutta la donna, cioè anche l'anima, ma solo la sua carne. Ora, udite le due parti, chi giudica imparzialmente vede bene che né contro i difensori della propaggine delle anime sono proponibili quei testi dove si nomina una sola parte dell'uomo, perché la Scrittura ha potuto indicare il tutto con la parte ( come quando leggiamo: Il Verbo si fece carne ( Gv 1,14 ) certamente non intendiamo soltanto la carne, ma tutto l'uomo ); né contro coloro che negano la propaggine delle anime sono proponibili i testi dove non si parla di una sola parte dell'uomo, ma dell'uomo intero, perché la Scrittura ha potuto in essi indicare la parte con il tutto, come confessiamo la sepoltura del Cristo, mentre fu sepolta soltanto la sua carne. In conclusione diciamo che la propaggine delle anime non si deve né affermare arbitrariamente, né negare arbitrariamente, ma avvertiamo che sono da cercarsi altre testimonianze che non risultino ambigue. 15.21 - Rimane da spiegare il contegno di Pietro Insomma io non so ancora che cosa ti abbia insegnato costui, né di che cosa tu l'abbia ringraziato. Rimane com'era la questione sull'origine delle anime: se Dio le dia, le faccia, le formi con la propaggine di quell'unica che ispirò nel primo uomo, o se con il suo alito come al primo uomo. Che le dia, che le faccia, che le formi non c'è dubbio per la fede cristiana. Nel tentativo di risolvere tale questione, senz'aver l'intuizione delle proprie forze, costui, rifiutando la propaggine delle anime e asserendo che il Creatore le ispira immuni da ogni contagio di peccato non dal nulla, ma da se stesso, per un verso ha infamato la natura di Dio con l'ingiuriosa attribuzione ad essa della mutevolezza, cosa che non sarebbe stata necessaria, e per l'altro verso, volendo giustificare Dio, perché non lo si creda ingiusto se impiglia nel laccio del peccato originale le anime pure da ogni peccato, anche quelle che egli non redime con la rigenerazione cristiana, ha insegnato tali errori che voglio non imparati da te alla sua scuola. Costui infatti assegna ai bambini non battezzati tanto di salvezza e di felicità quanto non ha potuto nemmeno l'eresia pelagiana. E tuttavia, delle tante migliaia di bambini che nascono dagli empi e muoiono tra gli empi, non di quei bambini ai quali gli uomini non possono venire in aiuto con il battesimo, pur volendolo, ma di quelli che nessuno ha potuto o potrà nemmeno pensare di battezzare, di quelli per i quali nessuno ha offerto od offrirà il sacrificio che costui ha decretato d'offrire anche per i non battezzati, costui non ha trovato che cosa dire. Dei quali bambini se gli si chiederà in che cosa le anime abbiano demeritato, perché Dio le immetta nella carne peccatrice, senza che debbano essere né lavate dal battesimo, né espiate dal sacrificio del corpo e del sangue del Cristo e debbano essere condannate in eterno, costui o rimarrà addirittura a bocca aperta e almeno in ritardo approverà la nostra esitazione, oppure decreterà che il corpo del Cristo si offra ugualmente per tutti i bambini che su tutta la terra muoiono senza il battesimo cristiano, anche taciuti i loro nomi, perché sconosciuti nella Chiesa del Cristo, e non incorporati nel corpo del Cristo. 16.22 - Pietro non si comporti peggio di Vincenzo Vittore Lungi da te, o fratello, che ti piacciano questi errori, lungi da te o che tu goda d'averli imparati o che tu presuma di farli imparare ad altri: in caso contrario si troverà costui di gran lunga migliore di te. Infatti costui nel preambolo del primo libro ha fatto delle dichiarazioni modeste ed umili, dicendo: " Mentre desidero obbedire a te, mi espongo all'accusa di presunzione". E poco dopo: " Quanto alla possibilità che si approvino le affermazioni che farò, io non credo nemmeno a me stesso, e sto sempre attento a non difendere neppure la mia sentenza, qualora appaia non approvabile, e mi sta a cuore di seguire piuttosto pareri che siano più buoni e più veri, condannando il mio proprio giudizio. Come infatti è segno d'ottima volontà e di lodevole disposizione la facilità a lasciarsi condurre ad opinioni più vere, così è segno di giudizio malvagio ed ostinato non volersi piegare prontamente alle indicazioni della ragione ". Se lo dice con sincerità e pensa come ha scritto, costui ha disposizioni che ispirano sicuramente una grande speranza. Analogamente dice alla fine del secondo libro: " Se io rimetto alla tua libertà il giudizio sopra il mio scritto, non credere che lo faccia per evitare da parte tua della malevolenza. Anzi, affinché eventualmente le tracce delle lettere rimanenti per caso tra il tessuto delle fibre non sollecitino e non offendano lo sguardo di qualche lettore curioso, straccia con pollici severi tutto il plico delle pagine insieme e, risparmiando a me tale punizione, punisci l'inchiostro che ha tracciato le indegne parole, perché in quest'occasione non cada il ridicolo né sul tuo giudizio rispetto a me, per essere stato troppo indulgente tu con me, né sulle mie sciocchezze che vi erano nascoste ". 17.23 - Esortazioni a Pietro Poiché dunque costui ha premunito all'inizio i suoi libri e al termine li ha rafforzati e ha posto sulle tue spalle il peso sacro della sua correzione e riparazione, trovi egli presso di te quanto ha domandato: che tu lo emendi giusto nella misericordia, e che tu lo riprenda, ma che l'olio con il quale il peccatore si profuma la testa ( Sal 141,5 ) stia ben lontano dalle tue mani e dai tuoi occhi, cioè il consenso vergognoso dell'adulatore e la tenerezza ingannatrice del seduttore. Se trascuri d'emendarlo, pur vedendo il dovere d'emendarlo, agisci contro la carità; se invece non ti sembra da emendare, perché ritieni giuste coteste sue sentenze, allora ti metti a seguire una sapienza che è contro la verità. E perciò costui, disposto a farsi emendare se non manca un emendatore, sarà migliore di te: sia che tu lo abbandoni per disprezzo nel suo errore burlandoti di lui consapevolmente, sia che tu segua il suo stesso errore inconsapevolmente. Di quei medesimi libri dunque che ha scritti e consegnati a te ripassa attentamente e diligentemente tutto il contenuto e di punti da accusare ne troverai forse più di me. Quali che siano poi in quei libri le tesi da approvare e da lodare, se eventualmente ne ignoravi davvero qualcosa e l'hai imparato grazie alla sua dissertazione, confessa candidamente di che cosa si tratta, perché tutti coloro che furono insieme a te presenti alla declamazione dei suoi libri o lessero in seguito i medesimi libri sappiano che tu l'hai ringraziato di questo e non delle molte altre dottrine riprovevoli che vi si trovano. Bisogna evitare che costoro nello stile adorno di lui, come in un calice prezioso, per il tuo invito a bere, anche senza il tuo esempio di bere, bevano il veleno, se non sanno che cosa tu abbia bevuto da cotesti libri e che cosa tu non abbia bevuto, e a causa della tua ammirazione giudichino il contenuto di quei libri tutto da bere salutarmente. Sebbene, che cos'è se non bere l'ascoltare e il leggere e il riporre nella memoria le parole udite? Ma il Signore ha predetto nei riguardi dei suoi fedeli: Se berranno qualche veleno, non recherà a loro nessun danno. ( Mc 16,18 ) Perciò quelli che leggono con giudizio e approvano ciò che è da approvare secondo la regola della fede e disapprovano ciò che è da disapprovare, non risentono nessun danno dall'errore velenoso di quelle sentenze, anche se conservano nella memoria ciò che è da disapprovare. Qualunque accoglienza tu riservi alle raccomandazioni con le quali per la misericordia del Signore ti ho prevenuto, io non mi pentirò minimamente d'aver rivolto moniti o ammonimenti alla tua gravità e alla tua religiosità, in nome sia della carità reciproca, sia della carità preveniente. Ma renderò abbondanti grazie al Signore, nella cui misericordia è salutarissimo confidare, se questa mia lettera troverà o renderà estranea ed immune la tua fede da quelle mostruosità e da quegli errori che con la presente lettera io ho potuto additare nei libri di questo scrittore. Libro III A Vincenzo Vittore 1.1 - La stima di Agostino per Vincenzo Vittore Il fatto stesso che ho ritenuto mio dovere scriverti voglio che prima di tutto ti porti a riflettere, o mio dilettissimo figlio Vittore, che non ti avrei assolutamente scritto, se ti disprezzassi. Né tuttavia devi per questo abusare della nostra umiltà così da stimarti approvato perché ti vedi non disprezzato. Io non ti amo infatti come uno da imitare, ma come uno da emendare, e poiché non dispero nemmeno della tua possibilità ad essere emendato, non voglio che ti sorprenda la mia impossibilità a disprezzare chi amo. Se infatti ti dovevo amare prima che tu fossi in comunione con noi perché tu fossi cattolico, quanto più ti devo amare adesso che sei già in comunione con noi perché tu non sia un nuovo eretico e sia un tal cattolico a cui non possa resistere nessun eretico! Per quanto infatti appare dai doni d'ingegno che il Signore ti ha già elargiti, tu sarai senza dubbio sapiente, se crederai di non esserlo, e se per esserlo lo chiederai piamente, supplichevolmente, insistentemente a colui che rende sapienti gli uomini, e se preferirai di non essere ingannato dall'errore piuttosto che onorato dalle lodi di coloro che sono nell'errore. 2.2 - Agostino contesta a Vittore il soprannome di Vincenzo La prima cosa che mi ha preoccupato nei tuoi riguardi è stato l'appellativo aggiunto al tuo nome nei tuoi libri. Avendo io domandato chi fosse Vincenzo Vittore a coloro che ti conoscevano e che forse erano stati presenti [ alla lettura dei tuoi libri ], mi sentii dire che eri stato donatista o meglio rogatista e che da poco tempo eri entrato nella comunione della Cattolica. E mentre me ne rallegravo, quanto siamo soliti rallegrarci per coloro che conosciamo liberati da quell'errore ( e anzi anche molto di più, perché vedevo che il tuo ingegno, fonte di gioia per me nei tuoi scritti, non era rimasto a servizio degli avversari della verità ), fu aggiunto dagli informatori un particolare che in mezzo a quei motivi di letizia mi rattristò: la ragione per cui tu avevi voluto esser soprannominato Vincenzo è che ritieni ancora con intima convinzione il successore di Rogato, chiamato Vincenzo, come un personaggio grande e santo, e per questo hai voluto fare del suo nome il tuo cognome. Né mancarono persone che ti attribuivano d'esserti anche vantato che Vincenzo stesso ti era apparso non so in qual genere di visione e ti aveva così aiutato nella composizione dei libri - dei quali prendo a trattare con te in questo nostro lavoretto - da dettarteli egli stesso, per quanto concerne temi e argomentazioni. Se questo è vero, non mi meraviglio più che tu possa aver detto tali spropositi che ti pentirai senz'altro d'aver detti, se darai pazientemente ascolto ai miei richiami e se considererai ed esaminerai quei libri con la mentalità cattolica. Evidentemente colui che si maschera da angelo di luce, ( 2 Cor 11,14 ) come lo smaschera l'Apostolo, si è mascherato per te nella figura di colui che tu credi sia stato o sia una specie d'angelo di luce. E certamente riesce meno ad ingannare i cattolici con questo suo metodo di mascherarsi, non in angeli di luce, ma in eretici: non vorrei però che con te ormai cattolico egli riuscisse nell'inganno. Lo roda dunque la rabbia che tu abbia imparato la verità, quanto più l'aveva preso la gioia d'averti persuaso alla falsità. Perché poi tu non ami un morto, senza che il tuo amore possa giovare a lui, mentre può nuocere a te, ti esorto a riflettere su questa breve osservazione: sicuramente non è santo e giusto Vincenzo, se tu sei sfuggito ai lacci degli eretici donatisti o rogatisti; se viceversa lo stimi santo e giusto ti sei rovinato mettendoti in comunione con i cattolici. È certo infatti che ti fingi cattolico, se sei nell'animo quello che era Vincenzo che ami. E tu sai quanto sia terribile la dichiarazione della Scrittura: Il santo spirito della scienza rifugge dalla finzione. ( Sap 1,5 ) Se invece non ti fingi cattolico, comunicando sinceramente con i cattolici, per quale ragione nutri ancora tanto amore per un eretico morto da volerti gloriare ancora del nome di chi non ti tiene più con il suo errore? Non vogliamo che tu porti tale complemento del tuo nome, come se tu fossi il monumento funebre d'un eretico morto. Non vogliamo che il tuo libro porti un appellativo che diremmo falso, se lo leggessimo sul sepolcro di Vincenzo. Sappiamo infatti che Vincenzo non è un vincitore ma un vinto, e magari fosse fruttuosamente vinto, come vogliamo che sia vinto tu dalla verità! Si pensa poi che tu, dando il nome di Vincenzo Vittore ai tuoi libri, che desideri far passare come dettati a te da Vincenzo in rivelazione, hai voluto astutamente e scaltramente, non tanto chiamarti Vincenzo, quanto chiamare lui Vittore, come se lui fosse stato vincitore dell'errore rivelandoti le verità da scrivere. Che ti giova questo, o figlio? Sii piuttosto un cattolico vero e non finto, perché lo Spirito Santo non ti sfugga e non ti possa aiutare per nulla quel Vincenzo nel quale per ingannarti si è mascherato lo spirito più maligno che esista: sono appunto del diavolo tutte quelle falsità, qualunque sia stata la sua frode per convincerti. Se dopo il mio avvertimento correggerai questi errori con pia umiltà e pace cattolica, essi saranno giudicati come errori d'un giovane molto avido di sapere e più desideroso d'emendarsi che di adagiarsi nell'errore. Se al contrario, e Dio te ne guardi, il diavolo ti convincerà pure ad una lotta pervicace in difesa dei tuoi errori, allora sarà necessario che essi siano condannati come eresie insieme al loro autore, evidentemente per un dovere pastorale e medicinale, prima che in mezzo al popolo incauto comincino a serpeggiare contagi rovinosi, se, con un amore solo di nome e non di fatto, si trascura d'applicare la disciplina salutare. 3.3 - Il primo errore di Vittore: l'anima non creata dal nulla, ma dalla stessa essenza di Dio Se cerchi di sapere quali siano quegli errori, potrai leggere i miei libri indirizzati ai nostri fratelli, il servo di Dio Renato e il presbitero Pietro, al quale ultimo hai stimato di dover scrivere i tuoi medesimi libri dei quali trattiamo, " obbedendo ", come asserisci, " alla volontà di lui che te li ha chiesti ". Te li daranno senza dubbio a leggere, se li vorrai, e te li suggeriranno anche se non li chiederai. Ma tuttavia non tacerò nemmeno qui gli errori dei quali mi preme soprattutto la correzione nei tuoi medesimi libri e nella tua fede. Il primo è questo: " Tu non vuoi che Dio abbia fatto l'anima così da averla fatta dal nulla, ma l'abbia fatta da se stesso ". E qui tu non vai a pensare che ne viene di conseguenza che l'anima sarebbe della stessa natura di Dio, perché conosci anche tu da te stesso quanto ciò sia empio. Per non cadere in tale empietà bisogna che tu dica che Dio è autore dell'anima così che essa sia stata fatta da lui, ma non tratta da lui. Quello che procede dall'essenza di Dio, come il Figlio unigenito, è della stessa natura di Dio. Perché l'anima non sia della medesima natura di Dio, essa è stata fatta, sì, da Dio, ma non tratta da Dio. Dunque o spiega donde sia stata fatta o confessa che è stata fatta dal nulla. Che significano mai le tue parole: " È una specie di particella dell'alito della natura di Dio "? Neghi forse che l'alito della natura di Dio sia della medesima natura di Dio, del quale alito l'anima sarebbe cotesta particella? Se lo neghi, logicamente Dio ha fatto dal nulla anche quest'alito, del quale tu vuoi che l'anima sia una particella. Oppure se Dio non l'ha fatto dal nulla, spiega donde l'abbia fatto. Se da se stesso, allora egli stesso sarebbe, e non sia mai, la materia della propria opera. Ma tu dici: " Quando Dio fa l'alito o il fiato da se stesso, Dio rimane integro in se stesso ", come se non rimanesse integra anche la fiamma d'una lucerna, quando da quella fiamma si accende un'altra lucerna, pur essendo della stessa natura e non di natura diversa. 4.4 - Una similitudine sballata di Vittore Tu dici: " Ma quando noi gonfiamo un otre non è che vi mettiamo dentro una qualche parte della nostra natura o della nostra qualità, perché il fiato che riempie e dilata l'otre viene emesso senza nessuna diminuzione di noi stessi ". A queste tue parole aggiungi ancora un paragone, ti ci fermi e ci insisti, come se fosse senza scampo, per farci capire in che modo Dio senza nessun detrimento della propria natura e faccia l'anima traendola da se stesso, e l'anima fatta e tratta da Dio non sia ciò che è Dio. Dici infatti: " È forse una parte della nostra anima il fiato spinto in un otre, o formiamo degli uomini quando gonfiamo degli otri, o subiamo un danno di noi stessi quando distribuiamo in direzioni diverse il nostro alito? Ma nessun danno soffriamo quando trasmettiamo il fiato da noi in direzione di qualcosa e, rimanendo piena in noi la qualità e integra la quantità del nostro fiato, non ricordiamo d'avvertire nessun danno dal gonfiamento d'un otre ". Considera quanto tu sia ingannato da questa similitudine che ti sembra abbastanza elegante e appropriata. Tu dici appunto che l'incorporeo Dio non ha fatto l'anima dal nulla, ma servendosi di se stesso alita un'anima corporea, mentre noi emettiamo un alito che, sebbene corporeo, è tuttavia più sottile dei nostri corpi, e non lo esaliamo dall'anima nostra, ma da quest'aria per mezzo di organi interni del nostro corpo. L'anima appunto, al cui cenno si muovono anche le altre membra del corpo, muove i polmoni come mantici a prendere e a rendere l'aria circostante. Oltre infatti agli alimenti solidi e liquidi, come le vivande e le bevande, Dio ha diffuso intorno a noi questo terzo elemento dell'aria. Noi ce ne appropriamo così necessariamente che senza mangiare e senza bere possiamo resistere a lungo, senza invece questo terzo alimento, che l'aria presente in ogni parte offre a noi che aspiriamo ed espiriamo, non possiamo vivere nemmeno per breve tempo. Come poi le vivande e le bevande non si devono soltanto immettere, ma anche emettere attraverso gli organi destinati a queste funzioni, perché non rechino danno né in un modo né in un altro, cioè o non entrando o non uscendo, così questo terzo alimento respirabile, poiché non lo si lascia rimanere a lungo dentro di noi e non si corrompe nel breve periodo che ci rimane, ma si emette appena si immette, non ebbe assegnati orifizi diversi, ma i medesimi, ossia la bocca o le narici o entrambe, e per entrare e per uscire. 4.5 - L'errore di quella similitudine Prova per te in te stesso quello che dico: emetti il fiato espirando e vedi se duri a non immetterlo, immettilo aspirando e vedi come ti senti a disagio se non torni ad emetterlo. Quando dunque gonfiamo un otre, come dici, facciamo precisamente quello che facciamo per vivere. La sola differenza è che allora tiriamo un po' più di fiato per emetterne un po' più e costringere, non con il quieto ritmo dell'aspirare e dell'espirare ma con lo sforzo di soffiare, l'aria respirata, cioè il vento, dentro l'otre da riempire e da dilatare. Perché allora dici: " Nessun danno soffriamo, quando trasmettiamo il fiato da noi in direzione di qualcosa e, rimanendo piena in noi la qualità e integra la quantità del nostro fiato, non ricordiamo d'avvertire nessun danno dal gonfiamento d'un otre "? Sembra proprio che tu, o figlio, se qualche volta hai gonfiato un otre, non ti sia accorto di quello che facevi. Di ciò che perdi soffiando non ti avvedi, perché lo riprendi subito. Ma lo puoi imparare con molta facilità, se è questo che vuoi e se non vuoi piuttosto difendere - essendo tu stesso gonfiato invece che gonfiare un otre - ciò che hai detto solo perché tu l'hai detto, e gonfiare con il vano strepito del tuo ventoso parlare i tuoi uditori, che dovresti edificare con insegnamenti veraci. In questa causa non ti rimando ad altro maestro che a te stesso. Spingi il fiato in un otre, chiudi subito la bocca, stringiti le narici e sperimenta almeno in questo modo la verità di quello che dico. Quando comincerai a soffrire un disagio insopportabile, che cosa desidererai di riavere con la bocca aperta e con le narici, se non credi d'aver perduto nulla quando hai soffiato? Sta' attento in quale sofferenza ti vieni a trovare, se non riprendi aspirando ciò che avevi emesso soffiando. Sta' attento a quali danni e perdite avrebbe provocato quel soffiare, se l'aspirazione non fosse intervenuta a ripararli. Se quanto hai speso nell'empire l'otre non ritornerà ad alimentarti attraverso gli aditi spalancati, che ti rimarrà, non dico per poter gonfiare un otre, ma per poter vivere? 4.6 - La differenza tra noi e Dio Tutto questo avresti dovuto considerare, quando scrivevi, e non valerti di cotesta similitudine di otri gonfiati o gonfiandi per presentarci un Dio che o ispira le anime servendosi di un'altra natura che esisteva già, come noi produciamo il fiato con quest'aria che ci avvolge, oppure presentarci, ma ciò e urta con la tua similitudine e gronda d'empietà, un Dio che certamente senza nessun danno di se stesso, ma tuttavia dalla sua propria natura o tira fuori qualcosa di mutevole o, ancora peggio, lo fa, come se egli stesso fosse la materia di ciò che fa. Per prendere dunque una qualche similitudine su questo argomento dal nostro fiato, ecco ciò che si deve piuttosto credere: come noi, non dalla nostra natura ma, poiché non siamo onnipotenti, da quest'aria nella quale siamo immersi e che prendiamo e rendiamo aspirando ed espirando, quando soffiamo facciamo un alito non vivente e non senziente, benché noi viviamo e sentiamo, proporzionalmente Dio, non dalla sua natura ma ( poiché è tanto onnipotente da poter creare ciò che vuole ) anche da ciò che non esiste affatto, ossia dal nulla, può fare un alito vivente e senziente, benché indiscutibilmente mutevole, mentre Dio non è mutevole in se stesso. 5.7 - La risuscitazione del figlio della donna di Sunnem Per quale scopo hai voluto aggiungere come esempio a questa similitudine il fatto del beato Eliseo, che risuscitò un morto alitandogli in faccia? ( 2 Re 4,34-35 ) Credi forse che l'alito di Eliseo si sia convertito nell'anima di quel ragazzo? Non potrei credere che tu esorbiti dalla verità fino a tal punto. Se dunque l'anima, che era stata tolta a quel fanciullo vivente perché morisse, gli fu restituita tale e quale perché rivivesse, com'è pertinente al nostro caso quello che dici tu: " Nulla fu tolto ad Eliseo ", quasi che si creda passato qualcosa dal profeta nel fanciullo che lo facesse vivere? Se l'hai detto perché Eliseo soffiò e rimase integro, che bisogno c'era che tu dicessi di Eliseo risuscitante un morto ciò che ugualmente potresti dire di qualsiasi persona respirante e non risuscitante nessuno? Hai parlato proprio incautamente - non essendo ammissibile che tu creda convertito nell'anima di quel ragazzo risuscitato il fiato di Eliseo - nel voler riporre la differenza tra il primo operato di Dio e l'operato di questo profeta nel fatto che Dio alitò una volta sola e il profeta tre volte. Ecco appunto quello che dici tu: " Eliseo, ad imitazione della prima origine, alitò sulla faccia del figlio morto di quella Sunamite. E benché una potenza divina riaccendesse per mezzo dell'alito del profeta le membra già morte e le rianimasse del vigore di prima, nulla fu diminuito ad Eliseo, per il cui alito quel cadavere riebbe rediviva l'anima e riebbe lo spirito. La sola differenza è che il Signore soffiò una volta sola sulla faccia d'Adamo ed egli fu vivo, tre volte soffiò Eliseo sulla faccia del morto ed egli fu redivivo ". Suonano così le tue parole, quasi che il divario sia soltanto nel numero dei soffi per non credere che il profeta abbia fatto lui pure quello che fece Dio. È dunque anche questo un punto che dev'essere corretto. Tra quell'opera di Dio e quest'opera di Eliseo ci corre così tanto! Dio soffiò l'alito della vita perché l'uomo diventasse un essere vivente. ( Gen 2,7 ) Eliseo soffiò invece un alito né senziente né vivente, ma raffigurante a scopo di significare qualcosa. Il profeta inoltre non fece rivivere quel ragazzo animandolo, ma amandolo impetrò che lo facesse rivivere Dio. Quanto poi alla tua affermazione che soffiò tre volte, o ti ha tradito la memoria, come suole accadere, o la mendosità d'un codice. A che servirebbe dire ancora di più? Per dimostrare questa verità non hai bisogno di cercare esempi e argomenti, ma piuttosto d'emendare e cambiare sentenza. Non voler dunque credere, non voler dunque dire, non voler insegnare che " Dio non fece l'anima dal nulla, ma dalla sua natura ", se vuoi essere cattolico. 6.8 - Il secondo errore di Vittore Non voler credere, né dire, né insegnare che " Dio per un tempo infinito dà le anime, e così sempre, come sempre è colui che le dà ", se vuoi esser cattolico. Ci sarà infatti un tempo che Dio non darà più le anime, pur non cessando egli d'esistere. Avrebbe potuto intendersi il tuo " sempre dà " nel senso di dare incessantemente, fin tanto che gli uomini generano e sono generati, ( Lc 20,34 ) come di certe donne è detto: Stanno sempre li ad imparare, senza riuscire mai a giungere alla conoscenza della verità. ( 2 Tm 2,24 ) Qui con il " sempre " non si intende dire che non cesseranno mai di stare ad imparare, perché senza dubbio non ci staranno più quando avranno smesso di vivere in questo corpo o quando avranno cominciato ad ardere nel supplizio del fuoco della geenna. Tu invece non permetti d'intendere così la tua espressione " Sempre dà ", perché hai creduto di doverla riferire a un tempo infinito. E questo è poco. Ma come se ti si chiedesse di spiegare meglio quel tuo " Sempre dà ", aggiungi: " Come sempre è colui che dà ". Ciò è condannato assolutamente dalla fede sana e cattolica. Non possiamo credere che Dio continua a donare sempre le anime, come sempre esiste lui che le dà. Egli esiste per sempre così da non cessare mai di essere in avvenire. Le anime invece non continuerà a darle per sempre, ma cesserà certamente di darle quando sarà finito il secolo della generazione ( 2 Tm 3,7 ) e non nasceranno più quelli a cui debbono essere date. 7.9 - Il terzo errore di Vittore Non voler credere, né dire, né insegnare che " l'anima ha perduto un qualche merito a causa della carne, come se prima della carne fosse in possesso d'un merito buono ", se vuoi esser cattolico. L'Apostolo infatti nei riguardi di persone non ancora nate dice che non avevano fatto nulla né di bene né di male. ( Rm 9,11 ) Donde avrebbe dunque l'anima potuto avere un merito buono, senza aver fatto nulla di bene? O forse oserai dire che l'anima era vissuta bene prima della carne, se non puoi nemmeno dimostrare che sia preesistita? Come dunque puoi dire: " Tu non vuoi che l'anima contragga dalla carne del peccato la sua infermità, mentre vedi che la santità a sua volta arriva all'anima passando attraverso la carne, per restaurare la sua condizione con la medesima carne con la quale aveva perduto il suo merito "? Queste opinioni per cui si crede che l'anima prima della carne avesse un qualche stato buono e un qualche merito buono, se caso mai lo ignori, a parte gli antichi eretici, le ha già condannate la Chiesa cattolica anche recentemente nei priscillianisti. 7.10 - Il quarto errore di Vittore Non voler credere, né dire, né insegnare che " l'anima ricupera mediante la carne la sua condizione originale e rinasce per mezzo della medesima carne per la quale aveva meritato d'esser macchiata", se vuoi esser cattolico. Omettiamo pure che tu dicendo: " L'anima ricupera giustamente mediante la carne la sua condizione originale, che è sembrato per poco avesse perduta a causa della carne: comincia a rinascere mediante la medesima carne per la quale aveva meritato d'esser macchiata", tanto alla svelta sei stato contrario a te stesso. Infatti pur avendo detto poco prima che l'anima ripara il suo stato per mezzo della medesima carne a causa della quale aveva perduto il suo merito - e qui non si può intendere in nessun modo se non un merito buono, che tu vuoi senz'altro riparato attraverso la carne nel battesimo -, vieni poi a dire viceversa che l'anima a causa della carne meritò d'esser macchiata - e qui non si può intendere più un merito buono, ma uno cattivo -. Omettiamo pure questa tua contraddizione ma credere che l'anima prima della carne abbia avuto un qualche merito o buono o cattivo non è affatto cattolico. 8.11 - Il quinto errore di Vittore Non voler credere, né dire, né insegnare che " l'anima meritò d'esser peccatrice prima d'ogni peccato ", se vuoi esser cattolico. Perché è un gran merito cattivo aver meritato di diventare peccatrice. E certamente un merito tanto cattivo non l'avrebbe potuto avere in nessun modo prima d'ogni peccato, specialmente prima di venire nella carne, quando non poteva avere nessun merito, né cattivo né buono. Come puoi dunque dire: " Se l'anima che non poteva esser peccatrice meritò d'esser peccatrice, non rimase tuttavia nel peccato, perché modellata sul Cristo non doveva esser nel peccato ( Ef 5,26 ) come non lo poteva essere "? Sta' attento a quello che dici e smetti subito di dirlo. In che modo infatti meritò d'esser peccatrice e perché non lo poteva essere? In qual modo, dimmi, ti prego, meritò d'esser peccatrice un'anima che non visse malamente? In qual modo dimmi, ti prego, diventò peccatrice un'anima che non poteva esser peccatrice? Oppure, se dici che " non poteva" intendendo che non l'avrebbe potuto fuori dalla carne, allora perché ha meritato di diventare peccatrice per essere, a causa di questo merito, inviata nella carne, atteso che prima della carne non avrebbe potuto esser peccatrice per meritare così alcunché di male? 9.12 - Il sesto errore di Vittore Non voler credere, né dire, né insegnare che " i bambini, prevenuti dalla morte prima d'esser battezzati, possono giungere all'indulgenza dei peccati originali ", se vuoi essere cattolico. Gli esempi che t'ingannano, o quello del ladrone che confessò il Signore sulla croce, ( Lc 23,43 ) o quello di Dinocrate, fratello di santa Perpetua, non ti giovano affatto a sostenere la sentenza di questo errore. Quanto appunto a quel ladrone, sebbene si sia potuto contare per giudizio divino tra quelli che si purificano con la confessione del martirio, ignori tuttavia anche se sia stato battezzato. Per omettere che si crede possibile sia stato bagnato dall'acqua sgorgata con il sangue dal fianco del Signore, crocifisso com'era accanto a lui, e sia stato lavato da un tale battesimo più che santo, che diresti se era stato battezzato in carcere, come anche in seguito durante la persecuzione alcuni lo poterono ottenere di nascosto? E se lo fosse stato prima d'essere arrestato? Non è che le leggi dello Stato gli potessero concedere il perdono quanto alla morte corporale perché aveva ricevuto da Dio la remissione dei peccati. E se si era buttato al delitto e alla delinquenza del latrocinio dopo esser stato battezzato e ricevé il perdono delle colpe commesse da battezzato, non come privo del battesimo, ma come penitente? Questo è certo: la sua pietà apparve tanto sincera, al Signore nel suo animo e a noi nelle sue parole. Se sostenessimo che si sono dipartiti da questa vita senza il battesimo quanti non ci risultano battezzati dalle Scritture faremmo torto agli stessi Apostoli, dei quali, al di fuori dell'apostolo Paolo, ( At 9,18 ) ignoriamo quando siano stati battezzati. Ma se possiamo ritenere battezzati gli stessi Apostoli per quello che disse il Signore al beato Pietro: Chi ha fatto il bagno,non ha bisogno di lavarsi, ( Gv 13,10 ) che pensare degli altri dei quali non leggiamo nemmeno questo: Barnaba, Timoteo, Tito, Sila, Filemone, degli stessi evangelisti Marco e Luca, di altri senza numero che lungi da noi dubitare siano stati battezzati, benché non lo leggiamo? Quanto a Dinocrate, ragazzo di sette anni, un'età in cui i fanciulli quando vengono battezzati rendono già il Simbolo e rispondono da sé alle interrogazioni, non so perché non ti sia sembrato possibile che dopo il battesimo sia stato ricondotto dall'empio suo padre ai sacrilègi dei pagani e si sia trovato per questo in mezzo alle pene, dalle quali fu liberato per le preghiere della sorella. Non hai infatti letto nemmeno di lui che o non sia mai stato cristiano o sia morto catecumeno. Per quanto, il racconto dove hai letto di lui non è in quel canone delle Scritture, da dove devono esser prese le testimonianze in questioni di tale importanza. 10.13 - Il settimo errore di Vittore Non voler credere, né dire, né insegnare così: " Quelli che il Signore ha predestinati al battesimo possono esser sottratti alla sua predestinazione e morire prima che si compia in essi quanto l'Onnipotente ha predestinato ", se vuoi esser cattolico. Non so infatti quale potere si dia in queste parole contro il potere di Dio ad eventi che con il loro irrompere repentino impediscano d'avverarsi a ciò che Dio ha predestinato. In quanto grande gorgo d'empietà risucchi l'errante questo errore non c'è bisogno di sottolinearlo, perché a un uomo prudente e pronto a correggersi deve bastare un rapido ammonimento. Queste sono precisamente le tue parole: " Diciamo che bisogna tenere conto di questi bambini che, predestinati al battesimo, sono prevenuti dal tramonto della vita presente prima che rinascano nel Cristo". Dunque questi bambini predestinati al battesimo sono prevenuti dal tramonto della vita presente prima d'esser pervenuti al sacramento, e Dio predestinerebbe un evento di cui ha previsto che non si sarebbe avverato o non ha previsto che non si sarebbe avverato, cosicché sarebbe o frustrata la sua predestinazione o ingannata la sua previsione? Tu vedi quanto grandi critiche si potrebbero fare a questo proposito, se io non mi attenessi a ciò che ho detto poco prima, ossia d'essere rapido nell'ammonirti su questo tema. 10.14 - L'ottavo errore di Vittore Non voler credere, né dire, né insegnare questo: " Dei bambini prevenuti dalla morte prima di rinascere nel Cristo è stato scritto: Fu rapito, perché la malizia non ne mutasse i sentimenti o l'inganno non ne traviasse l'animo. Per questo lo tolse in fretta da un ambiente malvagio, perché la sua anima fu gradita al Signore; e: Giunto in breve alla perfezione, ha compiuto una lunga carriera ", ( Sap 4, 11.13-14 ) se vuoi esser cattolico. Questo passo non riguarda affatto costoro, bensì coloro che, battezzati e viventi nella pietà, non vengono lasciati a vivere su questa terra per lungo tempo, raggiungendo essi la perfezione non con gli anni, ma con la grazia della sapienza. Cotesto errore, per cui si pensa che questo passo si riferisca ai bambini che muoiono prima d'esser battezzati, reca un'offesa intollerabile allo stesso sacrosanto lavacro, se un bambino che avrebbe potuto esser rapito dopo il battesimo, viene rapito prima, perché la malizia non ne muti i sentimenti o perché l'inganno non ne travii l'animo, come se si riponesse nello stesso battesimo tale malizia ed inganno, per cui si perverta e si corrompa, se non viene rapito prima. Inoltre, perché la sua anima gli era gradita il Signore l'avrebbe tolto in fretta da un ambiente malvagio così da non aspettare nemmeno per pochi istanti di adempiere in lui quanto aveva predestinato, ma da preferire di fare contro la propria predestinazione, quasi preoccupato che altrimenti fosse distrutto nel battesimo ciò che gli piaceva in un bambino non battezzato, come se un bambino morituro si perda proprio là dove si deve correre con lui perché non si perda. Chi dunque leggendo queste parole scritte nel libro della Sapienza le crederebbe, le direbbe, le scriverebbe, le proclamerebbe come dette dei bambini morti senza il battesimo, se le soppesasse, come sarebbe necessario? 11.15 - Il nono errore di Vittore Non voler credere, né dire, né insegnare così: " Alcuni di quei posti che il Signore disse numerosi nella casa del Padre suo sono fuori del regno di Dio ", se vuoi esser cattolico. Non ha detto infatti nel modo in cui hai riferito tu questo testo: " Molti posti ci sono presso il Padre mio ". Anche se l'avesse detto, quei posti non si dovrebbero intendere se non dentro la casa del Padre suo. Ma ha detto apertamente: Nella casa del Padre mio ci sono molti posti. ( Gv 14,2 ) Chi oserà pertanto separare alcuni posti della casa di Dio dal regno di Dio, di modo che, mentre i re della terra si trovano a regnare non solo nella loro casa, non solo nella loro patria, ma in lungo e in largo anche al di là del mare, si dica del Re che ha fatto il cielo e la terra che non regna nemmeno in tutta la sua casa? 11.16 - Regno di Dio e Regno dei cieli Ma potrai dire probabilmente che tutti i posti appartengono, sì, al regno di Dio, perché egli regna nei cieli, regna sulla terra, negli abissi, nel paradiso, nell'inferno - dove non regna infatti Dio, il cui potere è il sommo potere dovunque? -, ma che altro è il regno dei cieli, dove non possono accedere se non coloro che sono stati lavati dal lavacro della rigenerazione, in forza della sentenza vera e perentoria del Signore, ( Tt 3,5; 1 Cor 6,11; Mc 16,16 ) e altro è invece il regno della terra o delle altre parti del creato, dove possono esserci dei posti della casa di Dio, che appartengono bensì al regno di Dio, non tuttavia al regno dei cieli, dove il regno di Dio è più bello e più beato che altrove. Così si otterrebbe per un verso di non separare sacrilegamente alcune parti e alcuni posti della casa di Dio dal regno di Dio e per l'altro verso si ottiene però che non tutti i posti siano preparati nel regno dei cieli, e che nei posti che non sono nel regno dei cieli possano abitare felicemente i non battezzati ai quali Dio li abbia voluti assegnare perché siano nel regno di Dio, per quanto, non essendo stati battezzati, non possano stare nel regno dei cieli. 11.17 - I benefici del Regno di Dio A coloro che dicono questo sembra certamente di dire il vero, perché guardano con negligenza alle Scritture e non capiscono in quale senso si dica regno di Dio, per il quale preghiamo domandando: Venga il tuo regno. ( Mt 6,10 ) Regno di Dio si dice dove regnerà beatamente ed eternamente con lui tutta la sua fedele famiglia. Quanto infatti al potere che Dio ha su tutte le cose, egli regna certamente anche adesso. Cos'è dunque pregare che venga il suo regno se non pregare che noi meritiamo di regnare con lui? Sotto invece il potere di Dio staranno anche coloro che arderanno nella pena del fuoco eterno: sarà mai possibile che diciamo che anch'essi saranno per questo nel regno di Dio? Altra cosa infatti è l'esaltazione nostra che proviene dalla munificenza del regno di Dio e altra cosa è la coercizione nostra che proviene dalla giurisprudenza del regno di Dio. Ma perché ti apparisca chiarissimo che non si deve assegnare il regno dei cieli ai battezzati e dare altre parti del regno di Dio a chi ti è parso dei non battezzati, ascolta il Signore stesso il quale non dice: " Chi non sarà rinato dall'acqua e dallo Spirito, non può entrare nel regno dei cieli ", ma dice: Non può entrare nel regno di Dio. ( Gv 3,5 ) Le sue parole infatti a Nicodemo su questo argomento sono le seguenti: In verità, in verità, ti dico, se uno non sarà nato di nuovo, non può vedere il regno di Dio. ( Gv 3,3 ) Ecco, qui non dice: " Regno dei cieli ", ma: " di Dio ". E avendo risposto Nicodemo: Come può un uomo nascere quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere? ( Gv 3,4 ) il Signore, ripetendo con più chiarezza ed esplicitezza la medesima sentenza, dice: In verità, in verità, ti dico, se uno non rinasce dall'acqua e dallo Spirito, non può entrare nel regno di Dio. ( Gv 3,4 ) Ecco, nemmeno qui dice " Regno dei cieli ", ma " Regno di Dio ". Quanto aveva detto con le parole: Se uno non nasce di nuovo, lo spiega dicendo: Se uno non rinasce dall'acqua e dallo Spirito. Quanto aveva detto con le parole: Non può vedere, lo spiega dicendo: Non può entrare. Quanto invece aveva detto con le parole: " Regno di Dio ", lo ripete senza usare un'espressione diversa. Né ora dobbiamo chiederci e discutere se il regno di Dio e il regno dei cieli siano da intendersi con qualche differenza tra loro o siano una sola e medesima realtà chiamata con nomi diversi. Basta questo: non può entrare nel regno di Dio chi non è stato lavato dal lavacro della rigenerazione. Separare poi dal regno di Dio alcuni soggiorni preparati nella casa di Dio quanto sia fuori dalla via della verità penso che ormai tu lo capisca. Perciò, quanto alla tua opinione che alcuni posti dei molti che il Signore ha detto trovarsi nella casa del Padre suo saranno occupati anche da certe persone non rinate dall'acqua e dallo Spirito, ti esorto, se permetti, perché tu mantenga la fede cattolica, a non indugiare nel correggerla. 12.18 - Il decimo errore di Vittore Non voler credere, né dire, né insegnare che " si deve offrire il sacrificio dei cristiani per coloro che sono usciti dal corpo senza il battesimo ", se vuoi esser cattolico. Nemmeno di quel sacrificio dei giudei, che tu hai ricordato dal libro dei Maccabei, ( 2 Mac 12,39-46 ) dimostri che fu offerto per soldati che erano usciti dal corpo senza esser stati circoncisi. Nella quale tua sentenza, tanto nuova e proferita da te contro l'autorità e la disciplina di tutta la Chiesa, hai usato perfino un verbo insolentissimo, dicendo: " Decreto senz'altro che si offrano per essi assidue oblazioni e continui sacrifici da parte di santi sacerdoti ", e così tu, laico, ti sei messo non al di sotto dei sacerdoti di Dio nell'imparare, non alla pari di essi almeno nel cercare, ma al di sopra di essi nel decretare come un censore. Butta via, o figlio, questi atteggiamenti. Non è così che si cammina sulla via che l'umile Cristo insegnò esser lui stesso, e nessuno con questo tumore di superbia entra per la sua porta stretta. ( Gv 14,6; Mt 7,13; Lc 13,24 ) 13.19 - L'undicesimo errore di Vittore Non credere, né dire, né insegnare così: " Alcuni di quelli che emigreranno da questa vita senza il battesimo del Cristo, non vanno per ora nel regno dei cieli, ma nel paradiso, poi invece alla risurrezione dei morti raggiungeranno anche la beatitudine del regno dei cieli ", se vuoi esser cattolico. Questo infatti non ha osato concederlo a costoro nemmeno l'eresia pelagiana, la quale pur crede che i bambini non contraggano il peccato originale, mentre tu al contrario, benché confessi come cattolico che nascono con il peccato, tuttavia, non so per quale novità di un'opinione ancora più errata, asserisci che senza il battesimo della salvezza ricevono e l'assoluzione da questo peccato con il quale nascono, e l'ammissione nel regno dei cieli. Né rifletti quanto in questa causa tu pensi peggio di Pelagio. Costui, temendo appunto la sentenza del Signore che non permette ai non battezzati l'ingresso nel regno dei cieli, non osa mandarci i bambini, sebbene li creda liberi da ogni peccato. Tu al contrario disprezzi tanto quello che il Signore ha detto: Se uno non sarà rinato dall'acqua e dallo Spirito, non può entrare nel regno di Dio, ( Gv 3,5 ) che, a parte l'errore per cui osi separare il paradiso dal regno di Dio, a certuni, che come cattolico credi nascere rei di peccato e che sono morti senza il battesimo, non dubiti di promettere e l'assoluzione di quel reato e per giunta il regno dei cieli. Quasi che tu possa essere un vero cattolico nel sostenere contro Pelagio il peccato originale, se sarai un nuovo eretico nell'abbattere contro il Signore la sua sentenza sul battesimo. Noi, o carissimo, non vogliamo che tu sia vincitore degli eretici in tal modo che un errore vinca un altro errore e, peggio ancora, che un errore maggiore vinca un errore minore. Tu dici infatti: " Se qualcuno non si contentasse eventualmente di credere che alle anime del ladrone e di Dinocrate sia stato concesso provvisoriamente e temporaneamente il paradiso, poiché secondo lui ci sarà ancora per essi nella risurrezione il premio del regno dei cieli, sebbene a ciò si opponga quella solenne sentenza del Principe: Chi non sarà rinato dall'acqua e dallo Spirito Santo, non entrerà nel regno, si abbia nondimeno in questa parte anche il mio non ostile consenso, atteso che si tratta d'amplificare l'effetto e l'affetto della misericordia e della prescienza divina ". Queste sono le tue parole, dove confessi di consentire con chi dice che ad alcuni non battezzati è conferito temporaneamente il paradiso, così che resti ad essi di ricevere il premio del regno dei cieli nella risurrezione, contro la sentenza del nostro Principe per la quale è stabilito che non entrerà in quel regno chi non sarà rinato dall'acqua e dallo Spirito Santo. Pelagio, temendo di violare questa sentenza principesca, nemmeno di quegli stessi che non credette rei di peccato credette che potessero entrare nel regno dei cieli senza il battesimo: tu viceversa e confessi che i bambini sono rei di peccato originale, e tuttavia li assolvi senza il lavacro della rigenerazione, e li ammetti nel paradiso, e permetti che entrino in seguito anche nel regno dei cieli. 14.20 - Esortazione di Agostino a Vittore perché sia fedele ai propri propositi Questi e simili errori, se anche altri ne troverai nei tuoi libri, più attento e più libero di me, correggili subito senza più nessun indugio, se porti dentro di te un animo cattolico, cioè se hai premesso con sincerità quello che hai detto, ossia " che quanto alla possibilità che si approvino le affermazioni che avresti fatte neppure tu credevi a te stesso, e stai sempre attento a non difendere nemmeno la propria sentenza, qualora appaia non approvabile, e ti sta a cuore di seguire piuttosto pareri che siano più buoni e più veri, condannando il tuo proprio giudizio ". Dimostra adesso, o carissimo, che non hai fatto falsamente queste promesse, cosicché della tua indole non solo ingegnosa, ma anche cauta, pia, modesta, goda la Chiesa cattolica, e non divampi da una litigiosa ostinazione una ereticale alienazione. Questo è per te il momento di dimostrare con quanta sincerità d'animo, dopo queste tue buone parole che ho ricordate, abbia subito soggiunto: " Come infatti è segno d'ottima volontà e di lodevole disposizione la facilità a lasciarsi condurre ad opinioni più vere, così è segno di giudizio malvagio ed ostinato non volersi piegare prontamente alle indicazioni della ragione ". Dimostra dunque d'avere ottima volontà e lodevole disposizione, làsciati condurre con facilità ad opinioni più vere, e non essere di giudizio malvagio ed ostinato, così da non volerti piegare prontamente alle indicazioni della ragione. Se queste promesse le hai fatte con libertà interiore, se non le hai fatte risuonare soltanto esteriormente sulle tue labbra, ma le hai sentite interiormente e genuinamente nel tuo cuore, tu nel bene tanto grande della tua correzione avresti in odio anche gli indugi. Non ti è bastato appunto dire che " è segno di un giudizio malvagio ed ostinato non volersi piegare alle indicazioni della ragione ", ma hai aggiunto: " prontamente ", per indicare così quanto sia riprovevole chi non compie mai questo bel passo, se chi lo compie con ritardo ti sembra condannabile con tanta severità da meritare d'esser dichiarato di giudizio malvagio ed ostinato. Ascolta dunque te stesso e goditi, tu principalmente e massimamente, i frutti delle tue parole, per volgerti con la gravità della mente alla via della ragione, più svelto di quanto fosti nell'allontanartene con meno scienza e con poca prudenza per uno sbandamento di giovinezza. 14.21 - Agostino esorta Vittore a correggere subito almeno gli undici errori principali Sarebbe troppo lungo fare l'analisi e la discussione di tutti i punti che voglio emendati da te nei tuoi libri o meglio in te stesso, e renderti conto almeno brevemente delle singole correzioni da apportare. Né questa sia tuttavia una ragione perché tu disprezzi te stesso e creda che siano degne di poca stima la tua intelligenza e la tua eloquenza. Né piccola ho costatato essere in te la reminiscenza delle sante Scritture, ma la tua erudizione è inferiore a quello che si addiceva al tuo ingegno così grande e alla tua impresa. Non voglio pertanto né che tu t'invanisca attribuendoti più del conveniente, né che d'altra parte ti avvilisca abbattendoti e disperandoti. Magari potessi io leggere con te i tuoi libri e mostrarti, dialogando anziché scrivendo, i punti che sono da emendare. Questo compito si porterebbe a termine con più facilità per mezzo di colloqui tra noi che per mezzo di scritti, e se i colloqui si dovessero scrivere, avrebbero bisogno di molti volumi. Ma quanto a questi errori capitali, che ho voluto anche restringere dentro un determinato numero, ti ammonisco insistentemente di non rimandarne la correzione e d'allontanarli assolutamente dalla tue fede e dalla tua predicazione, perché, così capace come sei di discutere, adoperi questo dono di Dio utilmente ad edificare e non a distruggere la sana e salutare dottrina. 15.22 - Riassunto degli undici errori principali di Vittore Sono dunque questi gli errori capitali, dei quali ho già trattato, come ho potuto, e che ricapitolerò ripetendoli brevemente. Il primo è che hai detto: " Dio non fece l'anima dal nulla ma da se stesso ". Il secondo: " Per un tempo infinito e sempre Dio dà le anime, come sempre è lui che le dà ". Il terzo: " L'anima ha perduto a causa della carne un qualche merito che aveva prima della carne ". Il quarto: " L'anima ripara mediante la carne la sua condizione originale e rinasce per mezzo della carne, come a causa della carne aveva meritato d'esser macchiata ". Il quinto: " L'anima prima d'ogni suo peccato meritò d'esser peccatrice ". Il sesto: " I bambini prevenuti dalla morte prima d'esser battezzati possono pervenire all'indulgenza dei peccati originali ". Il settimo: " Quelli che Dio ha predestinati al battesimo, possono esser sottratti alla sua predestinazione e morire prima che sia compiuto in essi quanto ha predestinato l'Onnipotente ". L'ottavo: " Dei bambini che prima di rinascere nel Cristo vengono prevenuti dal tramonto, è scritto: Fu rapito, perché la malizia non ne mutasse l'intelligenza, ecc., come si legge nel libro della Sapienza. ( Sap 4,11 ) Il nono: " Alcuni di quei posti che il Signore disse essere nella casa del Padre suo, si trovano fuori dal regno di Dio ". Il decimo: " Il sacrificio dei cristiani si deve offrire per coloro che sono usciti dal corpo non ancora battezzati ". L'undicesimo: " Alcuni di coloro che emigrano da questa vita senza il battesimo del Cristo, non vanno per ora nel regno, ma nel paradiso, dopo però nella risurrezione dei morti giungono anche alla beatitudine del regno dei cieli". 15.23 - Incoraggiamento a Vittore Per ora sono questi undici errori, grandemente e apertamente perversi e avversi alla fede cattolica, che devi subito adesso senza nessun indugio estirpare e buttare via dal tuo sentire, dal tuo parlare, dal tuo scrivere, se vuoi che noi godiamo non soltanto del tuo passaggio agli altari cattolici, ma della tua vera identità cattolica. Perché, se questi errori si difendessero ostinatamente uno ad uno, potrebbero fare tante eresie, quante sono le opinioni che si contano in essi. Considera perciò quanto sia orribile che si trovino tutte insieme in una sola persona queste eresie, che sarebbero condannabili anche se distribuite una per una ad altrettante persone. Ma se tu non battaglierai a pro di esse con nessuna animosità e se anzi le sbaraglierai con il tuo parlare e con il tuo scrivere sincero, sarai verso te stesso un censore più lodevole che se tu censurassi con giusto motivo chiunque altro, e di tali errori sarai un correttore più degno d'ammirazione che se non ne fossi mai stato un portatore. Assista il Signore la tua mente ed immetta nel tuo spirito con il suo Spirito tanta facilità d'umiltà, tanta luce di verità, tanta dolcezza di carità, tanta pace di pietà che tu voglia esser vincitore del tuo animo nella verità piuttosto che vincitore di qualsiasi tuo oppositore nella falsità. Lungi poi da te il pensiero d'aver abbandonato la fede cattolica abbracciando questi errori, sebbene essi siano avversi alla fede cattolica, se davanti a Dio, il cui occhio non fallisce nel cuore di nessuno, hai coscienza d'aver detto con sincerità che " quanto alla possibilità che si approvino le affermazioni che avresti fatte, non credi nemmeno a te stesso, e stai sempre attento a non difendere nemmeno la propria sentenza, qualora appaia non approvabile, perché ti sta a cuore di seguire piuttosto pareri che siano più buoni e più veri, condannando il proprio giudizio ". Cotesto è appunto un animo che, anche in detti che per ignoranza non siano cattolici, è cattolico per la stessa premeditazione e predisposizione a correggersi. Ma terminiamo qui il presente volume e qui il lettore si riposi un poco, perché la sua attenzione si rinnovi per applicarsi da capo alle pagine che seguiranno. Libro IV A Vincenzo Vittore 1.1 - Questo libro esamina gli attacchi personali di Vittore ad Agostino Accogli adesso anche quello che desidero dirti nei miei riguardi personali, se lo potrò, ossia se me lo concederà colui nelle mani del quale siamo e noi e i nostri ragionamenti. Sono due le volte che mi hai ripreso, facendo espressamente anche il mio nome. Al principio del tuo libro, sebbene ti fossi detto oltremodo consapevole della tua ignoranza e sprovveduto del sussidio della dottrina, e sebbene mi avessi chiamato, dove mi hai nominato, dottissimo e peritissimo, tuttavia nelle questioni dove ti è sembrato di sapere quello che io confesso di non sapere o presumo di sapere, benché non lo sappia, non hai dubitato di riprendere con la libertà che occorreva, non solo un vecchio tu giovane e un vescovo tu laico, ma anche un uomo a tuo giudizio dottissimo e peritissimo. Io al contrario né mi conosco dottissimo e peritissimo, ma anzi conosco con la massima certezza che non lo sono, né metto in dubbio la possibilità che accada ad una qualsiasi persona non dotta e non perita di sapere ciò che non sa una qualche persona dotta e perita. Inoltre senz'altro ti lodo per il fatto che hai preferito ad una persona la verità, benché non sia la verità che hai raggiunta, ma certamente che hai creduto d'aver raggiunta; e ciò con evidente temerarietà, perché hai stimato di sapere quello che non sai, ma con libertà perché senza riguardi personali hai scelto d'aprire quello che ti senti dentro. Da questo devi capire quanto maggiormente deve stare a cuore a noi pastori di richiamare dagli errori le pecore del Signore, se anche per le pecore è disonesto occultare ai pastori i vizi dei medesimi pastori, se ne abbiano conosciuti. Oh, se tu riprendessi le mie colpe che sono degne di giusta riprensione! Non devo infatti negare che, sia negli stessi miei costumi come nei miei libri così numerosi, ci siano numerose mende che possano essere sottoposte ad accusa con retto giudizio e senza nessuna temerarietà. Se fossi tu stesso a riprendere qualcuna di queste mende, in quel caso forse ti indicherei quale vorrei che tu fossi nei casi dove non sei ripreso a caso, e offrirei a te minore io maggiore d'età, a te suddito io superiore nella Chiesa, un esempio di ravvedimento, tanto più salutare quanto più umile. Purtroppo invece tu mi hai ripreso in questioni dove l'umiltà non mi costringe a correggermi, ma dove la verità mi costringe in parte ad affermare e in parte a confermare le mie convinzioni. 2.2 - Il primo attacco personale di Vittore ad Agostino Ecco poi quali sono: la prima, sull'origine delle anime che sono state date o si danno agli uomini dopo il primo uomo, di non aver osato dire nulla di definitivo, perché confesso di non saperlo; la seconda, d'aver detto di sapere che l'anima è spirito e non corpo. Ma in questa mia seconda proposizione tu hai ripreso due errori: l'uno, che io non credo che l'anima sia corpo; l'altro, che io credo che l'anima è spirito. A te infatti sembra e che l'anima sia corpo, e che l'anima non sia spirito. Ascolta dunque la mia spiegazione contro la tua riprensione, e dall'esempio di questa mia spiegazione data a te impara le spiegazioni che devi dare in te stesso. Rammenta le parole del tuo libro, dove hai fatto per la prima volta il mio nome. " So " dici " che un gran numero di scrittori, anche tra quelli che sono di gran lunga i più esperti, dopo esser stati interpellati su questo argomento, hanno mantenuto il silenzio o non hanno detto nulla di abbastanza esplicito, sottraendo alle proprie discussioni la definizione del problema, dopo averne iniziato l'esposizione, come recentemente mi è capitato di leggere più volte presso di te contenuto negli scritti di Agostino, un uomo dottissimo e un vescovo celebrato: con troppa modestia, mi pare, e con troppa timidezza toccano costoro il mistero di questo problema, inghiottendo dentro di sé il giudizio delle proprie riflessioni e confessando di non essere in grado di precisare su questo tema nulla di sicuro. Ma a me, credimi, pare assurdissimo e irragionevole che l'uomo sfugga a se stesso o che l'uomo che crediamo arrivato ormai alla conoscenza di tutte le cose si debba ritenere sconosciuto a se stesso. In che cosa differirebbe l'uomo dalle bestie, se non sapesse discutere e ragionare della propria costituzione e natura, così da dover rivolgere contro di lui ciò che sta scritto: L'uomo quand'è in onore non comprende, si mette alla pari degli animali irragionevoli e si fa simile ad essi. ( Sal 48,13 ) Poiché, non avendo un Dio buono creato nulla irragionevolmente e avendo creato l'uomo stesso come animale ragionevole, capace d'intelligenza, dotato di raziocinio, vivace nei sensi, con il compito di dirigere con prudente ordine tutte le creature irrazionali, che cosa si potrebbe dire che sia altrettanto sconveniente quanto che Dio l'abbia defraudato della sola conoscenza di se stesso? E mentre la sapienza del mondo, che si protende fino alla conoscenza della verità, certo con sforzi vani, dato che non può conoscere colui che rende possibile la conoscenza della verità, ha tuttavia tentato di cogliere certe intuizioni sulla natura dell'anima che sono vicine, anzi affini alla verità, quanto è indegno e vergognoso che l'uomo religioso, chiunque egli sia, di questo stesso problema o non sappia nulla o abbia assolutamente proibito a se stesso di saperne qualcosa ". 2.3 - Confesso che ignoro molte cose sulla natura umana Questa tua eloquentissima e luminosissima fustigazione della nostra ignoranza ti obbliga a conoscere così bene tutti i problemi concernenti la natura dell'uomo che, se di essi ignorerai qualcosa, sarai equiparato alle bestie, non secondo il mio giudizio, ma secondo il tuo. Quantunque infatti sembri che tu abbia voluto colpire più segnatamente noi con le parole: L'uomo quand'è in onore non comprende, ( Sal 48,13 ) perché noi siamo nella Chiesa in un posto d'onore nel quale non sei tu, tuttavia anche tu sei in quel posto d'onore della natura che ti rende preferibile alle bestie, alle quali secondo il tuo giudizio sei da equiparare, se non conoscerai qualcosa di quei problemi che risultano pertinenti alla tua natura. Tu infatti non hai asperso con questo rimbrotto solamente coloro che non sanno quello che non so io, cioè l'origine dell'anima umana - della quale per la precisione non è che io non sappia assolutamente nulla: so in realtà che Dio alitò sulla faccia del primo uomo e l'uomo divenne così un essere vivente: ed è tuttavia una verità che, se non l'avessi letta nelle Scritture, non la potrei conoscere da me -, ma hai detto: " In che cosa differirebbe l'uomo dalle bestie se non sapesse discutere e ragionare della propria costituzione e natura? ". Nel dire così sembra che tu pretenda dall'uomo di saper discutere e ragionare così bene di tutta la sua costituzione e natura che non gli sfugga nulla di se stesso. Se così è, ti allivellerò subito alle pecore, se non mi dici il numero dei tuoi capelli. Se al contrario concedi che, per quanto progrediamo in questa vita, ignoreremo sempre alcune delle verità pertinenti alla nostra natura domando quale e quanta sia l'ampiezza della tua concessione, perché potrebbe esservi compreso anche il fatto di non conoscere completamente l'origine della nostra anima, sebbene sappiamo senza incertezze che l'anima è stata data da Dio e che essa non è della medesima natura di Dio: e queste sono verità che appartengono all'intangibilità della nostra fede. O forse pensi che ciascuno debba ignorare la propria natura nei limiti in cui la ignori tu e la debba conoscere nei limiti in cui l'hai potuta conoscere tu, di modo che, se qualcuno la ignora un poco più di te, lo metti alla pari delle pecore, perché tu hai potuto essere più dotto di lui, e altrettanto, se egli la conoscerà un poco meglio di te, con lo stesso metro di giustizia sarà lui che metterà te alla pari delle pecore? Dicci dunque in quale misura ci concedi d'ignorare la nostra natura, perché sia salva la nostra distanza dalle pecore, e rifletti tuttavia se chi sa di non sapere qualcosa della natura umana non disti dalle bestie più di chi crede di sapere quello che non sa. La natura completa dell'uomo sono certamente lo spirito, l'anima e il corpo: è pazzo dunque chi vuol considerare estraneo alla natura umana il corpo. Eppure, i medici chiamati anatomisti, i quali attraverso le membra, le vene, i nervi, le ossa, i midolli, le interiora vitali, tagliuzzando anche uomini vivi finché possono rimanere vivi tra le mani di chi ne fa la vivisezione, hanno fatto ricerche per conoscere la natura del corpo, non hanno tuttavia equiparato alle bestie noi che ignoriamo quello che conoscono essi. A meno che tu non sia pronto a dire che sono paragonabili alle bestie quelli che ignorano la natura dell'anima e non quelli che ignorano la natura del corpo. Non avresti dunque dovuto premettere quello che hai detto. Non hai detto infatti: " In che cosa differirebbe l'uomo dalle bestie, se non sa la costituzione e la natura della sua anima ", bensì hai detto: " Se non sa discutere e ragionare della propria costituzione e natura ". Certamente la nostra costituzione e natura comprende anche il corpo, benché dei singoli elementi che ci compongono si tratti singolarmente a parte. Ma a voler esporre tutte le così numerose discussioni che potrei fare con rigore assolutamente scientifico sulla natura dell'uomo, riempirei parecchi volumi, e confesso tuttavia che sono molte le verità che ignoro. 3.4 - Servono argomentazioni serie, non facili ingiurie Ma tu, la discussione fatta nel libro precedente sul respiro dell'uomo, a che cosa vuoi che si riporti: alla natura dell'anima perché è l'anima stessa che compie tale azione nell'uomo, o alla natura del corpo che è mosso dall'anima a compiere quell'azione, o alla natura dell'aria circostante con la cui alternanza si spiega quell'azione, o piuttosto a tutti e tre questi fattori, cioè all'anima che muove il corpo, e al corpo che muovendosi prende e rende l'aria, e all'aria circolante in ogni parte che dà alimento entrando e alleggerimento uscendo? E tuttavia è certo che lo ignoravi, tu scrittore letterato e facondo, quando credevi e dicevi e scrivevi e nell'assemblea di una moltitudine di invitati leggevi che noi gonfiamo un otre servendoci della nostra natura, senza che abbiamo nulla di meno nella nostra natura, mentre avresti potuto, appena avessi voluto, conoscere molto facilmente in che modo noi compiamo tale operazione, non scrutando diligentemente pagine divine e umane, ma stando attento a te stesso. Con qual sicurezza dunque affiderò il compito d'istruirmi sull'origine delle anime, che io confesso di non sapere, ad uno come te che non sai come fai ciò che incessantemente fai con le tue narici e con la tua bocca? E faccia il Signore che tu, esortato da me, ceda senza voler resistere ad una verità posta così alla nostra portata ed evidentissima, e che tu non interroghi i tuoi polmoni sul modo di gonfiare un otre, così da preferire d'averli gonfi contro di me, piuttosto che arrenderti ad essi che t'insegnano e ti rispondono secondo verità, non parlando e altercando, ma aspirando ed espirando. Quanto perciò alla mia ignoranza sull'origine delle anime, sopporterei senza molestia la tua aggressione e riprensione contro di essa, anzi ti renderei per giunta molte grazie, se non ti limitassi a percuotermela con aspre impertinenze, ma riuscissi anche a scuotermela da dosso con vere testimonianze. Se tu infatti mi potessi far conoscere ciò che non conosco, dovrei sopportare con grande pazienza non solo che tu mi colpissi con le parolacce, ma perfino con i pugni. 4.5 - È proprio necessario conoscere l'origine dell'anima? Confesso alla tua dilezione che, per quanto concerne la presente questione, desidero molto conoscere, se mi è possibile, una delle due cose: o conoscere ciò che ignoro sull'origine delle anime, o conoscere se conoscere ciò sia di nostra competenza mentre viviamo quaggiù. Che dire infatti se fosse una di quelle verità di cui ci è detto: Non cercare le cose che sono più alte di te, non indagare le cose che sono più forti di te, ma bada sempre a quello che ti è stato comandato dal Signore? ( Sir 3,22 ) Ma desidero saperlo o da Dio stesso che sa quello che crea, o anche da qualche persona umana dotta che sa cosa dire, non da una persona che non conosce l'aria che respira. Nessuno sa ricordare la propria infanzia, e tu credi che un uomo possa senza l'insegnamento di Dio conoscere donde abbia cominciato a vivere nel seno materno, specialmente se la natura umana gli è ancora sconosciuta a tal punto da ignorare non solo che cosa abbia dentro di sé, ma anche che cosa la circondi fuori di sé? E sarà mai possibile che ad insegnare a me o a chicchessia donde i nascenti ricevano l'anima sii tu, o carissimo, che finora ignoravi donde i viventi ricevano l'alimento così necessario che una sua breve sottrazione basta a farli morire subito? Insegnerai a me o a chicchessia donde gli uomini siano animati tu che finora non sapevi da che cosa siano riempiti gli otri quando sono gonfiati? Magari, come tu non sai da dove sia l'origine delle anime, così io sapessi almeno se lo debba sapere in questa vita. Se infatti è una di quelle verità troppo alte, che ci è proibito di cercare e d'indagare, dobbiamo temere di peccare, non ignorandola, ma ricercandola. Né infatti la ragione per dover escludere che sia una di quelle verità troppo alte è che non concerne la natura di Dio, ma la natura nostra. 5.6 - Tante cose non sappiamo! Come mai alcune delle opere di Dio sono più difficili a conoscersi in Dio stesso, nei limiti in cui Dio è conoscibile? Abbiamo imparato per esempio che Dio è Trinità, ma quante specie d'animali egli abbia creato, anche soltanto di quelli terrestri che poterono entrare nell'arca di Noè, lo ignoriamo finora. A meno che tu non sia arrivato per caso a saperlo! Anche nel libro della Sapienza è scritto: Se tanto poterono sapere da scrutare l'universo, come mai non ne hanno trovato più presto il padrone? ( Sap 13,9 ) Oppure, perché è un fatto interiore a noi, per questo non è superiore a noi? Certo, è più interiore a noi la natura della nostra anima che il corpo. Come se al contrario l'anima non abbia potuto conoscere il corpo stesso più facilmente dal di fuori per mezzo degli occhi dello stesso corpo che dal di dentro per mezzo di se stessa. Quale è infatti tra gli organi interni del corpo quello in cui non si trovi l'anima? E nondimeno anche tutte le parti interne e vitali del corpo l'anima le ha studiate con gli occhi del corpo, e tutto ciò che ha potuto imparare da esse l'ha imparato per mezzo degli occhi del corpo. E certamente l'anima era in quelle membra anche quando non le conosceva. E poiché i nostri organi interni non possono vivere senza l'anima, è stato più facile all'anima vivificarli che conoscerli. O forse le è più difficile conoscere il corpo che se stessa? Perciò, se l'anima vuole ricercare e discutere quando il seme dell'uomo si converte in sangue, quando si converta in solida carne, quando le ossa s'induriscano, quando comincino a midollarsi, quante siano le specie delle vene e dei nervi, con quali giri e rigiri le vene irrighino l'intero corpo e i nervi lo intreccino, se tra i nervi si debba contare la cute, se tra le ossa i denti che differiscono dalle ossa perché mancano di midollo, in che cosa differiscano dalle ossa e dai denti le unghie che sono simili alle ossa per la durezza, ma hanno in comune con i capelli di poter esser tagliate e ricrescere, quale sia la funzione delle vene, non di quelle del sangue, ma di quelle dell'aria chiamate arterie: se l'anima, ripeto, desidera conoscere questi e simili problemi sulla natura del suo corpo, allora bisognerà forse dire all'uomo: Non cercare le cose che sono più alte di te, non indagare le cose che sono più forti di te? ( Sir 3,22 ) Se invece l'anima cerca di sapere quello che ignora della propria origine, non è allora questo per lei un problema troppo alto, né troppo forte da non poterlo conoscere? Tu stimi assurdo e sconveniente che l'anima ignori se sia stata ispirata direttamente da Dio o tratta dai genitori: un fatto passato che essa non ricorda più e che conta tra gli eventi irrevocabilmente dimenticati, come l'infanzia e tutti gli altri episodi dell'età più vicina alla nascita, seppur l'origine dell'anima avvenne, quando avvenne, con una qualche consapevolezza da parte dell'anima. Né stimi assurdo e sconveniente che l'anima non conosca il corpo a lei subordinato e ignori completamente tanti fatti che non riguardano il suo passato, ma il suo presente. Ad esempio, se muova le vene per vivere nel corpo e i nervi invece per operare con le membra del corpo, e se è così, perché non muova i nervi se non volontariamente e compia invece le pulsazioni delle vene anche involontariamente e incessantemente. Inoltre, da quale parte del corpo la facoltà che chiamiamo hJgemonikovn comandi a tutte le altre parti: se dal cuore, se dal cervello, se distintamente dal cuore per i movimenti e dal cervello per le sensazioni, o se dal cervello per le sensazioni e per i movimenti volontari e dal cuore invece per le pulsazioni involontarie delle vene. Ammesso poi che hJgemonikovn comandi dal cervello le due serie di operazioni, perché esso comandi le sensazioni anche involontariamente e non muova le membra se non volontariamente? Atteso dunque che è solo l'anima a fare tutte queste operazioni nel corpo, perché mai essa ignora ciò che fa o donde lo fa? Eppure non è turpe per l'anima ignorare coteste verità: e tu stimi turpe se ignora donde e come sia stata fatta, non essendosi fatta da se stessa? Oppure, perché alcuni sanno in che modo e da quale centro l'anima compia nel corpo queste azioni, reputi che questa sia una ragione valida per dire che tali verità non appartengono a quelle troppo alte e troppo superiori alle nostre forze 6.7 - Perché non conosco da me quello che avviene in me? Ma io ti muovo da qui un'altra questione più grossa: quale sia la ragione per cui pochissimi conoscono donde facciano ciò che fanno tutti. Forse sei pronto a dire: Perché quelli hanno imparato l'arte anatomica o l'arte empirica, comprese nella disciplina medica, e sono pochi quelli che l'apprendono: tutti gli altri invece non hanno voluto imparare queste arti, mentre l'avrebbero potuto, se l'avessero veramente voluto. Davanti a questa risposta io ometto di dire quale sia la ragione per cui molti cerchino d'imparare queste arti e non lo possano: la ragione è che sono impediti dalla tardità dell'ingegno ad apprendere da altri - ecco la grande stranezza! - le attività che sono compiute da loro stessi e in loro stessi. Ma il punto culminante della questione sta precisamente qui: perché mai io non abbia bisogno di un'arte per sapere che in cielo ci sono il sole, la luna e le altre stelle, e abbia bisogno di un'arte per sapere, quando muovo un dito, da dove cominci a muoverlo: se dal cuore, se dal cervello, se da ambedue, se da nessuno dei due; perché mai non mi occorra un docente per sapere che cosa esiste tanto lontano da me e tanto più in alto al di sopra di me, e invece debba aspettare d'imparare per mezzo d'un altro donde si compia da me quello che si compie dentro di me. Infatti, mentre si dice che noi pensiamo dentro il nostro cuore, e mentre noi sappiamo ciò che pensiamo, senza che lo sappia nessun altro, tuttavia del cuore stesso dentro cui pensiamo non sappiamo in quale parte del corpo sia collocato se non lo veniamo a sapere da un altro, il quale non sa ciò che noi pensiamo. Né ignoro che quando udiamo di dover amare Dio con tutto il cuore, ciò non si dice di quella piccola parte della nostra carne che sta nascosta sotto le costole, ma di quella forza da cui prorompono i pensieri e alla quale si dà giustamente il nome di cuore perché, come il movimento non si arresta mai nel cuore da cui il battito si diffonde in tutte le parti delle vene, così noi non cessiamo mai di rigirare qualcosa con il pensiero. Ma tuttavia perché mai, pur trasmettendosi ogni sensazione dall'anima anche al corpo, noi perfino nelle tenebre e ad occhi chiusi con il senso del corpo chiamato tatto riusciamo a contare le nostre membra esterne, ed invece con la presenza interiore dell'anima stessa, che è così a disposizione di tutte le membra da lei vivificate e animate, non conosciamo nessuno dei nostri organi interni, credo che non soltanto i medici empirici, né gli anatomici, né i dogmatici, né i metodici, ma proprio nessuno al mondo lo sappia. 6.8 - Siamo misteriosamente un mistero a noi stessi E a chi tenterà di conoscere queste verità non si dice senza motivo: Non cercare le cose che sono più alte di te, non indagare le cose che sono più forti di te. Non è che siano più alte di dove può arrivare la nostra statura, ma sono più alte di quanto può comprendere la nostra congettura mentale, e sono più forti di quanto può esser compenetrato dalla forza dell'ingegno umano, e tuttavia non è in gioco il cielo del cielo, non la dimensione delle stelle, non la misura del mare e delle terre, non l'inferno inferiore: noi siamo che non ce la facciamo a comprendere noi stessi, noi siamo che superiamo la spanna della nostra scienza, più alti di essa e più forti di essa, noi siamo che non riusciamo a capire noi stessi, e certamente noi non siamo al di fuori di noi. Né, perché non riusciamo a trovare perfettamente quello che siamo, per questo siamo da equiparare alle bestie: e tu reputi di doverci mettere alla pari delle bestie, se abbiamo dimenticato ciò che eravamo, se pur un tempo lo sapevamo. Non è infatti adesso che la mia anima viene tratta dai genitori o ispirata da Dio: qualunque di queste due operazioni egli abbia fatta, l'ha fatta quando mi ha creato, non è che la faccia anche adesso attraverso di me o in me; è un'operazione già fatta e passata, non è né presente a me, né recente. Non so neppure questo: se una volta l'ho saputo e poi l'ho dimenticato, o se nemmeno quando fu fatto l'ho potuto sentire e conoscere. 7.9 - L'attualità della nostra vita si svolge in un mistero personale Ecco adesso, adesso che noi siamo, che viviamo, che noi sappiamo di vivere, che siamo certissimi di ricordare, di comprendere, di volere: ecco, noi che ci vantiamo d'essere grandi conoscitori della nostra natura, noi ignoriamo completamente quanto valga la nostra memoria o la nostra intelligenza o la nostra volontà. Un tale che era mio amico già dai tempi dell'adolescenza, di nome Simplicio, un tipo d'una memoria eccezionale e meravigliosa, interrogato da noi quale fosse il penultimo verso d'ogni libro di Virgilio, rispose immediatamente, speditamente, esattamente a memoria. Gli domandammo anche i versi antecedenti e li disse. Ci convincemmo che sarebbe stato capace di recitare tutto Virgilio alla rovescia. Gli chiedemmo di farlo in qualunque passo di nostra scelta e lo fece. Volemmo che lo facesse, in prosa, anche per qualsiasi orazione di Cicerone che aveva imparata a memoria: continuò a recitare all'indietro quanto noi volemmo. Alla nostra meraviglia, egli chiamò Dio in testimonio che prima di quell'esperimento non sapeva di poterlo, e così, per quanto concerne la memoria, fu allora che il suo animo ebbe conoscenza di se stesso; e, ogni volta che così si istruiva, non poteva farlo se non tentando e sperimentando. Eppure prima di tentare egli era il medesimo: perché mai dunque ignorava se stesso? 7.10 - A noi non sono note le forze della nostra memoria Spesso noi presumiamo di tenere a mente qualcosa e pensando così non lo annotiamo; dopo quando lo vogliamo ricordare non ci viene in mente e ci pentiamo di aver creduto che ci sarebbe venuto in mente e di non averlo appuntato per scritto perché non ci sfuggisse; poi all'improvviso ci torna in mente di nuovo quando non lo cerchiamo più. Non eravamo forse noi, quando lo tenevamo in mente? Né tuttavia, quando non possiamo averlo in mente, siamo ciò che siamo stati. Come avviene dunque che, non so come, noi veniamo sottratti e negati a noi? E come avviene che, ugualmente non so come, veniamo ripresentati e restituiti a noi? Quasi che siamo altri e siamo altrove, quando cerchiamo e non troviamo ciò che abbiamo riposto nella nostra memoria, e non possiamo raggiungere noi stessi, come se ci fossimo trasferiti altrove e ci raggiungessimo quando ci troviamo. Dov'è infatti che cerchiamo se non dentro di noi? E che cosa cerchiamo se non noi? Quasi che non siamo in noi e ci siamo allontanati da noi in un qualche luogo nascosto. Non ti colpisce forse e non ti spaventa tanta profondità? E che altro è questo se non la nostra natura, e non quale essa è stata, ma quale è adesso? Ed ecco essa è più oggetto d'esplorazione che di comprensione. Spesso davanti ad una questione io ho creduto che l'avrei capita se ci avessi riflettuto: ho riflettuto e non ho potuto; spesso non ho creduto e tuttavia ho potuto. Le forze dunque della mia intelligenza evidentemente non sono note a me, e credo nemmeno a te. 7.11 - Ignoriamo le forze della nostra volontà Ma forse tu mi disprezzi per la mia confessione e anche per questa mi paragonerai alle bestie. Io al contrario non cesso di rivolgerti monito, se li disdegni, non cesso di rivolgerti ammonimenti amichevoli perché tu riconosca piuttosto la comune debolezza nella quale si manifesta pienamente la potenza divina, ( 2 Cor 12,9 ) per evitare che, presumendo come a te noto l'ignoto, tu non possa giungere alla verità. Credo infatti che ci sia qualcosa che anche tu cerchi d'intendere e non lo puoi, né tuttavia lo cercheresti se non sperassi di poterlo. E quindi tu ignori la forza della tua intelligenza, anche tu che professi la conoscenza della tua natura e non ne confessi con me l'ignoranza. Che dirò della volontà, nella quale si predica da noi con certezza il libero arbitrio? A questo proposito, il beatissimo apostolo Pietro voleva dare la sua vita per il Signore, ( Gv 13,37; Mt 16,16 ) lo voleva senz'altro, né infatti promettendolo intendeva ingannare Dio; ma egli ignorava di quanta forza disponesse la sua stessa volontà. Un uomo dunque così grande, che aveva riconosciuto Gesù come figlio di Dio, era sconosciuto a se stesso. Noi pertanto sappiamo che vogliamo o che non vogliamo qualcosa, ma quanto valga la nostra volontà anche quando è buona, quanta forza abbia, a quali tentazioni ceda e a quali non ceda, se non inganniamo noi stessi, o figlio mio diletto, noi lo ignoriamo. 8.12 - Conferme da parte del Salmista e di S. Paolo Vedi dunque quante verità, non passate, ma presenti, ignoriamo sulla nostra natura, non solo riguardo al corpo, ma anche riguardo all'uomo interiore, e tuttavia non veniamo allivellati alle bestie. E tu, non perché io non conosco assolutamente nulla della lontana origine della mia anima, ma perché non conosco tutto su di essa - so infatti che l'anima mi è stata data da Dio e che tuttavia non viene dalla natura di Dio -, mi hai creduto degno di tanta offesa. E quando potrei finire di ricordare tutte le verità che noi ignoriamo sulla natura dello spirito e della nostra anima? Qui dobbiamo piuttosto esclamare all'indirizzo di Dio quello che ha esclamato il salmista dicendo: Troppo più alta di me la tua saggezza, troppo sublime, e io non la comprendo. ( Sal 139, 6 sec. LXX ) Perché dice di me se non perché arguiva quanto fosse incomprensibile la scienza di Dio partendo da se stesso, atteso che non arrivava a comprendere se stesso? L'Apostolo veniva rapito al terzo cielo e udiva ineffabili parole che all'uomo non è dato di pronunziare, e dice di non sapere se ciò gli era accaduto nel corpo o fuori dal corpo, ( 2 Cor 12,2-4 ) né teme d'esser paragonato da te alle bestie. Il suo spirito sapeva d'essere nel terzo cielo, d'essere nel paradiso, e non sapeva se fosse o non fosse dentro il suo corpo. E ovviamente il terzo cielo e il paradiso non erano lo stesso apostolo Paolo, ma il suo corpo e la sua anima e il suo spirito erano proprio lui. Ecco, sapeva cose grandi, alte, divine che non erano lui e non sapeva proprio quello che costituiva la sua stessa natura. Chi in mezzo a tanta conoscenza di realtà occulte non si meraviglia della tanta ignoranza che ha di se stesso? Chi infine crederebbe, se non lo dicesse lui che non inganna, che noi non sappiamo che cosa sia conveniente domandare nella preghiera? ( Rm 8,26 ) È lassù che deve protendersi al massimo la tensione della nostra volontà, perché ci buttiamo agli interessi del nostro avvenire: e tu, perché delle realtà del nostro passato io ne ho dimenticata qualcuna sulla mia origine, mi equipari alle bestie, mentre senti il medesimo Apostolo che dice: Dimentico del passato e proteso verso il futuro, corro verso la meta per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù nel Cristo Gesù? ( Fil 3,13-14 ) 9.13 - S. Paolo offre la conferma anche col suo esempio Forse, anche perché ho detto che non sappiamo che cosa sia conveniente domandare nella preghiera, ( Rm 8,26 ) mi stimi meritevole d'esser deriso e mi giudichi simile agli animali irragionevoli? E probabilmente qui hai delle attenuanti. Poiché, preferendo noi con retto e sano giudizio la nostra sorte futura al nostro passato ed essendo a noi necessaria l'orazione, non per quello che siamo stati, ma per quello che saremo, è certamente molto più molesto ignorare che cosa chiedere nella preghiera che ignorare la nostra origine. Ma ti venga in mente dove hai letto quelle parole o rileggendo rammentale e non voler scagliare contro di me la pietra di tale insulto, perché non colpisca uno che non vorresti. Le parole: Non sappiamo che cosa sia conveniente domandare nella preghiera le ha dette lo stesso Apostolo, dottore delle genti. E non l'ha soltanto insegnato con le sue parole, ma l'ha pure mostrato con il suo esempio. Contro infatti l'utilità e la perfezione della propria salvezza, pregava per ignoranza che fosse allontanata da lui la spina della carne che diceva essergli stata data perché non s'insuperbisse della grandezza delle sue rivelazioni. E il Signore, poiché l'amava, non fece quello che lui chiedeva per ignoranza. ( 2 Cor 12,7-9 ) Ma tuttavia dove dice che non sappiamo che cosa sia conveniente domandare nella preghiera, aggiunge immediatamente: Ma lo stesso Spirito intercede con insistenza per noi con gemiti inesprimibili. E colui che scruta i cuori, sa quali sono i desideri dello Spirito, poiché egli intercede per i credenti secondo i disegni di Dio, ( Rm 8,26-27 ) cioè fa pregare i credenti. S'intenda quello Spirito che Dio ha mandato nei nostri cuori e che grida: Abbà, Padre, ( Gal 4,6 ) e per mezzo del quale noi gridiamo: Abbà, Padre. ( Rm 8,15 ) Infatti è stata adoperata l'una e l'altra espressione: " noi abbiamo ricevuto lo Spirito che grida: Abbà, Padre ", e " noi abbiamo ricevuto lo Spirito nel quale gridiamo: Abbà, Padre ", per spiegare in che senso dica " che grida ". Lo dice nel senso " che fa gridare ", perché noi gridiamo per mezzo di lui che ci fa gridare. Mi insegni dunque il Signore anche questo, quando vorrà e se lo crederà utile a me, perché io sappia donde abbia origine secondo la mia anima. Ma me lo insegni quello Spirito che scruta le profondità di Dio, ( 1 Cor 2,10 ) non un uomo che ignora lo spirito dal quale un otre è gonfiato. Lungi da me tuttavia paragonarti per questo alle bestie. L'ignoravi infatti non per insufficienza, ma per inavvertenza. 10.14 - La Scrittura ci fornisce delle conoscenze altrimenti impossibili alla natura Ma probabilmente, benché le verità delle quali si va in cerca sull'origine delle anime siano più alte di quelle che riguardano il modo del nostro prendere e rendere il fiato, tu tuttavia confidi d'avere appreso quelle medesime verità più alte dalle Scritture sante, dalle quali mediante la fede abbiamo imparato verità che gli ingegni umani di nessuna levatura potrebbero trovare. La conoscenza infatti che la carne è destinata a risorgere in avvenire e a vivere senza fine è certamente di gran lunga superiore a tutte le nozioni che i medici hanno potuto acquisire con le loro esplorazioni nella carne e che l'anima non percepisce con nessun senso, benché con la sua presenza animi tutti gli organi che essa non conosce; e sapere che l'anima rinata e rinnovata nel Cristo è destinata ad essere beata in eterno è una conoscenza di gran lunga più bella di tutte le conoscenze che ci mancano sulla sua memoria, intelligenza, volontà. Ora, tutte queste conoscenze che ho dichiarate superiori e migliori, non le potremmo acquisire in nessun altro modo che credendo alla parola di Dio. È dunque su questa parola di Dio che tu probabilmente stimi di confidare per non trattenerti dal pronunziare una sentenza definitiva sull'origine delle anime. Se fosse così, in primo luogo non avresti dovuto attribuire alla stessa natura umana, ma a un dono di Dio, che l'uomo sappia investigare e discutere sulla propria costituzione e natura. Hai scritto infatti: " In che cosa differirebbe l'uomo dalle bestie, se non sapesse questo?" Che bisogno ci sarebbe allora di leggere per saperlo, se lo dobbiamo già sapere per il fatto stesso che siamo diversi dalle bestie? Come infatti non mi leggi nulla perché io sappia che vivo, non potendolo ignorare in forza della mia natura, così, se è naturale conoscere anche l'origine delle anime, perché mai mi presenti su di essa le testimonianze delle Scritture perché io vi creda? Differiscono forse dalle bestie soltanto quelli che leggono le Scritture? Non siamo stati creati così da essere diversi dalle bestie anche prima che possiamo giungere ad un qualche studio letterario? Come va, ti prego, che attribuisci alla nostra natura così tanto che essa sappia già trattare e discutere dell'origine delle anime per il fatto stesso che differisce dalle bestie, e poi la fai di nuovo così priva della medesima conoscenza da non potersela procurare con mezzi umani, ma solo credendo a testimonianze divine? 11.15 - Bisogna sapere di non sapere In secondo luogo, anche su questo t'inganni. Infatti le testimonianze divine che hai voluto riportare per la soluzione della nostra questione non ce ne danno la chiave. È un'altra la verità che esse dimostrano, ed è una verità tale che senza di essa veramente non possiamo vivere nella pietà della fede cristiana: cioè la verità che abbiamo Dio come datore, come creatore, come formatore delle nostre anime. Ma in che modo Dio le faccia, se ispirandole nuove o se traendole dai genitori, le Scritture non lo dicono, fatta eccezione per quella che Dio diede al primo uomo. Leggi diligentemente quanto io ho scritto al nostro fratello, servo di Dio, Renato: poiché l'ho dimostrato in quel libro, non è stato necessario che lo scrivessi anche in questo. Tu vorresti però che io definissi il problema che tu hai definito, cacciandomi così nelle medesime stretture nelle quali ti sei cacciato tu e per cui hai sproloquiato contro la fede cattolica con spropositi tanto numerosi e tanto vistosi, che se li ricordi e li ripensi con sincerità e umiltà vedi senza dubbio quanto ti sarebbe giovato aver saputo non sapere e quanto ti gioverebbe saper di non sapere almeno adesso. Se quello infatti che ti piace nella natura dell'uomo è l'intelligenza, poiché realmente, se non l'avesse, non ci distingueremmo in nulla dalle bestie per quanto concerne l'anima, cerca con la tua intelligenza di capire che cosa vada al di là della tua intelligenza, per non finire col non avere l'intelligenza di nulla, e non voler disprezzare uno che per aver l'intelligenza verace di ciò che è al di sopra della sua intelligenza ha tanto d'intelligenza da capire di non arrivare ad averne l'intelligenza. Per quale ragione poi sia stato detto nel salmo santo: L'uomo quand'è in onore non comprende, si mette alla pari degli animali irragionevoli e si fa simile ad essi, ( Sal 50,13 ) sappilo leggere e capire, perché sii tu stesso a guardarti con umiltà da questa vergogna piuttosto che rovesciarla con superbia sopra un altro. È stato detto infatti di coloro che, stimando vita solamente questa vita, vivono secondo la carne e non sperano nulla dopo la morte, come le bestie; non di coloro i quali non negano di conoscere ciò che conoscono e riconoscono di non conoscere ciò che non conoscono, ed inoltre trovano più sicuro rendersi conto della loro infermità piuttosto che presumere della loro forza. 11.16 - Si rispettino i segreti di Dio Non dispiaccia pertanto, o figlio, alla tua giovanile baldanza la mia senile titubanza. Se ciò infatti che stiamo cercando sull'origine delle anime non potrò saperlo per mezzo dell'insegnamento né di Dio, né d'un qualche uomo spirituale, io sono più disposto a difendere come sia giusto che Dio abbia voluto che noi ignorassimo anche questa verità come tante altre, piuttosto che avanzare temerariamente una risposta che o sia così oscura da non poterla non solo rendere intelligibile all'intelligenza degli altri, ma da non intenderla nemmeno io stesso, o sia tale che giovi anche agli eretici, i quali tentano di persuadere che le anime dei bambini sono monde da ogni colpa proprio con questo argomento: che la medesima colpa non si ritorca e non ricada su Dio come causa, perché dandole alla carne peccatrice avrebbe costretto ad esser peccatrici le anime innocenti, alle quali previde che non sarebbe venuto in soccorso nemmeno il lavacro della rigenerazione e nessuna grazia del battesimo, che le liberasse dalla dannazione eterna: un fatto gravissimo, perché sono innumerevoli le anime dei bambini che escono dal loro corpo prima del battesimo. Non sia mai infatti che per voler sciogliere questo nodo io dica le assurdità che hai dette tu: " A causa della carne l'anima meritò d'esser macchiata e diventare peccatrice ", pur non avendo antecedentemente nessun peccato per poter dire che se lo sia meritato giustamente; e: " Anche senza il battesimo si sciolgono i peccati originali " e: " Il regno dei cieli sarà concesso alla fine anche a persone non battezzate ". Se io non temessi di spargere questi e simili veleni contro la fede, non temerei probabilmente di prendere una decisione definitiva su questo argomento. Quanto meglio faccio dunque a non dissertare e a non affermare nei riguardi dell'anima ciò che non conosco, separandomi dagli altri, ma a ritenere semplicemente ciò che vedo insegnato esplicitamente dall'Apostolo: a causa d'un solo uomo tutti gli uomini che nascono da Adamo finiscono nella condanna, ( Rm 5,18 ) ad eccezione di coloro che rinascono nel Cristo, nella maniera in cui ha stabilito che rinascano, ( Gv 3,3 ) prima della loro morte corporale, e che sono stati predestinati alla vita eterna dal misericordiosissimo elargitore della grazia, il quale è per coloro che ha predestinati alla morte eterna anche il giustissimo distributore del castigo, non solo per i peccati che aggiungono volontariamente, ma anche, nel caso dei bambini che non vi aggiungono nessun altro peccato, per il solo peccato originale. Questo è tutto ciò che io definisco in tale questione, perché, salva la mia fede, l'arcano agire di Dio abbia i suoi segreti. 12.17 - Il secondo attacco personale di Vittore ad Agostino Ora è venuto già il momento di dover rispondere, per quanto il Signore si degni concedermelo, anche a quel punto dove, parlando dell'anima, hai fatto il mio nome per la seconda volta e hai detto: " Noi non consentiamo, come invece sostiene il peritissimo vescovo Agostino, che l'anima si dica incorporea e insieme spirituale ". Discutiamo pertanto se l'anima sia da ritenersi incorporea, come ho detto io, o corporea, come hai detto tu. Dopo discuteremo se anch'essa si chiami spirito secondo le nostre Scritture, sebbene si dica spirito, in senso proprio, non tutta l'anima ma anche una sua qualche parte. E prima di tutto vorrei sapere come tu definisca un corpo. Se infatti non è corpo se non quanto risulta di membra carnali, non sarà corpo nemmeno la terra, nemmeno il cielo, nemmeno una pietra, né l'acqua, né le stelle, né alcuna di simili realtà. Se corpo è invece quanto risulta di parti che più grandi e più piccole occupano spazi più grandi e più piccoli, sono corpi anche coteste realtà che ho ricordate: corpo è l'aria, corpo è questa luce visibile, corpi sono tutti i corpi celesti e i corpi terrestri, come si esprime l'Apostolo. ( 1 Cor 15,40 ) 12.18 - L'incorporeità dell'anima Ora, se qualcosa di simile sia l'anima è oggetto d'una ricerca ingarbugliatissima e sottilissima. Ma tu comunque, e te ne faccio i più grandi complimenti, confermi che Dio non è corpo. D'altra parte però torni di nuovo a preoccuparmi dove dici: " Se l'anima non ha corpo, potrebbe essere, come piace ad alcuni, una sostanza aerea e inconsistente di una vanità assoluta". Da queste tue parole sembra infatti che tu creda essere sostanza vana tutto ciò che è privo di corpo. Se è così, come osi dire che Dio non ha corpo e non temi conseguentemente che Dio sia una sostanza vana? Ma se per un verso è vero che Dio non ha corpo, come hai già confessato, e se per l'altro verso sia lungi da te dire che Dio è una sostanza vana, allora non è vero che sia una sostanza vana tutto ciò che non ha corpo. Perciò chi dice che l'anima è incorporea, non segue che la voglia far apparire sostanza vana ed inconsistente, perché anche di Dio, che non è qualcosa di vano, confessa ugualmente che è incorporeo. Nota però quanto ci corra tra quello che dico io e quello che tu mi fai dire. Io infatti non dico nemmeno che l'anima è di una sostanza aerea: altrimenti confesserei che è un corpo. L'aria è appunto un corpo, secondo tutti coloro che parlando dei corpi sanno quello che dicono. Tu viceversa, perché io ho detto incorporea l'anima, hai creduto che l'abbia detta non solo d'una vanità assoluta, ma per questo una sostanza aerea, mentre e io non ho detto che l'anima è corpo come l'aria, e non può essere vano ciò che si riempie d'aria. E non te l'hanno potuto far capire nemmeno i tuoi otri. Quando infatti si gonfiano, che cos'altro si comprime dentro di essi se non dell'aria? Tanto poco sono vani che per la loro medesima pienezza sopportano anche dei pesi. Che se eventualmente ti sembra una cosa l'alito e un'altra cosa l'aria, mentre lo stesso alito è aria in movimento, come si può dimostrare anche con un ventaglio agitato, perché tu conosca con certezza che i vasi concavi di qualsiasi genere da te creduti vuoti sono pieni, immergili nell'acqua dalla parte dalla quale si riempiono e renditi conto con i tuoi occhi come non vi possa entrare una sola goccia d'acqua, perché la respinge l'aria di cui sono pieni. Al contrario, se si collocano con la bocca verso l'alto o su di un fianco, allora ricevono il liquido che vi si versa o che vi penetra, uscendone l'aria che si libera da dove trova d'uscire. Ciò si potrebbe dimostrare più facilmente alla presenza d'un fatto che per mezzo d'uno scritto. Ma non è il caso di fermarsi qui più a lungo, perché, sia che tu capisca che la natura dell'aria è corporea, sia che tu non lo capisca, tu non devi tuttavia credere che io abbia detto che l'anima è per lo meno aerea, ma ho detto che è assolutamente incorporea: la stessa verità che anche tu riconosci nei riguardi di Dio, pur non osando dire che egli è qualcosa di vano e non potendo invece negare che egli sia una sostanza onnipotente ed immutabile. Perché dunque temiamo che l'anima sia una vanità assoluta, qualora sia incorporea, quando riconosciamo che Dio è incorporeo, né diciamo che sia una vanità assoluta? Così pertanto ha potuto, lui incorporeo, creare un'anima incorporea, come lui vivente un'anima vivente, benché, immutabile, abbia creato un'anima mutevole e, onnipotente, un'anima a lui di gran lunga inferiore. 13.19 - La Scrittura sulla presente questione Non vedo poi la ragione per la quale tu non vuoi che l'anima sia spirito, ma corpo. Se infatti non è spirito perché l'Apostolo ha nominato lo spirito distintamente dall'anima, scrivendo: Tutto quello che è vostro: spirito, anima e corpo, ( 1 Ts 5,23 ) per il medesimo motivo l'anima non è nemmeno corpo, perché anche il corpo l'ha nominato distintamente dall'anima. Se viceversa affermi che anche l'anima è corpo, sebbene il corpo sia stato nominato distintamente da essa, permetti che l'anima sia anche spirito, benché lo spirito sia stato nominato distintamente da essa. Molto più infatti ti deve sembrare che l'anima sia spirito invece che corpo, perché riconosci che lo spirito e l'anima sono d'una sola sostanza, mentre non dici che siano d'una medesima sostanza l'anima e il corpo. Per quale ragione dunque l'anima è corpo, pur essendo la natura dell'anima diversa da quella del corpo, e per quale ragione non è spirito l'anima, pur essendo una sola e medesima la natura dell'anima e la natura dello spirito? Non è vero che con questo tuo modo di ragionare sei costretto a dire che anche lo spirito è corpo? Altrimenti, se lo spirito non è corpo e l'anima è corpo, lo spirito e l'anima non sono d'una sola e medesima sostanza. Tu invece, sebbene ritenga che sono due realtà, confessi che hanno ambedue una sola sostanza. Anche lo spirito dunque è corpo, se l'anima è corpo: altrimenti non potrebbero essere d'una sola e medesima natura. Perciò le parole dell'Apostolo: Il vostro spirito, la vostra anima e il vostro corpo, ( 1 Ts 5,23 ) secondo te, starebbero ad indicare tre corpi, ma due di essi, l'anima e lo spirito, sarebbero corpi della stessa natura, e quel corpo invece che viene detto anche carne sarebbe di natura diversa. E secondo te, da questi tre corpi, uno di sostanza diversa e due d'una sola e medesima sostanza, sarebbe composto l'uomo nella sua interezza, come un'unica realtà e un'unica sostanza. Sebbene tu faccia queste asserzioni, non vuoi tuttavia che le due realtà d'una sola e medesima sostanza, ossia l'anima e lo spirito, abbiano in comune il nome di spirito, mentre le due realtà che non sono d'una sola e medesima sostanza, ma di sostanza impari e diversa, ossia l'anima e il corpo, a tuo avviso hanno in comune il nome di corpo. 14.20 - L'uomo interiore Ma voglio sorvolare su questo, perché la controversia tra noi non finisca sui nomi invece che sulle cose. Vediamo chi sia l'uomo interiore: se l'anima, se lo spirito, se ambedue. Ma, come vedo scritto da te, tu chiami uomo interiore l'anima. Era appunto di essa che parlavi quando scrivevi: " Condensandosi per raffreddamento quella sostanza inafferrabile, veniva a formare un altro corpo dentro il corpo e lo componeva con la forza e con l'alito della propria natura, e allora cominciava ad apparire l'uomo interiore, delineato dalla configurazione dell'uomo esteriore a propria immagine e come incluso dentro la vagina del corpo ". Dopo ne deduci: " L'alito di Dio fece dunque l'anima, o meglio l'alito venuto da Dio si fece anima, modellata come sostanza e come corpo secondo la propria natura, simile al suo corpo e conforme ad esso come a sua immagine ". Dopo di che, cominciando a parlare dello spirito, dici: " Quest'anima, avendo origine dall'alito di Dio, non ha potuto esser priva d'un suo proprio senso e d'un intimo intelletto: e ciò è lo spirito ". Come vedo dunque, tu vuoi che l'uomo interiore sia l'anima, che l'uomo intimo sia lo spirito, quasi che lo spirito sia a sua volta interiore all'anima, come l'anima è interiore al corpo. In questo modo avviene che, come il corpo esterno accoglie nelle sue cavità interne un altro corpo, che secondo la tua opinione è l'anima, così si deve credere che anche l'anima abbia il suo interno vuoto per avervi potuto accogliere lo spirito come terzo corpo, e allora tutto l'uomo consterebbe di tre corpi: esterno, interno, intimo. È proprio vero che non ti avvedi ancora quante sono le conseguenze assurdissime che ti vengono dietro, quando tenti d'affermare che l'anima è corporea? Dimmi inoltre: quale di questi elementi è quello che si rinnoverà nella conoscenza di Dio ad immagine del suo Creatore: ( Col 3,10 ) l'interiore o l'intimo? Certo, quanto all'Apostolo, oltre all'uomo interiore e all'uomo esteriore, non vedo che egli conosca un altro uomo interiore all'interiore, cioè l'uomo intimo di tutto l'uomo. Ma scegli chi vuoi perché si rinnovi secondo l'immagine di Dio: come potrà accogliere l'immagine di Dio un corpo che ha già assunto l'immagine dell'uomo esteriore? Se infatti l'uomo interiore è corso ad espandersi attraverso le membra dell'uomo esteriore e si è condensato per raffreddamento - anche di questo vocabolo hai precisamente fatto uso, come se da uno stampo d'argilla si formasse per fusione una figura -, in che modo può rinnovarsi ad immagine di Dio, rimanendo in esso la medesima forma che gli è stata impressa o che è stata espressa partendo dal corpo? O avrà forse due immagini: nel diritto l'immagine di Dio e nel rovescio l'immagine del corpo, come nelle monete si dice: " Testa e navi "? O dici forse che l'anima ha ricevuto l'immagine del corpo e lo spirito riceve invece l'immagine di Dio, come se l'anima sia contigua al corpo e lo spirito sia contiguo a Dio, e quindi a rinnovarsi ad immagine di Dio sia quell'uomo intimo e non quest'uomo interiore? Ma lo dici inutilmente. Perché, se anche quell'uomo intimo è così coesteso a tutte le membra dell'anima, come l'anima è coestesa a quelle del corpo, anche l'uomo intimo ha già preso per mezzo dell'anima l'immagine del corpo, in quella forma che gli ha data l'anima, e perciò non ha più dove accogliere l'immagine di Dio, rimanendo in esso cotesta immagine del corpo, a meno che alla pari d'una moneta, come ho detto, non prenda due immagini diverse, una nel diritto e un'altra nel rovescio. A coteste assurdità ti spinge, lo voglia o no, quando pensi all'anima, il tuo modo di pensarla alla maniera dei corpi. Ma Dio, come anche tu riconosci rettissimamente, non è corpo: in che modo dunque un corpo potrà ricevere l'immagine di Dio? Ti prego, o fratello, di non conformarti alla mentalità di questo secolo, ma di trasformarti rinnovando la tua mente, ( Rm 12,2 ) e di non seguire la sapienza della carne, perché è morte. ( Rm 8,6 ) 15.21 - L'anima come oggetto di conoscenza Ma tu dici: " Se l'anima non ha la natura di un corpo, cos'è che negli inferi conosce quel ricco? Certamente questi conosceva già Lazzaro, ma non conosceva Abramo. Da dove gli è venuto il riconoscimento d'Abramo, morto tanto tempo prima? ". Dicendo questo, se pensi che il riconoscimento d'un uomo non si possa avere senza la forma del corpo, credo che per conoscere te stesso te ne stai continuamente allo specchio per paura di non poterti riconoscere se dimentichi la tua faccia. Chi conosce, ti chiedo, un altro più di se stesso e di chi può vedere la faccia meno della sua? Ma chi potrebbe conoscere Dio, che tu stesso non dubiti essere incorporeo, se la conoscenza non potesse provenire che dalla forma del corpo, come pensi tu, cioè se soltanto i corpi fossero conoscibili? Quale cristiano poi nel discutere di questioni tanto grandi e difficilissime potrebbe rivolgere l'animo alla parola di Dio con tanta negligenza da dire: " Se l'anima fosse incorporea, mancherebbe necessariamente di forma "? Hai dimenticato d'aver letto: " La forma della dottrina "? ( Rm 6,17 ) Allora, è corporea la forma della dottrina. Hai dimenticato che di Gesù Cristo è scritto che prima di vestirsi da uomo era nella forma di Dio? ( Fil 2,6 ) In che modo dunque puoi dire: "Se l'anima fosse incorporea, mancherebbe necessariamente di forma", mentre senti che la Scrittura parla della "forma di Dio", di cui riconosci l'incorporeità, e perché parli così come se la forma non possa trovarsi se non nei corpi? 15.22 - I nomi astratti Tu dici pure: " Crollano i nomi dove non si distingue la forma, e i nomi non hanno più nulla da fare dove non si designano le persone ". Il tuo intento è qui di provare che l'anima d'Abramo era corporea per il fatto che si è potuto dire: Padre Abramo. Abbiamo già detto che la forma c'è anche dove non c'è nessun corpo. Se poi credi che non serva a nulla l'uso dei nomi dove non ci sono corpi, conta, ti prego, i nomi in questo passo: Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé, ( Gal 5,22-23 ) e dimmi se non riconosci le virtù stesse alle quali si riferiscono cotesti nomi, o se riconosci tali virtù così da vederle tratteggiate dentro lineamenti corporali. Ecco per tacere delle altre virtù, dimmi quale figura, quali membra, quale colorito abbia la carità, la quale senza dubbio, se non sei vano tu stesso, non ti può sembrare qualcosa di vano. Tu dici: " Lazzaro, del quale fu implorato l'aiuto, fu visto certamente corporeo e formato ". Se gli uomini ti sentissero, nessuno più implorerebbe l'aiuto di Dio, perché nessuno lo può vedere sotto forma corporea. 16.23 - Gli antropomorfismi Tu dici: " In quel passo inoltre la descrizione delle membra di quell'anima è fatta in tal modo da far pensare veramente a un corpo " e vuoi che " per gli occhi s'intenda tutta la testa, perché si dice che alzò i suoi occhi; per la lingua la bocca, per il dito la mano, perché si legge: Manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e bagnarmi la lingua ". ( Lc 16,24 ) Tuttavia, perché non ci si avvalga dei nomi delle membra come d'una prescrizione contro di te per provare che Dio è corporeo, tu dici: " Per membra di Dio sono da intendersi i suoi poteri spirituali ", poiché sostieni giustissimamente che Dio non è corporeo. Qual è dunque la ragione per cui i nomi delle membra non fanno in Dio per te un corpo e nell'anima lo fanno? Forse che questi nomi li dobbiamo prendere in senso proprio quando si dicono delle creature e viceversa in senso metaforico o traslato quando si dicono del Creatore? Sei dunque disposto a dare ali materiali a noi, perché non è il Creatore, ma la creatura, cioè l'uomo, a dire: Se prendessi le mie ali come una colomba. ( Sal 55,7; Sal 139,9 ) Ora, se la ragione per attribuire a quel ricco la lingua corporale è che disse: A bagnarmi la lingua, anche in noi, mentre viviamo ancora nella carne, la stessa lingua ha mani corporali, perché è stato scritto: La morte e la vita sono nelle mani della lingua 34. ( Pr 18,21 ) Penso altresì che non ti sembrerà che il peccato o sia una creatura o sia un corpo: perché dunque ha una faccia? Non senti nel salmo: Non c'è pace per le mie ossa davanti alla faccia dei miei peccati? ( Sal 38,4 ) 16.24 - Il seno di Abramo Il fatto poi che tu stimi "corporeo quel seno d'Abramo" e asserisci che " si indica con esso tutto il suo corpo " mi fa temere che ti si creda colpevole di comportarti in materia di tanta importanza in maniera scherzosa e schernevole, non seria e grave. Né infatti è possibile che tu sia così stupido da pensare che il seno corporeo d'un uomo solo porti tante anime o meglio, per usare il tuo linguaggio, " porti tanti corpi di persone che hanno ben meritato e che gli angeli conducono là come Lazzaro ". A meno che la tua opinione non sia per caso che solo quell'unica anima abbia meritato di giungere a quel medesimo seno. Se non scherzi e non vuoi sbagliare come un bambino, prendi il seno d'Abramo come la sede remota e segreta della pace dove si trova Abramo. E non è stato detto seno d'Abramo perché è di lui soltanto, ma perché lo stesso Abramo è stato posto da Dio nel ruolo di padre d'una moltitudine di popoli, ai quali è stato proposto per il primato della fede come modello da imitare, ( Gen 17,4-5; Rm 4,17-22 ) allo stesso modo che Dio ha voluto chiamarsi il Dio di Abramo e il Dio d'Isacco e il Dio di Giacobbe, ( Es 3,6; Mc 12,26 ) benché sia il Dio d'innumerevoli persone. 17.25 - I nostri sogni Né credere che io dica questo quasi con l'intenzione di negare all'anima di un morto, come all'anima di uno che dorme, la possibilità di sentire nella similitudine del suo corpo tanto il bene, quanto il male. Infatti anche nei sogni, quando ci troviamo a soffrire sensazioni violente e moleste, siamo proprio noi stessi, e se esse non cessano perché ci svegliamo, sopportiamo pene gravissime. Ma credere che siano corpi quelli dai quali siamo come portati qua e là e con i quali voliamo nei sogni è da persona che è stata poco sveglia nel riflettere su tali fenomeni. È appunto da queste immagini dei sogni che soprattutto si prova che l'anima non è corporea, a meno che tu non voglia dire corpi anche quegli oggetti così numerosi che, oltre a noi stessi, vediamo nei sogni: cielo, terra, mare, sole, luna, stelle, fiumi, monti, alberi, animali. Chi crede che siano corpi tutti questi oggetti è incredibilmente stolto, e tuttavia sono assolutamente somigliantissimi ai corpi. Di tal genere sono pure le visioni prodotte per intervento divino con lo scopo di significare qualcosa, sia nei sogni, sia nell'estasi: da che cosa si formino, cioè quale sia, per così dire, la loro materia di partenza, chi lo potrebbe indagare o dichiarare? Senza dubbio tuttavia si tratta di fenomeni spirituali e non di fenomeni corporali. Queste che sono come immagini di corpi e che tuttavia non sono corpi si formano dall'immaginazione di coloro che sono in stato di veglia, e si raccolgono nel fondo della memoria, e dalle sue occultissime segrete, non so in qual modo mirabile e ineffabile, escono quando le ricordiamo, e si presentano a noi quasi fossero state portate davanti ai nostri occhi. Tanto numerose e tanto voluminose immagini di corpi, se l'anima fosse un corpo, non potrebbe accoglierle nel pensiero o contenerle nella memoria. Proprio secondo la tua definizione, " l'anima con la sua sostanza corporea non trabocca fuori da questo corpo ". Con quale grandezza dunque, se non ce l'ha, accoglie le immagini di corpi tanto grandi e le immagini di spazi e le immagini di regioni? Che c'è dunque da meravigliarsi se anche l'anima appare a se stessa nella similitudine del proprio corpo, pur quando apparisce senza corpo? Non è infatti con il suo corpo che apparisce a se stessa nei sogni, e nondimeno in quella stessa similitudine del proprio corpo è come se corresse di qua e di là per luoghi ignoti e noti, ed ha molte sensazioni liete o tristi. Ma penso che nemmeno tu osi dire che sia un vero corpo la figura di corpo e la figura di membra che all'anima sembra d'avere nei sogni. In questo modo infatti sarà un vero monte quello che le sembra di scalare, e una casa materiale quella dove le sembra d'entrare, e un vero albero di vero legno materiale quello sotto il quale le sembra di stare a giacere, e vera acqua quella che le sembra d'attingere, e veri corpi tutti quegli oggetti in mezzo ai quali si comporta come tra corpi veri, se fosse un corpo anche l'anima, che in forza dello stesso tipo d'immagine si viene a trovare coinvolta tra tutti quegli oggetti. 18.26 - Una visione di S. Perpetua Devo dirti qualcosa sulle visioni dei martiri raccontate nei libri, perché anche da esse hai creduto di dover prendere testimonianza. Precisamente a santa Perpetua parve in sogno d'esser stata trasformata in uomo e di combattere contro un egiziano. Ora, chi potrebbe dubitare che in quella similitudine del suo corpo c'era la sua anima e non il suo corpo, il quale, rimanendo evidentemente nel suo sesso femminile, giaceva sul pavimento con i sensi assopiti, quando la sua anima stava a combattere in quella similitudine di corpo maschile? Che dici qui? Era forse vero corpo quella similitudine d'un uomo maschio o non era un corpo, sebbene avesse la similitudine d'un corpo? Scegli quello che vuoi. Se era un corpo, perché non conservava in sé la forma della sua vagina? Nella carne infatti quella donna non aveva trovato i genitali maschili, perché potesse formarsi così rapprendendosi e, come dici tu, " condensandosi per raffreddamento ". Inoltre, ti prego, essendo ancora vivo durante il sonno il corpo di Perpetua, la sua anima quando combatteva era nella propria vagina, racchiusa si intende dentro tutte le sue membra vive, e nel corpo di Perpetua conservava la propria forma che aveva ricevuta dal suo corpo: non aveva cioè abbandonato ancora quegli arti, come avviene nella morte, e non aveva ancora sotto la forza costringente della morte estratto dalle membra formanti le singole membra formate. Da dove dunque veniva all'anima di Perpetua il corpo maschile, con il quale le sembrava di combattere contro il suo avversario? Se viceversa non era un corpo ed era tuttavia qualcosa di simile ad un corpo in cui si poteva sentire una vera sofferenza o una vera letizia, non scorgi ormai finalmente la possibilità che nell'anima ci sia una certa similitudine del corpo, senza che essa sia corpo? 18.27 - Il significato della ferita che Perpetua vide nell'anima del suo fratello ucciso Che ne dici se qualcosa di simile si fa negli inferi e le anime laggiù non si riconoscono dai loro corpi, ma dalle similitudini dei loro corpi? Quando infatti, benché in sogno, soffriamo tristi esperienze, per quanto ivi ci sia la similitudine delle membra corporali e non siano le stesse membra del nostro corpo, non c'è tuttavia in quei casi una similitudine di pena, ma una pena vera, e altrettanto quando si hanno sensazioni liete. Ma poiché santa Perpetua non era ancora morta, forse tu non vuoi che si argomenti contro di te dal suo caso, sebbene sia molto pertinente alla nostra questione sapere di qual natura tu stimi quelle similitudini di corpi che noi abbiamo nei sogni, e sarebbe finita tutta la nostra questione se tu confessassi che esse e sono simili ai corpi e non sono corpi. Tuttavia però il suo fratello Dinocrate era morto: essa lo vide con la piaga che aveva da vivo e che l'aveva fatto morire. Dov'è tutto quello che, trattando della mutilazione delle membra, ti sei tanto affaticato a dire, perché non si credesse che insieme si tagliasse l'anima? Ecco, nell'anima di Dinocrate c'era la piaga che con la sua crudeltà, quando l'anima era ancora nel suo corpo, la buttò fuori dal corpo. Come può essere vera allora la tua opinione che " quando si tagliano le membra del corpo, l'anima si sottrae al colpo e comprimendosi si raccoglie nelle altre parti, perché nessuna parte dell'anima resti amputata dalle ferite del corpo, anche quando si taglia qualcosa alle membra d'una persona che dorme e che non s'avvede di nulla"? Attribuisci all'anima tanta vigilanza che, sebbene sia occupata nelle visioni dei suoi sogni, se un colpo improvviso si abbatte su di uno che non se l'aspetta e gli ferisce la carne, la sua anima si sottrae previdentemente e rapidamente, perché essa non si possa ferire, lesionare o tagliare. E non t'accorgi, uomo avveduto qual sei, che, se l'anima si sottraesse, quel colpo non si dovrebbe nemmeno sentire. Ma trova quello che ti sarà possibile per dare una risposta alla questione presente: in che modo l'anima sottrae le sue parti e le nasconde nell'interno, perché non sia amputata e danneggiata anche l'anima stessa là dove è tagliato o percosso un membro del corpo. Osserva Dinocrate e spiega la ragione per cui la sua anima non si sottrasse da quella parte del corpo che era corrosa da una piaga mortale, perché non avvenisse in lei quello che appariva sulla faccia di lui anche dopo la morte dello stesso corpo. Ormai ti piace forse che riteniamo queste apparizioni come similitudini di corpi invece che corpi, di modo che come sembra piaga quella che non è piaga, così quello che non è corpo sembri corpo? Se infatti l'anima può esser ferita da quelli che feriscono il corpo, non c'è forse da temere che l'anima possa essere uccisa da quelli che uccidono il corpo? Il Signore l'ha dichiarato apertissimamente impossibile. ( Mt 10,28 ) E comunque l'anima di Dinocrate non poté morire per la piaga di cui morì il suo corpo e si fece vedere quasi fosse stata piagata com'era stato piagato il suo corpo, perché non era un corpo, ma portava nella similitudine del corpo anche la similitudine della piaga: ebbene, in quel corpo non vero era vera l'infelicità dell'anima, significata dalla riproduzione della piaga del corpo, e da quell'infelicità l'anima di Dinocrate meritò d'esser liberata per le preghiere della santa sorella. 18.28 - Insostenibile la teoria dell'anima insegnata da Vittore Che senso ha dopo tutto questo dire che " l'anima prende forma dal corpo, si espande e cresce con la crescita del corpo ", e non avvertire quanto diventerebbe mostruosa l'anima di un giovane o d'un vecchio, se gli viene tagliato un braccio da bambino. " Si ritrae ", come dici tu, " la mano dell'anima, per non essere amputata anch'essa con la mano del corpo, e comprimendosi si rifugia nelle altre parti del corpo ". Perciò quel braccio dell'anima, dovunque si conservi, si conserverà corto com'era il braccio del corpo dal quale aveva ricevuto la forma, avendo perduto la forma che crescendo gli avrebbe consentito di crescere alla pari. L'anima dunque d'un giovane o d'un vecchio che ha perduto una mano quand'era bambino, esce, sì, dal corpo con due mani, perché la mano dell'anima sottraendosi non è rimasta amputata insieme alla mano del corpo, ma esce dal corpo con una mano giovanile o senile e con l'altra mano infantile com'era prima. Tali anime, credimi, non le foggia la forma del corpo, ma le finge la deformità dell'errore. Non mi pare che tu possa esser liberato da cotesto errore, se con l'aiuto di Dio non prenderai diligentemente in esame le visioni di coloro che sognano e non conoscerai da esse l'esistenza di corpi che non sono corpi, ma sono similitudini di corpi. Sebbene infatti siano del medesimo genere anche le rappresentazioni dei corpi che facciamo con la nostra immaginazione, tuttavia per congetturare ciò che concerne i morti il metodo più adatto è di partire da ciò che avviene in coloro che dormono. Non per nulla infatti la santa Scrittura chiama dormienti i morti ( 1 Ts 4,12 ) per il fatto che il sonno è in qualche modo parente della morte. 19.29 - Conferma della insostenibilità della teoria dell'anima di Vittore Perciò, se l'anima fosse un corpo e fosse corporea la figura in cui vede se stessa nei sogni, perché modellata sul suo corpo, nessuno che sia stato amputato d'un membro del corpo vedrebbe se stesso nei sogni così privo di esso come n'è privo, ma si vedrebbe piuttosto sempre intero, perché alla sua anima non sarebbe stato amputato nulla. Poiché invece qualche volta i mutilati vedono se stessi interi e qualche altra volta viceversa si vedono privi così come sono della parte perduta, che altro insegna questa esperienza se non che l'anima, come degli altri oggetti che sente nei sogni, così anche del suo corpo non porta la realtà, ora in un modo e ora in un altro, ma porta la similitudine? La gioia però e la tristezza, il piacere o il dispiacere dell'anima sono veri e nei corpi e nelle similitudini dei corpi. Non hai forse detto tu stesso, e lo hai detto con verità: " Gli alimenti e gli abiti non sono necessari all'anima, ma al corpo "? Perché dunque il ricco desiderava negli inferi una stilla d'acqua? Perché il santo Samuele dopo la morte, come hai ricordato tu stesso, apparve vestito del suo abito consueto? ( 1 Sam 28,14 ) Forse quel ricco desiderava di ristorare con un alimento liquido le sofferenze dell'anima, come si ristorano quelle del corpo? Forse Samuele era uscito dal corpo con quell'abito addosso? No. Il fatto è invece che in quel ricco era vero il tormento che pativa la sua anima, pur non essendo vero il corpo per il quale chiedeva l'acqua. E Samuele poté apparire così vestito non perché la sua anima e il suo abito erano un corpo ma perché ne avevano similitudine. L'anima infatti non si allarga né si restringe anche rispetto agli abiti, come rispetto alle membra del corpo, per essere formata pure dagli abiti. 19.30 - È misterioso il potere conoscitivo delle anime nell'aldilà Chi poi potrebbe esplorare quale forza conoscitiva dopo la morte acquistino le anime, anche quelle non buone sollevate dal peso dei corpi corruttibili? Possono conoscere e riconoscere le altre anime ( o quelle parimente cattive o anche quelle buone ) con i sensi interiori, sia nelle stesse similitudini dei corpi che non sono corpi, sia nelle impressioni buone o cattive dell'animo, dove non si hanno affatto quelle specie di lineamenti delle membra. Da ciò si spiega pure che quel ricco, mentre era in mezzo ai tormenti, riconobbe il patriarca Abramo, sebbene non gli fosse nota la figura del suo corpo, perché la sua anima poté conservare la similitudine del suo corpo anche se incorporea. Ma chi dirà con ragione d'aver conosciuto una persona se non in quanto ne ha potuto conoscere la vita e la volontà, che senza dubbio non ha né mole né colori? Così infatti anche di noi stessi abbiamo una conoscenza più certa che degli altri, perché a noi stessi è nota la nostra coscienza e la nostra volontà, che vediamo bene, senza vedere tuttavia in essa una qualche similitudine corporale. In un altro, benché presente, non scorgiamo la vita e la volontà, anche se di lui assente conosciamo, ricordiamo, ripensiamo la faccia. Viceversa non possiamo conoscere, ricordare, ripensare in quella stessa maniera la nostra faccia, e tuttavia diciamo verissimamente d'essere noti a noi stessi più di chiunque altro: così è chiaro in che consista più propriamente e più veramente la conoscenza d'una persona. 20.31 - Le nostre diverse facoltà conoscitive Dunque altro è nell'anima il potere di sentire i corpi veri, e li sentiamo con i cinque sensi del corpo; altro è il potere di vedere al di fuori della portata dei sensi le similitudini dei corpi che non sono corpi, e qui ci vediamo anche noi stessi, non altrimenti che come similitudini corporali; altro è il potere di percepire in modo sicuramente ancora più certo e più fermo le entità che non sono né corpi, né similitudini di corpi, per esempio la fede, la speranza, la carità, senza colori, senza volumi, senza similitudini di esse. Domando allora: dov'è che dobbiamo stare di preferenza e in certo qual modo abitare in modo più familiare, dov'è che dobbiamo rinnovarci nella conoscenza di Dio secondo l'immagine di colui che ci ha creati ( Col 3,10 ) Non è forse nella facoltà che ho ricordata al terzo posto? È sicuro infatti che in essa non portiamo in nessun modo né il sesso, né la similitudine del sesso. 20.32 - Indimostrabile il mostro di Vittore! Se infatti quella forma d'anima maschile o femminile, contraddistinta da membra virili e femminili, non è la similitudine d'un corpo, ma è un corpo, essa è vuoi o non vuoi maschio, essa è vuoi o non vuoi femmina, ogni volta che appare o come maschio o come femmina. Ma tuttavia se, conforme alla tua opinione, l'anima è un corpo, se è un corpo vivo, se ha le mammelle, turgide e prominenti, se non ha la barba, se ha l'utero e i genitali propri del corpo d'una donna, e con tutto questo non è donna, allora non potrò dire io con più verità e sicurezza: Ha gli occhi, ha la lingua, ha le dita, ha in apparenza tutte le altre membra del corpo e tuttavia è la similitudine d'un corpo e non è un corpo? Infatti chiunque ha la possibilità di sperimentare in se stesso ciò che dico io quando immagina i corpi degli assenti, o lo sperimenta almeno quando rievoca le figure dei suoi sogni, la sua e quelle degli altri, mentre da te non può esser addotta nessuna testimonianza che esista in natura un esemplare di cotesto mostro, che abbia un corpo vero, un corpo vivo, un corpo femminile e non sia di sesso femminile. 20.33 - Se l'anima fosse corpo, sarebbe anche sesso Quello infatti che dici della fenice non è assolutamente pertinente al nostro argomento. Essa significa per la precisione la risurrezione dei morti e non elimina il sesso delle anime, se tuttavia è vero, come si crede, che rinasca dalla sua stessa morte. Ma io penso che tu avresti reputato poco plausibile il tuo ragionamento, se non ci avessi inserito una lunga declamazione sulla fenice alla maniera dei ragazzini. Ci sono forse nel corpo della fenice i genitali maschili senza che sia maschio, o i genitali femminili senza che sia femmina? Sta' però attento a quello che dici, a quello che ti sforzi di sostenere, a quello che ti sforzi di dimostrare. Dici che " l'anima nel diffondersi per tutte le membra si è cristallizzata per raffreddamento e dalla cima della testa alla punta dei piedi, dall'interno delle midolla fino alla superficie della pelle, ha preso tutta la forma di tutto il suo corpo, e conseguentemente ha preso in un corpo di donna tutte le membra femminili interne che hanno le donne, e questo è un corpo vero, e queste sono membra vere, e tuttavia non è una donna ". Perché, ti prego, in un corpo vero e vivo tutte le membra sono femminili e non c'è la femmina? Perché in un corpo vero e vivo ci sono tutte le membra maschili e non c'è il maschio? Chi se la sentirebbe di credere, d'affermare, d'insegnare queste stranezze? Forse perché le anime non generano? Allora nemmeno i muli e le mule sono maschi e femmine. O forse perché le anime non potranno nemmeno accoppiarsi senza i loro corpi di carne? Ma questa possibilità è tolta anche a coloro che si evirano, e tuttavia, mentre si toglie ad essi l'eccitazione e la capacità operativa, non si toglie il sesso, rimanendo, per quanto menomata, la figura delle membra maschili. Nessuno ha mai negato che l'eunuco sia un maschio. Che dire del fatto che presso di te anche le anime degli eunuchi hanno i testicoli integri e, secondo la tua opinione, se a qualcuno si tolgono completamente tutti i genitali, essi rimarranno tutti interi e assolutamente integri nella loro anima? " Essa infatti sa sottrarsi, come dici tu, quando si comincia a tagliare quelle parti del corpo, perché, amputandosi l'organo su cui si è modellata la forma, non perisca la forma che si è modellata su di esso. L'anima allora, sebbene si sia condensata per raffreddamento dopo la sua infusione nel corpo, viene rapita subito da un movimento rapidissimo e si nasconde più all'interno per conservarsi intatta; nondimeno non è maschio negli inferi colui che, pur portando in sé la totalità dei genitali maschili, sebbene non li avesse più nel suo corpo, è stato maschio a causa soltanto del loro posto nel corpo ". False sono queste opinioni, o figlio. Se non vuoi ammettere nell'anima la sessualità, non ammettere nell'anima nemmeno la corporeità. 21.34 - Bisogna distinguere le visioni dei corpi dai corpi stessi Non ogni similitudine di corpo è corpo. Dormi e vedrai ma poi da sveglio sappi discernere che cosa tu abbia visto. Nel sogno infatti apparirai a te stesso come corporeo, né in ciò vi sarà il tuo corpo, ma la tua anima, né sarà vero corpo, ma similitudine di corpo. Il tuo corpo infatti continuerà a giacere e sarà la tua anima a camminare, la lingua del tuo corpo tacerà e sarà la tua anima a parlare, i tuoi occhi rimarranno chiusi e sarà la tua anima a vedere, ed evidentemente le membra del tuo corpo giaceranno vive, non morte. E perciò non è stata estratta ancora, quasi dalla sua vagina, la forma condensata della tua anima, come pensi tu, ed in essa tuttavia si vede completa ed integra la similitudine della tua carne. Di questo tipo di similitudini corporali che appariscono come corpi, pur non essendo corpi, sono tutte quelle immagini che non comprendi anche nelle visioni profetiche, quando leggi i Libri santi. Esse stanno a significare gli avvenimenti che si compiono nel tempo, o presente o passato o futuro. T'inganni poi in esse, non perché sono ingannevoli, ma perché non le prendi come vanno prese. Nella stessa rivelazione infatti dove sono apparse le anime dei martiri, ( Ap 6,9 ) è apparso pure un Agnello ucciso con sette corna, ( Ap 5,6 ) ci sono cavalli e altri animali raffigurati secondo l'opportunità, e nella stessa rivelazione cadono infine le stelle e il cielo viene arrotolato come un manoscritto: eppure il mondo non è crollato allora. ( Ap 6,13-14 ) Se pertanto intendiamo sapientemente tutte queste immagini, benché diciamo che le visioni sono vere visioni, non diremo tuttavia che i corpi sono veri corpi. 21.35 - Termina il discorso sulla incorporeità dell'anima Un più lungo discorso richiederebbe in questo genere di similitudini corporali la più diligente discussione del problema se anche gli angeli, tanto i buoni che i cattivi, appariscano in questo modo, quando appariscono sotto forma di uomini o di altri corpi: se abbiano corpi veri e sia più probabile che si facciano vedere nella realtà di quei corpi, o se nei sogni e nell'estasi non si vedano in corpi veri ma in coteste similitudini di corpi, mentre invece fuori dal sonno offrano alle persone corpi veri da vedere e, se necessario, anche da toccare. Ma non credo che la ricerca e la trattazione di tali problemi sia da farsi in questo libro. Ora abbiamo già detto abbastanza della incorporeità dell'anima. Se preferisci crederla corporea, devi prima stabilire che cosa è il corpo, per evitare che, essendo sostanzialmente d'accordo tra noi, non ci accada di affannarci invano su questioni di parole. Tuttavia credo che ti renda già conto saggiamente di quante assurdità ti siano corse dietro per aver pensato nell'anima un corpo uguale a quelli che si chiamano corpi da tutti gli eruditi, ossia quei corpi che per le loro differenze di lunghezza, d'altezza, di larghezza occupano spazi minori con le loro dimensioni minori e spazi maggiori con le loro dimensioni maggiori. 22.36 - La spiritualità dell'anima nella Bibbia Rimane da dimostrare che, sebbene non si chiami spirito in senso proprio tutta l'anima, ma una sua parte, come dice l'Apostolo: Tutto quello che è vostro: spirito, anima, corpo, ( 1 Ts 5,23 ) o come ancora più espressamente si trova nel libro di Giobbe: Hai tolto lo spirito dalla mia anima, ( Gb 7,15 sec. LXX ) nondimeno anche tutta l'anima si indica con il nome di spirito. Comunque questa è una questione che sembra molto più di nomi, e non di cose. Poiché infatti consta che nell'anima c'è una parte che si nomina in senso proprio spirito, e che si nomina in senso proprio anima tutto il resto, meno lo spirito, non esiste più nessuna divergenza sulla sostanza stessa delle cose. Tanto più che anch'io dico chiamarsi propriamente spirito quello che dici tu, cioè la facoltà del ragionamento o dell'intelligenza, quando le nostre componenti si indicano distintamente, come fa l'Apostolo scrivendo: Tutto quello che è vostro: spirito, anima, corpo. ( 1 Ts 5,23 ) Quanto poi a questo spirito, sembra che l'Apostolo lo chiami anche mente, quando dice: Con la mente servo la legge di Dio, con la carne invece la legge del peccato. ( Rm 7,25 ) È infatti la stessa sentenza espressa dalle parole: La carne ha desideri contrari allo spirito e lo spirito ha desideri contrari alla carne, ( Gal 5,17 ) di modo che s'intenda che qui dice "spirito" ciò che prima ha detto "mente". Non come giudichi tu: "Si chiama tutta insieme mente, ed essa consta d'anima e di spirito ", parole che non so dove tu abbia lette. Noi per la precisione non siamo soliti dire " nostra mente " se non la parte nostra razionale ed intellettuale. Perciò le parole del medesimo Apostolo: Rinnovatevi nello spirito della vostra mente ( Ef 4,23 ) che altro significano se non: Rinnovatevi nella vostra mente? Così infatti lo spirito della mente non è nient'altro che la mente, come il corpo di carne non può esser nient'altro che la carne. Anche questo si trova scritto: Nella spogliazione del corpo di carne, ( Col 2,11 ) dove chiama la carne corpo di carne. È vero che dice spirito dell'uomo anche in un altro senso, differenziandolo del tutto dalla mente, dove scrive: Quando prego con il dono delle lingue, il mio spirito prega, ma la mia mente rimane senza frutto. ( 1 Cor 14,14 ) Adesso però non parliamo di questo spirito che è distinto dalla mente. Questo concetto di spirito ha il suo problema, e difficile, perché in molti modi e con diversi significati le divine Scritture nominano lo spirito. Ma dello spirito di cui trattiamo adesso, cioè quello del ragionamento, dell'intelligenza, della sapienza, consta tra noi che viene chiamato spirito anche in senso così proprio da non essere tutta l'anima, bensì una sua parte. Se tuttavia neghi che l'anima sia anche spirito per questa ragione che si dice spirito distintamente la sua intelligenza, potrai negare che si chiami Israele l'intera discendenza di Giacobbe perché al di fuori di Giuda è stato chiamato Israele anche distintamente il gruppo delle dieci tribù che erano allora in Samaria. ( 1 Re 12,20 ) Ma che bisogno c'è che ci fermiamo ancora più a lungo su questo punto? 23.37 - L'anima viene chiamata anche spirito Adesso sta' subito attento come possiamo più facilmente rendere evidente che si dice anche spirito quella che è l'anima. Là dove senti leggere o leggi al momento della morte del Signore: E, chinata la testa, rese lo spirito, ( Gv 19,30 ) tu vuoi che s'intenda come se l'evangelista abbia significato il tutto con la parte, e non che possa aver chiamato anche spirito quella che è l'anima. Ma io per poter provare più speditamente ciò che dico adopererò te stesso come teste con un procedimento più svelto e più comodo. Tu infatti hai definito lo spirito così da far apparire che le bestie non hanno lo spirito, ma hanno l'anima. Si dicono appunto irragionevoli, perché non hanno la facoltà dell'intelligenza e della ragione. Perciò, ammonendo l'uomo stesso a conoscere la propria natura, tu hai parlato così: " Non avendo un Dio buono creato nulla irragionevolmente e avendo creato l'uomo stesso come animale ragionevole, capace d'intelligenza, dotato di raziocinio, vivace nei sensi, con il compito di dirigere con prudente ordine tutte le creature irrazionali … ". Con queste tue parole hai sufficientemente asserito quello che è vero assolutamente: l'uomo è dotato di ragione e capace d'intelligenza, mentre gli animali irragionevoli non lo sono. È per questo che anche con una testimonianza divina hai equiparato coloro che non comprendono alle bestie che non hanno in nessun modo l'intelligenza. ( Sal 49,13 ) Questo concetto è stato espresso pure in un altro passo della Scrittura: Non siate come il cavallo e come il mulo privi d'intelligenza. ( Sal 32,9 ) Tirate le cose a questo punto, poni attenzione con quali parole tu abbia definito e descritto lo spirito, quando cercavi di distinguerlo dall'anima: " Quest'anima " tu dici " avendo origine dall'alito di Dio, non ha potuto esser priva del proprio senso e dell'intimo intelletto: e ciò è lo spirito ". E poco dopo dici: " Sebbene sia l'anima ad animare il corpo, tuttavia è necessariamente un fatto dello spirito il fatto che ha il senso, il fatto che ha la sapienza, il fatto che ha la forza della volontà ". Similmente poco più sotto dici: " Altra cosa sarà l'anima e altra cosa lo spirito, la sapienza e il senso dell'anima ". Con queste parole indichi sufficientemente quale sia la tua sentenza sulla natura dello spirito dell'uomo, cioè del nostro elemento razionale, in forza del quale l'anima ha il senso e l'intelligenza: non il senso come quello con il quale si sente per mezzo dei sensi del corpo, ma com'è quel senso intimo da cui deriva la parola sentenza. È per questo spirito che noi senza dubbio siamo superiori alle bestie, perché esse sono prive di ragione. Gli animali pertanto non hanno lo spirito, cioè l'intelletto, il senso della ragione, il senso della sapienza, ma hanno l'anima soltanto. Di essi infatti è scritto: Producano le acque animali vivi e striscianti, e: Produca la terra animali viventi. ( Gen 1,20.24 ) Perché dunque tu sappia nel modo più pieno e nel modo più piano che nello stile della parola di Dio quella che è l'anima si dice anche spirito, l'anima delle bestie è chiamata spirito delle bestie. E certamente le bestie non hanno quello spirito che la tua dilezione ha definito, quando hai distinto lo spirito dall'anima. E ciò rende manifesto che l'anima delle bestie ha potuto esser chiamata spirito in senso generico, come si legge nel libro dell'Ecclesiaste: Chi sa se lo spirito degli uomini salga in alto e se lo spirito degli animali discenda sotto terra? ( Qo 3,21 ) E similmente nella devastazione del diluvio è stato scritto: E fu distrutta ogni carne che si muoveva sulla terra: uccelli, animali, giumenti, belve e ogni rettile che si muove sopra la terra e ogni uomo e tutti gli esseri che hanno spirito di vita. ( Gen 7,21-22 ) E qui, rimossi tutti i pretesti del dubbio, veniamo a capire che spirito è il nome generico dell'anima. E per la verità il senso della parola " spirito " è tanto largo che è chiamato spirito anche Dio. ( Gv 4,24 ) Lo stesso soffiare dell'aria, sebbene sia corpo, è chiamato in un salmo lo spirito della tempesta. ( Sal 11,7; Sal 107,25; Sal 148,8 ) Ed è per questo che a mio avviso l'anima può chiamarsi anche spirito secondo quel testo che dice: Togli loro lo spirito e periranno, ( Sal 104,9 ) e ancora: Uscirà il loro spirito e ritornerà alla sua terra ( Sal 146,4 ), cioè il corpo alla sua polvere. Il nome di anima dunque è spirito per il fatto che è spirituale; si chiama anima perché anima un corpo, cioè lo vivifica. Per tutto questo io credo che non negherai ulteriormente che si chiama pure spirito anche quella che è l'anima, dopo esser stato ammonito da queste testimonianze delle pagine divine da me riferite, dove si trova chiamata spirito perfino l'anima delle bestie che non hanno l'intelletto. Conseguentemente, se possiedi l'intelligenza e la sapienza anche delle discussioni che sono state fatte sulla incorporeità dell'anima, non c'è motivo per cui io ti dispiaccia perché ho detto di sapere che l'anima non è un corpo ma uno spirito, dal momento che e si dimostra che non è un corpo e si chiama con il nome generico di spirito. 24.38 - Agostino esorta Vittore a correggere i suoi errori principali Perciò, se prendi e leggi con resa d'amore questi libri che ti ho scritti con spesa d'amore, se ascolti anche te stesso in quello che hai premesso all'inizio del tuo primo libro, se ti adoperi, come hai promesso, " a non difendere la tua opinione, qualora non ti sembri approvabile ", guardati principalmente da quegli undici errori dei quali ti ho ammonito nel libro precedente. Non dire che " l'anima viene da Dio in tal modo che egli non l'abbia creata dal nulla, né da un'altra sostanza ma dalla propria natura ". Non dire che " per un tempo infinito e così per sempre Dio donerà le anime, come per sempre esiste colui che le dona ". Non dire che " a causa della carne l'anima ha perduto un qualche suo merito che aveva prima della carne ". Non dire che " l'anima per mezzo della carne restaura la sua condizione originale e rinasce mediante la stessa carne, a causa della quale aveva meritato d'esser peccatrice o che l'anima prima di ogni peccato abbia meritato d'esser peccatrice ". Non dire che " i bambini morti senza il battesimo della rigenerazione giungono all'indulgenza dei peccati originali ". Non dire che " quanti il Signore ha predestinati al battesimo, possono morire prima del [ battesimo ] senza che si compia in essi quello che l'Onnipotente ha predestinato ". Non dire che " di coloro che spirano prima d'esser stati battezzati è stato scritto: Fu rapito, perché la malizia non ne mutasse i sentimenti ( Sap 4,11 ) " e le altre parole appartenenti al medesimo testo. Non dire che " alcuni di quei posti che il Signore disse essere in gran numero nella casa del Padre suo, ( Gv 14,2 ) si trovano fuori dal regno di Dio ". Non dire che " il sacrificio del corpo e del sangue del Cristo si deve offrire per coloro che sono usciti dal corpo senza esser stati battezzati ". Non dire che alcuni di coloro che muoiono senza il battesimo del Cristo, sono accolti per ora nel paradiso e riceveranno in seguito anche la beatitudine del regno dei cieli ". Principalmente da questi errori guàrdati, o figlio, e non gioire di chiamarti Vincenzo, se vuoi essere il Vittore dell'errore. E quando non sai, non credere di sapere, ma per sapere impara a sapere che non sai. Non si pecca infatti ignorando qualcosa nelle occulte opere di Dio, ma dando temerariamente come note le soluzioni ignote e proferendo e difendendo come vero il falso. Quanto poi alla mia ignoranza se le anime degli uomini si facciano nuove o derivino dai genitori - non è lecito tuttavia mettere in dubbio che Dio creatore non le fa servendosi della propria sostanza -, credo d'aver persuaso la tua carità che essa o non dev'essere ripresa o dev'essere ripresa da chi può anche, istruendomi, eliminarla; ed inoltre che le anime hanno dentro di sé le similitudini incorporee dei corpi, ma che in se stesse le anime non sono corpi; che, salva la distinzione tra l'anima e lo spirito, l'anima si chiama universalmente anche spirito. Se però non sono riuscito a persuaderti, toccherà piuttosto a coloro che leggeranno giudicare se in ogni modo io ho detto quanto avrei dovuto per persuaderti. 24.39 - Vieni a trovarmi Se tu desiderassi per buona fortuna conoscere molti altri punti dei moltissimi che mi sembrano da correggere nei tuoi libri, non ti sia gravoso venire da me, non come discepolo a maestro, ma come giovane ad anziano, come forte ad infermo. Benché non avresti dovuto pubblicarli, tuttavia chi, ripreso, riprende ed accusa se stesso, ha gloria più grande e più vera di chi riceve lodi dagli erranti. Sarei però propenso a credere che in occasione della tua declamazione dei medesimi libri non tutti i tuoi uditori ed applauditori avessero già prima sentito nella stessa maniera o abbiano acconsentito allora con te circa cotesti errori che la sana dottrina riprova, ma credo che, essendo stata la loro attenzione pressata dall'impeto stesso e dal rapido ritmo della tua declamazione, abbiano ben poco potuto avvertire questi errori, oppure credo che anche coloro che poterono accorgersi di quegli errori non abbiano lodato in te una verità limpidissima delle cose, ma il fiume delle parole, la potenza e la qualità dell'ingegno. Il più delle volte infatti nella speranza di un giovane si loda, si esalta, si ama l'eloquenza, anche se non ha per il momento la maturità e l'autorità d'un maestro. Perciò allo scopo che il tuo sapere sia retto e il tuo parlare non solo possa dilettare, ma anche edificare gli altri, bisogna che tu abbia cura dei discorsi tuoi, lasciando ogni cura degli applausi altrui.