La Genesi alla lettera

Indice

Libro II

6.10 - Che significano: "sia", "così fu", "fece"

Da alcuni però è stata fatta un'osservazione che nemmeno io credo di dover passare sotto silenzio.

Non senza motivo - essi affermano - avendo detto Dio: Vi sia un firmamento in mezzo alle acque per tener separate le acque dalle acque, ( Gen 1,6 ) all'autore sacro non parve sufficiente aggiungere: E così fu fatto, se non fosse stato aggiunto: E Dio fece il firmamento e separò le acque ch'erano al di sopra del firmamento dalle acque ch'erano al di sotto del firmamento. ( Gen 1,7 )

Essi per vero interpretano quest'aggiunta nel senso che - così dicono - è indicata la persona del Padre nella frase: E Dio disse: vi sia un firmamento in mezzo alle acque per tener separate le acque dalle acque.

E così fu fatto; e di poi, per far comprendere ch'è stato il Figlio a fare ciò che dal Padre era stato detto, perché fosse fatto, pensano che fu aggiunto: E Dio fece il firmamento e separò etc.

6.11 - Con "sia" e "così fu" s'indica la persona del solo Padre o anche quella del Figlio?

Ma quando precedentemente si legge: E così fu fatto, da chi dobbiamo intendere che fu fatto?

Se dal Figlio, che bisogno c'era di dire prima: E Dio fece con quel che segue?

Se invece la frase: E così fu fatto l'intenderemo come un'azione del Padre, allora non è più il Padre a dire e il Figlio a fare, e il Padre potrebbe fare qualcosa senza il Figlio, in modo che il Figlio in seguito potrebbe fare non la medesima cosa ma un'altra somigliante; ma ciò è contrario alla fede cattolica.

Se al contrario l'azione di cui è detto: E così fu fatto, è la medesima che viene fatta allo stesso modo quando viene detto: E Dio fece, che cosa c'impedisce di supporre che Colui il quale espresse il comando fu parimenti colui che lo eseguì?

Cotali esegeti vogliono forse che, anche escludendo l'affermazione della Scrittura: E così avvenne, nell'espressione: E Dio disse: Sia fatto, e poi nella seguente: E Dio fece s'intenda la persona del Padre solo nella prima e la persona dei Figlio nella seconda?

6.12 - Altra ipotesi: la creazione è opera di tutta la Trinità?

D'altra parte noi potremmo anche domandarci se dobbiamo intendere la frase: E Dio disse: Vi sia…. come se il Padre avesse dato un ordine al Figlio.

Perché mai però la Scrittura non s'è preoccupata di presentarci anche la persona dello Spirito Santo?

Forse che nelle tre frasi: E Dio disse: Vi sia… - E Dio fece - E Dio vide ch'è una cosa buona ( Gen 1, 6.9 ) si fa allusione alla Trinità?

Ma non pare conciliabile con l'unità della Trinità il fatto che il Figlio agisse come se ne avesse avuto l'ordine e che lo Spirito Santo, senza che alcuno glie l'ordinasse, vedesse - di propria iniziativa - che è buono quanto era stato fatto.

Poiché mediante quali parole avrebbe il Padre ordinato al Figlio di fare, dal momento ch'è proprio il Figlio la Parola originaria del Padre, mediante la quale è stata fatta ogni cosa? ( Gv 1,3 )

Oppure proprio per il fatto che sta scritto: Vi sia un firmamento, ( Gen 1,6 ) questa azione di dire è forse il Verbo del Padre, il Figlio suo unico, in cui sono tutte le cose create anche prima d'esser create e tutto ciò ch'è in lui è vita?

Poiché tutto ciò che da lui è stato fatto è vita in lui e precisamente vita creatrice, mentre sotto il suo potere è invece la creatura.

In un modo sono dunque in lui le cose fatte da lui, poiché è lui che le governa e le contiene, in un modo diverso invece sono in lui le cose che sono lui stesso.

Egli infatti è la vita, che in lui è di tal natura da essere identica a lui stesso, poiché egli, ch'è la vita, è la luce degli uomini. ( Gv 1,3-4 )

Nulla dunque sarebbe potuto essere prima dei tempi - un essere siffatto non è coeterno con il Creatore - o all'inizio del tempo o nel corso del tempo, salvo che la sua ragione - seppure è esatto chiamare ciò "la ragione" dell'essere da creare - vivesse d'una vita coeterna nel Verbo di Dio coeterno con il Padre.

Per questo motivo la Scrittura, prima d'indicare ciascuna creatura secondo l'ordine in cui ne racconta la creazione, si riferisce al Verbo di Dio dicendo: E Dio disse: Vi sia [ tale creatura ].

Essa infatti non trova alcun'altra causa perché una cosa venga creata, se non perché la ragione per cui doveva esser creata si trova nel Verbo di Dio.

6.13 - Ogni creatura ha la sua ragione nel Verbo

Dio dunque non disse: "Vi sia tale o tal'altra creatura" ogni volta che in questo libro viene ripetuta la frase: E Dio disse.

Egli infatti ha generato un unico Verbo, mediante il quale ha detto tutte le cose prima che fosse creata ciascuna di esse.

Ma il linguaggio della Scrittura, che si abbassa alla capacità intellettiva dei semplici, indicando a una a una le varie specie di creature, ha presente la ragione eterna di ciascuna loro specie nel Verbo di Dio.

Senza ripetere quella ragione, tuttavia il libro sacro ripete: E Dio disse.

Se infatti avesse voluto dire prima: "Fu fatto il firmamento in mezzo alle acque perché ci fosse la separazione delle acque dalle acque" ( Gen 1,6 ) e gli fosse stato chiesto in qual modo fosse stato fatto il firmamento, avrebbe risposto giustamente: Dio disse: Sia fatto, ossia: "Era nel Verbo eterno di Dio la ragione perché fosse fatto".

Il libro [ della Genesi ] comincia dunque a esporre la creazione di ciascuna creatura partendo da ciò che, anche dopo la narrazione dell'opera compiuta, avrebbe dovuto rispondere per renderne ragione a chi gli avesse chiesto in qual modo fosse stata fatta.

6.14 - Le cose, create mediante il Verbo, sussistono per la bontà dello Spirito Santo

Allorché dunque sentiamo: E Dio disse: Sia fatto, noi comprendiamo ch'era nel Verbo di Dio la ragione perché quella cosa fosse fatta.

Quando invece sentiamo: E così fu fatto, noi comprendiamo che la creatura fatta non aveva oltrepassato i limiti fissati alla sua specie nel Verbo di Dio.

Quando poi sentiamo: E Dio vide che è una cosa buona, noi comprendiamo che Dio, per la bontà del suo Spirito, si compiacque di essa, non come se l'avesse conosciuta dopo averla creata, ma che, una volta creata se ne compiacque - sicché potesse permanere nell'essere - grazie alla bontà per cui gli piacque prima che fosse fatta.

7.15 - Che vuol dire: fece

Ci rimane quindi ancora da ricercare perché mai, dopo aver detto: E così fu fatto - con la quale frase s'indica il compimento già avvenuto dell'opera - la Scrittura aggiunse: E Dio fece, dal momento che, per il fatto stesso che dice: E Dio disse: Sia fatto ciò.

E così fu fatto, si comprende già che Dio disse ciò col suo Verbo e fu fatto mediante il suo Verbo, e da quelle parole può già apparire non solo la persona del Padre ma anche quella del Figlio.

Poiché, se viene ripetuto e viene detto: E Dio fece, per indicare la persona del Figlio, bisognerebbe forse pensare che non fu per mezzo del Figlio che Dio radunò il terzo giorno l'acqua affinché apparisse la terraferma, per il fatto che in quel passo non è detto: "E Dio fece far radunare l'acqua" oppure: "E Dio radunò l'acqua"!

Eppure anche in quel passo, dopo la frase: E così fu fatto, la Scrittura ripete dicendo: E l'acqua ch'è sotto il cielo fu radunata. ( Gen 1,9 )

Forse che anche la luce non fu fatta per mezzo del Figlio per il fatto che in quel passo la frase non è affatto ripetuta?

Anche in quel passo l'agiografo avrebbe potuto dire: "E Dio disse: Sia fatta la luce. E così fu 15 . ( Gen 1,3  )

E Dio fece la luce. E vide ch'è una cosa buona" o per lo meno, come a proposito dell'ammasso delle acque [ in un sol luogo ], senza dire: "E Dio fece", avrebbe potuto ripetere soltanto: "E Dio disse: Vi sia la luce. E così fu.

E la luce fu fatta. E Dio vide che la luce è una cosa buona".

Ma senz'affatto ripetere, dopo aver enunciato: E Dio disse: Vi sia la luce, aggiunge unicamente: E la luce fu fatta e in seguito, senza ripetere la [ solita ] formula, riferisce il compiacimento [ di Dio ] per la luce, la separazione di questa dalle tenebre e i nomi con cui furono denotate la luce e le tenebre.

8.16 - Perché, a proposito della luce, non fu aggiunto: e Dio fece

Che significa dunque la suddetta ripetizione in tutto il resto del racconto?

Forse che in tal modo ci si vuol fare intendere che nel primo giorno, in cui fu creata la luce, con il termine "luce" viene denotata la creazione della creatura spirituale e intellettuale, natura che comprende gli angeli santi e le Virtù?

Forse, per questo, dopo aver detto: E la luce fu fatta, [ la Scrittura ] non ripete il fatto per la ragione che la creatura razionale non conobbe prima la sua formazione e di poi fu formata, ma la conobbe proprio nella sua formazione, cioè mediante la luce della Verità voltandosi verso la quale essa fu formata, mentre le creature inferiori ad essa vengono create essendo fatte dapprima nella conoscenza della creatura razionale e di poi nella loro propria specie?

Per questo motivo la creazione della luce è dapprima nel Verbo di Dio secondo la ragione mediante la quale è creata, cioè nella Sapienza sussistente in eterno con il Padre, e in seguito nella creazione stessa della luce secondo la natura creata, e cioè: nel Verbo, luce non creata, ma generata; negli angeli, luce creata poiché formata col passare dal suo [ primordiale ] stato informe.

Ecco perché Dio disse: Vi sia la luce. E la luce fu fatta, ( Gen 1,3  ) affinché ciò ch'era già nel Verbo fosse poi nell'opera.

La creazione del cielo, al contrario, era dapprima nel Verbo di Dio in quanto Sapienza generata, di poi fu effettuata nella creatura spirituale, cioè nella conoscenza degli angeli in quanto sapienza creata in essi: in seguito fu fatto il cielo, perché ormai lo stesso cielo esistesse come creatura costituita nella sua propria specie.

Allo stesso modo avvenne anche la separazione o specificazione delle acque e delle terre, allo stesso modo furono fatte le diverse nature degli alberi e delle erbe, i luminari del cielo e gli esseri viventi nati dalle acque e dalla terra.

8.17 - La conoscenza della ragione delle cose negli angeli e la loro creazione

Gli angeli infatti non vedono gli oggetti sensibili del nostro mondo solo con i sensi del corpo alla maniera degli animali bruti, ma, anche ammesso che si servano di qualche senso di tal genere, riconoscono piuttosto le realtà sensibili, che essi conoscono più perfettamente mediante la facoltà interiore nel Verbo di Dio dal quale vengono illuminati al fine di vivere nella sapienza, poiché in essi fu creata per prima la luce, se ammettiamo che nel primo giorno fu creata la luce spirituale.

Allo stesso modo quindi che la ragione, per la quale viene creata una creatura, preesiste nel Verbo di Dio alla creatura che viene creata, così anche la conoscenza della stessa ragione è prodotta dapprima nella creatura intellettuale, non offuscata dal peccato, e in seguito viene creata la stessa creatura.

Poiché non alla nostra maniera gli angeli facevano progressi per ottenere la sapienza contemplando con l'intelletto le invisibili perfezioni di Dio attraverso le opere da lui compiute. ( Rm 1,20 )

Essi invece, dal momento in cui furono creati, godono la visione dello stesso Verbo eterno mediante una santa e pia contemplazione e, riguardando di lassù le cose della terra alla luce della visione interiore, approvano le azioni giuste e riprovano quelle cattive.

8.18 - Dio rivelò agli angeli gli esseri che volle creare

Non c'è però da meravigliarsi che ai suoi angeli santi, creati per primi quando fu creata la luce, Dio mostrasse prima ciò che aveva intenzione di creare in seguito.

Essi infatti non avrebbero potuto conoscere il pensiero di Dio se non nella misura in cui l'avesse loro mostrato.

Chi mai, infatti, ha potuto conoscere il pensiero del Signore? O chi mai è stato suo consigliere?

O chi è stato il primo a dargli qualcosa, sicché debba riceverne il cambio?

Poiché tutte le cose derivano da lui, esistono in forza di lui e tutte tendono a lui. ( Rm 11,34-36 )

Da lui dunque gli angeli venivano a sapere il suo pensiero quando in loro si effettuava la conoscenza della creatura che sarebbe stata creata in seguito e che poi veniva creata nella sua propria specie.

8.19 - Conclusione sulle formule del racconto genesiaco

Per conseguenza, dopo essere stata fatta la luce, termine con cui intendiamo la creatura razionale formata dalla luce eterna, allorché a proposito della creazione delle restanti creature noi sentiamo la frase: E Dio disse: Sia fatto, dobbiamo intendere l'intenzione della Scrittura rivolta all'eternità del Verbo di Dio.

Quando invece sentiamo la frase: E così fu fatto, dobbiamo intendere che nella creatura intellettuale fu prodotta la conoscenza della ragione - esistente nel Verbo di Dio - della creatura che sarebbe stata creata, sicché questa fu in certo qual modo creata dapprima nella natura [ intellettuale ] che, per una sorta d'ispirazione antecedente fu la prima a conoscere, nel Verbo di Dio, che quella sarebbe stata creata.

Quando alla fine sentiamo ripetere la frase: Dio fece, dobbiamo intendere che la stessa creatura è formata nella sua specie.

Quando inoltre sentiamo dire: E Dio vide ch'è una cosa buona, dobbiamo intendere che la bontà di Dio si compiacque dell'opera fatta affinché sussistesse conforme alle leggi della sua specie l'opera che si era compiaciuto di fare quando lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque. ( Gen 1,2 )

9.20 - La Scrittura vuole insegnare la salvezza dell'anima, non la figura del cielo o verità scientifiche

Di solito si pone altresì il quesito su quale forma e figura dobbiamo credere abbia il cielo stando alle nostre Scritture.

Molti infatti discutono molto su questi argomenti che invece i nostri scrittori sacri con maggior saggezza hanno lasciato da parte, poiché a coloro che li studiano non giovano per ottenere la felicità e, ciò che è peggio, occupano spazi di tempo molto preziosi che dovrebbero essere impiegati per i problemi della salvezza eterna.

Che importa infatti se il cielo racchiude da ogni parte, come una sfera, la terra mantenuta in equilibrio al centro del mondo oppure la copra come un disco solo dalla parte superiore?

Ma qui è in gioco la credibilità della Scrittura per il motivo più volte da me ricordato.

Occorre cioè evitare che uno, il quale non comprende la sacra Scrittura, incontrando nei nostri libri [ sacri ] o sentendo da altri citare qualche testo [ sacro ] relativo a tali argomenti che gli pare in contrasto con le verità da lui conosciute con evidenza mediante la ragione, non presti affatto fede agli altri utili insegnamenti o racconti o profezie della stessa Scrittura.

Ecco perché è necessario dire in breve che i nostri agiografi conoscevano quanto è conforme alla verità per ciò che riguarda la figura del cielo, ma lo Spirito di Dio, che parlava per mezzo di essi, non ha voluto insegnare agli uomini queste cognizioni per nulla utili alla salvezza dell'anima.

9.21 - La Scrittura non può essere in contraddizione con se stessa o con la scienza

Ma - dirà qualcuno - come mai non è in contrasto con l'opinione di coloro, i quali attribuiscono al cielo la figura d'una sfera, quanto sta scritto nei nostri Libri sacri e cioè: Tu che hai steso il cielo come una pelle? ( Sal 104,2 )

Ciò sarà senz'altro contrario se è falso quanto affermano coloro; poiché sono vere le affermazioni della divina Scrittura anziché le congetture dell'umana infermità.

Ma se per caso quelli potessero provare la loro opinione con argomenti di cui non si dovrebbe dubitare, bisognerebbe dimostrare che l'immagine della pelle usata dai nostri Libri sacri non è in contraddizione con quelle argomentazioni razionali, altrimenti ci sarebbe una contraddizione anche nelle stesse nostre Scritture rispetto a un altro passo in cui si dice che il cielo sta sospeso come una volta. ( Is 40, 22 sec. LXX )

In realtà che c'è di tanto diverso e contrario quanto la superficie piana e distesa d'una pelle e la curva d'una volta convessa?

Se invece è necessario - com'è necessario - intendere queste due affermazioni in modo da trovarle entrambe concordanti e non contrastanti fra loro, è ugualmente anche necessario che l'una e l'altra di esse non siano in contraddizione con le dimostrazioni - purché riconosciute vere da una sicura ragione - con le quali si mostra che il cielo ha la figura d'una sfera da ogni parte convessa, sempre tuttavia che ciò sia provato.

9.22 - Come spiegare le immagini di "volta" e di "pelle" usate per indicare il cielo

D'altra parte l'immagine della volta usata dalla Scrittura, anche se presa alla lettera, non si oppone a coloro che parlano d'una sfera; poiché a giusta ragione si può credere che la Scrittura ha voluto parlare della forma del cielo solo rispetto alla parte ch'è al di sopra di noi.

Se dunque il cielo non è sferico, è una volta solo dalla parte in cui il cielo copre la terra; se invece è sferico, esso è una volta in ogni sua parte.

Una difficoltà maggiore presenta invece l'immagine della pelle se miriamo ad evitare la contraddizione non solo con quella della sfera - che forse è un'immaginazione umana - ma proprio con l'immagine che abbiamo della volta.

Quale significato allegorico abbia a mio parere questo passo si trova nel tredicesimo libro delle nostre Confessioni.1

Sia dunque che il cielo disteso come una pelle si debba intendere nel senso ivi esposto, sia che lo si debba intendere in qualche altro senso, per i sostenitori pedanti ed eccessivi dell'esegesi letterale dirò una cosa che credo sia chiara per tutte le intelligenze.

Ambedue le immagini, della pelle e della volta, possono intendersi forse in senso figurato, ma bisogna vedere come l'una e l'altra possa intendersi alla lettera.

Se infatti una volta può chiamarsi correttamente non solo curva ma anche piatta, certamente anche una pelle può essere stesa non solo come una superficie piana ma anche in forma d'una tasca rotonda. In realtà sono una pelle non solo un otre ma anche una vescica.

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1 Confess. 13,15