Il lavoro dei monaci

Indice

1.1 - Introduzione: le origini dell'opera

Cedo al tuo pressante invito, o mio venerato fratello Aurelio, e lo fo con tanto più rispetto quanto più palesemente mi è risultato chi sia stato l'autore del comando pervenutomi per tuo mezzo.

È stato infatti il nostro Signore Gesù Cristo, il quale ha dimora nel tuo cuore, colui che ti ha ispirato una così viva preoccupazione - frutto d'amore di padre e di fratello - nei riguardi di certi monaci, fratelli e figli nostri, che si rifiutano d'obbedire al precetto del beato apostolo Paolo: Chi non vuol lavorare non deve nemmeno mangiare. ( 2 Ts 3,10 )

Egli, servendosi della tua volontà e della tua lingua per la sua opera, mi ha fatto pervenire per tuo mezzo l'ingiunzione di scriverti qualche riga sull'opportunità o meno di lasciar correre un tal modo sregolato di comportarsi.

Voglia pertanto il nostro Signore assistermi, affinché esegua l'opera in modo che dai frutti e dall'utilità del lavoro mi sia dato comprendere che per sua grazia sono stato docile alla sua volontà.

1.2 - Le argomentazioni degli infingardi

La prima cosa che occorre prendere in esame sono i pretesti che adducono questi monaci che si rifiutano di lavorare.

Poi, se riscontreremo che essi sono nel falso, occorrerà dire qualcosa sui mezzi per farli ravvedere.

Essi sostengono che le parole dell'Apostolo: Chi non vuol lavorare non deve nemmeno mangiare, ( 2 Ts 3,10 ) non debbono intendersi del lavoro manuale, quello, per esempio, dei contadini o dei braccianti.

Non può infatti l'Apostolo essere in contrasto col vangelo, dove sono riportate le parole del Signore: Io pertanto vi dico di non essere in angustia, per la vostra vita, su che cosa mangiare né, per il vostro corpo, su come vestirvi.

La vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito?

Guardate gli uccelli dell'aria: essi non seminano, non mietono, non raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre.

E voi non valete più di loro? E chi di voi è capace, a forza di pensarci, d'aumentare di una spanna l'altezza del suo corpo?

Quanto poi al vestiario, perché preoccuparvene tanto? Osservate i gigli del campo e come si sviluppano.

Essi non lavorano né filano; eppure, ve lo dico io, nemmeno Salomone nello splendore della sua gloria era vestito come uno di loro.

Se pertanto Dio veste in tal modo l'erba del campo che oggi è e domani viene gettata nel forno, quanto più vestirà voi, gente di poca fede?

Non vi angustiate dunque né andate a dire: Che cosa mangeremo o che cosa berremo o di che ci copriremo?

Sono, queste, cose di cui vanno in cerca i pagani: cose di cui il Padre vostro sa che ne avete bisogno.

Cercate dunque in primo luogo il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date per giunta.

Né mettetevi in pena per il domani: il domani avrà di per sé la sua pena.

A ogni giorno il suo affanno. ( Mt 6,25-34 )

Ecco un testo - argomentano costoro - in cui il Signore ci ordina di non inquietarci né per il cibo né per il vestito.

Potrebbe mai un apostolo dissentire dal suo Signore e venirci a comandare d'essere preoccupati del cibo, della bevanda e delle vesti fino al punto che ci si debba accollare anche il peso delle attività, dei travagli e delle fatiche dei braccianti?

Le parole: Chi non vuol lavorare non deve nemmeno mangiare debbono, conseguentemente, essere riferite ai lavori d'ordine spirituale, quelli - ad esempio - di cui si tratta nell'altro passo, dove si dice: A ciascuno come ha largito il Signore.

Io ho piantato; Apollo ha innaffiato; chi poi ha fatto crescere è stato Iddio.

E poco dopo: Ciascuno riceverà il compenso in proporzione del lavoro svolto.

Siamo infatti collaboratori di Dio, e voi siete campo di Dio, edificio di Dio.

In conformità con la grazia ricevuta, io, da esperto architetto, ho posto il fondamento. ( 1 Cor 3,5-6.8-10 )

L'Apostolo dunque lavorava piantando, innaffiando, elevando l'edificio e ponendone le fondamenta.

Colui che non vuol sottoporsi a tal genere di lavori non deve nemmeno mangiare.

A che servirebbe infatti nutrirsi della parola di Dio, gustata spiritualmente, se non ne seguissero opere di edificazione per il prossimo?

Si sarebbe come quel servo indolente che, ricevuto il talento, lo nascose e non seppe ricavarne gli emolumenti intesi dal padrone, e così non ne trasse altro utile se non quello di vedersi, alla fine, tolta la somma e lui stesso scacciato fuori casa nel buio. ( Mt 25,24-30 )

Così - dicono - ci comportiamo anche noi: attendiamo alla lettura in compagnia dei fratelli che affaticati vengono a noi di tra le burrasche del mondo per trovare, fra noi, la quiete nello studio della parola di Dio, nella preghiera, nei salmi, negli inni e nei cantici spirituali.

Dialoghiamo con loro, li consoliamo, li esortiamo al bene costruendo in essi, cioè nella loro condotta, quanto a nostro avviso ancora vi manca, avuta considerazione dello stato in cui si trovano.

Se non ci dedicassimo a tali attività, sarebbe pericoloso il nostro ricorrere a Dio in cerca degli alimenti d'ordine spirituale che egli dispensa.

È ad essi che si riferisce l'Apostolo quando afferma: Chi non vuol lavorare non deve nemmeno mangiare.

In tal modo, questi monaci si lusingano di stare in regola con gli insegnamenti del vangelo e con quelli dell'Apostolo: col vangelo, in quanto intende dare precetti sul non preoccuparsi per la vita presente con le sue necessità d'ordine fisico e temporale; con l'Apostolo, in quanto le parole: Chi non vuol lavorare non deve nemmeno mangiare si riferiscono al cibo e al lavoro d'ordine spirituale.

2.3 - Il linguaggio proprio nel Vangelo e in san Paolo

Sono degli sbadati. E qualcuno potrebbe loro obiettare come non considerino che è il Signore - il quale parla in parabole e similitudini - colui che ci dà insegnamenti sul vitto e le vesti spirituali di cui non debbono preoccuparsi i suoi servi, come ad esempio là dove dice: Quando vi porteranno in tribunale, non datevi pensiero di quel che avrete a rispondere, poiché il vostro dire vi sarà suggerito.

Non sarete infatti voi a parlare ma lo Spirito del Padre vostro parlerà in voi. ( Mt 10,19-20 )

Sono quindi le parole di sapienza spirituale quelle di cui il Signore non vuole che si preoccupino i suoi discepoli, assicurandoli che sarebbero state loro fornite senza che essi ne fossero in angustia.

Che al contrario l'Apostolo parli del lavoro manuale e del cibo necessario alla vita del corpo allorché dice: Chi non vuol lavorare non deve nemmeno mangiare, ( 2 Ts 3,10 ) lo dimostra il fatto che egli, secondo la sua indole, ama esprimersi con un linguaggio franco e aperto e preferisce il parlare proprio a quello traslato, come si ricava da molti passi, per non dire da tutto intero il suo epistolario.

In tale ipotesi, la loro conclusione verrebbe a rendersi dubbia, a meno che essi, esaminando altre massime del Signore, non giungessero a scoprire qualche brano da cui appaia con evidenza che egli con le parole: Non preoccupatevi del cibo né della bevanda o del vestiario voleva proprio inculcare ai discepoli di non affannarsi per il vitto e il vestito necessari al corpo, ad esempio, sottolineando quello che aggiunge: Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani, ( Mt 6,32 ) da cui traspare più che sufficientemente che egli parlava proprio dei beni corporali e temporali.

In modo analogo, se in tema di lavoro e di sostentamento l'Apostolo non avesse detto altro se non: Chi non vuol lavorare non deve nemmeno mangiare, alle sue parole si sarebbe potuto, forse, dare un qualche altro significato.

Quando però nelle sue lettere esistono innumerevoli altri passi nei quali egli esprime in termini inequivocabili il suo pensiero sul nostro argomento, è inutile fare sforzi in contrario.

Sarebbe come un voler tirare su di sé e sugli altri una cortina di tenebre per non voler praticare quanto di utile la carità divina suggerisce e, inoltre, negarsi la possibilità di vederci chiaro loro stessi e che ci abbiano a veder chiaro gli altri.

Nel qual caso, occorrerebbe temere il detto scritturale: Non ebbe voglia di capire per comportarsi bene. ( Sal 36,4 )

3.4 - Schema della trattazione:

a) le parole di Paolo nel loro contesto;

b) gli esempi dell'Apostolo.

Cominceremo pertanto col dimostrare che il beato apostolo Paolo esige dai servi di Dio che si esercitino nel lavoro manuale.

Questo consegue come fine una grande ricompensa spirituale e reca anche il vantaggio di non dover dipendere da alcuno in fatto di vitto e di vesti, se appunto tali cose vengono ottenute mediante la propria attività.

Dopo di ciò, prenderemo in esame i brani del vangelo dai quali certuni pretendono di ricavare argomenti a sostegno della propria indolenza e arroganza, e mostreremo che essi non sono contrari a quanto insegnato e praticato dall'Apostolo.

Vediamo dunque cosa dica l'Apostolo prima di arrivare alle parole: Chi non vuol lavorare non deve nemmeno mangiare e che cosa aggiunge subito appresso: dal contesto risulterà messo in luce il senso della frase.

Egli dice: Fratelli, noi vi ordiniamo in nome di Gesù Cristo nostro Signore a tenervi lontani da ogni fratello che si comporta da turbolento e non conforme alla tradizione ricevuta da noi.

Voi sapete infatti in che modo dobbiate imitarci.

Non ci siamo diportati fra voi da agitatori, e così pure non abbiamo mangiato il nostro pane fornitoci gratuitamente da alcuno.

Al contrario abbiamo lavorato di notte e di giorno in mezzo a stenti e fatiche pur di non essere di peso per nessuno di voi.

Non che non ne avessimo la facoltà, ma perché vi volevamo presentare noi stessi come modello che avreste dovuto imitare.

Ed era proprio quando stavamo da voi che vi impartivamo quest'ordine: Chi non vuol lavorare non deve nemmeno mangiare.

Abbiamo infatti sentito dire che in mezzo a voi c'è della gente che si comporta da turbolenta, che si rifiuta di lavorare e che si occupa solo di curiosità.

Orbene, a costoro noi comandiamo e nel nome del Signore Gesù Cristo rivolgiamo l'invito accorato affinché si mettano a lavorare in silenzio e in tal modo mangino il pane da loro guadagnato. ( 2 Ts 3,6-12 )

Cosa si può obiettare al senso naturale di queste parole?

Proprio perché nessuno si arrogasse il diritto di interpretarle a suo capriccio, e non conforme esige la carità, l'Apostolo s'è fatto premura di illustrare col suo esempio il senso della sua prescrizione.

A lui infatti, per la sua condizione di apostolo, predicatore del vangelo, soldato di Cristo, incaricato di piantare la vigna e di pascere il suo gregge, il Signore aveva dato facoltà di vivere a carico del vangelo.

Egli tuttavia ricusò il compenso che pure gli sarebbe spettato, e ciò al fine di presentare in se stesso un modello a coloro che pretendevano compensi indebiti.

Lo dice nella lettera ai Corinzi: Chi si mette a fare il soldato senza che qualcuno lo paghi?

Chi pianta una vigna e non mangia dei frutti che produce?

Qual è quel pastore che non prende del latte del suo gregge? ( 1 Cor 9,7 )

Non volle dunque accettare quel che gli spettava allo scopo di imporre con il suo esempio un limite a quei tali che, sebbene sprovvisti dello stesso titolo, pure erano persuasi d'avere nella Chiesa diritto a tali prestazioni.

Che altro senso avrebbero infatti le parole che soggiunge: Noi non abbiamo mangiato a ufo il pane di alcuno; abbiamo piuttosto lavorato e sudato fatiche, giorno e notte, per non essere di peso a nessuno.

Non che ce ne mancasse l'autorizzazione, ma per fornirvi un modello da imitare?

Ascoltino tali parole coloro ai quali l'Apostolo ingiunge di lavorare: gente che, senza avere le facoltà che egli aveva, pretendono di mangiare il pane senza meritarselo col lavoro manuale, limitando essi il loro lavoro al campo spirituale.

Ricordino le parole: Noi comandiamo loro e nel nome di Cristo li scongiuriamo di lavorare in silenzio e in tal modo si guadagnino il pane che mangiano; e di fronte a queste parole fin troppo chiare dell'Apostolo, la smettano con le loro dispute.

Anche questo infatti rientra in quel silenzio con cui secondo l'Apostolo debbono lavorare per procurarsi il pane che mangiano.

4.5 - La condotta di Paolo e quella dei Dodici: donna da non confondersi con moglie

Mi indugerei ad esaminare più a fondo e a trattare con maggiore studio queste parole dell'Apostolo se nelle sue lettere non ci fossero altri passi molto più espliciti.

Confrontato con questi, il nostro brano acquista in chiarezza e, se anche - per ipotesi - non ci fosse per niente, gli altri da soli basterebbero a chiarire il problema.

Scrivendo sul medesimo argomento ai fedeli di Corinto egli dice: Non sono forse un uomo libero?

Non sono forse un apostolo? Non ho forse veduto il nostro Signore Gesù Cristo?

Non siete voi forse opera mia nel Signore?

Se per altri io non sono un apostolo, per voi certamente lo sono, e voi siete nel Signore il sigillo della mia opera apostolica.

Quanto poi ai miei accusatori, ecco qual è la mia replica: Forse che noi non abbiamo il diritto di mangiare e di bere?

Forse che non abbiamo il diritto di farci accompagnare da una donna scelta fra le nostre sorelle, come usano gli altri apostoli e fratelli del Signore non escluso Cefa? ( 1 Cor 9,1-5 )

Nota bene come egli da principio elenchi le cose a cui ha diritto, aggiungendone pure il motivo che è la sua qualifica di apostolo.

Comincia infatti così: Non sono forse libero? Non sono forse un apostolo?; e per provare che è apostolo soggiunge: Non ho forse veduto il Signore nostro Gesù Cristo? E la mia opera non siete voi nel Signore?

Dopo tali premesse egli passa a dimostrare che godeva degli stessi diritti degli altri apostoli e che cioè avrebbe potuto esimersi dal lavoro manuale e vivere a carico del vangelo.

Ciò in conformità con quanto stabilito da Cristo, come dimostra subito appresso con parole quanto mai esplicite.

C'erano infatti delle donne, benestanti e devote, che andavano insieme con gli apostoli e li mantenevano con i loro averi in modo che non mancasse loro il necessario per vivere.

Era una cosa a lui lecita - asserisce Paolo - come lo era agli altri apostoli; ma di tale concessione - dirà più tardi - egli non volle far uso in alcun modo.

Qualcuno non ha compreso l'espressione " donna-sorella " di cui parla Paolo quando dice: Forse che non siamo autorizzati a farci accompagnare da una donna di tra le sorelle?; e ha inteso trattarsi della moglie.

Li ha tratti in inganno il greco che è ambiguo e può significare " donna " e " moglie ".

In verità, dal tenore della frase come l'ha enunziata l'Apostolo, non ci si sarebbe dovuti sbagliare: infatti, egli non dice solo la donna ma una donna-sorella, né parla di prendere in moglie ma di portare insieme nei viaggi.

È ciò che hanno letto senza esitazione altri interpreti, che, non ingannati dal termine ambiguo, hanno compreso una donna e non la moglie.

5.6 - I dodici si conformano agli esempi di Cristo

Al seguito degli apostoli, dunque, in ogni località dove si fossero recati a predicare il vangelo andavano delle donne di condotta ineccepibile, le quali dalle loro rendite somministravano ad essi il necessario per vivere.

Se qualcuno ritenesse impossibile un tal fatto apra il vangelo e riconosca che ciò facevano proprio sull'esempio del loro Signore.

Il quale, sebbene potesse farsi servire dagli angeli, pure, per adeguarsi - secondo la consuetudine della sua misericordia - al livello dei più deboli, s'era provvisto d'una borsa dove riponeva il denaro che gli veniva consegnato dalla gente buona e affezionata e che era necessario al sostentamento dei suoi.

Questa borsa egli l'aveva affidata a Giuda, per farci imparare che nella Chiesa, qualora non riusciamo ad eliminare la genia dei ladri, abbiamo almeno a trattarli con tolleranza.

Di Giuda infatti sta scritto: Quanto si metteva dentro - nella borsa - egli lo faceva sparire. ( Gv 12,6 )

E, quanto alle donne, volle Cristo che stessero al suo seguito per procurare e somministrare le cose che gli erano necessarie, mostrando col suo esempio quali fossero gli obblighi del popolo di Dio verso gli araldi del vangelo e i ministri di Dio: obblighi che viene fatto di paragonare a quelli che hanno le genti di provincia verso i soldati dell'imperatore.

Che se poi qualcuno degli apostoli - come fu il caso di Paolo - non avesse voluto accettare e far suo di quel che gli sarebbe spettato, con questo suo rifiutare il contributo dovutogli e col procurarsi il vitto di ogni giorno mediante il lavoro dava segno d'una più completa dedizione di sé al bene della Chiesa.

Era stato detto infatti a quell'albergatore al momento d'accogliere il ferito di cui il vangelo: Che se poi avrai speso di più, io te ne compenserò al ritorno. ( Lc 10,35 )

Pertanto, da soldato stipendiato da se stesso - come egli afferma - l'Apostolo si prodigava oltre i limiti di quanto strettamente doveroso. ( 1 Cor 9,7-15; 2 Cor 11,7 )

Racconta il Vangelo: In seguito egli si pose in cammino e predicava per città e villaggi ed annunziava il vangelo del regno di Dio.

Con lui c'erano i Dodici e alcune donne che egli aveva liberate da spiriti maligni e da malattie: Maria detta la Maddalena da cui erano usciti sette demoni, Giovanna moglie di Cusa procuratore di Erode, Susanna e molte altre.

Costoro provvedevano al sostentamento di lui e dei suoi con i propri averi. ( Lc 8,1-3 )

Ecco l'esempio del Signore a cui si conformavano gli apostoli quando accettavano d'essere provvisti del cibo loro dovuto.

Ne parla espressamente il Signore quando dice: Andate a predicare.

Annunziate che il Regno dei cieli è vicino.

Guarite i malati, risuscitate i morti, mondate i lebbrosi, scacciate i demoni.

Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date.

Non prendete né oro né argento né monete nelle vostre cinture; non la bisaccia da viaggio né due tuniche, non le scarpe né il bastone.

Poiché chi lavora merita d'essere nutrito. ( Mt 10,7-10 )

Ecco passi in cui il Signore insegna quel che riferisce l'Apostolo.

Non per altro motivo infatti diceva il Signore di non portare niente nei viaggi, se non perché in caso di necessità avrebbero potuto ricevere [ il necessario ] da coloro ai quali annunziavano il regno di Dio.

6.7 - Concessioni non imposizioni

Tale concessione non era un privilegio esclusivo dei Dodici.

Si può ricavare da quanto racconta Luca: In seguito il Signore ne prescelse altri settantadue e a coppie li mandò avanti a sé nelle città e in ogni luogo dove egli sarebbe passato.

E diceva loro: La messe è molta ma gli operai sono pochi.

Pregate dunque il Padrone della messe affinché mandi dei lavoratori nella sua messe.

Andate! Ecco io vi mando come agnelli fra i lupi.

Non portate con voi né borsa né bisaccia né calzari.

Per strada non fermatevi a salutare nessuno.

E quando entrate in qualche casa, prima di tutto dite: Sia pace a questa casa!

E se lì si troverà un amante della pace, la vostra pace si poserà su di lui, altrimenti essa ritornerà da voi.

In tale casa poi vi fermerete e mangerete e berrete ciò che vi si trova.

Poiché chi lavora merita il compenso. ( Lc 10,1-7 )

Da questo brano si può concludere che si trattava non di obblighi ma di concessioni.

Per cui, se uno avesse voluto approfittarne, non avrebbe oltrepassato i limiti di ciò che, sulla base dell'insegnamento del Signore, gli era consentito; chi invece non l'avesse voluto fare non sarebbe andato contro un comando, ma avrebbe rinunziato a un diritto.

Ricusandone anche gli emolumenti consentiti, la sua condotta sarebbe risultata più caritatevole e generosa nei riguardi del Vangelo.

Se così non fosse stato, avrebbe trasgredito il comando divino l'Apostolo stesso, il quale, dopo aver dimostrato come la cosa gli fosse lecita, subito aggiunge: Io però di tale facoltà non mi sono mai servito. ( 1 Cor 9,12 )

7.8 - Paolo rinunzia al diritto di essere mantenuto

Riprendiamo il filo del discorso e scrutiamo con attenzione tutt'intero il passo dell'epistola.

Dice: Non ci è dunque stata data facoltà di mangiare e di bere?

Non abbiamo forse l'autorizzazione di condurre con noi una donna di fra le sorelle? ( 1 Cor 9,4.5 )

Si riferisce evidentemente alla facoltà concessa dal Signore a coloro che mandava a predicare il Regno dei cieli quando diceva: Mangiate le cose da loro fornite, poiché chi lavora merita la sua ricompensa, ( Lc 10,7 ) e così pure all'esempio che nell'uso di tale facoltà aveva offerto il medesimo nostro Signore, al cui necessario provvedevano con i loro averi certe pie donne a lui molto affezionate.

Ma l'apostolo Paolo fece ancora di più, per quanto nella condotta dei suoi colleghi di apostolato trovasse un argomento per dimostrare che tale facoltà era stata effettivamente concessa dal Signore.

Non è infatti in tono di rimprovero che soggiunge: Come usano fare gli altri apostoli e i fratelli del Signore, Cefa compreso.

Quanto a sé, egli nota che, sebbene si trattasse di cose lecite e praticate dai suoi colleghi di apostolato, non volle mai ricevere niente da nessuno.

Forse che a me soltanto e a Barnaba è stata negata la facoltà di esimerci dal lavoro? ( 1 Cor 9,5-6 )

Testo chiarissimo, che toglie qualsiasi dubbio anche ai più testoni e manifesta di che sorta di lavoro egli parli.

Che significato infatti potrebbe avere la frase: Ma che davvero io solo e Barnaba non abbiamo il diritto di esimerci dal lavoro?, se non si riferisse al diritto concesso dal Signore agli evangelizzatori e agli addetti al ministero della parola di fare a meno del lavoro manuale e di vivere del vangelo che annunziavano?

La loro attività sarebbe dovuta essere esclusivamente spirituale: predicare il Regno dei cieli e instaurare la pace cristiana.

Né venga qualcuno a dirmi che le parole dell'Apostolo: Ma che forse io solo e Barnaba non abbiamo il diritto di esimerci dal lavoro? si riferiscano al lavoro spirituale.

Si tratta infatti d'un diritto posseduto da tutti gli apostoli; per cui, se avessero ragione quei tali che tanto s'adoperano per falsare e stravolgere il comando dell'Apostolo portandolo a significare quel che loro pensano, ne verrebbe la conseguenza che tutti gli evangelizzatori avevano ricevuto dal Signore il diritto di non evangelizzare: cosa, evidentemente, fra le più assurde e stupide che si possano pensare.

Ma, allora, perché ostinarsi a non capire una verità così ovvia, e cioè che, se gli apostoli avevano ricevuto una qualche concessione per cui si ritenevano esentati dal lavoro, questa riguardava il lavoro manuale con cui avrebbero dovuto procurarsi da vivere?

Proprio come si legge: Ogni lavoratore ha diritto al suo nutrimento e alla sua ricompensa. ( Mt 10,10 )

Era, comunque, una facoltà non esclusiva di Paolo e Barnaba, ma ne godevano ugualmente tutti gli apostoli; solo che Paolo e Barnaba non se ne avvalevano, prodigandosi a bene della Chiesa più di quanto era strettamente di dovere, come stimavano opportuno dover fare per andare incontro alla fragilità della gente nei diversi luoghi dove predicavano il vangelo.

Che non abbia voluto criticare i suoi colleghi di apostolato lo manifesta in quel che soggiunge immediatamente dopo: Chi mai - dice - si mette a fare il soldato stipendiandosi di propria tasca?

Qual è quel pastore che non trae utile dal latte del suo gregge?

Ma che sono forse, queste, solo delle chiacchiere in uso fra gli uomini?

O non piuttosto insegna così anche la legge?

Nella legge di Mosè si trova infatti scritto: Non turerai la bocca al bue che trebbia.

Forse che il Signore si prende cura dei buoi? O non piuttosto lo dice di noi?

Certamente è detto di noi, poiché chi ara deve arare sorretto dalla speranza e chi trebbia deve trebbiare nella speranza di partecipare del raccolto. ( 1 Cor 9,7-10 )

Con queste parole l'apostolo Paolo dimostra che gli apostoli suoi compagni di lavoro, allorché evitavano di lavorare manualmente per procurarsi da vivere, non usurpavano nulla che loro non spettasse.

Si comportavano come aveva stabilito il Signore, e vivendo delle loro fatiche evangeliche, mangiavano gratis il pane offerto loro da quelli ai quali, ugualmente gratis, avevano predicato le ricchezze della grazia.

Era una specie di stipendio che, come soldati, riscuotevano.

Dal fruttato della vigna che avevano piantato coglievano liberamente quanto loro occorreva.

Dal gregge che menavano a pascolo mungevano il latte per trarne da bere.

Dall'aia dove trebbiavano prelevavano il cibo.

8.9 - Preferisce lavorare manualmente

Le parole che aggiunge sono ancora più chiare, tali da dissipare nella forma più assoluta ogni sorta di dubbio o d'equivoco.

Dice: Se noi abbiamo sparso fra voi la semente spirituale, che gran cosa poi è se veniamo da voi a mietere proventi materiali? ( 1 Cor 9,11 )

Le sementi spirituali sparse dall'Apostolo sono la parola di Dio, il mistero insondabile del Regno dei cieli.

Le " cose carnali " che egli si dice autorizzato a " mietere " cosa mai dovranno essere, allora, se non i beni materiali che ci sono stati concessi dal Creatore per far fronte alle necessità della vita temporale?

Di tali prestazioni dice apertamente Paolo che, sebbene a lui dovute, egli non le ha mai né cercate né accettate, perché il suo comportamento non fosse di ostacolo alla diffusione del vangelo di Cristo.

Per cui resta dimostrato che, se egli lavorò per procurarsi di che vivere, il suo lavoro fu un lavoro manuale, eseguito per davvero con le sue mani di carne e d'ossa.

Egli avrebbe potuto procurarsi vitto e vestito mediante la sua attività spirituale, accettando cioè le cose materiali dai fedeli per il fatto che lavorava a costruire l'edificio del vangelo.

In tal caso, però, egli non avrebbe potuto soggiungere: Se altri vengono a far valere dei diritti sopra di voi, perché ciò non dovremmo a maggior ragione far noi?

Ma noi di questi diritti non ci siamo serviti, preferendo sottoporci a ogni sorta di incomodi pur di non creare ostacoli al vangelo di Gesù Cristo. ( 1 Cor 9,12 )

Qual è il diritto che egli dice di non aver fatto valere se non quello che aveva ricevuto dal Signore di approfittare delle loro sostanze materiali per tirare avanti la vita quaggiù?

Quel diritto di cui si avvalevano anche certi altri banditori del vangelo, i quali, pur non avendovi predicato il vangelo per primi, vi si erano recati in seguito con lo stesso intento di predicare Cristo nella loro chiesa.

Pertanto, dopo aver detto: Se noi abbiamo sparso fra voi della semente spirituale, che gran cosa poi è se veniamo da voi a mietere proventi materiali?, soggiunge: Se altri vengono a far valere del diritto sopra di voi, perché a maggior ragione non dovremmo farlo anche noi?

E quindi, dimostrato cosa egli intenda per suo " diritto ", conclude: Ma noi al nostro diritto abbiamo rinunciato, preferendo sottoporci a ogni sorta di incomodi pur di non creare ostacolo al vangelo di Cristo.

Vengano un po' adesso costoro a spiegarci come mai si possa dire che l'Apostolo traeva di che vivere dal suo lavoro spirituale quando lui stesso attesta in termini inequivocabili che di questa prerogativa non ha voluto mai far uso.

Che se poi non è dal suo lavoro spirituale, che ricavava il sostentamento materiale, resta che questo sostentamento se lo procurasse lavorando manualmente.

È, del resto, quanto egli afferma: Non abbiamo mangiato a ufo il pane di nessuno, ma ce lo siamo guadagnato lavorando notte e giorno.

Stenti e fatiche abbiamo sostenuto per non essere di peso ad alcuno.

Non che ci mancasse il potere di farlo, ma volevamo darvi l'esempio e offrirvi un modello da ricopiare. ( 2 Ts 3,8-9 )

A molestie di ogni sorta ci sottoponiamo - dice ancora - pur di non frapporre ostacoli al vangelo di Cristo.

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