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Lettera 104

Scritta forse all'inizio del 409 o nel 410.

Agostino rispondendo a Nettario, nega di voler far colpire i rei con gravi pene ( n. 1-4 ), precisa le qualità che debbono distinguere una pena cristiana ( n. 5-9 ) ed esorta alla ricerca del vero bene ( n. 10-11 ); confuta la tesi stoica che tutti i peccati sono uguali ( n. 12-16 ) ed esorta ancora alla vera virtù.

Agostino all'esimio e molto onorando signore e fratello Nettario, Augura salute nel Signore

1.1 - Perché tanto ritardo a rispondere?

Ho scorso la lettera della tua Benignità, con cui hai risposto alla mia molto tempo dopo che io l'avevo consegnata perché ti si recapitasse.

In realtà io ti risposi allorché era ancora con noi e non aveva intrapreso il suo viaggio per mare il nostro santo fratello e collega d'episcopato Possidio.

La lettera, che ti sei degnato d'inviarmi per mezzo di lui il 27 di marzo, l'ho ricevuta quasi otto mesi dopo ch'io t'avevo scritto.

Ignoro assolutamente per qual motivo siano giunte con tanto ritardo ai rispettivi destinatari la mia e la tua lettera, salvo che per caso alla tua Prudenza non sia piaciuto d'inviarmi solo adesso la risposta che prima non ti eri curato d'inviarmi.

Ti è forse arrivata all'orecchio qualche notizia, a me ancora ignota, che per esempio il mio fratello Possidio abbia ottenuto dalle autorità che vengano puniti con una certa severità i tuoi concittadini?

Eppure egli li ama ( sia detto senza offenderti ) in modo più utile ad essi che non li ami tu stesso.

Anche la tua lettera, infatti, mostra che hai paura d'una tale evenienza, dal momento che mi esorti a pormi davanti agli occhi "lo spettacolo d'una città, dalla quale dovrebbero essere condotti fuori quelli da trascinare al supplizio, le grida delle madri, delle spose, dei figli, la vergogna con cui tornerebbero in patria salvi sì ma torturati, i dolori che rinnoverebbe in essi la vista delle ferite e delle cicatrici".

Lungi da noi il pensiero d'insistere o di sollecitare altri perché tali pene vengano inflitte ad alcuno dei nostri nemici.

Se quindi, come ho detto, t'è giunta qualche notizia di tal genere, diccelo chiaramente, affinché sappiamo regolarci per impedire che si compiano tali sevizie, o per saper dare una risposta a chi prestasse fede a simili dicerie.

1.2 - Affermazioni gratuite

Considera invece attentamente la mia lettera, alla quale t'è rincresciuto rispondere.

Poiché in essa ho manifestato assai chiaramente i miei sentimenti; tu invece dimenticando - a quanto suppongo - la risposta che t'avevo inviata, mi hai risposto ripetendo concetti di gran lunga contrari e diversi dai miei.

Sì, proprio così. Fingendo di ricordare considerazioni da me enunciate nella mia lettera, tu ne hai esposte nella tua altre da me non espresse affatto.

Affermi per esempio che verso la fine della mia lettera è detto che non si esige né la verità né il sangue per vendicare la Chiesa, ma che i colpevoli vengano spogliati dei beni per i quali nutrono maggiore apprensione.

Per dimostrare poi quanto una simile misura sia un male, prosegui dichiarando, salvo errore, più insopportabile essere spogliati dei propri beni che essere mandati a morte.

E per esporre più chiaramente cosa tu voglia intendere per beni, aggiungi che io conosco il concetto ripetuto nelle opere letterarie secondo cui la morte ci libera dalla sensazione di tutti i mali, mentre la vita travagliata dall'indigenza è una sorgente eterna di sventure.

Concludi poi, che è più intollerabile trascinare una vita piena di malanni che porvi fine con la morte.

1.3 - Povertà e felicità

A dire il vero non ricordo d'aver letto né in alcuno dei nostri Libri, ai quali confesso d'essermi dedicato più tardi di quanto avrei voluto, né in alcuno dei vostri libri da me studiati fin dalla più tenera età, non ricordo - dico - di aver letto che la vita travagliata dall'indigenza sia una sorgente eterna di sventure.

Poiché non solo l'angustia della povertà non è un peccato, ma è piuttosto una condizione adatta alla moderazione e un freno ai peccati.

Non è quindi affatto da temere che l'esser vissuto povero in questo mondo procuri dopo questa breve vita ad alcuno l'eterna sventura dell'anima.

Anzi, nella stessa vita terrena non può esservi affatto alcuna sventura eterna, come non è eterna la stessa vita terrena: essa infatti non dura neppure a lungo, qualunque sia l'età alla quale essa arrivi, sia pure alla vecchiaia.

Nelle opere letterarie, al contrario, ho trovato che breve è la vita che godiamo quaggiù, mentre tu credi - e lo dici - che si trova ripetuto nelle opere letterarie il concetto per cui essa può essere per noi una sventura eterna.

Che la morte poi segni la fine di tutti i mali, lo affermano i vostri scrittori, ma neppure tutti, essendo questa una dottrina propria degli Epicurei e di pochi altri, i quali pensano che l'anima sia mortale.

Ma i filosofi, che Tullio chiama per così dire "Consolari",1 in segno di grande stima per la loro autorità, pensano che nell'ultimo giorno della vita l'anima non muore ma emigra, per passare, secondo che reclama il bene o il male operato, nello stato di beatitudine o di pena eterna.

Quest'opinione concorda perfettamente con la dottrina della sacra Scrittura, in cui bramerei essere professore.

La morte è dunque la fine dei mali sì, ma solo per coloro la cui vita è stata casta, pia, fedele, innocente, non già per coloro i quali, bruciando dal desiderio delle diverse vanità e illusioni del mondo, sebbene quaggiù si credano felici, alla fine si convincono d'essere infelici a causa della loro perversa volontà e dopo la morte sono costretti non solo a subire, ma anche a sentire tormenti più gravi.

1.4 - È da temere non tanto la povertà economica quanto quella morale

Questi concetti si trovano ripetutamente espressi negli scritti della vostra letteratura da voi maggiormente tenuti in onore e in tutti i nostri Libri sacri.

Tu quindi, amico mio, che ami tanto la patria terrena, cerca di temere per i tuoi concittadini la vita scostumata e non quella travagliata dalla povertà: oppure, se temi una vita di povertà, esortali piuttosto ad evitare la povertà morale di coloro che nuotano nella prosperità dei beni terreni, ma ciò nondimeno, poiché li bramano senz'esserne mai sazi, la loro povertà non diminuisce, per usare un'espressione dei vostri stessi scrittori, né l'abbondanza né la scarsezza dei mezzi.

Tuttavia nella mia lettera, alla quale hai risposto, io non dicevo affatto che i tuoi concittadini, nemici della Chiesa, debbano venire puniti fino al punto di ridurli in tale stato di povertà, in cui manchi il necessario alla vita e debba esser soccorsa dalla misericordia.

A proposito di questo sentimento hai pure creduto opportuno rivolgermi una raccomandazione basandoti su quanto è dimostrato dalla natura stessa delle nostre opere, con le quali procuriamo sollievo ai poveri, conforto ai deboli, somministriamo medicine ai corpi ammalati: quantunque sarebbe meglio trovarsi in tale stato d'indigenza che avere abbondanza di mezzi per soddisfare qualsiasi tendenza perversa.

Io però non ho mai neppure lontanamente pensato di ridurre coloro, di cui trattiamo, a un simile stato di miseria coll'infliggere loro i castighi meritati.

2.5 - Dai Cristiani i colpevoli vengono castigati per la loro salvezza

Esamina bene la mia lettera, se pure l'hai trovata degna, se non d'essere riletta allorché sarebbe stato doveroso da parte tua rispondere, almeno d'essere conservata per mettermela sotto gli occhi qualora tu l'avessi voluto.

Rifletti bene a quel che dicevo e vi troverai il seguente passo, al quale voglio pensare che riconoscerai di non aver risposto.

Ecco infatti le espressioni contenute nella mia lettera, che ora ti cito: "Non certo col punire colpe passate intendiamo dare sfogo alla nostra collera, ma ci preoccupiamo di provvedere anche per il futuro ai colpevoli. Nell'essere puniti dai Cristiani costoro hanno modo non solo di sperimentarne la mansuetudine, ma di riceverne pure un utile e un vantaggio per la loro salvezza eterna.

Hanno infatti l'incolumità della vita fisica, la possibilità di procurarsi o conservare i mezzi per vivere e perfino la libertà per vivere male.

Di queste cose siano salve le prime due, affinché ci possano essere quelli che si pentano; questo appunto noi desideriamo, per quanto dipende da noi, a questo scopo ci diamo da fare con tutti i nostri sforzi.

Quanto alla terza possibilità, se Dio disporrà che venga eliminata come una cosa marcia e dannosa, pure la punizione sarà opera di grande misericordia".

Se tu avessi esaminato bene queste mie espressioni quando ti degnasti di rispondermi, non avresti pensato di rivolgerti a me per pregarmi, con più acredine che cortesia, che si evitasse non solo la condanna a morte ma pure i tormenti fisici di coloro per i quali t'interessi, dei quali dicevo che noi vogliamo venga salvaguardata l'incolumità fisica.

Non avresti neppure temuto per essi che li riducessimo a tale stato di miseria da essere costretti a mendicare: dicevo appunto che volevo fosse salva per essi la possibilità indicata per seconda, cioè i mezzi per vivere.

Qual timore per la terza possibilità, cioè la libertà per vivere male, ossia, per non dire altro, la libertà con cui costruiscono le statue d'argento dei loro dèi?

Per conservarle, adorarle, prestar loro ancora un sacrilego culto, non si sono forse precipitati fino a incendiare la chiesa di Dio, ad abbandonare in balia di un volgo depravato, da predare e da saccheggiare, i beni destinati a sostentare piissimi poveri, fino a spargere il sangue?

Orbene, tu che ti preoccupi del bene della tua città, perché mai temi che tale libertà venga repressa al fine d'evitare che per causa di una perniciosa impunità si alimenti e si rafforzi l'impudenza?

Spiegaci dunque ciò e dicci, dopo matura riflessione, che cosa ci sia di male: considera attentamente ciò che noi vi diciamo per non darci poi l'impressione di rinfacciarcelo in certo modo con un' accusa insidiosa, sotto l'apparenza di una preghiera.

2.6 - Funzione repressiva e preventiva delle pene

Mi auguro che i tuoi concittadini siano persone onorate per i buoni costumi e non per i beni superflui.

Noi però, con la punizione, non intendiamo ridurli all'aratro di Quinzio e al focolare di Fabrizio.

A causa dello loro povertà quegli autorevolissimi personaggi della repubblica romana non solo non diminuivano di valore agli occhi dei loro concittadini, ma anzi, proprio e soprattutto a causa di essa, riuscirono loro più cari e più capaci di governare la loro potente patria.

Noi non desideriamo né ci adoperiamo neppure di far sì che ai ricchi della tua patria restino solo le dieci libbre d'argento del famoso Rufino, console per due volte; aliquota che allora una severa sentenza giudicò dovesse essere ridotta ancora di più perché illegale.

Noi invece siamo talmente abituati a trattare con molta mitezza le anime infiacchite dalla consuetudine della nostra età rammollita, che sembra eccessivo alla mansuetudine cristiana ciò che sembrò giusto a quei giudici.

Tu vedi inoltre che è assai differente giudicare il possesso di una somma come una colpa degna di pena ed invece permettere solo quella somma a causa di altre gravissime colpe: ciò che nel passato era senz'altro una colpa, vogliamo che adesso sia almeno castigo del peccato.

Ma è possibile e doverosa una via di mezzo; cercare cioè che la severità non giunga a tali eccessi e l'impunità non trionfi troppo sicura e si scateni senza alcun freno, né si offra a gente depravata un cattivo esempio da imitare esponendola a castighi molto più gravi se pure occulti.

Permetti almeno che si debba incutere molta paura per i loro beni superflui in coloro che tramano d'incendiare e devastare i beni a noi necessari.

Ci sia lecito concedere ai nostri nemici anche il beneficio che, mentre temono per i beni che si possono perdere senza danno, si astengano almeno dal commettere colpe che potrebbero compromettere la loro anima.

Questa preoccupazione non mi pare possa chiamarsi castigo di una colpa, ma una misura precauzionale, richiesta dalla prudenza; non è infliggere un castigo, ma proteggere dal cadere sotto il castigo.

2.7 - Il vero amore

Pur causando un senso di dolore, si toglie qualcosa a uno sconsiderato perché non s'incallisca nel commettere ogni sorta di colpe e non debba poi subire le pene più atroci; come si fa con un ragazzo, al quale si tirano i capelli perché non aizzi i serpenti.

In tal modo, mentre l'amore arreca molestia, non viene lesa alcuna parte del corpo e il ragazzo è tenuto lontano da ciò che costituisce un pericolo per l'incolumità e per la vita.

La beneficenza poi non consiste nel concedere ciò che ci viene chiesto, ma nel fare ciò che non può recar danno a chi lo chiede.

Spesso noi gioviamo negando ciò che ci si chiede, mentre arrecheremmo danno, se lo concedessimo.

Di qui è venuto il proverbio: "Non dar la spada al ragazzo".

E tu, dice Tullio, non darla neppure al tuo unico figlio.2

Poiché quanto più amiamo uno, tanto meno dobbiamo dargli in mano mezzi coi quali si corre grave pericolo di peccare.

E quando Cicerone diceva ciò, parlava, se non erro, proprio di ricchezze.

Si fa quindi quasi sempre bene a portare via le cose e gli oggetti, che vengono dati in mano a chi li usa male e con pericolo.

Quando i medici capiscono che occorre amputare e cauterizzare tumori o cancrene, spesso fanno bene ad essere insensibili alle lacrime pure se abbondanti.

Se, inoltre, ogni volta che da bambini o anche da grandicelli, dopo aver fatto una mancanza, avessimo chiesto perdono ai genitori o ai maestri e l'avessimo ottenuto, chi di noi sarebbe divenuto tollerabile da adulto?

Chi avrebbe imparato qualcosa di utile? I castighi dunque sono misure precauzionali e non già crudeltà.

Nell'attuale questione non cercare, per favore, d'ottenere se non ciò di cui sei pregato dai tuoi concittadini; ma prima considera tutto attentamente.

Se trascuri i fatti trascorsi, che, una volta accaduti, non possono non essere accaduti, guarda un po' all'avvenire.

Rifletti attentamente non a quel che desiderano coloro che ti pregano, ma a quel che può loro giovare.

Noi non diamo prova d'amarli fedelmente se badiamo solo a fare ciò che ci chiedono, per paura che, non facendolo, diminuisca il loro amore per noi.

E come va che pure gli autori della vostra letteratura tributano lodi al reggitore della patria che pensa più all'utilità del popolo che alla sua avidità?3

3.8 - Il cristiano castiga per emendare

"Non importa - tu dici - quale sia la specie del peccato, quando si chiede il perdono".

La tua affermazione sarebbe giusta, se si trattasse di punire e non di far emendare le persone.

È inammissibile che un vero Cristiano si lasci trascinare dalla smania di castigare alcuno solo per bramosia di vendetta, è inammissibile che nel perdonare un peccato un vero Cristiano o non prevenga la preghiera del supplice o non conceda immediatamente il perdono.

Così pure è inammissibile per un Cristiano odiare un'altra persona, rendere male per male, ardere dal desiderio d'arrecar danno, desiderare di godere della vendetta anche se reclamata dalla legge.

Con ciò però non si vuol dire che il Cristiano non debba punire, prender provvedimenti, impedire agli altri di far male.

Può darsi infatti che uno, per un'avversione troppo viva, trascuri d'adoperarsi per far emendare la persona verso cui nutre un odio troppo accanito, mentre un altro con una lieve molestia possa rendere migliore uno cui porta grandissimo affetto.

3.9 - Il vero e sincero pentimento

Sicuro, "il pentimento - come tu dici - ottiene il perdono e cancella la colpa", ma ciò è vero del pentimento che si compie nella vera religione e nasce dal pensiero del futuro giudizio di Dio; non quello che per un istante si mostra o di cui si fa mostra agli occhi degli uomini, non perché l'anima venga purificata per l'eternità dalla colpa, ma solo per allontanare la paura di qualche molestia da questa vita destinata presto a finire.

Ecco perché abbiamo creduto fruttuoso il dolore con cui era accompagnato il pentimento dei Cristiani, i quali hanno confessato e detestato la colpa, in cui erano implicati o per non esser corsi a difendere la chiesa, sul punto d'essere incendiata, o per aver portato via qualcosa da quello scelleratissimo saccheggio.

Abbiamo giudicato il loro dolore sufficiente al loro emendamento, perché hanno insita nel cuore la fede con cui sono capaci di considerare quale castigo dovrebbero temere nel giudizio di Dio.

Ma qual pentimento può guarire coloro, che non solo trascurano di riconoscere, ma non cessano di schernire e bestemmiare Dio, cioè la fonte stessa del perdono?

Ciononostante contro di essi non serbiamo rancore nel cuore, aperto e nudo agli occhi di Colui del quale nella vita presente e nella futura temiamo il giudizio e speriamo l'aiuto.

Pensiamo però di dover prendere qualche provvedimento anche per quelli che non temono Dio, caso mai temessero un castigo, non lesivo dei loro interessi, ma repressivo della loro perversione.

Con una tale misura miriamo a far sì che Dio, da essi disprezzato, non venga da loro offeso più gravemente con misfatti ancor più audaci, spinti da un senso di sicurezza e perché questa non venga proposta, in modo ancor più funesto, all'imitazione degli altri.

Infine, per coloro per i quali tu preghi, noi preghiamo Dio affinché li converta a sé e, purificandone il cuore con la fede, insegni loro a praticare la penitenza vera ed efficace per la salvezza.

3.10 - Il vero amore e il vero bene

Vedi quanto più ordinato, e più vantaggioso per essi, è l'amore che nutriamo più di te ( sia detto senza offenderti ) verso coloro contro cui, secondo te, siamo adirati: noi al contrario preghiamo per essi, affinché possano evitare mali peggiori e conseguire beni maggiori.

Se tu pure li amassi ispirato dalla grazia celeste ( ch'è dono di Dio ) e non già secondo l'usanza terrena degli uomini, e se tu mi rispondessi d'avere ascoltato volentieri la mia esortazione al culto del sommo Dio e alla pietà verso di lui, non solo desidereresti per loro questi beni, ma ve li condurresti tu stesso facendo loro da guida.

In tal modo la faccenda dell'istanza a noi indirizzata finirebbe con grande e sincera nostra gioia.

E così anche per i servigi resi alla patria terrena che t'ha dato i natali, con amore vero e religioso guadagneresti la patria celeste, che hai dichiarato d'aver conosciuto quando t'esortavo ad innalzare ad essa il tuo sguardo. 

In tal modo provvederesti davvero al bene dei tuoi concittadini al fine di far goder loro non falsi ed effimeri piaceri, né la funestissima impunità della colpa, ma la grazia della felicità eterna.

3.11 - Preporre agli interessi effimeri quelli eterni

Eccoti esposti, a proposito della nostra questione, i pensieri e i desideri del mio animo.

Che cosa poi sia nascosto nella decisione di Dio, confesso di non saperlo, in quanto sono uomo.

Ma qualunque sarà tale decisione, sarà senza dubbio più giusta, più saggia e più solidamente fondata e incomparabilmente più eccellente e superiore a tutti i disegni degli uomini.

È vero, in realtà, quanto si legge nei nostri Libri: Molti sono i progetti nel cuore dell'uomo, ma il decreto del Signore resta in eterno. ( Pr 19,21 )

Dio solo sa, quindi, mentre noi lo ignoriamo, che cosa ci arrecherà il tempo, quale facilità o difficoltà sorgerà davanti a noi, quale decisione infine potrà uscir fuori da un momento all'altro per emendare o sperare d'emendare i colpevoli.

Non sappiamo se Dio si sdegnerà per i misfatti compiuti, fino a castigare i colpevoli più severamente coll'impunità da essi reclamata oppure giudicherà di correggerli con la misericordia che a noi piacerebbe; non sappiamo neppure se, in seguito al loro ravvedimento ( preceduto da un castigo più severo ma più efficace per la loro salvezza ), Dio distolga da essi e rivolga in gioia ( non secondo la misericordia umana, ma secondo quella che gli è propria ) tutti i terribili provvedimenti repressivi preparati per essi.

Perché dunque stare ad affannarsi qui, prima del tempo, noi e l'Eccellenza tua?

Mettiamo un po' da parte la preoccupazione di ciò che per ora non è imminente e trattiamo, di grazia, di ciò che è sempre urgente.

Poiché non vi è tempo, in cui non sia opportuno e necessario agire in modo da piacere a Dio, anche se in questa vita non si può o forse è assai difficile compiere ciò alla perfezione, in modo che nell'uomo non rimanga più alcun peccato.

Rompendo quindi ogni indugio, cerchiamo rifugio nella grazia di Colui, al quale con tutta verità si può dire ciò che affermava d'aver appreso dalla Sibilla Cumana, come da un oracolo profetico, il poeta che, in un carme adulatorio scritto in onore di non so qual nobile personaggio, disse: Se rimangono ancora tracce del nostro delitto, sotto la tua guida sparendo del tutto, libereremo la terra dal continuo terrore.4

Sicuro, sotto la sua guida, dopo l'assoluzione e il perdono di tutti i peccati, per questa via s'arriva alla patria celeste, d'abitar nella quale hai pregustato tanto piacere allorché, secondo le mie forze, te ne mettevo in risalto la bellezza per fartela amare.

4.12 - La vera via per arrivare alla patria celeste

Hai poi affermato che tutte le leggi, per vie e sentieri diversi, tendono a detta patria.

Temo però che, mentre pensi che ad essa conduca pure la via per cui ora sei incamminato, forse tu sia pigro a dirigerti per quella che sola vi conduce.

Ma, d'altra parte, riflettendo bene al termine che tu usi per esprimere il tuo concetto, mi sembra di poter spiegare abilmente il tuo stesso pensiero.

In realtà non hai detto che tutte le leggi, per vie e sentieri diversi, cercano quella patria o la mostrano o la trovano o vi entrano o la raggiungono o un altro termine simile, ma dicendo "tendono" ad essa, con quel verbo ben pesato non hai espresso il fatto di raggiungere la patria, ma solo il desiderio di raggiungerla.

In tal modo non hai escluso la vera via né hai incluso quelle false: poiché è bensì vero che la via, la quale ad essa arriva, certamente vi tende, ma non che vi arrivi ogni via che vi tenda: ma è felice solo chi vi arriva.

Tutti, a dire il vero, vogliamo, cioè tendiamo ad essere felici, ma non tutti quelli che lo vogliamo, lo possiamo, ossia non tutti arriviamo a ciò a cui tendiamo, a cui aspiriamo.

Vi arriva solo chi segue la via per la quale non solo si tende alla felicità ma anche vi si arriva, lasciando andare gli altri sentieri che tendono bensì, ma non vi arrivano mai.

Non vi sarebbe infatti errore, se non si aspirasse ad alcuna verità o si possedesse già la verità cui si aspira.

Potrebbe darsi però che tu abbia detto che le vie sono diverse nel senso che non sono opposte tra loro, così come diciamo diversi i vari precetti, i quali però concorrono tutti a consolidare la vita virtuosa, alcuni sulla castità, altri sulla pazienza, altri sulla fede, altri sulla misericordia e tutti gli altri simili a questi.

In tal caso si può dire che alla patria beata non solo si tende, ma si arriva pure per vie e sentieri diversi.

In realtà anche nelle Sacre Scritture si parla di "via" e di "vie"; di "vie" come in questa espressione: Insegnerò le tue vie agli iniqui e gli empi si convertiranno a te; ( Sal 51,15 ) si parla invece di "via" nell'espressione: Conducimi nella tua via, o Signore, camminerò nella tua verità. ( Sal 86,11 )

Qui non c'è diversità tra "vie" e "via", perché sono un'unica via quelle di cui in un altro passo la medesima sacra Scrittura dice: Tutte le vie del Signore sono misericordia e verità. ( Sal 25,10 )

Se volessimo considerare attentamente tutte quelle espressioni, ci fornirebbero abbondante materia per discorrere e per darne la spiegazione con nostro sommo piacere. Se ce ne sarà bisogno, ne tratterò in un altro tempo.

4.13 - I peccati non sono tutti uguali

Orbene ( e credo che ciò basti a soddisfare l'obbligo assuntomi di rispondere all'Eccellenza tua ), dal momento che Cristo ha affermato: Sono io la via, ( Gv 14,6 ) in Lui occorre ricercare la misericordia e la verità; per evitare che, cercandole altrove, non ci sviamo seguendo una via che va verso la meta, ma non conduce ad essa.

Tale sarebbe la via, della quale hai ricordato l'asserto secondo cui tutti i peccati sono uguali.

Se volessimo seguire tale via, non ci farebbe forse andar vagando come esuli lontano dalla patria della verità e della felicità?

Orbene, che cosa può affermarsi di più assurdo e di più pazzesco che giudicare chi ride in modo un po' smodato, colpevole al pari di colui il quale compie l'orrendo misfatto d'incendiare la patria?

A dire il vero tu hai creduto, basandoti sull'opinione di certi filosofi, di dover seguire questa via che non è diversa e tuttavia tale da condurre alla patria celeste, ma totalmente perversa, che conduce a un dannosissimo errore.

E l'hai fatto non per una convinzione personale, ma per favorire la causa dei tuoi concittadini: vorresti che perdonassimo a dei barbari spietati che incendiarono la chiesa, come perdoneremmo se fossimo stati fatti segno a qualche sfacciato insulto.

4.14 - Tutte le colpe sono peccati ma non eguali

Ma considera il modo con cui affermi la tua opinione: "E se - tu dici - come pensano certi filosofi, tutti i peccati sono uguali, uguale per tutti dev'essere pure il perdono".

Poi dando l'impressione di voler dimostrare che tutti i peccati sono uguali, soggiungi: "Se uno parla un po' troppo sfacciatamente, commette un peccato, se uno lancia insolenze o calunnie, commette un uguale peccato".

Ora, questo non è dimostrare, ma asserire un'opinione errata senza addurre argomenti o prove.

Alla tua osservazione: "Commette un uguale peccato" si risponde subito: "Non commette un peccato uguale".

Esigi forse che te lo provi? Ma quale prova hai portato tu che l'uno ha commesso un peccato uguale al primo?

O si deve forse dar retta a quel che soggiungi: "Se uno ruba la roba altrui, anche questo è da annoverarsi tra i peccatori"?

A questo punto tu stesso hai provato vergogna, ti sei cioè vergognato d'affermare che quel tale abbia commesso un peccato uguale e perciò hai detto: "anche questo è da annoverarsi tra i peccati".

Ma qui non si discute se un'azione sia da annoverarsi tra i peccati, bensì se possa porsi sullo stesso piano dell'altra.

Se questi peccati sono uguali per il fatto che sono peccati l'uno e l'altro, allora saranno uguali pure i topi e gli elefanti, perché sono animali sia gli uni che gli altri: così pure saranno uguali le mosche e le aquile, perché hanno le ali le une e le altre.

4.15 - Gravi conseguenze della suddetta opinione

Tu, proseguendo ancora nelle congetture, dici: "Se uno viola luoghi sia profani che sacri, neppure lui dev'essere escluso dal perdono".

Qui naturalmente, parlando della violazione di luoghi sacri, sei arrivato al delitto dei tuoi concittadini, ma nemmeno tu stesso lo hai messo sullo stesso piano del parlare in modo sfacciato: ti sei limitato a chiedere per essi il perdono, che si può chiedere ragionevolmente ai Cristiani in virtù del loro largo spirito di compassione, non già in virtù dell'uguaglianza dei peccati.

Non a caso però ho citato più sopra l'espressione delle nostre Scritture: Tutte le vie del Signore sono misericordia e verità. ( Sal 25,10 )

Otterranno dunque la misericordia, se non odieranno la verità.

Ma essa è dovuta loro in virtù della legge cristiana non perché abbiano commesso un peccato uguale a quello che si commetterebbe parlando un po' troppo sfacciatamente, ma solo se si pentiranno dell'orribile ed empio loro misfatto.

Ti prego quindi, mio onorevolissimo signore, d'insegnare a seguire cotesti paradossi degli Stoici al tuo Paradosso, che ti auguro cresca nella vera religione e nella felicità.

Qual opinione più nociva  e più pericolosa potrebbe infatti professare un giovinetto bennato che quella di giudicare, non dico il parricidio, ma un insulto rivolto al padre, alla stessa stregua d'un insulto lanciato contro un qualunque estraneo?

4.16 - Mitezza cristiana e rigore stoico

Fai perciò bene a trattare con noi a favore dei tuoi concittadini e suggerirci la misericordia cristiana e non la severità stoica, che non solo non giova, ma pregiudica la causa da te assunta.

Se infatti non avessimo la misericordia, non potremmo venire dissuasi da nessuna tua istanza o da nessuna preghiera dei tuoi concittadini, mentre gli Stoici annoverano la misericordia tra i difetti e la vogliono del tutto esclusa dall'animo del sapiente, che vogliono assolutamente insensibile e inflessibile.

Sarebbe stato meglio perciò che ti fosse venuto in mente di citare il tuo Cicerone, che lodando Cesare gli dice: Nessuna delle tue virtù è più ammirevole e più gradevole della tua misericordia.5

Quanto più forte dev'essere questo sentimento nelle comunità dei fedeli dal momento che sono seguaci di Colui che disse: Sono io la via ( Gv 14,6 ) e leggono: Tutte le vie del Signore sono misericordia e verità. ( Sal 25,10 )

Non temere dunque che prepariamo la rovina degli innocenti, noi, i quali non vogliamo che subiscano il castigo meritato gli stessi colpevoli, poiché ce lo proibisce la misericordia che noi amiamo in Cristo, unita alla verità.

Chi però perdona o fomenta, col favorirli, i vizi per non rattristare l'animo dei peccatori, non è affatto misericordioso, come non lo è neppure chi non vuol togliere di mano a un ragazzo il coltello per non sentirlo lamentarsi, mentre non teme l'eventualità di piangerlo ferito od anche morto.

Riserva dunque a tempo più opportuno di trattare con noi a favore di persone, nell'amare le quali ( scusami se te lo dico ) non solo non ci precedi affatto, ma ci resti ancora indietro; rispondimi piuttosto che cosa ti trattiene dall'incamminarti sulla via che noi percorriamo, mentre insistiamo affinché tu possa camminare con noi alla volta della patria superna, di cui sappiamo e godiamo che tu provi piacere.

4.17 - Discrezione cristiana e crudeltà stoica

Hai detto pure che non tutti, ma solo alcuni dei concittadini della tua patria terrena sono innocenti, senza addurre alcuna prova, come avresti dovuto fare, se avessi ben riflettuto sul contenuto della mia lettera.

In essa infatti, rispondendo alla tua affermazione che desideri lasciare fiorente la tua patria, dicevo che di essi avevamo sperimentato non i fiori ma le spine; per questo hai creduto ch'io volessi far dello spirito: come se ne provassi piacere in mezzo a tante sciagure.

È proprio così, non si può dubitarne.

Fumano ancora le rovine della chiesa data alle fiamme e noi prendiamo pretesto per fare dello spirito?

Io, veramente, non incontrai lì degli innocenti se non tra gli assenti e tra le vittime di quelle sciagure o tra quelli che non avevano alcuna forza o autorità per impedirle.

Ciononostante nella mia risposta distinguevo i più dai meno colpevoli; dichiaravo espressamente diverso il caso di coloro che erano stati trattenuti dalla paura d'offendere i potenti nemici della Chiesa, da quello di coloro che avevano commesso volontariamente il male; così pure distinguevo dagli istigatori gli esecutori materiali del misfatto; dichiaravo di non voler trattare degli istigatori, poiché la loro colpa non potrebbe forse provarsi senza sottoporli a supplizi fisici, alieni dalla nostra linea di condotta.

I tuoi Stoici invece? Essi ammettono che tutti siano colpevoli nella stessa misura, dacché sostengono che tutti i peccati sono uguali.

Essi, inoltre, accoppiando a questa loro teoria la severità, per cui disprezzano la misericordia, non pensano affatto che sia da perdonare a tutti, ma che tutti siano da punirsi allo stesso modo.

Escludili dunque il più possibile dal patrocinare questa causa e desidera piuttosto che la trattiamo noi da Cristiani, affinché, come noi desideriamo, possiamo conquistare in Cristo coloro ai quali perdoniamo, e non già perdonarli per favorire una più dannosa dissolutezza.

Dio misericordioso e verace si degni concederti la vera felicità.

Indice

1 Cic., Philos. fragm. V, 102; AUG., Contra Iul. 4, 15, 76
2 Cic., Pro Sext. 24; cf. DIOGEN. 6, 46
3 Cic., Pro Sulla 8, 25
4 Verg., Ecl. 4, 13 s
5 Cic., Pro Q. Ligario 12, 37