7 Ottobre 1970

Su ogni critica corrosiva si affermi l'ordine morale cristiano

Una delle questioni fondamentali che investono tutta la vita umana, specialmente ai nostri giorni, è quella che riguarda i principi dell'azione, i criteri dell'ordine morale, la norma del fare; e la questione è così radicale che nella discussione problematica vi sono molti i quali si chiedono: esiste un ordine, una norma, una legge, che presiede, che prestabilisce, che obbliga l'uomo ad agire in una data maniera?

L'uomo non è libero?

La domanda diventa così incalzante e semplicista, che sembra equivalere a quest'altra: l'indifferenza morale, cioè l'anarchia non è, alla fine, la sua « legge »?

Questa e simili domande non se le pone soltanto il pensatore, che a furia di critica corrosiva, rinnegate le ragioni assolute del pensiero e dell'essere, è riuscito a demolire le basi d'ogni obbligazione morale, e ad abolire ogni così detta « repressione », accordando al suo alunno la licenza di tutto fare e di nulla fare, di vivere nella piena spontaneità degli istinti, se le pone intuitivamente non piccola parte della nuova generazione, e praticamente vi dà subito soluzione e applicazione con abituali atteggiamenti di contestazione, di ribellione, di rivoluzione, e con un'unica tendenza: cambiare, senza rendersi chiaramente conto né come, né perché.

Per poi: godere.

Quando S. Paolo, allora Saulo, fu folgorato alle porte di Damasco dall'improvvisa luce di Gesù celeste, due furono le sue interrogazioni: « Chi sei tu, o Signore? »; e: « che cosa vuoi che io faccia? » ( At 9,3-5 )

Noi chiamiamo questa scena prodigiosa la conversione di S. Paolo, destinato così a convertire il mondo al cristianesimo.

Notate i due punti interrogativi: la conoscenza di Cristo, la linea nuova d'azione.

Conosciuto Cristo, un imperativo bisogno, un comando di operare deriva immediatamente e logicamente.

Un cristiano è un uomo che agisce in conformità di questo suo essere, che ha un suo stile, che ha un suo disegno di vita, e, per di più, se veramente fedele alla sua vocazione cristiana, ha anche la forza, la grazia per attuarlo.

Gli insegnamenti del Concilio

Il Concilio, - perché ancora noi ci riferiamo a questo grande insegnamento, che la Chiesa ha provvidenzialmente esposto al nostro tempo -, ci richiama a questa restaurazione dell'operare umano: l'ordine morale cristiano ( Cfr. Inter mirifica, 6; Gaudium et spes, 87; ecc. ).

La formula è semplice, ma la realtà, a cui essa si riferisce, è assai complessa.

Implica una quantità di elementi, che fanno parte di un disegno organico di verità:

su Dio,

sull'uomo,

sulla rivelazione e la storia della salvezza;

e, più in particolare su l'esistenza d'una obbligazione morale, d'una responsabilità, d'un dovere, che impegna tutta la vita,

sulla legge

sull'autorità che la interpreta e la promulga,

sulla libertà,

sulla coscienza,

sulla legge naturale,

sulla grazia,

sul peccato,

sulla virtù,

sul merito,

sulla sanzione, ecc.

Se così è, la prima impressione è scoraggiante: troppo complicata questa concezione della morale cristiana!

È tutto un sistema: oggi si è facilmente contrari ai « sistemi ».

Nel campo pratico specialmente si desiderano idee semplici, formule chiare, parole elementari.

Questo sistema finisce nei codici voluminosi, pieni di proibizioni e di precetti, sbocca nella casistica, nel giuridismo.

L'uomo moderno vuole una morale moderna.

Questa è un'affermazione assai diffusa e assai importante.

È da meditare.

Da meditare, perché è vero che oggi abbiamo bisogno di riflettere sui problemi morali;

convalidare la nostra coscienza morale;

dobbiamo risalire ai principi per avere convinzioni sicure ed operanti;

dobbiamo vedere come i progressi delle scienze moderne, la psicologia specialmente, la medicina e la sociologia, entrano nel quadro della conoscenza dell'uomo, l'antropologia, dal quale quadro deriva la scienza dell'operare, cioè la morale,

dobbiamo vedere se tante forme dell'operare, tanti costumi, oggi siano ragionevoli, o no;

dobbiamo vedere come applicare i principi morali costanti ai bisogni nuovi e alle aspirazioni contingenti del tempo nostro.

Il Concilio desidera che siano perfezionati gli studi della teologia morale ( Optatam totius, 16 ).

Tendere alla semplificazione

E dobbiamo riflettere perché in questo campo della morale, sia teorico che pratico, vige una tendenza generale: semplificare.

Si potrebbero studiare i vari aspetti di questa semplificazione, i quali spesso si risolvono in mutilazioni dell'ordine morale, contrariamente all'antico e saggio adagio: bonum ex integra causa, il bene risulta dall'integrità delle sue componenti.

Una semplificazione assai di moda, ad esempio, è quella che riguarda la legge morale, quella positiva dapprima e poi quella naturale.

Vi è chi contesta perfino l'esistenza d'una legge naturale, stabile e obiettiva.

La liceità progressiva trionfa.

Dovremo esaminare se sia giustificata da ragionevoli aperture all'indole moderna questa liceità; se non contraddica a norme intangibili; se produca effetti buoni: « dai frutti conoscerete », insegna Gesù ( Mt 7,20 ); se cioè non cancelli la nozione del bene e del male; e se non tolga alla personalità umana il vigore del dominio di sé, del rispetto agli altri, della misura dovuta alla convivenza sociale; e poi se non dimentichi un criterio fondamentale del progresso, il quale non consiste sempre nell'abolizione delle norme operative, ma piuttosto nella scoperta di nuove norme, dalla cui osservanza deriva un vero progresso, una perfezione umana, come sono le norme che favoriscono la giustizia sociale, o quelle che impediscono certe degenerazioni morali, come la guerra, la poligamia, la violazione della parola data o dei trattati, ecc.

La liceità può degradarsi in licenza.

Il precetto più alto

Altra semplificazione è quella che sostiene doversi trarre la regola dell'agire solo dalla situazione.

Ne avrete sentito parlare.

Le circostanze, cioè la situazione, sono certamente un elemento che pone condizioni all'atto umano; ma questo non può prescindere da norme morali superiori e obiettive che la situazione dice se e come siano applicabili nel caso concreto.

Limitare il giudizio direttivo dell'agire alla situazione può significare la giustificazione dell'opportunismo, dell'incoerenza, della viltà; addio carattere, addio eroismo, addio, alla fine, vera legge morale.

L'esistenza dell'uomo non può dimenticare la sua essenza ( Cfr. l'istruzione del S. Offizio del 2 febbraio 1956, A.A.S., XLVIII (1956), pp. 144-145; Allocuzione di Pio XII, 18 aprile 1952, Discorsi, XIV, p. 69 ss. ).

Senza dire che la coscienza, a cui la morale della situazione si rifà, la coscienza, da sola, non illuminata da principi trascendenti e guidata da un magistero competente, non può essere arbitra infallibile della moralità dell'azione; è un occhio che ha bisogno di luce.

Potremmo continuare.

Ma preferiamo concludere con una consolante risposta al desiderio, pur legittimo, di trovare in una sintesi semplificatrice e comprensiva tutta la legge morale; è la risposta data da Cristo stesso a chi gli chiedeva quale fosse il precetto primo e più alto di tutta la legge divina, espressa in quella mosaica e dilatata in tutto il formalismo legale di quel tempo.

La conosciamo questa risposta che riassume in un duplice comandamento « tutta la legge ed i profeti », verticale l'uno, oggi diremmo, e fonte del secondo, orizzontale: ama Dio, ama il prossimo ( Mt 22,36ss ).

Ecco la sintesi, con tutte le implicanze, ecco il Vangelo; ecco la vita: « Fa' questo, e vivrai » ( Lc 10,28 ), concluderemo con Gesù.

Con la Nostra Apostolica Benedizione.