23 Giugno 1971

Il criterio dell'autenticità nella vita cristiana

Noi cerchiamo qualche orientamento generale per la nostra vita cristiana; e osserviamo come, soprattutto dopo il Concilio, molti uomini, giovani specialmente, siano desiderosi di dare alla loro condotta un criterio fortemente spiritualista.

Chiamano questo criterio autenticità.

Bisogna essere cristiani autentici.

Bellissima cosa, per sé.

Questa ispirazione porta subito ad una critica molto audace circa l'ambiente, l'abitudine, la società, che circondano la vita della nuova generazione, la quale scopre i difetti, le incoerenze, le ipocrisie, i disordini e le ingiustizie legalizzate, e si attesta in una posizione di distacco e di attacco, che oggi si chiama contestazione, e che in fondo nasconde un'esigenza morale non sempre riprovevole, anzi alcune volte giusta ed umana.

Responsabilità

Di qui un'altra corrente, anch'essa morale, rimette in esercizio il ricorso a quell'atto personalissimo, che si chiama la coscienza.

Pur troppo questo ricorso non è di tutti; ma noi guardiamo il fatto positivo di coloro che vogliono imprimere alla loro vita una linea morale sinceramente cristiana; e non possiamo non compiacerci che la coscienza personale acquisti una sua normale funzionalità, che dà alla condotta una sua dignità, ben meritevole d'essere incoraggiata.

Rinasce, in qualche misura, la simpatia per gli esempi classici degli eroi che hanno sacrificato la vita, piuttosto che tradire la loro coscienza.

E questo fiero contegno trova suffragio anche nel fatto ch'esso rispecchia, anzi realizza, talvolta fino al paradosso, la presenza operativa dell'uomo in se stesso, cioè l'affermazione interiore della sua libertà: la coscienza predispone l'uomo alla propria autodeterminazione, cioè alla esplicazione della sua libertà.

Anche questo atteggiamento è lodevole; esso educa l'uomo ad essere uomo.

Ma tanto la critica, come la coscienza, e come la libertà non possono umanamente realizzarsi senza la guida d'un lume interiore, quello della ragione, la quale, mediante un processo alcune volte istantaneo, altre volte lento e faticoso, immette nel processo morale un altro fattore indispensabile, cioè la obbligazione, il dovere, l'avvertenza d'un rapporto con un'esigenza, un imperativo, una legge, un ordine, interiore o esteriore che sia, che a sua volta, a ben guardare, rivela un riferimento ad un principio superiore e assoluto, il nostro bene, anzi il Bene per se stesso ed infinito, trascendente e immanente, cioè Dio.

L'azione umana acquista così il suo pieno significato morale; diventa pienamente responsabile; diventa buona o cattiva in ordine a questo polo estremo del vivere umano, verso il quale noi siamo essenzialmente, ma liberamente orientati.

Si sa che gli uomini d'oggi non spingono volentieri la loro riflessione fino a questo punto, perché non vogliono sentir parlare di santità, né di peccato, cioè dell'ultima e vera misura dell'agire umano, la quale postula questo confronto col metro supremo del nostro bene e del nostro male, ch'è appunto Iddio; e fanno ogni sforzo per contenere la sfera della responsabilità nell'orizzonte personale o sociale, a livello soltanto dell'uomo.

Spiritualità

Non così i cercatori dell'autenticità della vita cristiana, i quali oggi spesso si rifanno ad un altro ordine di considerazioni, verissimo questo, purché integrato nel contesto della piena realtà cristiana.

Dicono questi abili cercatori: bisogna vivere secondo lo Spirito.

Già ne abbiamo altra volta parlato, ma giova completare l'esame delle parole di S. Paolo: dobbiamo vivere guidati dallo Spirito ( Cfr. Gal 5,25 ), perché questo grande principio può condurli a conclusioni non rette; inammissibile l'una, quella che dovrebbe affrancarli dalla guida del magistero ecclesiastico, sia nell'interpretazione della Sacra Scrittura ( ecco il così detto « libero esame » ), sia nella sottrazione dall'obbedienza al governo pastorale della Chiesa, e dalla conformità alla comunione vissuta della società ecclesiale.

Ammettiamo dunque che la nostra vita cristiana deve essere modellata e ispirata da quella grande novità ch'è la grazia, cioè l'azione dello Spirito Santo nelle anime associate alla vita di Cristo.

È questo l'aspetto essenziale e caratteristico della « nuova legge », quella del Vangelo, che fluisce nella Chiesa.

Ascoltate queste parole di S. Tommaso, le quali sembreranno sorprendenti sulle labbra del grande Dottore scolastico: « la nuova legge consiste principalmente nella grazia dello Spirito Santo, scritta nei cuori dei fedeli …

La legge evangelica è la grazia stessa dello Spirito Santo … » ( I-II, 106, 1 e a. 2 ).

Discernimento

Pensate davvero quale novità, quale libertà, quale interiorità, quale spiritualità definiscono l'autenticità della vita cristiana.

Primo e, in un certo senso, unico dovere nostro: vivere in grazia di Dio; ch'e poi risolvibile nel sommo e riassuntivo precetto di Cristo: vivere nell'amore di Dio e del prossimo ( Mt 22,37 ).

Pensate: qui vivere non significa soltanto essere, ma anche agire: la nostra arte di vivere dovrebbe scaturire da questa reale e cosciente animazione, quella della presenza misteriosa beata ed operante di Dio in noi ( Cfr. Gv 14,23 ); una presenza ascoltata e interrogata dal cristiano fedele ed autentico, il quale può desumere la risposta illuminante e confortatrice dalle parole meditate della divina rivelazione ( Cfr. Dei Verbum, 7 ).

Quale ricchezza interiore, quale energia!

E non solo riservati questi doni alle anime contemplative, privilegiate certamente al convito della Parola del Signore ( Cfr. Lc 10,39 ), ma accessibili ad ogni cristiano in cerca di autenticità!

Dobbiamo forse schierarci con quei carismatici del nostro tempo, i quali pretendono di attingere la loro ispirazione operativa da qualche loro esperienza religiosa interiore?

Diciamo: prudenza.

Qui si apre uno dei più difficili e complessi capitoli della vita spirituale, quello del « discernimento degli spiriti ».

L'equivoco è molto facile in questo campo; l'illusione non meno.

Ce ne hanno parlato tanti maestri ( Cfr. S. Ignazio, Scaramelli, Card. Bona, ecc., cfr. D. Th. c. IV, 1375-1415 ); noi possiamo contentarci di rileggere il capitolo 54, al libro III, della sempre saggia Imitazione di Cristo, e possiamo umilmente imparare così a distinguere il linguaggio della grazia parlante dentro di noi.

Con la Nostra Benedizione Apostolica.