3 Luglio 1974

Esercitare con vigilante assiduità il giudizio sapiente e morale cristiano

Uno dei temi ricorrenti del pensiero cristiano nel tempo nostro è quello del rapporto fra la Chiesa e il mondo.

Ne abbiamo parlato anche noi tante volte.

E si spiega: da un lato la Chiesa afferma ed approfondisce la coscienza di sé; dall'altro lato il mondo, cioè la vita degli uomini, si evolve sempre di più, si trasforma e si organizza, e tende a raggiungere una concezione autonoma, autosufficiente, aliena da ogni relazione religiosa, si secolarizza in senso radicale e profano.

Che cosa avviene?

avviene che la Chiesa non trova più nel mondo la considerazione che le compete in virtù della sua essenza e della sua missione.

Donde può derivare uno stato di conflitto, ideologico e pratico, il quale potrebbe trovare una specie di tregua, un « alibi », nel principio della libertà religiosa.

Ma tante difficoltà restano nella definizione della sfera entro la quale la libertà religiosa possa esercitarsi, per il fatto specialmente che tale sfera è compenetrata in quella del mondo.

Limitiamoci ora a considerare questo problema sotto l'aspetto ideologico, che presenta all'uomo religioso una situazione molto complessa.

Facciamo il caso nostro, quello del cristiano, che avverte logicamente e profondamente le esigenze della sua fede, ed avverte insieme come a tali esigenze si opponga la mentalità, il costume, la filosofia teorica e pratica del mondo, nel quale il cristiano deve pur vivere.

Che cosa deve fare il cristiano in tale situazione?

straniarsi?

adattarsi?

rinunciare alle proprie riserve ideali e morali, e immergersi nel mondo con abdicazione permissiva, senza tenere conto né della coerenza con i propri principii religiosi e morali, né delle degradazioni speculative e pratiche in cui si svolge l'esistenza profana e mondana?

Tocchiamo uno dei problemi più complessi e più gravi della storia del cristianesimo, e specialmente della vita moderna.

Noi vogliamo pensare che nessun cristiano cosciente voglia tradire il suo impegno battesimale, che nessun fedele voglia essere infedele alla croce di Cristo, in virtù della quale deriva a noi la vera salvezza.

Nessuno vorrà, noi speriamo, « evacuare », come diceva S. Paolo ( 1 Cor 1,17 ), cioè rendere vana la croce di Cristo.

E allora, ripetiamo, che cosa dobbiamo fare?

Abbiamo certo sentito parlare della severità dei Santi circa i mali del mondo; è tuttora a molti familiare la lettura di libri ascetici circa il giudizio negativo globale della corruzione terrestre; ma è pur certo che noi ora viviamo in un clima spirituale diverso, invitati come siamo, specialmente dal recente Concilio, ad una visione ottimistica sul mondo moderno, sui suoi valori, sulle sue conquiste.

Possiamo guardare con amore, con simpatia all'umanità che studia, che lavora, soffre, progredisce; anzi siamo noi stessi invitati a favorire lo sviluppo civile del nostro tempo, come cittadini che desiderano associarsi allo sforzo comune per un migliore e più diffuso benessere di tutti.

La ormai celebre Costituzione Gaudium et Spes tutta ci conforta a questo nuovo ( si può dire ) atteggiamento spirituale.

Ma a due condizioni, che noi, tutto ora semplificando, ricordiamo.

La prima condizione è quella di mantenere una linea di demarcazione fra la vita cristiana e la vita profana.

Fra lo spirituale e il temporale non può esistere quella comunione, o meglio confusione d'interessi e di costumi, che l'antica concezione unitaria della cristianità rendeva più facile e abituale.

E quanto più il cristiano saprà mantenersi libero e povero rispetto al regno della terra, tanto più autentica sarà la sua personale qualifica religiosa, e più efficace anche sarà la sua azione per dare o ridare a certi aspetti della vita, naturale e sociale un loro valore spirituale e morale.

La seconda condizione di questa visione ottimistica è il perfezionamento critico del giudizio morale cristiano.

Ci bastino adesso alcune citazioni scritturali.

Non si può vivere alla cieca, guidati dalla passività, talora servile, all'opinione dominante, non sperimentata da una riflessione critica e responsabile: « Se un cieco, dice il Signore, fa da guida ad un cieco, entrambi finiranno nel fosso » ( Mt 15,14 ).

E S. Paolo ci avverte ( specialmente a riguardo dei carismatici ): « Non spegnete lo spirito.

Tenete in conto le profezie.

Ma tutto sottoponete ad esame, e ritenete ciò che è bene.

Astenetevi da ogni specie di male » ( 1 Ts 5,19-22 ).

« Esaminate tutto quello che è accetto al Signore » ( Ef 5,10 ).

« Non vogliate credere ad ogni spirito, ma provate gli spiriti, per accertarvi se sono da Dio » ( 1 Gv 4,1 ).

Eccetera ( Cfr. Gal 6,4 ).

Così che se oggi viviamo in clima di libertà pubblica e di responsabilità personale, avremo un accresciuto dovere d'esercitare il nostro proprio giudizio critico morale con vigilante assiduità.

Le tentazioni, o le occasioni di peccato, come le chiamano i maestri della scienza morale, sono oggi assai diffuse e aggressive; occorre sapersene difendere per virtù propria ( Cfr. Denz.-Schön. 2161, 2163; S. Alphonsi Theol. mor. VI, 454 ).

Bisogna sapersi immunizzare anche da sé, continuamente; altrimenti, come avvertiva S. Paolo, fin dai suoi tempi, si dovrebbe « uscire addirittura dal mondo » ( 1 Cor 5,10 ).

E allenati da questa autodisciplina potremo vivere nel nostro mondo, sapendo « ripudiare il male e aderire al bene » ( Rm 12,9 ), traendo cioè da questa posizione dialettica da un lato la nostra fedeltà a Cristo crocifisso, e dall'altro la nostra ammirata e generosa attitudine a vivere in sapiente pienezza l'ora moderna.

Con la nostra Benedizione Apostolica.