14 Agosto 1974

Il primario dovere in chi vuole ed attua il Vangelo

In questo breve incontro con i nostri visitatori noi proponiamo alla loro riflessione una domanda: la vita cristiana è facile?

La domanda sembra semplice, ma osserviamo subito che per presentarsi correttamente deve formularsi in forma deontologica, cioè: la vita cristiana deve essere facile, o no?

Oggi la gente vuole tutto facile; perché non dovrebbe esserlo la religione?

Diciamo poi vita cristiana pensando alla sua espressione autentica, a quella che corrisponde all'esigenza propria d'un seguace di Cristo, cioè di chi col battesimo ha accettato la somma fortuna della nuova vita da Cristo conferita e da Cristo promessa.

Semplice la domanda, non semplice la risposta.

La quale sembra doversi formulare in senso positivo.

Per due ordini di ragioni.

Il primo è niente meno che teologico e denso di molti significati: la vita cristiana non è forse la nostra salvezza?

e la salvezza non è dono immenso e gratuito di Dio Padre, mediante Cristo Redentore, nello Spirito Santo?

e non comporta questo dono stesso la grazia per corrispondere alle condizioni, che sono pur requisite affinché la salvezza ci sia attribuita, come la fede e le buone opere?

E di più il cristianesimo non si presenta a noi come una liberazione dalla pesante e complicata osservanza della Legge antica, e come un disegno di bontà e di misericordia, che gli umili, i deboli, i piccoli sono destinati a far proprio?

dunque la vita cristiana non è un programma difficile.

Anzi non è forse la vita cristiana tutta penetrata dalla carità, una carità irradiante su ogni umana necessità, col risultato sempre ed efficacemente perseguito di riparare ogni male umano, l'ingiustizia, il dolore, l'insufficienza?

Essa deve quindi togliere le opposizioni ed i limiti, che rendono dura e affannosa l'umana esistenza, e distendere sovra di essa il balsamo del conforto e della speranza.

Non è il cristianesimo una religione umana, popolare, accessibile a tutti?

Poi ancora: la linea caratteristica della vita cristiana, segnata dal recente Concilio, non è piuttosto diretta verso la comprensione dei suoi valori interiori e spirituali, che non verso le espressioni esteriori e canoniche, se pur queste sono necessarie? ( Cfr. Mt 23 )

Tutto vero.

E siamo noi stessi desiderosi e felici, che sia oggi apprezzato questo aspetto essenziale della vita cristiana, ripetendo la parola dolcissima di Gesù: « Il mio giogo è soave, ed il mio peso è leggero ».

Dovremo tuttavia integrarla, affinché la facilità della stessa vita cristiana non sia fraintesa.

Infatti il secondo ordine di ragioni, che milita per la facilità della religione, se da un lato è da accogliere, anzi da promuovere, come quando coincide col progresso moderno e con i suoi prodigiosi strumenti e meravigliosi servizi rivolti a diminuire, fino a togliere lo sforzo e la fatica dell'attività umana, da un altro lato è da considerare con grande vigilanza e con saggia critica, quando dimentica che la condizione umana, diciamo subito: a causa del peccato originale, non è normale, non è sana, non è perfetta; e questa dimenticanza porta a sopprimere dalla formazione dell'uomo buono e giusto e pio, sia esso un fanciullo, o sia un adulto maturo, quella pedagogia morale e spirituale, che si chiama l'ascetica.

Che cosa è l'ascetica?

è l'esercizio faticoso e perseverante di quella padronanza di sé ( « encrateia » di Socrate ), che frena la spontanea e disordinata inclinazione a vivere d'istinto e di passione ( cioè pseudo-liberamente ), sia nel campo della vita animale, sia in quello delle facoltà superiori, del pensiero e del volere.

È lo sforzo della perfezione personale; la quale, per noi credenti, dev'essere concepita secondo la fede: « i seguaci di Cristo Gesù, scrive San Paolo, hanno crocifisso ( cioè mortificato, dominato ) la carne con le sue passioni e le sue concupiscenze » ( Gal 5,24; cfr. Rm 11,20; Rm 12,3; etc. ).

L'ascetica non è per sé contro l'uomo, la sua libertà, la sua vitalità; è ordinata allo sviluppo della personalità, di tipo cristiano.

Sì, può essere difficile, come una ginnastica ( 1 Cor 9,24 ), una milizia ( 2 Cor 10,3 ), uno sport ( 1 Cor 9,25 ), un allenamento alla virtù, a grande virtù ( Cfr. S. TH. II-IIæ, 184, 7, ad 1 ), per fare l'uomo forte, austero, teso verso l'imitazione di Cristo, il servizio del prossimo, l'unione con Dio.

Oggi, sappiamo, questa robustezza morale non è di moda.

Il naturalismo capzioso di Rousseau ritorna a fare scuola, le filosofie amorali sembrano preferibili, la permissività guadagna il pubblico costume, la spontaneità degli istinti sembra una pienezza di vita.

Il tema meriterebbe maggiore commento.

Ma basti qui a noi ricordare che la vita cristiana è esigente; qualche volta davvero non è facile!

La parola di Cristo c'incalza: « Chi vuol venire al mio seguito, rinunzi a se stesso, e prenda la sua croce e mi segua.

Perché chi vorrà salvare la propria vita la perderà; chi invece avrà perduto la sua vita per amor mio la ritroverà » ( Mt 16,24-25 ).

Non si può togliere dal programma della vita cristiana il sacrificio, la croce.

Ma allora come può essere facile la vita cristiana?

Vi è un mezzo: ed è il senso del dovere, nel senso pieno e forte di questa sacra parola.

Ma come può essere, a sua volta, facile il dovere?

Ecco allora il segreto evangelico: può essere facile se esso, il dovere, coincide con l'amore, e specialmente con l'amore soprannaturale, che si chiama carità: « la carità di Cristo ci costringe » ( 2 Cor 5,14 ); « ogni cosa io posso, conclude l'Apostolo, in Colui che mi dà forza » ( Fil 4,13 ); così « sovrabbondo di gioia in ogni tribolazione » ( 2 Cor 7,4 ).

E così possiamo anche noi concludere: la vita cristiana, se sempre non è facile, sempre può essere felice.

Fatene l'esperienza, Fratelli e Figli carissimi, con la nostra Apostolica Benedizione.