Coerenza delle verità e della Verità

B281-A12

Vito Moccia

Nella rubrica "Lettere" de La Stampa del 7 novembre scorso, è stato pubblicato lo scritto di Sergio Martella di Padova, dell'Associazione atei e agnostici, intitolato "Una Chiesa coerente nega la pena di morte", in cui dichiarandosi che l'insegnamento della Chiesa sarebbe "l'ultimo arrivato in tema di diritti dell'uomo", si denuncia la pretesa incoerenza del Papa che, sostenendo con forza il rispetto della vita sin dal grembo materno e l'abolizione della pena di morte, poi giustifica nel Catechismo della Chiesa Cattolica tale pena in casi di estrema gravità.

Non solo, ma il Papa ha beatificato Pio IX, che avendo applicato la pena di morte "contro i patrioti Monti e Tognetti, il 24 novembre 1868" sarebbe "un assassino".

Provo a tracciare alcune riflessioni di replica.

1. La morale di tutti i tempi e di tutti i luoghi, e conseguentemente la disciplina giuridica, riconoscono, tra le cause di giustificazione dell'uccisione, la legittima difesa e lo stato di necessità.

Mi pare chiaro che il citato articolo del Catechismo, con l'espressione "estrema gravità", vada innestato nella legittimazione delle suddette cause, quando la parte lesa sia la collettività.

Certo che la stessa legittima difesa può essere superata dall'eroismo, ed in questo l'esempio ci viene da Gesù Crocifisso, che ha dichiarato non esserci amore più grande di chi dà la vita per gli altri.

E questo quando non si aveva neppure nozione di cosa fossero i diritti umani,che hanno fondamento, certo e rivelato da Dio, nel suo insegnamento.

2. Nessuno si è mai sognato di definire "assassino" un capo di stato perché i suoi tribunali hanno inflitto la pena capitale.

E Pio IX, oltre che Pontefice, era capo di stato. Certo la nostra sensibilità odierna si sarebbe aspettato un atto di clemenza - al di là delle valutazioni, tuttora aperte, su quella drammatica e complessa vicenda che portò alla suddetta condanna - esaminando le cose nella situazione attuale, in cui provvidenzialmente la Santa Sede si è liberata dal peso del potere temporale, pur mantenendo la sua autonomia giuridica.

Peraltro la storia ci insegna che la Chiesa è stata gravata di tale potere per sopperire al vuoto culturale e di governo succeduto alla caduta dell'Impero Romano e alle invasioni barbariche.

Ma non necessariamente la Chiesa, come ente di governo temporale, doveva sempre esprimere quella carica profetica e carismatica che le è propria, come "Regno non di questo mondo".

3. Il discorso sulla coerenza mi induce ad un'ultima riflessione.

Quanto argomentato in tale lettera, sulla pretesa incoerenza della Chiesa, presuppone una fiducia nell'intelligenza umana, nel pensiero dell'uomo, che appunto, per essere in grado di rilevare incoerenze e contraddizioni, deve necessariamente avere come modello primigenio e originario il concetto di verità.

La verità esiste dunque, come rispondenza alla realtà o, per usare un linguaggio più rigoroso, come manifestazione di ciò che esiste.

E la verità è necessariamente appartenenza di una mente, perché senza una mente che riconosca la verità, non solo non ci sarebbe la verità, ma non ci sarebbe neppure la conoscenza di ciò che esiste e della sua storia.

Ora mi domando se l'esigenza di verità formulata da un ambiente di atei e di agnostici non possa portare ad una riflessione su una coerenza ben più radicale, quella di riconoscere che senza una Mente suprema, la verità, l'universo, l'uomo, la storia sono inconcepibili.