Questioni attuali: Le convivenze di fatto  

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Vito Moccia

"Dal dì che nozze e tribunali ed are / diero alle umane belve esser pietose / di sé stesse e d'altrui": così nel carme "I sepolcri" il poeta Ugo Foscolo, uno degli spiriti giacobini che certamente ha concorso nell'Ottocento a porre le premesse di quel processo di secolarizzazione che stiamo vivendo, dichiarava il matrimonio come uno dei cardini della civiltà.

Non sembrano di quest'avviso coloro che ravvisano nei patti civili di solidarietà ( Pacs, cioè la disciplina con effetti legali delle convivenze di fatto, anche tra persone dello stesso sesso ) una delle espressioni della odierna civiltà, contro cui si scatenerebbero "gli istinti peggiori" da parte degli oppositori all'introduzione in Italia di tali patti.

Così si esprime Riccardo Barenghi su "La Stampa" del 13 settembre u.sc.

E la motivazione di questa nuova manifestazione di civiltà sarebbe l'uguaglianza dei diritti.

Forse ci si dimentica che perché ci sia uguaglianza di diritti occorre ci sia uguaglianza delle situazioni raffrontate: almeno così insegnava Francesco Ruffini, sul cui profondo liberalismo penso nessuno sollevi dubbi.

Ed altresì non si tiene conto che perché si parli di diritti, occorre che l'interesse tutelato sia lecito.

Ora anche sulla liceità, o meno, di un comportamento ritengo ci possano essere punti indiscussi, come il principio kantiano dell'operare in modo tale che il comportamento seguito possa essere legge universale ( anche per Kant non sorgono dubbi sulla sua laicità, essendo una delle fonti del relativismo contemporaneo ): conseguentemente dovrebbe essere consentito per lo meno dubitare se certe situazioni che verrebbero riconosciute dai Pacs siano idonee a valere come legge universale, o se l'atteggiamento di chi rifiuta l'istituto civile del matrimonio, ma poi ne pretenda gli effetti civili, debba essere assunto a modello di coerenza.

Non risulterebbero quindi legittime le riserve di coloro che intravedono nei Pacs una sorta di mini-matrimonio che in definitiva verrebbe a minare l'istituto della famiglia, o questi resterebbero pur sempre attentatori di pretese nuove civiltà?

Ma la dose della deplorazione viene rincarata da Gian Enrico Rusconi che il giorno dopo, sempre su "La Stampa", dichiara, tra l'altro, che il voler fare derivare solo dal matrimonio i rapporti familiari secondo la concezione della Chiesa ( e la Costituzione, aggiungo sommessamente ) sarebbe una visione particolare e neppure semplicemente tradizionale, anche se riciclata in virtù di una insana laicità.

Francamente non pensavo che il Cristianesimo, gratificando l'umanità dei valori di "persona", di "libertà" ( "La verità vi farà liberi": Gv 8,32 ), di "fratellanza", di "perdono", in definitiva di "amore", si impegolasse proprio su una delle manifestazioni più singolari dell'amore, quello coniugale, dandone una nozione circoscritta e temporale!

Eppure "essere due in una sola carne" è riferito da Gesù "sin dal principio", cioè come norma perenne e universale ( Mt 19,4 ).

Mi rendo conto che per coloro che giudicano un semplice anagramma il silenzio eloquente di Gesù a Pilato, significante: EST VIR QUI ADEST ( è l'uomo che ti sta dinanzi ), alla domanda di questi: QUID EST VERITAS? ( "Che cosa è la verità?": Gv 18,38 ), le parole di Gesù sull'amore coniugale non abbiano un carattere liberante, ma per lo meno dovrebbero rivestire un carattere sapienziale a cui se mai confrontare altre concezioni, e non viceversa esserne condizionate.

In ogni caso la Chiesa deve darne l'annuncio e farne testimonianza, "intervenendo opportunamente e importunamente", come dichiara l'Apostolo del dialogo con i Gentili ( 2 Tm 4,2 ).

Nessuno mette in discussione le modalità di formazione delle leggi proprie di uno Stato democratico, ma neppure si può sostenere che l'etica pubblica sia la risultante degli "stili di vita dei cittadini".

Si dimentica che le leggi sono, o dovrebbero essere, modelli di comportamento.

In caso contrario in molte parti del mondo dovrebbero essere eliminati quanto meno i reati di frode e di falsa testimonianza: queste mi pare siano evidenze di fatto.

Peraltro il Rusconi nega l'evidenza di una pretesa lacerazione della famiglia paventata in conseguenza della disciplina dei Pacs.

Su quali fatti si basi è difficile congetturarlo, specie da parte di chi abbia esperienza quotidiana nella scuola con i figli delle famiglie disastrate, pur nella "civilissima" epoca del divorzio e dell'aborto, e in conformità a quanto vige nei "civilissimi" Paesi europei.