Amore o disamore: quale avvenire?

B295-A4

Conferenza di mons. Giuseppe Pollano

A presentazione del suo libro " La Chiesa è carità ", tenutasi il 28 marzo u.sc. nel salone fr. Teodoreto presso la Casa di Carità Arti e Mestieri di Torino, a cura del Centro Toniolo

Nel precedente bollettino abbiamo già illustrato il libro " La Chiesa è carità " di G.Pollano, riportandone alcuni squarci.

Siamo lieti di pubblicarne ora la sintesi, a cura dello stesso Autore, offrendo in tal modo ai nostri lettori un ulteriore incentivo per una più ampia conoscenza di tale opuscolo, stringato ma densissimo di contenuti, che tanto può motivarci ad operare per l'avvento della civiltà dell'amore.

. Sguardo storico. "Il secolo di Caino".

Il titolo di questa conferenza non è una domanda ipotetica, ma è una domanda molto responsabilizzante, quasi retorica: l'avvenire dell'amore è possibile, e per di più è nostro impegno di cristiani.

Ma la domanda si pone perché nasce da uno sguardo storico, di cui siamo stati protagonisti o spettatori, sul secolo scorso, definito da Giovanni Paolo II: " Il secolo di Caino ", dell'uomo ucciso, quindi dell'uomo uccisore.

Una terribile definizione, così come quella di "secolo innominabile ", per tutto ciò che è accaduto e che sarebbe meglio dimenticare, non per leggerezza, ma per guardare avanti con speranza che si rinnova.

Si potrebbero moltiplicare queste definizioni negative di un tempo che pure ha conosciuto i più grandi progressi tecnici dell'umanità.

Si attribuisce a Stalin questa affermazione: " Una morte è una tragedia, un milione di morti è una statistica ".

Un'affermazione piena di cinismo ma anche di realismo; infatti noi oggi i morti li contiamo a milioni, addebitandoli all'una o all'altra delle grandi idee e correnti politiche del secolo scorso.

La situazione è dunque estremamente tragica dal punto di vista di ciò che degli uomini hanno saputo fare ad altri uomini.

Questo non ci può lasciare in pace, ma non basta deplorarlo: occorre che ci sentiamo mobilitati da questo immenso " segno dei tempi ", come lo chiamerebbe il Concilio.

Dobbiamo domandarci: continueremo così?

2. La regola d'oro

Proviamo a porci questo interrogativo: Che cosa sarebbe successo a livello personale, familiare, sociale, nazionale, internazionale se si fosse applicata quella che Paul Ricoeur, un grande filosofo del secolo scorso, ha chiamato " la regola d'oro ", e che non è altro che il Vangelo: " Ciò che volete che facciano a voi gli altri, fatelo anche voi "?

Quanta storia diversa se al momento giusto, guardando negli occhi l'altro, e ricordando che era una persona umana come noi, avessimo applicato la regola d'oro!

Anche nel piccolo vissuto quotidiano vale lo stesso principio: nella vita a due o, in quella a milioni, è l'unica regola capace di risolvere, nel miglior modo possibile su questa terra, la nostra convivenza.

Questa regola d'oro non è di per sé immediatamente applicabile, anzi non è neppure compatibile con i generi di conoscenza che oggi dominano la nostra cultura: l'economico, in primo luogo, e quello politico.

Né l'economia né la politica, prima di tutto come interpretazioni dell'uomo, potrebbero accettare questo principio.

La politica perché, secondo i politologi più attenti, oggi essa è in posizione tale da esigere sempre il nemico: gli altri sono o amici o nemici.

L'economia perché degrada la persona dell'altro a una cosa che ha un prezzo e un valore: " l'altro è una merce " non è un'affermazione marxiana, ma è ormai generalissima.

3. Non c'è rimedio mondano al disamore

In modo immediato, quindi, questa regola è destinata a rimanere estranea al vissuto di oggi.

Siamo in un clima di disamore, cioè mancante di quell'amore sufficiente a farci vivere in modo umano.

E questo si può trovare nel cuore di una famiglia come nel cuore di una società.

Non c'è luogo in cui il disamore non possa insinuarsi a rovinare la vita d'insieme.

Dobbiamo affermare senza pessimismo, anche se con realismo negativo, che rimedio mondano al disamore non c'è.

Infatti la limitatezza creaturale tocca anche l'amore di benevolenza, che soggiace alla misura di Protagora ( V° sec. A. C. ): " L'uomo è misura di tutte le cose, quelle che sono per ciò che sono, quello che non sono per ciò che non sono ".

Misuriamo così con un brivido la distanza tra quello che siamo e quello che siamo chiamati ad essere.

4. Il rimedio al disamore è l'Incarnazione

La soluzione a tale cruciale situazione è stata introdotta con l'Incarnazione di Dio, che è Carità, nel suo Verbo, Gesù Cristo.

Ci è stata partecipata in Lui la realtà che Dio è relazione di Amore ( Gv 1,1 ).

In modo specifico Gesù ha dichiarato: " Come Tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi uno in noi ". ( Gv 17,21 ).

Portatrice e responsabile di tale evento straordinario è la Chiesa, o Popolo di Dio, il cui cuore è " trasformato dalla forza dello Spirito Santo ". ( Deus Caritas, 19 ).

5. Il Popolo di Dio chiamato ad annunciare e vivere la Carità

Introduciamo questo punto con un passo della Lumen Gentium: " È piaciuto a Dio salvarci non individualmente ma come popolo ".

Dunque non ci bastano i Santi, i quali sono stati campioni nell'amore: la Chiesa non è i suoi Santi, bensì i santi che siamo noi.

E questo può sfuggirci essendo abituati a considerare i Santi come un'aristocrazia spirituale, cui guardiamo con ammirazione, a cui ci rivolgiamo con devozione e di cui consideriamo soprattutto la distanza da noi.

Una delle espressioni ricorrenti, quando si richiamano i cristiani a questa verità, è: " Ma io non sono mica un santo! ".

Procuriamo di non pensarla e di non dirla mai: è un grande errore teologico e può essere segno di una grande viltà interiore, di una rinunzia alla vocazione cristiana.

La Chiesa è dunque responsabile perché, come ci ha detto il Papa nell'Enciclica, questo Popolo è trasformato dalla forza dello Spirito Santo.

Abbiamo visto molti popoli trasformati da uno spirito umano, che li rendeva entusiasti, fanatici, fino a morire.

Quando Berlino era ormai assediata e la sua caduta era questione di pochi mesi, ci fu un ultimo, grande richiamo di Hitler alla gioventù tedesca, i sedici - diciassettenni, che andarono volentieri a morire per il Fuhrer.

Da ciò emerge che ci sono entusiasmi umani terribilmente distruttivi.

Riteniamo per contro che un Popolo di Dio, animato dallo Spirito stesso di Dio, sia in confronto più placido, più sbiadito, più mediocre?

Ecco il punto della nostra riflessione attuale.

Dobbiamo tutti insieme accettare questa domanda.

Ma allora: quanto siamo consapevoli di questo mandato?

Quanto la teologia della Bibbia, la Rivelazione di Dio, la presenza di Gesù e del suo Spirito ci motivano che noi siamo i protagonisti di questa avventura di Dio: la Carità venuta in terra?

6. La carità, principio esclusivo della Chiesa

Nel 1987 ci fu uno dei Congressi dell'Associazione Teologica Italiana.

Il tema era: " La Chiesa e la carità ", dunque attualissimo.

Ma uno dei teologi, nella sua trattazione, pose questa domanda: " E se dovessimo porre la carità come principio esclusivo e assolutamente determinante di tutta l'esistenza ecclesiale? ".

È una scoperta, un'ipotesi? In realtà è un interrogativo bellissimo, ma tremendamente ritardatario: il fatto che venga posta questa domanda vuol dire che non è esattamente quello che abbiamo fatto.

Nel 1995 ci fu il III Convegno della Chiesa italiana, quello di Palermo, e il tema era: " Il Vangelo della carità per una nuova società italiana ".

Era il tentativo di far entrare la carità nella vita di tutti, grazie alla presenza dei cristiani.

Non è accaduto ancora.

La Chiesa ha acquisito recentemente questa sensibilità: il grido vero, forte, ineludibile l'abbiamo avuto due anni fa con la " Deus caritas est ".

Per la prima volta nella storia delle encicliche e di tutto il magistero petrino, è stato detto in modo esplicito che Dio è amore, e che occorre regolarsi, per essere Chiesa, su Dio Amore.

Ci siamo molto meravigliati quando Paolo VI andò, per la prima volta nella storia dei Papi, in Palestina, ma c'è molto più da meravigliarsi per il fatto che un Papa abbia affermato in modo esplicito, non sottintendendolo più, che Dio è amore.

È un grido magisteriale importante perché una prima enciclica è sempre anche programmatica.

7. Consapevolezza dell'impegno per la carità

Allora la Chiesa è pienamente impegnata.

Non possiamo dire che questa Enciclica a tutt'oggi abbia avuto una grande risonanza: non notiamo molti segni di risveglio, ma l'Enciclica è stata scritta, il Papa è vicario di Cristo, dice quello che Cristo vuol dire alla Chiesa, tanto più se parla di amore.

È ancor tutto quasi da fare, la questione ecclesiologica è centrale, la sua soluzione urgentissima per come la storia sta andando, perché il terzo millennio non è cominciato molto meglio quanto a morti, a statistiche e a tragicità della storia.

Nel libro " La Chiesa è carità " sono esposti i punti essenziali di questa ripresa di coscienza.

8. La carità, essenza di Dio

Il Papa prima di tutto, con molta forza, ci richiama semplicemente al fatto che Dio è carità.

Se ci intervistassero in strada domandandoci: " Chi è Dio? ", non è detto che la risposta sarebbe: " Dio è carità ".

È talmente essenziale e stupenda questa rivelazione - perché il segreto di Dio è qui - che qualche volta non riusciamo a farla trapelare, ci sfugge.

Ma se noi, popolo di Dio Carità, non sappiamo con spontaneità e prontezza rispondere: " Dio è agape ", abbiamo ancora molto da imparare.

Non ci stiamo riferendo a qualche aspetto marginale del catechismo, ma all'essenza di Dio, perciò del cristianesimo.

Il Papa dunque ci ha richiamati all'essenza di Dio, perché sa quanto ci è facile dimenticarlo.

Non più un Dio soprattutto metafisico, filosofico.

Ad esempio, una risposta tipo " Dio è l'Assoluto, è il Tutto ", sarebbe senza dubbio giusta, ma troppo filosofica.

Per molti poi il concetto è così vago che, posti di fronte alla domanda diretta, resterebbero imbarazzati e forse direbbero di rivolgersi a un prete.

Ma chissà se tutti i preti risponderebbero: " Dio è agape ".

Il Papa ha voluto dirci: " Popolo di Dio, ricorda chi è il tuo Dio!".

Il primo capitoletto di " La Chiesa è carità " esprime un bisogno di riflessione profonda: ci siamo dimenticati troppo di chi è Dio.

9. Percepire la realtà di Dio e farne trasparire l'amore.

Poi il discorso prosegue: questo Dio che è amore è Dio, cioè esiste, è vero, è più vero di noi.

Il suo realismo è più forte del nostro: io sono creatura di questo Dio, Egli è il mio Dio.

Ma, se prendo sul serio questo rapporto di realtà, allora la realtà di Dio " pesa " su di me, esercita una pressione, mi fa sentire la sua grandezza.

Questo comincia ad essere il realismo di quando una presenza conta, non è più una vaga idea.

Invece, a volte, è il realismo dell'esistenza a pesare su di noi in modo tale che quello di Dio si attenua: c'è una sproporzione di cui siamo tutti abbastanza malati.

Il Papa vuole che da un Popolo che sente questa pressione di Dio Amore traspaia l'amore come da un cristallo traspare la luce.

E non è concetto eccessivo, anche se siamo tutti allo stato nascente rispetto a questa realtà, la acquisiamo a poco a poco.

Ma il Papa sarebbe già contento se accettassimo questa realtà con fede, umiltà e impegno.

10. Rieducarci a Dio Amore, in conversione

Si tratta di ricordare e di rieducarci a Dio Amore.

Infatti anche la nostra breve storia autobiografica ci porta a riconoscere, senza farne colpa a nessuno, che non proprio così siamo stati educati.

Ci hanno certo parlato dell'amore di Dio, ma non ce l'hanno presentato come l'essenziale.

" Tu crescerai per amare Dio che ti ama ": fosse vero che tutti i papà e le mamme l'abbiano ripetutamente sussurrato ai loro piccoli!

Il catechismo, che ci è stato insegnato, spesso è stato più generico, più teorico: c'era anche l'affermazione che Dio è amore, ma non era la verità che emergeva.

Quando un'Enciclica del Papa ci richiama, non possiamo più sottovalutare l'impegno, che diventa culturale, crea una mentalità dentro di noi.

Si tratta di ripensare la propria personalità, di rifarsi un poco una vita.

I Santi ci servono in questo come icone e modelli: in questi cristiani e cristiane, che sono semplicemente veri, vediamo una personalità completamente trasformata da Dio Carità, essi sono spinti da Dio Carità, come dice Paolo nella lettera ai Galati. ( Gal 5,13-26 )

11. Essere esperti di Dio Amore

Questo significa ricominciare a valutare Dio cominciando da Lui.

È davvero strano, teoricamente parlando, che un Popolo di Dio non sia esperto di Dio Amore: siamo esperti di usi e costumi italiani, delle nostre culture europee, e così via dicendo, mentre, pur essendo Popolo di Dio, che pertanto gli apparteniamo, sovente non siamo esperti di Lui.

Paolo VI all'ONU parlò della Chiesa " esperta di umanità ": verissimo, ma non è solo questo.

Dobbiamo avere il coraggio di dire: " La Chiesa esperta di Dio Carità ", e questo oggi - umilmente riconosciamolo - nessuno ha il coraggio di dirlo.

È molto triste questa affermazione, ma è vera.

Essere esperti di Dio Amore: allora, e soltanto allora, la carità diventa una storia diversa, una Storia dentro la storia di tutti.

L'uomo e la donna che credono in Dio evidentemente fanno una storia diversa.

12. La carità che si fa " storia "

Il secolo XX è stato anche giustamente definito il periodo che, dopo i primi tre secoli, ha avuto più martiri.

Martiri per amore di Dio, a cui non hanno rinunciato, e molto spesso anche per amore del prossimo, a cui sono rimasti fedeli a qualunque costo e, come martiri, a costo della vita.

Ecco il significato di una vita guidata dall'amore di Dio, che porta a costruire una storia diversa.

Nel concreto teniamo presente che, prima che uccidessero quella suora o quel laico o quella laica, quante storie di persone sono state modificate in meglio, quante lacrime asciugate, quante malattie guarite, quante anime illuminate dalla fede!

Una storia meravigliosa: la storia dell'Amore che salva.

E Dio non ci salva senza di noi: siamo Chiesa, siamo il corpo di Cristo, tralci della Vite, ma tralci che hanno dentro una linfa che si chiama Amore.

Nel 1995, al citato convegno di Palermo, il card. Saldarini fu incaricato dell'introduzione, e affermò un'importante verità: " Non bisogna più che la carità cristiana sia soltanto l'infermiera che si china sulle piaghe umane: occorre che diventi l'anima di una storia viva ".

Guai se ci rassegnassimo all'idea che la storia si ammala e allora tocca a noi intervenire!

Non è così che l'ha pensata Dio: certo la misericordia è ovvia, ma Dio vuole una storia risanata dall'amore, nel vissuto di tutte le professioni e responsabilità.

Non gli basta una Chiesa che sia il buon Samaritano, sebbene questa sia una sublime icona: vuole una Chiesa che costruisca - per il bene di tutti, al meglio che si può e contrastando la corruzione che il disamore continua a produrre - una storia buona nel senso biblico della parola, dove il meglio che si può per tutti si realizza, cosa che solo l'amore ci spinge a fare, null'altro è tanto audace ".

13. Idea piena e non riduttiva

Usi e costumi caritatevoli: qualche esempio l'abbiamo già, come i filoni nuovi dell'economia che affrontano il problema della condivisione dei beni - il maggiore problema umano oggi -, e che cominciano a parlare di gratuità.

Fino a ieri era un cortocircuito insostenibile l'accostare economia e gratuità.

Chi non ha denaro per pagare non ha diritto di vivere, se non sei cliente sparisci: questa è l'affermazione lucida del neocapitalismo.

I nuovi filoni affrontano, e con non minore vivibilità, la maniera diversa di trattare col denaro in mano, ma amando l'altro.

È una vera rivoluzione! Questo significa una Chiesa che non è soltanto buon Samaritano, ma che costruisce a poco a poco cattedrali di civiltà.

Infatti, e questo è molto importante, la Chiesa stessa ha assunto questa espressione: "la civiltà dell'amore ", che fino a ieri era un'espressione molto seria, già usata da Papi, ma che sapeva un poco di esortazione, di sogno quasi.

Nel 2004 la Chiesa ha prodotto il " Compendio della dottrina sociale della Chiesa ", e la conclusione è titolata: " Per una civiltà dell'amore ".

Si dice in essa: " L'amore deve essere presente e penetrare tutti i rapporti sociali.

Specialmente coloro che hanno il dovere di provvedere al bene dei popoli alimentino in sé, e accendano negli altri, nei grandi e nei piccoli, la carità, signora e regina di tutte le virtù ".

La carità deve entrare dentro il vissuto di tutti: " Solo la carità può cambiare completamente l'uomo ".

Fino a ieri avremmo detto - ed è evidente che non sono in opposizione -: " la verità " o " la giustizia ".

Oggi la Chiesa ha il coraggio di dire: " Per rendere la società più umana, più degna della persona, occorre rivalutare l'amore nella vita sociale - a livello politico, economico, culturale -, facendone la norma costante e suprema dell'agire ".

Il fatto che questo non sia ancora avvenuto, o che non sia avvenuto nella misura proporzionata al bisogno del mondo, evidentemente non significa che non può avvenire, anzi.

Il Papa, nell'Enciclica, sottolinea che ci vuole assolutamente giustizia - carità senza giustizia è una ipocrisia -, ma che nessuna giustizia risolverà mai il problema della convivenza umana.

" Amore o disamore: quale avvenire? " è dunque un impegno.

14. L'Amore di Dio lo si vive. La preghiera

Allora, che fare? Alcune piccole conclusioni pratiche.

Ricordare che l'amore di Dio non è un concetto su cui fare disquisizioni come l'amore umano: o lo vivi o non lo vivi.

Il primo modo di praticare l'amore con Dio Amore è donarsi a Dio Amore in quel dono essenziale che è l'orazione.

Se tutti i cristiani capissero che, quando pregano, si donano a Dio e che Dio si dona a loro, e che questa reciprocità è assolutamente indispensabile, allora molte cose andrebbero meglio.

Il Popolo di Dio mediamente pratica in modo scarsissimo l'orazione proporzionata a lui, la gran parte degli adulti cristiani male.

Di conseguenza, il primo atto dall'amore tra noi e Dio, perché Egli è l'amato - " Amerai Dio con tutto il cuore " - viene a mancare.

Ed ecco subito un cristiano indebolito perché non si è colmato di questo incontro.

Chi capisce ciò che dico, per esperienza sa quanto l'incontro a tu per tu con Dio - l'orazione profonda - fa la personalità, dà un vivere, crea uno stile.

Se la togliamo, tutto svanisce.

Che fare, dunque? Precisamente mettere in questione il nostro modo di pregare: chiediamo troppo e diamo troppo poco a Dio.

Bisognerebbe rovesciare questa proporzione: dà a Dio l'attenzione, il silenzio, l'amore, la volontà, il desiderio, dà tutto di te come Lui ha dato tutto di sé, e cominci a trattare Dio come merita, perché è amore, e l'amore appunto si pratica.

In modo speciale teniamo presente il " Padre nostro ", vissuto come formula d'amore: è ancor più che una preghiera, è familiarità con Dio.

Non recitiamo superficialmente il " Padre nostro ", non facciamolo diventare una formula devota: conserviamo il carattere essenziale di un incontro affettuoso col Padre - rifacciamoci a Gesù -, di un incontro che ci consegna al Padre.

" Padre, sia fatta la tua volontà ".

" Padre, farò la tua volontà, verrà il tuo regno attraverso di me ".

Questo è pregare il " Padre nostro ", al di là di una formula astratta e generica.

E questo è amore, perché non diremmo mai: " Padre ", se non mossi dall'amore.

In questo dinamismo ci è madre Maria, modello della Chiesa perfetta, che deduce se stessa dall'Amore di Dio.

15. La ricerca dell'altrui bene, privato e sociale

Allora scaturirà l'effusione dell'amore per gli altri, che manifesta quanto è buono Dio, e apporta bontà, pazienza e compassione, genera il perdono, instaura la pace.

Dovremmo rivolgerci così al prossimo: " Vuoi sapere chi è Dio? Ascoltami, guarda come ti tratto io.

Non verrà Dio a mandarti un angelo, sono io l'anghelos, il mandato, e ti manifesto l'amore che Dio ha per te: ti ascolto, mi curo di te ".

Manifestare questo amore agli altri, al di là dei nostri resistenti egoismi, non è come dirlo, ma è qui la novità cristiana.

L'esercizio di tutte le attività, nessuna esclusa, c'entra con l'amore.

La motivazione, il perché profondo, l'avere come termine dell'attività una persona, il vivere per gli altri può riguardare ciascun lavoro o incarico.

16. L'uomo " caritatevole ".

La Chiesa può così davvero inculturare l'amore, cioè mettere la carità dentro la cultura contemporanea.

In tal modo genera l'uomo caritatevole, che corona gli sforzi dell'uomo intelligente, economico, politico, scientifico, il quale da solo non può evitare l'uomo tragico.

È una sfida, ma il Papa ci ha risvegliati in questo impegno.

Noi non vedremo questa civiltà, bisognerà che qualche generazione la capisca bene, e soprattutto che abbiamo il dono come di una rinnovata Pentecoste, però verrà.

O verrà o il disamore concluderà il suo omicidio.

Non dimentichiamo che il termine genocidio ( omicidio collettivo ) è stato forgiato nel secolo scorso.

Dunque il disamore avanza, assume dimensioni infamanti: pensiamo ai piccoli, agli affamati, agli assetati, agli oppressi, ai perseguitati.

O il disamore ucciderà - ma questo non si verificherà, perché Gesù è venuto - o l'amore si manifesterà.

Ma occorre una Chiesa risvegliata, non mediocre, consapevole, responsabile.

Per cui il " quale avvenire " della domanda iniziale, umilmente, ma anche coraggiosamente, sinceramente, può riguardare in parte anche noi.

E che quello su cui abbiamo meditato possa essere uno stimolo, un lievito che ci fa pensare: è l'augurio che ci formuliamo reciprocamente.