CEI/Conv/2006_10_16/02/02.txt La preghiera e l'ascolto della Parola In questa sezione sono raccolti i testi relativi alla Celebrazione Eucaristica che ha aperto il Convegno e ai momenti di preghiera che, ogni giorno, hanno inaugurato i lavori dell'assemblea: - l'omelia pronunciata da S.E. Mons. Flavio Roberto Carrara, Vescovo di Verona, durante la Celebrazione di apertura del Convegno da lui presieduta ( Arena, 16 ottobre ); - la riflessione spirituale di Dom Franco Mosconi, monaco camaldolese, Priore dell'eremo S. Giorgio a Bardolino, Verona ( Fiera, 17 ottobre ); - le riflessioni spirituali di S.Em. Gennadios Zervos, Metropolita dell'Arcidiocesi Greco Ortodossa d'Italia, Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, e del prof. danni Long, Presidente della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia ( Fiera, 18 ottobre ); - la riflessione spirituale di don Michele Morando, responsabile del centro pastorale per le migrazioni della Diocesi di Verona, già sacerdote Fidei donum in Africa ( Fiera, 19 ottobre ); - la riflessione spirituale di Sr. Maria Chiara Grigolini, Madre generale delle Povere Serve della Divina Provvidenza, Verona ( Fiera, 20 ottobre ). Omelia di S.E. Mons. Flavio Roberto Carraro nella Celebrazione di apertura del Convegno 16 ottobre 2006 Carissimi " eletti ", provenienti dalle Chiese che sono in Italia, vi saluto parafrasando le stesse parole che Pietro ha rivolto alle comunità cristiane " disperse del Ponto, della Galazia, della Cappadocia, dell'Asia e della Bitinia " ( 1 Pt 1,1 ). Anche noi siamo convocati da diverse comunità e questo saluto ci introduce immediatamente a riflettere sul dono " della divina elezione ": anzi la nostra presenza qui, ora, è già " un'elezione " che non ci impedisce di essere partecipi delle gioie e delle speranze di chi oggi non può essere presente, di chi non si lascia ancora interpellare dalla nostalgia di Dio e di chi, animato da una ricerca di eternità sincera, ma inquieta, non ha ancora trovato, nelle nostre deboli parole e nelle nostre pallide testimonianze di vita, quella trasparenza dell'amore di Cristo che non smetterà mai di sciogliere e disarmare il cuore di ogni uomo: anche costoro ci stanno a cuore! Siamo qui perché - per grazia - riteniamo di essere ancora in grado di sperare per tutti. Desideriamo rendere visibile e accessibile questo sentimento di speranza, perché non esiste angolo della terra e del cuore che, in qualche modo, non sia toccato dalla grazia divina ( 1 Pt 3,18-20; Gaudium et spes 22 ). Questo mistero nutre la speranza di una salvezza per tutti. La forza della Parola di Dio Siamo stati avvolti dalla voce inarrestabile e irresistibile della Parola di Dio. I brani scelti della Lettera di Pietro e le incalzanti litanie dei santi si sono infatti alternati in un gioco coinvolgente in un effluvio di suoni, voci, echi e riverberi dello Spirito. Si tratta ancora della forza della Parola di Dio. Questa è una parola che ha sedotto uomini e donne di tutti i tempi. La propagazione del Vangelo non avviene solo attraverso il semplice passaparola di informazioni e neppure attraverso il trionfo dei nostri mezzi di comunicazione: il Vangelo lo si può riscoprire sempre dietro il nome e il volto di qualcuno il cui cuore ne è rimasto positivamente trafitto. Un fiume di nomi, di santi, ma anche un fiume di sangue, di martiri: i testimoni. È il fiume sgorgato dal costato di Cristo, navigando il quale siamo stati condotti qui, non solo per non dimenticarli, ma soprattutto per invocarli; non solo per saziare la nostra curiosità storica, ma soprattutto per ascoltarli; per inserirci esistenzialmente nel loro gruppo! Quanta profezia nel nostro passato, quanta Parola vissuta e da vivere ancora, quanta acqua viva con cui dissetare il nostro desiderio di pace interiore, di eternità: il nostro desiderio di Dio! Le parole di Pietro sono suggestive: da almeno un anno le abbiamo assaporate, studiate, lasciate risuonare nelle nostre Chiese, nelle nostre aule di catechismo, nelle sale da conferenza, nei ritiri e nel silenzio delle nostre lectio divine. Per prepararci, ma soprattutto perché " non di solo pane vive l'uomo ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio " ( Dt 8,3 ). Ed è proprio una "parola" speciale quella su cui desidero fraternamente offrire una riflessione. È il verbo che ci è stato rivolto nel saluto iniziale: " eleggere " ( in greco ek-kaleo ). La parola chiave " eleggere, elezione ", e tutti i suoi derivati, risulta determinante perché scandisce alcuni passi decisivi della Prima lettera di Pietro. Vorrei farla vibrare di nuovo, come se, dopo aver ascoltato questi armoniosi brani musicali, tentassimo di evocare le semplici note che tratteggiano uno dei temi principali. I destinatari La lettera è rivolta a cristiani di comunità lontane da Roma, piccole e, come dice il saluto della lettera, " disperse " ( 1 Pt 1,1 ). Queste comunità cristiane scoprono di vivere in una dimensione che si potrebbe definire " fuori dal mondo " - quante volte ce lo sentiamo dire! - perché le rende diverse e deboli agli occhi del loro mondo. In molti casi erano addirittura perseguitate; e lo sono oggi come ieri. Questa situazione paradossale non è rassicurante ma suscita delle provocazioni. Cosa vuol dire essere " eletti " se poi il mondo ci rifiuta o più semplicemente ci considera " fuori "? È questo il frutto dell'elezione di cui parla Pietro? Perché essere " eletti " se poi ci sembra di essere trattati da nemici? La percezione è che la benedizione diventi una maledizione, come per Israele schiavo del sistema faraonico d'Egitto: erano benedetti, proprio secondo la promessa del Signore, ma per lo stesso motivo il faraone li temeva e maltrattava, li percepiva come una minaccia. Vengono in mente le parole della Lettera a Diogneto, che agli inizi del II secolo d.C. descriveva così i cristiani: Amano tutti, eppure da tutti sono perseguitati. Non sono conosciuti, eppure sono condannati [ … ]. Sono poveri, eppure rendono ricchi molti; sono privi di tutto, eppure abbondano in tutto, sono disprezzati, eppure nel disprezzo sono glorificati; sono calunniati, eppure sono giustificati. Insultati, benedicono; offesi, rendono onore. Fanno il bene, e sono castigati come malfattori; castigati, si rallegrano come se rivedessero la vita ( A Diogneto 5,11-16 ). Come per gli ebrei in Egitto, così per i cristiani a cui si rivolge Pietro, e quelli della Lettera a Diogneto, " l'elezione " comporta inevitabilmente una " nuova posizione " nel proprio mondo e nel proprio tempo. Possiamo affermare che ci si scopre stranieri proprio dove viviamo. Perché nati e legittimamente iscritti all'anagrafe di un popolo, in seguito al battesimo veniamo automaticamente iscritti all'anagrafe della nuova patria: il cielo. Siamo stati proprio eletti! Il cammino dell'elezione L'elezione inizia con Abramo: la promessa del Signore è stata l'inizio e l'accompagnamento del suo esodo nella terra di Israele, dove ha camminato da straniero. Nei suoi pellegrinaggi, nei suoi spostamenti da pastore, nei suoi drammi consumati piantando e spiantando la tenda, ha imparato ad alzare sempre più gli occhi, prima verso la terra promessa ( Gen 13,14 ) e poi verso le stelle del cielo ( Gen 15,5 ). Abramo ha scoperto che non le può contare, che qualcosa, anzi Qualcuno di più grande guida la storia ed è Signore del creato. Si è reso conto che la potenza della Parola e della promessa che lo ha chiamato gli ha permesso di vivere in terra straniera, gli ha suggerito uno " stile di vita " assolutamente nuovo, perché " l'elezione " lo ha reso cittadino del cielo. Iniziata con Abramo, l'elezione trova compimento in Cristo e i cristiani di ogni tempo che sanno di essere " eletti ", dono grande di Dio che comporta una forte " coscienza battesimale ": una chiara, nuova identità personale. Essa non dipende dal numero, non dipende dai risultati, non dipende dai criteri sociali di appartenenza, nemmeno da un comportamento retto, il quale potrà, casomai, esserne un frutto. È l'iniziativa del Cristo risorto che attesta incessantemente questa nuova cittadinanza celeste: " Voi siete concittadini dei santi ", scriverà San Paolo. Mentre Abramo ha guardato il cielo dalla terra senza riuscire a contare le stelle. Cristo ha guardato la terra dal cielo toccando in modo indelebile il cuore di ogni uomo: Gesù è sceso, si è trasferito a Nazaret, e senza fermarsi a Nazaret ha camminato, si è lasciato coinvolgere con la gente del suo tempo. Poi, ha conosciuto la passione, è risorto e salendo al Padre da uomo nuovo ha portato con sé quella terra sulla quale ha peregrinato. Possiamo affermare che anche la " terra ", cioè il mondo tutto con la sua storia, nella carne del Cristo risorto, trovano un posto nel banchetto trinitario. Abramo ci insegna ad alzare gli occhi per scoprire che il cielo è più grande della terra e che la terra senza il cielo smette di essere bella! Cristo ci insegna a prendere sul serio il mondo, lui che sapeva parlare delle cose di Dio con il linguaggio degli uomini, ci insegna come camminare su questa terra. In poche parole: Cristo ci libera dalla " tentazione della disincarnazione ", una disincarnazione che, talvolta, si insinua nei nostri percorsi spirituali, nei nostri progetti pastorali, nel nostro sguardo sull'uomo, sulla società, e tinge di paure il nostro presente. L'elezione operata da Cristo ci libera dall'appartenere a qualsiasi realtà terrena che pretenda di essere eterna e nello stesso tempo ci spinge a non temere di affrontare il nostro secolo, di sentirlo nostro, di rendere sistematico un dialogo appassionato e creativo con esso, edi nutrire simpatia con tutto ciò che sa di umano. Effetti dell'elezione L'elezione, allora, non è una maledizione, non è un privilegio escludente e nemmeno ha lo scopo di costruire muri di separazione tra il partito dei buoni e dei cattivi, facendo dei buoni gli eletti e dei cattivi i maledetti. L'elezione, fratelli, comporta una nuova posizione sul mondo: sulle cose, sugli affetti, sulla gestione del tempo, sul lavoro, sul disagio, sulla festa, sulle relazioni sociali, sull'impegno politico, sul corpo, sul male, sul bene comune, sulla storia e sul passato, sui giovani, sulla famiglia, sull'anziano, sulla vita nascente, sul futuro, sulla morte, sul dopo morte. Ogni dimensione della vita ha sete del Vangelo, lo reclama; nulla rimane inesplorato dalla grazia! E la proposta martellante che proviene da tante voci di sbarazzarsi della fede, di umiliare la Chiesa, è - e lo si vede - solo preludio di morte. Ma la Lettera di Pietro ci conforta. Infatti, non manca di esprimersi sulle diverse dimensioni della vita, evidenziando così la forza " persuasiva e pervasiva " del Vangelo, gocciolante speranza. Esso ci coinvolge in tutto, ci stravolge tutto: dopo aver incontrato Cristo non posso mantenere lo stesso " stile di vita " di prima! Che cosa ci dice San Francesco d'Assisi, patrono d'Italia? Dopo aver incontrato Cristo, dopo essere stato diseredato dal padre terreno egli può esclamare: " Ora posso dire in tutta verità: Padre mio che sei nei cieli ". Noi veneriamo qui a Verona il beato Carlo Steeb, ugualmente diseredato dalla famiglia per aver scelto di seguire Gesù Cristo a servizio dei poveri. Vangelo totale Il Vangelo è sempre inedito, e questo vale anche per noi - per così dire - addetti ai lavori. Il Vangelo ci interpella anche sui dettagli, ci inquieta e ci scuote ogni volta che ci adagiamo, ci appassiona e ci seduce. In poche parole: ci salva, ci salva oggi, qui! Questa nuova posizione sul mondo non significa fuga dal mondo: " Aiutaci Signore a vivere in questo secolo ", afferma la Lettera a Tito ( Tt 2,12 ). Con questa invocazione riceviamo il senso della nostra elezione, proprio qui, in questa celebrazione, in questa settimana di ascolto, di preghiera, di laboratori, di celebrazioni, di incontri e confronti. Questa nostra elezione ha la sua radice in Cristo: abbiamo ascoltato come Cristo è pietra viva ed " eletta " ( 1 Pt 2,4.6 ). La vita di Cristo, fattosi " straniero ", è per noi rivelazione di una " elezione " che è " predilezione ". Il figlio Gesù è l'" eletto ", il " prediletto " del Padre ( Mc 1,11-12 ). L'elezione non lo ha allontanato dall'essere pellegrino e straniero sulle strade di Galilea, sui territori pagani da lui toccati, fino a Gerusalemme. Maestro itinerante, ha fatto della sua elezione il segno tangibile e reale della paternità di Dio. Padre che ha fatto del suo figlio la pietra angolare. Solo da questo fatto, da questa storia che non smetterà mai di scandalizzare, stupire e generare santi, possiamo comprendere le parole che Pietro dirà ai cristiani dispersi: " Siete stati chiamati ( " eletti " ) poiché Cristo patì per noi lasciandoci un esempio " ( 1 Pt 2,21 ). E noi possiamo di nuovo aderire, possiamo sempre ricominciare, perché la speranza di cui desideriamo essere segno non si fonda sulla vaga promessa che " le cose andranno meglio ", ma sulle " orme " indelebili lasciate dalle mani, dai piedi e dal costato sanguinanti del Signore Gesù. Possiamo portare speranza nella misura in cui abbiamo una " storia da raccontare " a chiunque, consciamente o inconsciamente, nella sua inquietudine la cerchi. In mezzo a un'inflazione di notizie, in Cristo - come profetizzava Isaia - ascoltiamo " un fatto mai raccontato " ( Is 52,15 ). Carissimi fratelli, desideriamo essere " compagni di viaggio " e di raccontare una " storia " che è diventata anche nostra, quella di " Gesù che patì per noi ". E possiamo raccontarla in mille modi, sia attraverso coloro che l'hanno scritta con il proprio sangue, sia attraverso tutta la debolezza e il limite che condividiamo con l'umanità. Non c'è tempo, non c'è spazio, non c'è epoca, non c'è durezza di cuore che possa impedire questo racconto perché è vero. Ce lo ha promesso il Signore: " Voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui che vi ha chiamati dalle tenebre alla sua ammirabile luce " ( 1 Pt 2,9 ). Proclamare le opere meravigliose con lo stesso amore e la stessa speranza che la Vergine Maria aveva nel cuore, quando rispose al Padre: " Si compia in me la tua parola", e quando nella quiete di Ain-Karin cantò la sua esultanza in Dio suo e nostro Salvatore. Quel Salvatore, Parola che si è fatta carne ed è venuta ad abitare in mezzo a noi: Cristo Gesù speranza del mondo. Amen. Amen. Attuare la speranza con uno stile di vita santo Riflessione spirituale di Dom Franco Mosconi su 1 Pt 1,13-21 17 ottobre 2006 Fratelli, tenendovi pronti nello spirito e restando sobri, ponete tutta la vostra speranza in quella grazia che vi sarà data quando Gesù Cristo si manifesterà. Come figli obbedienti, non conformatevi ai desideri di un tempo, quando eravate nell'ignoranza, ma, come il Santo che vi ha chiamati, diventate santi anche voi in tutta la vostra condotta. Poiché sta scritto: Sarete santi, perché io sono santo. E se chiamate Padre colui che, senza fare preferenze, giudica ciascuno secondo le proprie opere, comportatevi con timore di Dio nel tempo in cui vivete quaggiù come stranieri. Voi sapete che non a prezzo di cose effimere, come argento e oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta, ereditata dai padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, agnello senza difetti e senza macchia, gli fu predestinato già prima della fondazione del mondo, ma negli ultimi tempi si è manifestato per voi; e voi per opera sua credete in Dio, che lo ha risuscitato dai morti e gli ha dato gloria, in modo che la vostra fede e la vostra speranza siano rivolte a Dio. Credo che per molti di noi qui presenti questo brano sia già stato motivo di meditazione e assimilazione in vista proprio di questa assise della Chiesa italiana qui a Verona. Questa lettera di Pietro è probabilmente un'antica omelia battesimale che prevedeva, dopo l'annuncio della Parola, l'immersione nel fonte battesimale, quasi a dire: un'immersione nella Parola per poi uscirne rigenerati. Per l'autore di questa lettera, l'esistenza cristiana è contrassegnata dalla speranza. Ma " sperare " non significa solo e semplicemente attendere dal futuro il compimento di una salvezza non ancora posseduta, ma vivere già ora secondo uno stile di vita che anticipi il futuro. La speranza cristiana è dunque una vita nuova motivata dall'esperienza e dalla scelta battesimale. Il testo che abbiamo davanti ci presenta la novità della vita cristiana: la speranza cristiana è la chiave dell'esistenza, perché apre alla pienezza che ci sarà data e di cui abbiamo la caparra ( Rm 8; 2 Cor 1,22 ). Spesso la comunità cristiana manca di un orizzonte escatologico. L'aldilà è sostituito con l'aldiquà. E una comunità cristiana che non spera più è morta, annuncia forse ancora il Vangelo, ma con un tono stanco, rassegnato, già con la convinzione che tanto non serve a niente! Una comunità cristiana che non spera, piano piano arriva a convincersi che la via tracciata dal Vangelo non è più percorribile oggi, che bisogna trovare dunque altre strade; arriva piano piano ad ammettere che i valori essenziali del Vangelo quali la gratuità, l'amore, la povertà, la piccolezza sono cose d'altri tempi: oggi conta la potenza, il successo, la ricchezza, la forza dei numeri e dei mezzi. Il primo appello ( 1 Pt 1,13 ) che fa l'autore della lettera è: continuate a sperare fino a quando sarà esaurita ogni possibilità di speranza; il compimento definitivo non va mai messo in discussione. Questa capacità di speranza è un'arte, perché chiede di saper orientare tutte le attese della vita nella " grande speranza ": " Ponete completamente la vostra speranza sul compimento che è la manifestazione di Gesù, ossia la salvezza " ( 1 Pt 1,13 ). Puntate sempre di più le vostre energie sul Cristo che vi è dato e sta crescendo in voi. " Perciò dopo aver preparato la vostra mente all'azione, siate vigilanti … "; il testo greco addirittura dice: " Cingendovi i fianchi della vostra intelligenza, siate sobri e ponete ogni speranza ". Una Parola che genera speranza La prima cosa che fa la Parola in noi è quella di donarci speranza ( " Ora, tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato scritto per nostra istruzione, perché in virtù della perseveranza e della consolazione che ci vengono dalle Scritture teniamo viva la nostra speranza ", Rm 15,4 ). Che cosa fa il Vangelo? Ci presenta la nostra verità profonda, ciò che siamo secondo il disegno di Dio, ciò che tutti vorremmo essere e non riusciamo a essere. La prima cosa che dovrebbe avvenire, leggendo il Vangelo, è questa: un'apertura del cuore alla speranza; il testo greco dice: cingendovi i fianchi della vostra intelligenza! Sappiamo cosa vuol dire cingere i fianchi: anticamente gli uomini portavano lunghe vesti e allora, per camminare spediti, si cingevano i fianchi. Noi spesso siamo bloccati dai paludamenti delle nostre menti che sono le nostre paure, le nostre angosce, i nostri sospetti; siamo spesso impacciati nelle decisioni da assumere, siamo legati da tanti condizionamenti. La prima cosa che fa la Parola è cingerci i fianchi della mente, renderci più agili, più aperti, più disponibili al nuovo, appunto pieni di speranza, perché se l'uomo non spera non vive, soffoca. È la conversione della nostra mente ( Rm 12,1-2 ). È il superamento dei nostri vani ragionamenti ( Fil 4,7 ). Dunque, la prima azione della Parola è generarci alla speranza. Quella speranza che poi diventerà completa alla fine, quella speranza che suscita la nostra operatività, che fa sì che non ci conformiamo ai desideri disperati che avevamo prima, quando eravamo nell'ignoranza. Quando si è nell'ignoranza delle cose positive, che cosa si fa? Si vive nella paura. Che cosa fa uno quando vive nella paura? Realizza le sue paure! Ecco allora che la speranza cambia il nostro comportamento: non realizziamo più quegli schemi di paura che avevamo dentro, ma diventiamo capaci di attuare dei progetti nuovi, positivi, emersi attraverso il racconto del Vangelo, che abbiamo constatato corrispondere ai nostri bisogni profondi fino a farci dire: guarda che bello così! Quindi questa è la prima cosa che ci dona la Parola: ci genera alla speranza. Ravvivate sempre esistenzialmente la meta; non vivete di rendita, lottate per approfondire, per incidere dentro di voi l'affascinante immagine della meta sperata. È un lavoro sapienziale; è la libertà dai sogni consumistici e inutili che ci consente di cogliere il fascino della karis, offertaci con la rivelazione di Gesù; sperare non è un valore marginale; occorre essere documentati e conoscere e dire che cosa attendiamo: un'eredità che non tramonta. Come Dio ha risuscitato Gesù, così sappiamo che avverrà in noi questa vita nuova ( 1 Pt 1,21 ). Per Paolo ( Rm 8 ), è lo Spirito Santo il legame fra ciò che è germinale, o caparra, e il compimento. Il cristiano non è tale se non è uomo di speranza e così diventa grazie all'opera dello Spirito che abita in lui che, prima ancora di renderlo capace di compiere un gesto di speranza, lo fa speranza, depositando nel suo cuore un germe di vita nuova che, secondo il progetto di Dio, riceverà un compimento. Diventato speranza, il cristiano vive e testimonia nella sua vita la speranza. Ed egli non spera soltanto per sé ma anche per il mondo, affermando che anche nelle situazioni più disperate c'è una via d'uscita, c'è un riferimento che porta a una meta che è al di là dell'apparente vuoto e del non senso. Il cristiano spera per sé e per il mondo anche quando la realtà che lo circonda sembra opporre tutto il contrario. Ma tale speranza è possibile soltanto se si rimane uniti a Cristo e si riceve il suo Spirito capace di ribaltare le nostre tombe, nelle quali ci siamo rifugiati pieni di paura e di sospetti. Per questo si può sperare. Essere Chiesa - scriveva un mio confratello che non è più tra noi, padre Calati - significa immergersi nella Parola, lasciandosi compenetrare dallo Spirito. La crescita nella carità del singolo fedele si sviluppa in proporzione all'approfondimento della Parola di Dio, grazie all'identico Spirito che anima le Scritture e che dirige ogni credente verso la pienezza dell'amore. Ho appreso con grande gioia l'annuncio di Papa Benedetto XVI sull'indizione della XII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi sul tema: La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa ( 5-26 ottobre 2008 ). Una speranza che apre alla santità La seconda caratteristica della Parola la troviamo al versetto 15: qui ci viene aperta una via: " Diventate santi ". Proprio così! Santo è solo Dio ed è un attributo senza analogie perché solo lui è santo. Ma è proprio lui che ci dice: Sii come me! Perché sei mio figlio! Siamo tutti chiamati alla santità, perché lì è la realizzazione piena dell'uomo: poter arrivare a dire: mi sento così realizzato nelle mie aspirazioni più profonde da non desiderare altro. Questa Parola ci propone di diventare ciò che ora potenzialmente già siamo: come Dio! Un invito a vivere come lui perché abbiamo la sua stessa vita; essa circola in noi, donata da lui; possiamo appunto essere santi, separati da schemi mondani, perché siamo come lui. E la nostra santità non è qualcosa di strano, anche se attorno a noi troviamo spesso immagini di santi poco appetibili! … La santità è quel comportamento perfettamente umano che è divino; è la pienezza di vita, di gioia e d'amore che c'è in Dio: siamo chiamati a viverla! Nella quotidianità! Il diventate santi, penso proprio che implichi un certo dinamismo, una certa crescita graduale e costante, non a strappi, così come avviene per la maturazione di un frutto. Accogliendo il Vangelo, giorno dopo giorno, aiutati dallo Spirito Santo, noi rendiamo concreta, nel comportamento personale e sociale, la vita di Cristo e la manifestiamo nel vissuto più feriale. Vivere la santità significa costruire la propria maturità umana come Dio la sogna, guardando il suo Figlio. E poi, santo non vuoi dire perfetto, perché abbiamo le nostre miserie, i nostri peccati, se non altro i nostri limiti. La santità allora in cosa consiste? Nel vivere il limite e il peccato in modo diverso: come luogo di perdono invece che luogo di colpa e di espiazione, come luogo di comunione e non di divisione. Si può vivere la realtà quotidiana o in modo divino o in modo diabolico. Se i nostri limiti diventano luogo di conflitto con tutti e con noi stessi, e i nostri peccati luoghi di autoflagellazione, tutto è finito. Invece la Parola ci chiama alla santità, alla santità di Dio che è amore, tenerezza, misericordia, comunione, dono di sé, anche se il mio limite e i miei difetti quotidiani mi diranno che ho sempre bisogno di misericordia e di perdono. Questa è la santità cristiana. D'altra parte, in continuità con l'insegnamento di Pietro, il concilio ecumenico Vaticano II, nella costituzione Lumen gentium, ci ha ricordato che la vocazione alla santità appartiene di diritto a tutti i battezzati. Non solo alcuni cristiani, ma " tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado, sono chiamati alla pienezza della vita cristiana " ( n. 40 ). Giovanni Paolo II attualizza l'imperativo in questi termini: Se il battesimo è un vero ingresso nella santità di Dio attraverso l'inserimento in Cristo e l'inabitazione del suo Spirito, sarebbe un controsenso accontentarsi di una vita mediocre, vissuta all'insegna di un'etica minimalista e di una religiosità superficiale. Chiedere a un battezzando: " Vuoi ricevere il battesimo? " significa al tempo stesso dirgli: " Vuoi diventare santo? " ( Novo millennio ineunte 31 ). Quale posto per la Parola nella nostra vita? Ora sarebbe il caso di domandarci a quarant'anni dalla Dei verbum: che cosa ne abbiamo fatto della Parola? Da molti penitenti che ancora si confessano, se provate a chiedere quale primato abbia l'ascolto della Parola nella loro vita, sentireste, purtroppo, una risposta desolante! Ma non abbiamo detto che la speranza è frutto dell'ascolto del Vangelo? Uno diventa la Parola che ascolta. Uno si assimila alla Parola che medita quotidianamente, e diventa narratore di speranza. Il mondo e la nostra vita nascono dal Dio della luce e della bellezza: spesso ci sorprendono le tenebre e i drammi; ma essi non possono cancellare la bellezza del mondo e l'armoniosa crescita che Dio, onnipotente nell'amore, va costruendo in noi, grazie a Cristo Gesù e allo Spirito Santo. Ricordiamo tutti il n. 39 della Nova millennio ineunte di Giovanni Paolo II: Non c'è dubbio che questo primato della santità e della preghiera non è concepibile che a partire da un rinnovato ascolto della Parola di Dio. Occorre - continua il Papa - consolidare e approfondire questa linea [ … ]. In particolare è necessario che l'ascolto della Parola diventi un incontro vitale, nell'antica e sempre valida tradizione della lectio divina, che fa cogliere nel testo biblico la parola viva che interpella, orienta, plasma l'esistenza. E, all'inizio del numero seguente, aggiungeva: " Nutrirci della Parola, per essere servi della Parola nell'impegno dell'evangelizzazione: questa è sicuramente una priorità per la Chiesa all'inizio del nuovo millennio " ( n. 40 ). Conclusione: è la Parola assimilata che traccia il nostro stile di vita Quale conclusione vorrei proporre una breve pagina di un fratello presbitero che ci ha lasciato alcuni mesi fa e che sintetizza molto bene, almeno per me, i frutti dell'ascolto e della Parola assimilata come latte. È una pagina di don Divo Barsotti, unanimemente riconosciuto come mistico e come uno degli scrittori di spiritualità più importanti del secolo appena trascorso. Egli commenta quel versetto degli Atti di quando Paolo, a Corinto, si trova in difficoltà nel suo ministero di evangelizzatore. A Paolo, scoraggiato e deluso, il Signore dice: " Non avere paura, ma continua a parlare e non tacere, perché io sono con te [ … ] io ho un popolo numeroso in questa città " ( At 18,9-10 ). Sentite come commenta don Barsotti: Queste parole ci suggeriscono che il Cristo vive con Paolo. L'esperienza spirituale di Paolo è di una grande ricchezza e profondità. Il suo rapporto col Cristo è un rapporto vivo, concreto. Egli vive una dipendenza continua dal Signore. La vita di Paolo, così piena di opere e di travagli, così ricca di rapporti umani, è ben poco in confronto al suo rapporto col Cristo. La realtà più vera nella vita di Paolo è la presenza di Cristo Gesù. Essere a Corinto o ad Atene è secondario; quello che conta per lui e determina ogni suo atto è la sua unione col Cristo. La sua vera vita non è in quello che fa, nei suoi viaggi continui, nelle tribolazioni è persecuzioni che soffre; la vita di Paolo ha il suo contenuto più vero nel suo rapporto vivo col Cristo; in questo rapporto possiede una stabilità, una unità mirabili. Gli avvenimenti esteriori possono manifestare qualcosa soltanto di quella vita profonda che Paolo vive nella sua comunione personale col Cristo. Questa è la vita vera di Paolo. Così conclude Barsotti. Non aggiungo altro. Lo Spirito Santo, che guida la Chiesa, la renda più attenta all'ascolto della Parola di Gesù, l'assimili a lui per essere, nella nostra storia, vivo strumento di speranza e di pace. Breve riflessione di S.Em. Rev.ma il Metropolita Gennadios Arcivescovo ortodosso d'Italia e Malta, al c. 8, vv. 9-11, della Lettera ai Romani 18 ottobre 2006 S. Giovanni Crisostomo, padre della riconciliazione, del dialogo e della carità della Chiesa indivisa, commentando sulla parola greca s???, ( " carne " ), afferma che " carne non è il corpo, né la sostanza del corpo, ma la vita carnale e mondana … "; intende cioè l'uomo che " fa in tutto vita carnale ". Vivendo l'uomo in questo modo, è impossibile piacere a Dio e, di conseguenza, perde tutto, indipendentemente dagli elogi e le approvazioni di questo mondo. Mostra allora di contraddire all'attenzione e all'interessamento di Dio. Possiamo dire che, con intenzione, respinge Dio e lo offende. E la vera inimicizia contro Dio che porta la morte dell'anima dell'uomo, che arreca la sua alienazione da Dio, che in lui, nella comunione e unione con lui, consiste la vita dell'anima, la benedizione dell'anima che è viva; e la vita che vive è pace; è vita e pace nel futuro, ma anche è vita e pace nel presente. I santi avevano carne, però, contemporaneamente, erano " nello spirito ", perché essere " nella carne " è il contrario; è inconciliabile riguardo allo " spirito ". Avevano il rinforzamento, l'ispirazione, l'illuminazione e la grazia dello Spirito Santo, come professa San Cirillo d'Alessandria. Dall'altra parte, l'uomo non è prigioniero e servo della carne, perché nel suo animo dominano l'elevatezza morale e la spiritualità essendo illuminato e rigenerato dalla grazia dello Spirito Santo se, senza dubbio, abita nell'animo lo Spirito di Dio. E l'importanza di questo brano della Lettera ai Romani consiste nell'illustrare meravigliosamente la seguente verità: in quanto nell'animo dell'uomo non esiste lo " Spirito di Cristo ", non appartiene a lui; in altre parole, ove è lo " Spirito di Cristo ", lì esiste lui stesso. Secondo San Giovanni Crisostomo, " dove si presenta un'ipostasi ( persona ) della Trinità, tutta la Trinità si presenta ". È vero che l'opera dello Spirito è di formare Cristo nell'uomo, fare Cristo suo, rimanere per sempre nella sua casa e accoglierlo liberamente e volontariamente. Se nell'uomo abita Cristo per mezzo del suo Spirito, allora il suo corpo è sottoposto alla morte naturale a causa del peccato originale, ma non a quella spirituale. Dunque, l'anima " nata già spirituale ", secondo Teodoreto, Vescovo di Ciro, avrà la vita eterna, " perché siamo giustificati da Dio ", riferisce San Teofilatto, anzi " siamo partecipi della natura divina, abita in noi Cristo, per mezzo dello Spirito Santo ", proclama San Cirillo d'Alessandria. Carissimi fratelli in Cristo, l'anima dell'uomo parteciperà dell'immortalità anche a causa della virtù che ha ottenuto l'anima per mezzo della grazia. Infatti, non significa niente se il corpo è mortale, se è sottoposto alla morte, perché se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Cristo dai morti, abita nell'uomo, lui stesso, che ha risuscitato Cristo dai morti, darà la vita nei corpi mortali. " Risusciterò nella vita e nella gloria ", secondo il famoso commentatore greco Zigabeno, avendo come causa unica la vivificazione, e ciò perché " abita lo Spirito di Cristo "; perché il corpo è tempio dello Spirito, di cui la grazia " viene conferita ai degni di Cristo ", secondo Teodoreto. Anzi, lo Spirito non " abita per breve tempo, ma perennemente ", come commenta San Giovanni Crisostomo, ed è d'accordo San Teofilatto, che dice: " Rimane fino alla fine ". L'uomo, liberato tramite lo Spirito dal peccato e dalla morte, ha avuto da Cristo la salvezza e dallo Spirito la grazia, perciò è interamente debitore al suo Redentore. Quando Cristo incontra l'uomo e abita in lui, con la grazia dello Spirito Santo, lo risuscita e lo vivifica, lo spinge a vedere Cristo vivo, immortale; ancora dà a lui il carisma dell'assistenza/percezione. Cristo fa risuscitare con lui anche l'uomo e lo glorifica, come insegna il grande maestro bizantino San Simeone il Nuovo teologo. La risurrezione e la gloria di Cristo è risurrezione e gloria anche per l'anima dell'uomo; purtroppo, la maggioranza degli uomini crede, ma molto pochi sono quelli che la vedono chiaramente. La pienezza, dunque, della luce divina nella presenza dello Spirito mostra la risurrezione di Cristo, proclama lo stesso s. Simeone. E la risurrezione dell'anima è l'unione con la vita, perché, come precisamente il corpo mortale se non accetterà l'anima viva e non si unirà con essa non può vivere, così anche l'anima non può vivere da sola, se non si unirà a Dio, che è la vita eterna. Questi sono i " divini misteri " dei cristiani, ammaestra San Simeone, la forza nascosta della fede che deve avere, come alfa e omega, Dio che rianima e vivifica tutto. La fede in Dio vive per sempre e vivifica l'uomo che lo conduce dalla morte alla vita, dalla distruzione e sparizione alla risurrezione, alla beatitudine e alla vita eterna. Riflessione spirituale del prof. Gianni Long Su 1 Pt 4,8-11 18 ottobre 2006 Soprattutto vogliatevi molto bene tra voi, poiché l'amore cancella una grande quantità di peccati. Siate ospitali gli uni con gli altri, senza mormorare. Usate bene i vari doni di Dio: ciascuno metta a servizio degli altri la grazia particolare che ha ricevuto. Così chi ha il dono di parlare parli per diffondere la Parola di Dio, chi ha un incarico lo compia con la forza che viene da Dio; in modo che sempre sia data gloria a Dio, per mezzo di Gesù Cristo. A lui appartiene la gloria e la potenza per sempre. Amen! Il brano inizia con una visione escatologica: la fine di tutte le cose è ormai vicina ( v. 7 ). Questa prospettiva illumina le considerazioni dell'autore e ci insegna a guardare la vita cristiana nel mondo senza volerci/doverci conformare alle regole del mondo. E infatti le indicazioni che riceviamo sono proprio il contrario di quanto intorno a noi viene praticato e insegnato. Vorrei in primo luogo soffermarmi sull'ospitalità che viene dall'amore. Dicono gli esegeti che probabilmente si parla soprattutto dell'ospitalità tra cristiani e in particolare del dovere per le comunità i loro membri di ospitare ( e anche mantenere, pagare i viaggi ) gli Apostoli e gli altri predicatori itineranti della Parola di Dio, " senza mormorare ", cioè senza lamentarsi per un onore che si ritiene eccessivo. È questa un'esortazione " pratica " che ritroviamo spesso in altre epistole. Ma tra noi oggi la parola ospitalità ha almeno altri due significati. Il primo è il tema, delicatissimo, dell'ospitalità eucaristica. L'ospitalità ecumenica è ormai un dato acquisito: alle principali riunioni nazionali e internazionali di ogni Chiesa cristiana sono invitate le altre. E insieme organizziamo eventi importanti come il Convegno ecumenico italiano a Terni, quest'anno, e la III Assemblea ecumenica europea a Sibiu, l'anno prossimo. Ma proprio da uno di questi incontri ci viene l'invito a fare di più: la Carta ecumenica del 2001 esorta tutte le Chiese cristiane europee a lavorare nella direzione della condivisione eucaristica. L'ospitalità è meno della condivisione. Ma abbiamo avuto in questi anni positivi esempi con accordi sia di comunione completa ( la Concordia di Leuenberg tra luterani e riformati ) sia di ospitalità eucaristica ( ad esempio tra protestanti e anglicani ). L'ospitalità eucaristica non è piena comunione; ma certo è prova di amore reciproco, secondo l'esortazione dell'epistola. È la manifestazione della volontà che nessuno sia escluso e anche di " non mormorare ", ritenendoci superiori e giudicando questo e quello. La seconda riflessione sull'invito dell'epistola a essere ospitali concerne il fenomeno forse più vistoso della nostra epoca: quello delle migrazioni e delle reazioni che esse suscitano. Possiamo spesso riassumere queste reazioni in una parola: xenofobia. Ora, la xenofobia è un termine sconosciuto alla Bibbia, che spesso invece ci presenta il suo opposto: la filoxenia, l'amore per lo straniero sotto le cui sembianze è talora Dio stesso a presentarsi all'uomo. Tre stranieri si presentano ad Abramo per annunciargli l'inconcepibile: la vecchia Sarà partorirà un figlio. Nelle antiche rappresentazioni cristiane e nelle icone ortodosse esse rappresentano la Trinità. Ma nell'ospitalità di Abramo verso questi sconosciuti vediamo la sua disponibilità a incontrare Dio nell'altro. Abbiamo noi questa disponibilità? Oppure preferiamo chiuderci nella nostra tenda, mangiare il nostro cibo senza dividerlo con degli sconosciuti e non credere ai miracoli strani di un Dio che fa partorire una vecchia sterile? Pensiamo alla vicenda di Gesù come la racconta il Vangelo di Matteo: discendente di Abramo e di Davide, nasce a Betlemme. Ma un angelo avverte Giuseppe che Erode cerca il bambino per ucciderlo. " Giuseppe si alzò, di notte prese con sé il bambino e sua Madre e si rifugiò in Egitto " ( Mt 2,14 ). Gesù diviene subito un rifugiato politico; ma non basta. Quando la famiglia torna dall'Egitto vi è ancora pericolo in Giudea e vanno quindi a stabilirsi in Galilea, da cui per Gesù gli appellativi, non certo cortesi a Gerusalemme, di Galileo e di Nazareno. Questo lo accompagna anche nella scritta sulla croce. Il nostro Signore è un esule, un rifugiato, uno che viene da posti poco raccomandabili. Nelle epistole di Paolo, poi, è continua la contrapposizione tra il popolo di Dio che ha rifiutato Cristo e gli stranieri che invece lo hanno accettato. " Voi eravate lontani dal Cristo; eravate stranieri,non appartenevate al popolo di Dio; eravate esclusi dalle sue promesse e dalla sua alleanza; nel mondo eravate persone senza speranza e senza Dio. Ora invece, uniti a Cristo Gesù per mezzo della sua morte, voi che eravate lontani, siete diventati vicini " ( Gal 2,12-13 ). Credo che un po' della filoxenia della Bibbia possa essere di grande aiuto nell'affrontare i problemi del nostro tempo e nel renderci ospitali gli uni con gli altri, come ci esorta il testo della Prima lettera di Pietro. Dopo l'indicazione sull'ospitalità troviamo un'esortazione al servizio fraterno: ciascuno metta al servizio degli altri i doni che ha ricevuto. Questo vale per il lavoro per una singola comunità; chi sa parlare predichi l'evangelo, chi ha un altro incarico lo faccia con vocazione ( la forza che viene da Dio ). Ma vale anche nel lavoro ecumenico: ciascuna Chiesa cristiana ha ricevuto da Dio dei doni specifici, magari proprio quelli che esse si sono rimproverati per secoli! Mi limito qui a ricordare la tradizione, l'autorità dei cattolici; la contemplazione e la meditazione degli ortodossi; lo spirito di ricerca e di innovazione dei protestanti. Sono elementi di differenza e lo sono stati di divisione. Ma che cosa potrebbe succedere se, secondo l'esortazione del nostro testo, ciascuno mettesse al servizio degli altri la grazia particolare che ha ricevuto? Probabilmente riusciremmo meglio, insieme, a dare " gloria a Dio, per mezzo di Gesù Cristo. A lui appartiene la gloria e la potenza, per sempre. Amen! ". Un popolo universale annuncia le meraviglie di Dio Riflessione spirituale di don Michele Morando su 1 Pt 2,1-10 19 ottobre 2006 Il testo che è stato proclamato è un inno alla dignità e grandezza del popolo di Dio, " stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato ", e al contempo un'apertura sulla missione che qualifica questo popolo, quella di "proclamare le meraviglie " di Dio. In questi giorni del Convegno ecclesiale italiano, nel clima della preghiera, dell'ascolto comunitario della Parola, delle relazioni fraterne, abbiamo potuto fare esperienza di questa nostra dignità, frutto della singolare misericordia divina che ci ha generati ed edificati come popolo di Dio. Al contempo, il confronto, lo scambio di esperienze, il processo di discernimento comunitario ci hanno sollecitati e abilitati a divenire annunciatori-testimoni di quelle " meraviglie di Dio ", culminate nel mistero pasquale di Cristo, che sono motivo di fondata speranza per il mondo d'oggi. In questo singolare momento di presa di coscienza e di esperienza ecclesiale vorrei che allargassimo lo sguardo a considerare l'universalità di questo " popolo di Dio " del quale siamo chiamati a far parte. Proprio perché la Chiesa è " popolo " qualificato, non da condizioni etniche o culturali, ma soltanto dall'elezione e dalla redenzione divina, essa supera ogni barriera razziale e culturale e si riconosce da Dio convocata ed edificata da ogni popolo, stirpe e nazione. Dentro la particolare esperienza ecclesiale che stiamo vivendo, non possiamo perciò dimenticare le comunità cristiane che vivono in altre nazioni e culture, e non possiamo ignorare i credenti, appartenenti ad altri popoli, che vivono oggi nel nostro Paese. La mia passata esperienza di fidei donum e l'attuale incarico di seguire le comunità cristiane di altre nazioni presenti nella Chiesa di Verona mi sollecitano a rileggere il cammino di edificazione del " popolo di Dio ", proposto dalla Prima lettera di Pietro, nell'ottica di uno scambio tra comunità cristiane di diverse nazioni e culture. 1. La permanente conversione a una vita comunionale Per costruirci come " popolo di Dio " il testo della Prima lettera di Pietro ci invita, innanzi tutto, a vivere del permanente dinamismo di conversione che deve caratterizzare l'esistenza cristiana generata dal battesimo: " Deporre ogni malizia e ogni frode, le ipocrisie, le gelosie e ogni maldicenza " ( v. 1 ) per " un amore fraterno senza finzioni, proveniente dal cuore e intenso " ( 1 Pt 1,22 ). La singolare dinamica di morte/vita, caratteristica della vita cristiana, è declinata qui attraverso il passaggio da atteggiamenti di egoismo, di pregiudizio ed esclusione a relazioni fraterne, sincere, cordiali e cariche di autentica passione per l'altro. A fondamento di questa chiamata a un cambiamento radicale della qualità delle nostre relazioni sta la fede nell'amore che Dio ci ha riservato in Cristo e la speranza in un'umanità riconciliata e solidale che Dio ci ha aperto nella croce/risurrezione del suo Figlio. Noi, infatti, abbiamo gustato " come è buono il Signore " ( v. 3 ) e siamo passati dalla condizione di non-misericordia all'esperienza della misericordia divina. Questo comporta necessariamente una continua conversione nelle relazioni, da attuare nelle nostre comunità cristiane, per renderle luoghi e segni di una nuova umanità fraterna. Tale conversione deve estendersi, particolarmente oggi in un'epoca e in una cultura globale, ai rapporti tra le Chiese e agli atteggiamenti verso i fratelli che da altre nazioni vengono a cercare tra noi nuove possibilità di vita. Le nostre Chiese di antica origine, pur nelle fatiche di questo momento storico, sono chiamate a superare il loro particolarismo per aprirsi a uno scambio di doni e a una generosità solidale verso le nuove Chiese di altri continenti e verso le povertà e le situazioni di indigenza che spesso contrassegnano il loro contesto socioeconomico. Nella situazione, poi, di forti migrazioni, che caratterizza il nostro tempo e segna anche il nostro Paese, la conversione richiesta alle nostre comunità è quella di trasformare la paura del diverso in disponibilità ad arricchirsi della diversità, di mutare il pregiudizio in incontro, il sospetto in dialogo, la noncuranza in solidarietà accogliente. Il battesimo di tanti immigrati adulti o di figli di immigrati, che abbiamo celebrato nelle nostre assemblee, e l'impegno che queste si sono assunte, con i genitori e padrini, a educarli nella fede, sono il segno di un popolo di Dio multietnico e multiculturale chiamato a crescere nel dialogo e nel dono reciproco, superando innate resistenze, paure di perdita di identità culturale, se non anche l'insorgente tentazione di ridurre il cristianesimo a " religione civile " e di farne lo strumento di difesa contro la diversità degli stranieri. Non è più possibile, oggi, vivere e testimoniare il dinamismo dell'amore, che costituisce la legge del popolo escatologico di Dio, senza allargare i confini a questo orizzonte universale. 2. Alimentati dalla Parola di Dio Non ci sarà dato, però, di maturare questa permanente conversione se non attingeremo all'alimento " spirituale " che ci viene dalla Parola di Dio: " Come bambini appena nati bramate il puro latte spirituale per crescere con esso verso la salvezza " ( v. 2 ). E la Parola che deve accompagnare il cammino del popolo di Dio verso la meta promessa e sperata della salvezza. In questa Parola - come afferma il Vaticano II - " è insita tanta efficacia e potenza, da essere sostegno e vigore della Chiesa, e per i figli della Chiesa saldezza della fede, cibo dell'anima, sorgente pura e perenne della vita spirituale " ( Dei verbum 21 ). Questa bramosia della Parola, negli anni postconciliari, sembra aver trovato rinascita nelle nostre comunità cristiane al punto da farci evocare la parola del profeta: " Ecco verranno giorni [ … ] in cui manderò la fame nel paese, non fame di pane né sete di acqua, ma d'ascoltare la Parola del Signore " ( Am 8,11 ). È altrettanto vero, però, che questa fame della Parola non caratterizza la totalità del nostro popolo che si dice cristiano, e che permangono talora difficoltà ed estraneità all'accostamento di questa Parola. Dentro questa situazione di Chiesa ci può essere di stimolo l'esperienza di altre Chiese dei paesi di missione. Per molte comunità povere di questi paesi la Parola è diventata davvero la più grande ricchezza e per questi poveri - poveri materialmente, ma nient'affatto tali a livello spirituale e pastorale - la Parola del Vangelo costituisce ancora la buona novella che dona possibilità di vita, speranza di libertà, esperienza di salvezza. A contatto con queste realtà, anche noi missionari, che abbiamo portato a questi popoli il " dono della fede " tramite l'annuncio della Parola, abbiamo vissuto un singolare cammino di arricchimento spirituale. Traducendo il testo sacro nelle lingue di questi popoli e sforzandoci di inculturare il messaggio evangelico, abbiamo riascoltato la Parola dentro le diverse culture, e con meraviglia abbiamo sperimentato che la Parola parla al cuore di ogni uomo, e parlava in modo nuovo al nostro stesso cuore. Insieme alle nostre comunità, abbiamo riscoperto " come bambini " la bramosia del latte spirituale della Parola. Il contesto della missione, infatti, ci ha permesso di cogliere con stupore nuovo la forza del Vangelo e la sua coniugazione nelle lingue degli uomini ce ne ha rivelato l'inesauribile ricchezza, capace di rispondere alla sete di salvezza di ogni uomo e capace di purificare e rigenerare le diverse culture. Nel nostro tempo, in cui sono resi più facili la conoscenza e il confronto con le Chiese dei paesi di missione, e in cui sempre più numerosi credenti di popoli diversi vivono tra noi, tornare a riascoltare insieme la Parola di vita, riflessa nelle differenti situazioni e culture, potrebbe essere occasione di riscoperta della sua ricchezza, motivo di fiducia nella sua potenza salvifica, strumento per edificare un popolo di Dio che non finisce di stupirsi delle meraviglie che Dio compie nella storia degli uomini. 3. Edificati sulla pietra viva che è Cristo morto e risorto L'ascolto di questa Parola ci introduce all'incontro con Cristo e ci porta a " stringerci a lui, pietra viva " per lasciarci edificare da Dio come " pietre vive " - adulti nella fede e nella testimonianza - e come " edificio spirituale " - comunità nella quale opera lo Spirito divino. In tal modo siamo messi in grado di diventare " un sacerdozio santo ", un popolo che, nella lode di Dio e nell'amore e nel servizio dei fratelli, rende a Dio il culto di una vita rinnovata. Ancorarsi alla " pietra viva " comporta, però, la partecipazione al mistero di morte e risurrezione di Cristo, " pietra rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio ". Pietro ricorda questa realtà ai credenti del suo tempo, chiamati a vivere la loro esistenza nuova in un contesto sociale che non li comprendeva, che li osteggiava e forse li perseguitava. Ma la partecipazione a questa dimensione del mistero pasquale di Cristo connota la vita e la testimonianza cristiana in ogni tempo, così che la " persecuzione " diventa una nota caratteristica di una Chiesa missionaria ( Lumen gentium 6 ). Nel nostro mondo essa forse assume le forme di una certa sordità o indifferenza, ma può diventare ostilità più o meno aperta quando l'impegno dei cristiani per un mondo nuovo incrocia pregiudizi culturali o mette in questione interessi di diverso genere. Il richiamo a Cristo, pietra rigettata e preziosa, diventa allora invito al coraggio di una testimonianza, personale ed ecclesiale, fedele al Vangelo; al coraggio di una speranza offerta al mondo sempre " con dolcezza e rispetto " ( 1 Pt 3,15 ). In questo coraggio ci può essere di modello l'esperienza missionaria. Pio XII nella Fidei donum esortava le comunità cristiane a partecipare all'impegno missionario con la preghiera, con la generosità, ma anche, per alcuni, con il dono di se stessi. Il dono oscuro di sé che molti missionari offrono nel servizio al Vangelo e alle popolazioni più povere è diventato, in alcuni casi, anche dono coraggioso della propria vita. In diverse situazioni, anche i cristiani delle Chiese di missione portano la loro testimonianza in un ambiente apertamente ostile, soffrono persecuzioni e hanno dato la propria vita in fedeltà al Vangelo. Sono le pietre violentemente rigettate che diventano preziose di fronte a Dio. Il loro sacrificio, nell'ottica pasquale, ha segnato la fecondità della missione e illumina di coraggio la nostra testimonianza e il nostro impegno. 4. Segno di speranza per coloro che inciampano Pietro ricorda ancora che Cristo, pietra preziosa, diviene " sasso d'inciampo e pietra di scandalo " per coloro che non credono alla Parola ( v. 8 ). Lo ricorda verosimilmente con sofferenza, pensando a quanti al suo tempo, anche tra i suoi correligionari, hanno trovato nella croce di Cristo motivo di scandalo, anziché ancoraggio di salvezza. La stessa sofferenza è anche la nostra di fronte all'irrilevanza che il messaggio cristiano ha per un certo mondo secolarizzato, e di fronte all'indifferenza o all'incredulità pratica che segna la vita di uomini e donne del nostro tempo. Ma questa sofferenza non deve divenire per noi motivo né di giudizio né di estraniazione, ma piuttosto di rinnovata attenzione e simpatia a questo nostro mondo. In quanto " popolo che Dio si è acquistato perché proclami le sue opere meravigliose " ( v. 9 ), noi avvertiamo la singolare responsabilità di portare a tutti l'annuncio e i segni della speranza, perché, pur nella nostra debolezza, " Cristo Gesù è la nostra speranza " ( 1 Tm 1,1 ). Questi giorni del Convegno ecclesiale hanno certamente rafforzato la coscienza del dono e della responsabilità di essere " testimoni del Risorto, speranza del mondo ". Dobbiamo interrogarci se, in questo nostro compito di testimonianza, non possiamo trovare degli " alleati inattesi ". Ci sono in mezzo a noi uomini e donne di differenti popoli e culture, che nelle loro tradizioni religiose o in una fede espressa con linguaggi nuovi cantano con semplicità le " meraviglie di Dio ". Come ricordava recentemente Benedetto XVI, essi sono talora spaventati dal nostro secolarismo, ma continuano a offrirci il dono di una religiosità spontanea e di una fede vissuta con immediatezza. Come in un nuovo esodo biblico, essi portano con sé le speranze di famiglie, di clan e di popoli per nuove possibilità di vita e per un mondo più giusto e, al contempo, portano la frustrazione di chi è estraneo e non pienamente riconosciuto nella propria dignità e nel contributo che può offrire. Non può essere un kairos carico di speranza il dono che essi ci offrono e la domanda che essi sollevano? Nella tradizione della Chiesa veronese, che ospita questo Convegno, c'è un segno luminoso in questa direzione: Zeno, l'ottavo Vescovo di Verona proveniente dalla Mauritania, migrante nero e missionario anche lui, è stato accolto nella nostra terra e vi ha portato la fede. I tanti missionari partiti da Verona per annunciare il Vangelo in Africa hanno sempre avuto coscienza di restituire un dono che in tempi lontani era stato loro offerto. Proprio Zeno, nella lettura che ci è stata proposta, ricordava che " l'edificio spirituale " si costruisce chiamando a raccolta tutti e che, senza i carismi di tutti, non si realizza la chiamata del popolo di Dio ad annunciare le sue meraviglie. Ma in particolare faceva appello ai poveri: " Esultate poveri: per merito vostro e in voi diviene più grande la casa di Dio. Infatti siete uguali a tutti, e tutte le misure superate con la grandezza della vostra schiera ". L'appello di Zeno diventa un'indiretta esortazione a noi perché, tra i fratelli destinati a edificare il popolo di Dio e cantare la gloria delle sue meraviglie, accogliamo anche i poveri venuti da lontano che ci portano i loro doni di fede e la forza della loro speranza. Riflessione spirituale di Sr. Maria Grigolini Su 1 Pt 3,8-18 20 ottobre 2006 Introduzione Le letture che oggi ci vengono proposte ci sembrano particolarmente adatte per la conclusione di questo evento significativo di grazia che abbiamo vissuto in questi giorni. È lo Spirito Santo che ci ha convocati, per animarci, confortarci, rinnovarci nella speranza e per indicarci il cammino percorrendo il quale la Chiesa possa sempre più divenire una comunità a servizio della speranza per ogni uomo. Oggi l'Apostolo Pietro e il Vescovo Zeno ci interpellano ancora una volta su qualcosa d'importante che al termine di questa assemblea non possiamo tralasciare di sottolineare. Pietro e Zeno ci conducono al cuore del Vangelo, al cuore del nostro essere cristiani: la Chiesa, generata dall'amore, è chiamata a incarnare l'amore di Dio, unica fonte di sicura speranza per l'uomo del nostro tempo. 1. La Chiesa nasce dall'amore … La Chiesa nasce dall'amore: " Dal costato morente di Cristo è scaturito il mirabile sacramento di tutta la Chiesa ". È la croce la sorgente dalla quale fluisce la vita della Chiesa e allo stesso tempo è talamo nuziale, dove lo Sposo dona la vita per la sua sposa, per renderla santa e immacolata e formare con essa un solo corpo. È Cristo la vera vite che da vita alla Chiesa, ed essa non può fare frutti di carità se non è unita al tronco. Così sottolineava H.U. von Balthasar, a proposito di questa intima relazione di Cristo con la sua Chiesa: " Ogni sia pur tenue indipendenza dei tralci rispetto al tronco rappresenterebbe l'inizio del disseccarsi e del venir gettato nel fuoco. Niente c'è di fertile nei tralci che non provenga dal tronco ". È Cristo la pietra vivente, il fondamento della costruzione al quale dobbiamo strettamente aderire per divenire anche noi pietre viventi di questo edificio santo che è la sua Chiesa, la comunità dei figli che, mossi dallo Spirito, vivono da fratelli. La nostra appartenenza a questo organismo sacerdotale santo sarà veramente tale solo se permettiamo a Cristo di agire in noi e attraverso di noi, con la sua potenza, la sua volontà, la sua misericordia, il suo amore. 2. La Chiesa è chiamata a incarnare l'amore del Padre … La Chiesa, nata dall'amore, è chiamata a incarnare l'amore del Padre … È proprio da questa esperienza personale e profonda del lasciarsi raggiungere e sorprendere da Cristo e dal suo Vangelo che nasce la nostra vocazione e missione. La vita del testimone è luogo privilegiato di comunicazione dell'amore ricevuto nell'avvenimento iniziale dell'incontro con Cristo. Infatti, come ci ricorda Papa Benedetto XVI, " il Signore sempre di nuovo ci viene incontro attraverso uomini nei quali egli traspare ". Oggi siamo noi i chiamati a essere l'immagine visibile dell'amore del Padre. Il Signore ha bisogno di ciascuno di noi per mostrarsi al mondo. Tuttavia viviamo in una società che ha smarrito il senso di Dio, la fede è vissuta come qualcosa di privato, di avulso dalla vita, si assiste a una separazione tra il Vangelo e la vita nei suoi diversi ambiti di esistenza. In questa situazione, come testimoniare l'amore del Padre, come riportare l'uomo a Dio? C'è una sola via da percorrere: una via che non segue i criteri dell'efficienza umana, ma è una via semplice, umile, che non fa chiasso, non schiaccia, non s'impone, sa attendere pazientemente e, pur diffondendosi in modo soave e delicato, produce nell'ambiente un'impronta possente e innovatrice: è la via dell'amore, la via della carità che è il Vangelo, non tanto proclamato a parole, ma con la vita. Il Vangelo vissuto nella sua radicalità, senza sdolcinature, senza adattamenti, senza mutilazioni, sine glossa, così da farci divenire " vangeli viventi ". La nuova evangelizzazione passa quindi necessariamente per la testimonianza di una vita veramente evangelica, fondata sulla carità. " O carità - afferma con enfasi il Vescovo Zeno - quanto sei pia, quanto sei ricca, quanto sei potente! Nulla possiede chi non possiede te ". Oggi la gente, sia essa appartenente all'emisfero nord o sud, non è differente, forse potrebbe sembrare tale, ma è tutta uguale: oggi si assiste in tutto il mondo a una grande sofferenza perché tutti indistintamente sono affamati e assetati d'amore: d'amore di Dio e d'amore reciproco. " La ricostruzione del povero mondo - come scriveva il nostro fondatore, San Giovanni Calabria - non può avverarsi che nello spirito della carità di Cristo. Certamente la carità è l'argomento più persuasivo, è la predica più efficace che si possa fare, quella che non si dimenticherà più ". 3. La Chiesa è chiamata a produrre frutti d'amore … Quindi la Chiesa, che è nata dall'amore, che è chiamata a incarnare l'amore del Padre, è chiamata anche a produrre frutti visibili e concreti d'amore … " Siate tutti concordi - esordisce l'Apostolo Pietro - partecipi delle gioie e dei dolori degli altri, animati da affetto fraterno", e il Vescovo Zeno proclama: " O carità, tu, per la comune natura, rendi uomini diversi per costumi, età, potere, un solo spirito e un solo corpo ". Pietro e Zeno, quindi, ci invitano prima di tutto, attraverso l'azione dello Spirito, a ricevere e a custodire i doni della comunione e dell'unità, doni che anche la Chiesa primitiva aveva identificato come fondamentali ed essenziali per l'annuncio cristiano: " Da questo vi riconosceranno, se vi amerete gli uni gli altri " … e ancora: " Erano un cuore solo e un'anima sola " … Oggi è vitale anche per noi saper conservare e difendere, in ogni momento e in ogni situazione, questi doni che sono espressione dell'amore trinitario e non solo nelle relazioni tra di noi, ma anche con coloro che consideriamo diversi, lontani o indifferenti. Se siamo figli del Padre, di quell'unico Padre che Gesù ci ha rivelato, che è Padre di tutti e di ciascuno, allora noi, attraverso il Figlio, dobbiamo essere ciò che veramente siamo: " Siamo tutti un'unica famiglia, la famiglia di Dio ". " Solo in un'unione che non esclude nessuno [ … ] nella comunione di tutti [ … ] c'è vera garanzia di vita ". " L'amore è "divino" - ci ricorda Papa Benedetto XVI - perché viene da Dio e ci unisce a Dio e, mediante questo processo unificante, ci trasforma in un Noi che supera le nostre divisioni e ci fa diventare una cosa sola, fino a che, alla fine, Dio sia "tutto in tutti" ( 1 Cor 15.28 ) ". Quindi l'amore, quello che sgorga dalla fede, non conosce barriere, sa avvicinarsi a tutti indistintamente, sa entrare dovunque e raggiungere il cuore di tutti, perché cerca sempre di ricondurre tutto all'unità, nella quale si nasconde il mistero della gioia e della felicità dell'uomo. Ma se testimoniare l'amore fraterno non è facile quando bisogna superare le barriere della diversità e dell'indifferenza, diviene ancor più difficile e umanamente sembra impossibile quando deve essere rivolto a chi ci è ostile, a chi parla male di noi o a chi ci perseguita. " Non rendete male per male - continua l'Apostolo Pietro - né ingiuria per ingiuria, ma, al contrario, rispondete benedicendo ". Siamo chiamati alla santità, a far crescere nel nostro cuore sentimenti di misericordia, di umiltà, di amore gratuito e totale, a testimoniare una fede adulta che è capace non solo di donare, ma di perdonare, una fede che sa vincere il male con il bene e sa invocare pace, grazia e benedizione su tutti indistintamente, anche e soprattutto su chi ci fa il male. " Non abbiamo nemici da combattere, ma fratelli da ricondurre a casa ". È questo che ci caratterizza e ci differenzia come cristiani, proprio perché ci pone in una situazione di antitesi con la mentalità del mondo e rende il nostro cuore più simile a quello di Dio. Certamente il mezzo più efficace per costruire e conservare la comunione e l'unità è la carità, " cemento che unisce gli animi e forma di tutti una cosa sola ". " Chi vuole amare la vita e vedere giorni felici - ci esorta ancora l'Apostolo Pietro - eviti il male e faccia il bene, cerchi la pace e la segua ". La nostra carità quindi sia grande, sia universale, rivolta a tutti senza distinzione alcuna, ma soprattutto ai più poveri, agli abbandonati, ai lontani, agli ultimi, agli emarginati, perché sono loro i nostri tesori, le nostre ricchezze, il vero patrimonio da difendere e da custodire … Vivendo tra i poveri si comprende come è sempre molto più grande quello che da loro si riceve, di quel poco che a loro si può dare … Non è difficile incontrare anche nei luoghi più sofferti e più devastati dalle calamità, dai disagi, dalle malattie e dalla solitudine, persone prive di tutto ma non della fede, devastate dal dolore ma ancora piene di fiducia e di speranza. Sono persone che sanno guardare al futuro con occhi luminosi e sono capaci di trasmettere a chi le avvicina un'inspiegabile gioia e la pace del cuore. Sono i piccoli del Vangelo, coloro che Gesù chiama beati, perché nella loro indigenza sono liberi e disponibili a riconoscere e ad accogliere un Dio che si fa povero e che si spoglia della sua forza e della sua potenza per avvicinarsi a noi, per abbracciare la nostra debolezza, per liberarci dalla paura di sentirci lontani da Dio. Ciò che abbiamo e possediamo spesso ci allontana dall'altro, ma ciò che diamo ci unisce. Quando abbiamo tante cose, allora possiamo dare solo delle cose, ma quando non abbiamo più nulla, allora possiamo dare noi stessi. I poveri sono nel cuore di Gesù, per questo sono i fratelli che più dobbiamo ricercare e preferire. Quante persone, anche accanto a noi, soffrono di solitudine e di vuoto perché abbandonate anche dagli affetti più cari. Hanno una grande fame di amore, hanno una grande sete di dialogo e di pace, di verità e di giustizia, si sentono senza casa, non perché manchino di un tetto, ma perché non trovano un cuore che le accolga e che offra loro aiuto. Si sentono nude, non perché sprovviste di vestiti, ma perché spogliate della dignità umana. Sono ammalate, perché prive di compassione e del sorriso caloroso di qualcuno che si senta solidale con loro. Gesù ha solidarizzato con loro e si è identificato con i più piccoli e bisognosi. Lasciamoci formare alla " scuola del povero ", alla scuola di chi soffre. Facciamo entrare i poveri nella nostra vita, nelle nostre comunità, apriamo loro le porte del nostro cuore, proviamo a coltivare un'amicizia personale, vera e profonda con qualcuno di loro … Riceveremo molto … Impareremo a dimenticarci un po' di noi stessi, dei nostri piccoli mali e dispiaceri, impareremo a dare importanza a ciò che è essenziale, a spogliarci di tante " cose " che soffocano la nostra relazione con Dio, impareremo a vivere da " figli " senza preoccupazioni, perché davvero il domani è nelle mani del Padre. Allora riceveremo in dono la gioia e diventeremo strumenti di perdono, di pace e di speranza. 4. … per essere segno sicuro di speranza Quindi solo l'amore che trova la sua espressione nella comunione, nell'unità e nella carità è segno sicuro di speranza per l'uomo d'oggi … Non possiamo non guardare ai nostri giorni con realismo. Siamo tutti consapevoli dell'ora non facile che il mondo sta attraversando; per sanare questo mondo vi è un solo rimedio sicuro ed efficace, la santità: e " noi siamo il rimedio che Dio vuole adoperare [ … ] se siamo santi davvero ". Il Risorto sta alla porta del nostro cuore, bussa ed è in attesa, desideroso di rivelarsi e di condividere con noi il suo tesoro che è l'amore del Padre, la comunione, la carità … Se sapremo farci piccoli, poveri, desiderosi di ricevere il dono, allora colui che si è fatto ultimo e servo di tutti prenderà dimora in noi e ci spingerà ad annunciare a tutti l'amore liberante del Padre. Solo l'amore può riaccendere la speranza nel mondo, perché " solo l'amore è credibile " ( H.U. von Balthasar ). " E chi potrà farvi del male, se sarete ferventi nel bene? ". Quindi perché temere, di che cosa avere paura? " Non vi sgomentate [ … ] né vi turbate " … " Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori … ", ci esorta al termine l'Apostolo Pietro: è proprio la presenza di Cristo vivo, del Risorto, che ci da il vigore, il coraggio, la pazienza di essere testimoni fedeli dell'amore. Lasciamoci conquistare e sedurre da lui, rimaniamo con lui nel suo amore: riceveremo noi per primi in dono la speranza, che è frutto della certezza che, in qualunque situazione ci troviamo, possiamo fidarci e abbandonarci a colui che ci è vicino, che ci assiste, che ha cura di noi e porta sempre a termine il suo disegno di salvezza. Se saremo forti nella fede, non ci sarà spazio per lo smarrimento, per la paura e per lo scoraggiamento … ma saremo capaci di far crescere in noi sentimenti di gratitudine e di riconoscenza. La voce di Gesù e l'esempio dei santi sono stelle che ci guidano con sicurezza, e ci spingono a saper scorgere la presenza amorevole di Dio Padre in ogni circostanza e in ogni evento della storia. O Maria, Madre della Chiesa, rendici testimoni fedeli del tuo Figlio risorto e fa' di tutti noi "fari accesi nella notte oscura del mondo, capaci di irradiare la pura luce di Cristo e del suo Vangelo ".