CEI/Conv/2006_10_16/07/07.txt Conclusioni del convegno Nell'ultima sezione sono raccolti i documenti che testimoniano la fase conclusiva del Convegno. Sono anzitutto riportate le relazioni finali sui lavori negli ambiti, curate dagli autori delle relazioni introduttive: 1) vita affettiva: prof.ssa Raffaella la frate, associato di psicologia sociale nell'Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano; 2) lavoro e festa: prof. Adriano Fabris, ordinario di filosofia morale e Direttore del Master in Comunicazione pubblica e politica dell'Università di Pisa; 3) fragilità: dott. Augusto Sabatini, giudice e Presidente Vicario del Tribunale per i minori di Reggio Calabria; 4) tradizione: prof. Costantino Esposito, ordinario di storia della filosofia nell'Università di Bari; 5) cittadinanza: prof. Luca Diotallevi, associato di sociologia nell'Università di Roma Tre. Segue l'intervento conclusivo di S.Em. il Cord. Camillo Ruini, Vicario Generale di Sua Santità per la Diocesi di Roma e Presidente della Conferenza Episcopale Italiana. Conclude la sezione il Messaggio alle Chiese particolari in Italia, letto alla chiusura dei lavori del 4° Convegno Ecclesiale Nazionale. Ambito 1: vita affettiva Sintesi dei lavori nei gruppi di studio, a cura della prof.ssa Raffaella lafrate 20 ottobre 2006 1.1 tempi in cui viviamo sono quelli che Dio ci ha donato e in quanto dono di Dio vanno vissuti nella dimensione della speranza. La speranza da testimoniare è il Vangelo dell'amore. L'enciclica di Benedetto XVI Deus caritas est ci dice che l'amore umano si fonda sull'Amore che per primo ci è stato donato. Da questo punto di vista è importante rendere visibile la dimensione teologale della vita affettiva fondata sull'amore-carità. È questo fascino del divino che traspare dall'amore umano ciò di cui ha fame e sete l'uomo contemporaneo. Non possiamo non partire da questa origine per comprendere lo spazio della vita affettiva nell'esperienza umana. Fondare la vita affettiva su Cristo morto e risorto significa porre le premesse per una piena umanizzazione e per una testimonianza risplendente di speranza. Tale esperienza è struttura portante dell'esistenza umana ed è la modalità privilegiata attraverso cui le donne e gli uomini cercano risposta alla propria domanda di felicità e di senso. Da un punto di vista antropologico e culturale la vita affettiva è nella sua verità un'esperienza di relazione eticamente orientata cioè comprensiva di passione e ragione, di attrattiva e responsabilità. Peraltro la vita affettiva è inevitabilmente generativa, di una generatività non necessariamente biologica. Del resto l'espressione " Dio è Padre " ricorda questa dimensione come fondativa dell'antropologia cristiana. Attraverso la comune condizione di figli di Dio e fratelli, nasce una nuova e più ampia parentela tra gli uomini. L'esperienza del sentirsi generati è da riproporre come decisiva categoria antropologica: l'esperienza della dipendenza filiale è la forma originaria dell'affettività degna dell'umano, una dipendenza che rende capaci di libertà e che accompagna permanentemente la vita di ogni persona costituendo la radice di ogni cammino vocazionale. 2. Per quanto riguarda la riflessione sull'esperienza, i gruppi hanno sottolineato sia gli aspetti di rischio e fragilità, sia gli aspetti di risorsa e potenzialità della vita affettiva. Sul primo versante, un primo nodo antropologico riguarda la cultura dell'individualismo che rende l'affettività fragile perché, fuori dall'orizzonte etico e religioso, essa è ridotta a sentimentalismo ed edonismo. Eros e agape vanno invece posti in un dinamismo circolare. Ricorrente è inoltre l'espressione " analfabetismo affettivo " per significare lo stato di immaturità personale diffuso in particolare tra adolescenti, ma anche tra giovani o adulti, in difficoltà ad assumersi impegni e responsabilità, in particolare quando devono compiere scelte che richiamano il " per sempre ", peraltro elemento costitutivo dell'amore. La condizione di immaturità affettiva emerge anche nelle stesse comunità cristiane, spesso caratterizzate da relazioni formali e che faticano a pensarsi come luoghi di relazione affettiva e di condivisione delle responsabilità, e a volte anche tra quanti aspirano alla vita religiosa e al presbiterato. Uno dei volti della fragilità affettiva inoltre è il rifugiarsi nel virtuale, che interessa soprattutto le nuove generazioni e che sembra presentare più rischi che possibilità di sana intesa comunicativa. La speranza nella vita affettiva è messa alla prova anche da numerose sofferenze e dolori che vanno dalle gravi crisi o dai fallimenti delle relazioni familiari alla solitudine degli anziani, a condizioni di povertà strutturale ( precarietà lavorativa, immigrazione ed emergenze ) che paralizzano la progettualità affettiva. A fronte di questi aspetti problematici della vita affettiva, si registra però un profondo bisogno di relazioni autentiche e una volontà e desiderio di vivere legami e amicizie significative. C'è l'esigenza ineludibile di ritrovare il senso delle esperienze affettive che si vivono ( da questo punto di vista conforta la segnalazione di esperienze di fraternità tra famiglie e anche di esperienze di fraternità tra sacerdoti e famiglie ). Si tratta prima di tutto di concepire l'affettività in termini propri: dire bene l'affettività e dirne il bene. Dentro l'affettività c'è un bene irrinunciabile per il soggetto umano, un bene da liberare, da far emergere, da educare. Si tratta di un cammino da compiere per tutta la vita, che esige gradualità, ma nello stesso tempo punta in alto, alla qualità propriamente umana e dunque divina dell'affettività. La vocazione etica degli affetti non si aggiunge dall'esterno all'esperienza affettiva, non è un insieme di divieti o di precetti moralistici, ma risponde al " grido inesauribile del cuore " e ne costituisce l'orientamento profondo. Come è stato detto: " Prima l'antropologia, poi l'etica ". In questa prospettiva, la vita affettiva, anche se fragile, e proprio attraverso la propria fragilità, rimane valore. Ciò vale in particolare per la famiglia, che è stata da molti sottolineata come luogo per eccellenza generativo di affetti: ogni suo componente impara in essa gradualmente a vivere le relazioni negli errori come nelle esperienze riuscite. Se " parlare la speranza " è stata un'espressione ricorrente in plenaria, tale espressione è risultata particolarmente significativa per questo ambito. 3. Sul piano degli interventi pastorali, è emersa innanzitutto l'importanza di un compito culturale per la Chiesa. A essa è chiesto il servizio della verità, decisivo di fronte all'attacco all'identità dell'uomo che nella vita affettiva trova un punto di fragilità forte. Ci si aspetta dalla Chiesa una riflessione " alta ", che non abbassi il livello e che sappia " rendere ragione " della bellezza dell'esperienza cristiana nella vita affettiva. Una proposta condivisa e prioritaria è quella di una formazione non settoriale, che sappia cogliere tutta la persona nella varietà delle sue condizioni esistenziali. Molto sentita è l'esigenza di una pastorale unitaria che non divida i contesti di vita. Pare insufficiente occuparsi dei soli passaggi " consolidati " del percorso di iniziazione cristiana: occorre accompagnare la vita tutta. A questo proposito va evidenziato che in quasi tutti i gruppi è stata sottolineata l'importanza della direzione spirituale come accompagnamento della persona. D'altra parte, è stato anche rilevato che i sacerdoti sono anch'essi " figli del nostro tempo " e quindi spesso poco attrezzati a rispondere a questo difficile compito. Da questo punto di vista l'esigenza di formazione, che è avvertita a tutti i livelli, va concepita prima di tutto come formazione di tipo antropologico e fruibile non solo da giovani, adulti e famiglie, ma destinata anche a consacrati, presbiteri e seminaristi oltre che a educatori e operatori della pastorale. Particolarmente auspicabile al proposito è una maggiore valorizzazione della presenza educativa della donna, con la sua risorsa di femminilità e di attenzione alla vita. Se la famiglia è luogo privilegiato dell'esperienza affettiva, essa è e deve essere anche soggetto centrale di vita ecclesiale, e ciò richiede che a essa sia dato spazio e responsabilità nel rispetto di tempi, esigenze e fasi del suo ciclo di vita. Si è sottolineata anche la necessità e l'urgenza che le famiglie sempre in maggior numero si associno tra loro proponendosi come testimonianza di solidarietà interna e sostegno reciproco, e diventino erogatrici di servizi per le altre famiglie in una reale attuazione del principio di sussidiarietà. La comunità ecclesiale, in particolare la parrocchia, è chiamata essa stessa a essere luogo di vita affettiva: ciò significa che essa è poco " struttura ", ma luogo di vita, ambito aperto, comunità cristiana viva, capace di fare rete, incarnata nel territorio, in grado di ospitare e valorizzare le diversità di ruoli, vocazioni e carismi. In questo senso, sono da valorizzare tutti quei luoghi e momenti capaci di mettere stabilmente in dialogo laici, religiosi e presbiteri. Il dinamismo pastorale inoltre deve essere sempre più orientale in senso missionario, per incontrare gli uomini dove vivono, amano, soffrono e lavorano. La cura pastorale va rivolta anche alle situazioni difficili e di disordine morale, oggi così frequenti. Il volto della Chiesa da proporre all'uomo d'oggi è quello di una Chiesa madre oltre che maestra, capace di curare le ferite dei figli più deboli, dei diversamente abili, delle famiglie disgregate, di camminare a fianco di ogni persona prendendosi cura con tenerezza di ogni fragilità e capace al tempo stesso di orientare su vie sicure i passi dell'uomo. Al proposito si è usata l'espressione " pastorale della vicinanza " e si è proposta la metafora della comunità cristiana come " locanda dell'accoglienza ". È importante che il linguaggio dell'annuncio esprima il calore proveniente da relazioni affettive profonde anche nella vita ecclesiale. Ambito 2: lavoro e festa Sintesi dei lavori nei gruppi di studio, a cura del prof. Adriano Fabris 20 ottobre 2006 Considerazioni generali Il primo aspetto che salta subito agli occhi dalla lettura dei risultati dei lavori di gruppo sull'ambito " lavoro e festa " è la loro sostanziale convergenza, sia nella consapevolezza dei problemi generali, sia nell'assunzione di ciò che oggi risulta prioritario, sia nelle proposte che vengono avanzate. Questa sensibilità condivisa ha certamente facilitato la mia sintesi: di ciò sento anzitutto il dovere di ringraziarvi. E questa sintesi, necessariamente a posteriori, che vi propongo ha appunto lo scopo di raccogliere in un quadro comune le diverse sollecitazioni che sono state elaborate dai delegati diocesani. A questa elaborazione, molto ricca e di livello, cercherò di essere fedele. Tutti i gruppi, pur con differenti accentuazioni, per un verso sottolineano il carattere plurale, addirittura " ambiguo ", del tema del lavoro e, dunque, la necessità di una " visione realistica " dei cambiamenti intercorsi nella società italiana; per altro verso segnalano la perdita di significato dell'esperienza della festa. È necessario quindi un adeguato approfondimento e un giusto discernimento anche relativamente ai linguaggi che dicono il lavoro e la festa; è necessario " esplicitare la novità e il valore aggiunto specifico del linguaggio della fede ", anche a questo proposito. Per esemplificare, i problemi riguardano, nel caso del lavoro, la sua fragilità: il lavoro che non c'è o che non è consono alla dignità della persona; il difficile rapporto tra lavoro e famiglia, la questione del lavoro femminile e delle attività svolte dalle donne in casa e fuori casa; la disoccupazione, specialmente giovanile; il divario territoriale: " il lavoro che manca al sud e i lavoratori che mancano al nord "; le esperienze drammatiche del lavoro nero, dello sfruttamento, la presenza della malavita organizzata, fino a vere e proprie " strutture di peccato ", da riconoscere e combattere; il lavoro come modalità decisiva di promozione della cittadinanza, ad esempio nel caso degli immigrati; la molteplicità delle forme di produzione, nella consapevolezza che oggi è sempre più necessario " agire sui modelli organizzativi del fare impresa ". Analogamente sono tanti i " punti nevralgici " relativi alla festa. Essa è " un bisogno, prima che un dovere "; è un evento che perviene alla comunità, e che non è " solo quando finisce il lavoro, ma anche quando nasce un bambino, quando s'inaugura un'opera, ecc. "; ciò nonostante s'impone oggi una sua deriva individualistica e consumistica. E così emergono nuovi luoghi di aggregazione, che non possono essere trascurati. Ciò che viene segnalato, comunque, è la necessità di invertire, da un punto di vista cristiano, il rapporto tra lavoro e festa: non è soltanto il lavoro a trovare compimento nella festa come occasione di riposo, ma è soprattutto quest'ultima il " giorno della gratuità e del dono che "risuscita" il lavoro a servizio dell'edificazione della comunità ". Sviluppando appunto questa prospettiva può essere recuperato quell'orizzonte più comprensivo che unisce lavoro e festa, quello del tempo cristianamente vissuto: un aspetto che forse non è stato colto fino in fondo come sfondo unitario comune, esistenziale, dei problemi affrontati. Riflessione sull'esperienza I gruppi infatti, specialmente nella seconda sessione, si sono concentrati per lo più sulle urgenze del lavoro, anche se in parallelo è emersa da parte di molti l'esigenza di una pastorale integrata, che venga incontro alle questioni concernenti non tanto i lavoratori, ma le persone che lavorano. Riflettendo su come la comunità cristiana vive oggi queste problematiche sono emersi soprattutto tre punti. 1. Anzitutto vi è l'esigenza di un effettivo recupero della dottrina sociale della Chiesa, come via per superare la scarsa attenzione che la comunità cristiana, nelle sue Diocesi e nelle sue parrocchie, sembra dimostrare nei confronti del mondo del lavoro. Emerge in altre parole un'autentica voglia di riappropriarsi, in prospettiva cristiana, di questa tematica, riempiendo spazi non più occupati, o occupati in maniera ritenuta inadeguata, e in più dando risposta, con forza, alla questione del senso di un tale operare. 2. In secondo luogo, questo recupero si collega a una vera e propria voglia di uscire fuori dalle parrocchie, di produrre una " pastorale più missionaria ", di " sporcarsi le mani ", come viene detto. In una parola: di " portare fuori la speranza ". Questo comporta un'esigenza di testimonianza cristiana in luoghi ( e, magari, non-luoghi ) che solitamente non sono avvezzi a riceverla. E insieme comporta la necessità di fortificare questa testimonianza grazie a un'etica sociale, grazie a un'etica e a una catechetica del lavoro, per non consegnare questi processi alle pure logiche del mercato. 3. Infine, prospettiva comune dei vari gruppi è l'indicazione che questa testimonianza è compito primario dei laici. Essi infatti sono chiamati a vivere quotidianamente i problemi del mondo alla luce del Vangelo. Si delinea così " un itinerario che parte dalla piazza, viene rivisitato - nel discernimento personale e comunitario della Parola e della comunione di vita - all'ombra del campanile, per poi tornare a provocare la piazza, con il valore aggiunto della fede ". E si recupera altresì, in questa prospettiva, un ulteriore legame tra lavoro e festa: quello che pone al centro l'esperienza del Gesù risorto " come consapevolezza di sé e sollecitudine verso l'altro ", vissuta in particolare nella gioia della Celebrazione Eucaristica. Approccio pastorale integrato A partire da qui possono emergere proposte concrete, che si integrano e si intrecciano inevitabilmente con gli altri ambiti della vita dell'uomo. Sintetizzo le principali. Tutte quante comunque, nei loro dettagli, saranno pubblicate insieme alle sintesi dei vari gruppi. - Emerge anzitutto la necessità di far conoscere la dottrina sociale della Chiesa. Perciò si chiede siano rilanciate le scuole diocesane di formazione sociale: per un'educazione consapevole dei diritti di cittadinanza. Ciò si accompagna a una richiesta di potenziamento della catechetica, che aiuti a cogliere il senso non solo del lavoro e della festa, ma del tempo dell'uomo in relazione al tempo di Dio. - Emerge poi l'istanza di un accompagnamento, di una compartecipazione affettuosa, di un ascolto dei disagi che sono propri di un territorio: anche là dove non vi siano ricette immediatamente operative. Si propongono esperienze come quella di un osservatorio sociale permanente o di veri e propri tavoli di ascolto. E ciò può essere pensato e vissuto anche come occasione di dialogo con altre realtà, sociali o religiose, che, al di fuori della Chiesa, si occupano di tali problemi. - Tutto ciò comporta un radicamento nel territorio, che fa leva sulla struttura delle parrocchie e delle associazioni locali, le quali vanno rivitalizzate e rimotivate. Ma comporta anche la necessità di favorire forme concrete di collegamento e coordinamento non solo per conoscere, ma anche per promuovere forme imprenditoriali alternative. Il progetto Policoro, a cui molti gruppi si sono richiamati, è proposto qui come un modello. I cristiani, insomma, sono chiamati a incidere sulla realtà anche attraverso l'esperienza di nuove forme di lavoro e d'impresa, e attraverso la loro capacità di " fare rete " ( come sta dimostrando RetInOpera ). Di tutto ciò viene chiesto il potenziamento. E questo è uno dei modi privilegiati in cui i laici, specificamente i laici, risultano quei testimoni che sono capaci di realizzare quotidianamente la speranza. - In ultimo, emerge in molti gruppi il richiamo a vivere insieme con coraggio e realismo il giorno di festa. Con coraggio: disposti anche a boicottare lo shopping nel giorno del Signore. Con realismo: rivisitando i nuovi areopaghi del tempo libero - sport, turismo ecc. - come luoghi di senso e di testimonianza. Non mi resta che ringraziarvi per le intelligenti e appassionate sollecitazioni che avete sviluppato. Ambito 3: fragilità Sintesi dei lavori nei gruppi di studio, a cura del dott. Augusto Sabatini 20 ottobre 2006 Premessa Nell'illustrare l'articolato percorso e il denso svolgimento della discussione che ha avuto luogo nell'ambito delle fragilità umane occorre soprattutto fedeltà a quanto pervenuto dai nostri delegati. Dalla lettura e rivisitazione dei testi delle singole sintesi è derivata però una grande difficoltà: quella di riuscire, senza penalizzare la vivezza degli stili espressivi dei loro redattori, a rendere effettivamente accessibili a tutti i tratti unitari di riflessioni caratterizzate, oltre che da elevata passione, da rilevante varietà. Ve li propongo per quanto ne sono stato capace, nella speranza di dare così autenticamente voce ai più. Considerazioni generali Nella prima sessione, tutti i gruppi hanno riprodotto con cura meticolosa ( riflesso di attenzione e preoccupazione vive ) l'amplissimo spettro delle fragilità umane più evidenti o emergenti sperimentate nei singoli contesti territoriali italiani; ne hanno riconosciuto il valore di risorsa idonea per attingere il vero significato e valore della persona umana; hanno ribadito e puntualizzato il bisogno che la Chiesa sia ciò che deve essere, ossia maestra di umanità autentica e piena. Ricorrente è stato l'operarne la rassegna in veri e propri elenchi ( peraltro, con convergenza quasi unanime ). Nell'avvertita consapevolezza delle diffuse e rilevanti insufficienze attuali delle nostre Chiese particolari ( a fronte delle più acute urgenze della presente stagione epocale ), si è sottolineata l'importanza di questo loro riconoscimento, come metodo ( più che occasione ) di maturazione e crescita. Si è quindi fatto invito a coltivare l'esperienza della personale e comunitaria condivisione della vita soprattutto con i più poveri, nella riconoscenza di quanto offre, per far crescere la sensibilità anche collettiva nelle comunità ecclesiali; ma anche, e assai insistita, è stata la perorazione a cercare luoghi e tempi per far confrontare, collegare, promuovere e sostenere esperienze e carismi molteplici, che meritano di non rimanere frammentari ( o circoscritti agli specialisti delegati ), bensì di insegnare e apprendere insieme la virtù della corresponsabilità. Riflessioni sull'esperienza Nella seconda sessione, parte dei gruppi ha sottolineato alcuni atteggiamenti, o stili, ritenuti indispensabili per " relazionarsi " con le persone fragili e per farsi, per così dire, illuminare dall'alta dignità di ognuna: la vicinanza ( che accomuna e " converte " ); l'impegno particolare nell'attenzione e nella cura personali ( il saper " stare in compagnia " ); la ricerca della verità, della riconciliazione e del perdono; un servizio generoso, amorevole, umile ma competente, appassionato, nel vicendevole sostegno alla scuola della vita; la sobrietà e l'essenzialità nell'uso della ricchezza ( segnatamente da parte di presbiteri e Vescovi ); l'assunzione da parte delle comunità ecclesiali, in quanto tali, e non da singoli loro settori, dell'ascolto come naturale habitus per la vera condivisione nel quotidiano. Sono state poi evidenziate alcune specifiche necessità, chiarendo come all'ascolto e all'accoglienza delle attuali forme ed espressioni delle fragilità ci si possa e ci si debba " educare " e quali risorse in particolare siano essenziali per irrobustire e rendere maggiormente credibile la testimonianza della Chiesa, come madre e compagna; testimonianza ( si è rilevato con sofferenza ) ancora sovente oscurata da esperienze di rifiuto, indisponibilità o limitata sensibilità, che ne inficiano la coerenza, e originano dal sapere ancora troppo poco cos'è e dov'è fragilità o da limiti personali ( diffusi sia tra i laici sia tra i consacrati ). Sono stati, in particolare, auspicati: - la riaffermazione della specificità della missionarietà della Chiesa, che porta l'amore di Cristo risorto quale speranza per il mondo; - il ripensamento dei percorsi educativi e catechetici; - la " comunicazione " dell'antropologia cristiana e dei suoi fondamenti; - la valorizzazione del servizio dell'approfondimento teologico, anche per la formazione personale integrale e alla " carità " ( soprattutto dei presbiteri e dei consacrati ); - il potenziamento dei luoghi di studio delle presenti questioni antropologiche e sociali, come momento propedeutico sia all'orientamento vocazionale e motivazionale che all'intervento sociale e all'esercizio responsabile della cittadinanza civile; - la vigile attenzione alle forme e ai contenuti della comunicazione di massa, per educare al suo corretto e avveduto impiego; - lo stimolo a relazioni di comunicazione e stabile cooperazione, sia intra che extraecclesiali ( con coloro che più hanno a cuore la promozione della vita umana ); - il maturo riconoscimento dei limiti della supplenza ( pur lodevole ) nei confronti delle istituzioni pubbliche in materia di politiche sociali, ma anche dell'indefettibile valore di profezia del volontariato autentico. Un approccio pastorale integrato Nella terza sessione, infine, con dovizia assai gradita, i gruppi hanno suggerito l'assunzione di alcune specifiche linee guida, ma pure di concrete proposte di " ministero di umanità di condivisione ", tra cui: - il recupero, nella prassi ordinaria ( non solo comunitaria ), del primato dell'ascolto della Parola di Dio, della preghiera, della comunione alla mensa eucaristica, della spiritualità alimentata dallo studio, dalla vita sacramentale, dal discernimento comunitario; - il riconoscimento del valore e dello straordinario rilievo attuale, tra i ministeri, del diaconato, " per il " e " nel " servizio alle persone fragili, con invito al suo pieno impiego; - il porre " segni visibili " della particolare sollecitudine della Chiesa verso i fragili non solo nello spazio ecclesiale; - il superamento della pastorale " per settori "; - il sostegno e la valorizzazione capillari delle forme e strutture di promozione della vita dal concepimento al suo termine naturale, in particolare verso le età più vulnerabili; - il sostegno massimo alle famiglie e alle reti di famiglie, in luoghi e prassi che ne accompagnino non solo il sorgere, ma anche l'alimentarsi e rinnovarsi quotidiano; - la diffusione e promozione della cultura dell'accoglienza, nelle specifiche forme dell'affidamento eterofamiliare ( e del sostegno stabile alle famiglie accoglienti ) e di " scuole di carità " ( per associazioni, gruppi e movimenti, oltre che di operatori della ed. pastorale " della strada e del marciapiede " ); - la previsione di percorsi di accoglienza, sostegno e compagnia verso i separati e i divorziati, e in particolare verso i divorziati risposati; - il rinnovato impegno per la cura educativa alla responsabilità, al senso del sacrificio e alla santità nelle generazioni dei preadolescenti e adolescenti; - il sostegno ( e la costituzione ) di osservatori sociali idonei alla miglior conoscenza del territorio di riferimento; - l'assunzione del ministero della rilevazione e denuncia delle forme di peccato e ingiustizia sociale che esigono vera giustizia e della relativa ortoprassi; - l'elaborazione e avvio di iniziative di recupero nei confronti di persone coinvolte nella malavita, in particolare quella dedita al crimine organizzato; - la formazione e valorizzazione di un volontariato competente, particolarmente motivato, già nella dimensione parrocchiale, negli ambiti più urgenti ( come quello sanitario, dell'accoglienza agli immigrati, del recupero e reinserimento sociale degli ex detenuti ); - l'attribuzione alla Caritas della formazione e della promozione culturale, con la progressiva responsabilizzazione nell'assunzione della gestione delle opere da parte delle realtà laicali territorialmente più significative; - la redazione di un documento sulla pastorale carceraria e la creazione di una consulta ad hoc ( e, in sede diocesana, di una commissione permanente per il " mondo penale " ); - l'istituzione, in dimensione anche interdiocesana ( o regionale ), di un coordinamento delle strutture di servizio e promozione umana e l'incentivazione di strutture di rete per la cooperazione anche con soggetti non di ispirazione ecclesiale o cristiana verso le situazioni di maggior disagio sociale; - l'invito alle scuole cattoliche all'accoglienza dei più svantaggiati. Ambito 4: tradizione Sintesi dei lavori nei gruppi di studio, a cura del prof. Costantino Esposito 20 ottobre 2006 1. Considerazioni generali La riflessione predominante e condivisa, come punto di partenza, nelle sintesi provenienti dai gruppi di studio sulla tradizione, è che quest'ultima va sempre concepita a un duplice livello: come il deposito della fede e insieme come la stessa esperienza della vita cristiana. Ma si tratta di due livelli indissolubilmente uniti. La fedeltà al depositimi fidei, infatti, non va mai scambiata con la semplice ripetizione intellettuale di una dottrina, ma va vissuta come il racconto di una testimonianza personale e comunitaria. E così anche l'oggetto della trasmissione della fede non potrà mai essere separato dalla dinamica esperienziale che esso genera, ne lo si potrà astrarre dai concreti processi storici, geografici e linguistici in cui esso di volta in volta si incarna. Il soggetto della tradizione cristiana - come da più parti è stato ribadito - è la comunità ecclesiale nel suo insieme, innanzitutto a partire dall'ascolto della Parola di Dio: è solo in tale ascolto, infatti, che si possono valorizzare tutte le molteplici vocazioni e tutte le concrete condizioni attraverso le quali la fede può essere trasmessa, in dialogo efficace con tutti. Da questo punto di vista è costante il richiamo al ruolo primario e insostituibile della famiglia nella generazione e nell'educazione alla fede: un ruolo da recuperare e sostenere in maniera sempre più decisa in un momento storico in cui essa appare indebolita al suo interno ( lo scollamento tra le generazioni ) ma anche nella sua funzione sociale, con la conseguente crisi di comunicazione dei valori essenziali per le giovani generazioni. Ma al ruolo della famiglia, secondo le sintesi dei lavori, va affiancato senz'altro quello svolto dalla comunità ecclesiale, nei suoi percorsi di iniziazione e di formazione permanente; nei suoi diversi livelli pastorali, come quelli della liturgia, della catechesi e della carità; nelle sue specifiche forme territoriali ( a partire dalla parrocchia ). E questo sempre tenendo conto della vocazione di testimonianza pubblica propria dei fedeli laici, e valorizzando la trama capillare con cui la tradizione si è resa presente nel nostro popolo. Di qui si ricava poi un'altra riflessione condivisa nel lavoro dei gruppi, vale a dire che il metodo peculiare della trasmissione della fede è costituito da quell'inculturazione ( o mediazione culturale, come suggeriscono alcuni gruppi ), secondo la quale la tradizione deve essere sempre una " traduzione " nei diversi contesti e nei differenti linguaggi dell'oggi, e più specificamente nei mezzi e nei luoghi della formazione e della comunicazione della mentalità pubblica, sino a incontrare la vita di tutti. Da questo punto di vista, se è innegabile che la tradizione forma e sostiene la nostra identità, è altrettanto vero - come sottolineato in alcuni interventi - che solo in un dialogo aperto e sincero tra le persone e tra le generazioni, con chi partecipa ma anche con chi non partecipa alla nostra stessa tradizione, tra la traditio ecclesiae e le tradizioni della comunità civile si può realizzare una testimonianza autenticamente vissuta. Una formulazione sintetica di queste diverse dimensioni è quella che, nei documenti pervenuti dai gruppi, emerge come " cura educativa " o come " sfida dell'educazione ", intesa quest'ultima come una vera passione per le donne e gli uomini del nostro tempo - e in special modo per le giovani generazioni -, ai quali va sempre nuovamente offerta la proposta del Vangelo e la sua risposta alle attese della ragione e del cuore di ciascuno. 2. Una riflessione sull'esperienza È proprio il tema dell'educazione a emergere come una sorta di filo conduttore ( pur attraverso flessioni e accenti differenziati ) lungo tutto il lavoro di riflessione e di valutazione sull'esperienza, compiuto nei diversi gruppi di studio sulla tradizione. Ed è importante sottolineare che la preoccupazione formativa ed educativa non ha riguardato solo i contenuti da trasmettere ma anche, e in certi casi soprattutto, le modalità e le forme con le quali li si comunica. La prima e più condivisa sottolineatura, a questo riguardo, è stata decisamente quella " antropologica ", individuando come prima urgenza nella trasmissione della fede, quella di intercettare, valorizzare e farsi carico delle domande, dei problemi e delle attese degli uomini di oggi. È condividendo queste aspettative - in tutti i livelli nei quali esse si manifestano, materiali e spirituali, psicologici e morali - che la tradizione può essere comunicata incrociando le diverse problematiche umane, culturali e sociali in cui siamo immersi. Se questo è vero sempre, oggi è ancor più evidente di fronte a due tipi di bisogno che ci interpellano in modo particolare: quello dei giovani, affamati di un senso per la vita, e quello degli stranieri, che vengono come immigrati nel nostro Paese e chiedono accoglienza e rispetto. Si tratta di domande e di attese - come alcuni hanno sottolineato - che costituiscono proprio il segno misterioso della grazia divina in ogni persona e in ogni cultura, di modo che non ci si potrà più relazionare al mondo in una maniera semplicemente antagonistica, ma si dovrà riconoscere sempre - pur attraverso il disagio, la frammentazione e la perdita di senso dell'umanità contemporanea - la positività che è presente nel nostro tempo, e " tirarla fuori " ( e-ducere, appunto ) come un dono di Dio. All'opposto di questa apertura e di questa sfida educativa sta invece ( come avvertito in diversi passaggi delle sintesi ) il rischio di un'autoreferenzialità della proposta cristiana, che chiede di essere superata attraverso un dialogo continuo con la cultura, o meglio - come alcuni sottolineano - con le culture odierne, nei loro diversi linguaggi, con i sempre nuovi strumenti della comunicazione sociale, con la moltiplicazione e insieme la perdita di centro dei valori di riferimento nei diversi ambiti dell'esistenza. Ciò si mostra tanto più urgente, quanto più la nostra società diviene pluralistica negli aspetti culturali e religiosi. Nella descrizione di questa dinamica, tuttavia, riemerge sempre, nei documenti pervenuti, la consapevolezza che il dialogo si nutre di un'identità vissuta, e che questa richiede a sua volta un legame vivente e ininterrotto con le sorgenti della vita cristiana: di qui l'esigenza spesso ribadita di una formazione permanente alla scuola della Parola biblica, un approfondimento continuo della formazione catechetica e una ripartenza sempre rinnovata dal luogo centrale di tutta la tradizione e di tutta l'esperienza del cristianesimo, vale a dire la liturgia. Così la fedeltà alla tradizione diviene un cammino di crescita continua nel nostro presente e verso il nostro futuro, e in questo crescere delle persone e della comunità ( come sottolineato da un gruppo di studio ) si mostra bene la prospettiva specifica dell'educazione cristiana. Proprio l'attenzione ai diversi linguaggi con cui si articola l'esistenza personale, la vita delle relazioni ecclesiali e sociali, nonché la storia della nostra cultura, fa dire in diversi casi che nella traditio cristiana si incontra una valorizzazione attenta delle opere più significative che ci provengono dal passato ( soprattutto in campo artistico ) e una altrettanto attenta sintonizzazione con le prospettive che di continuo vengono aperte nell'elaborazione del nostro futuro. Ed è interessante il fatto che la scuola - quella pubblica e ancor più la scuola cattolica - venga individuata come un luogo privilegiato per l'elaborazione e la trasformazione culturale alla luce del Vangelo, in una prospettiva che superi le fratture tra l'intellettuale e l'affettivo e tenga conto dell'integralità dell'esperienza umana. 3. Un approccio pastorale integrato Le proposte riguardanti direttamente la problematica della tradizione sono concordi nella richiesta di valorizzare e di sostenere l'impegno educativo dei laici cristiani nella scuola e nell'università, come luoghi in cui si incrociano in maniera trasversale tutte le dimensioni della vita umana. Tale sostegno passa attraverso una cura più organica e sistematica della formazione degli educatori, non solo in senso professionale e tecnico, ma anche più profondamente " spirituale ". Diverse proposte si incentrano sulla necessità di aiutarsi a una continua rielaborazione dei linguaggi della comunicazione, nei diversi livelli della formazione cristiana, dai seminari, agli istituti di scienze religiose, alle facoltà teologiche. E c'è chi suggerisce anche di incrementare momenti organici di educazione all'impegno politico. Ma è soprattutto la parrocchia a essere individuata come scuola di educazione e di comunione permanente, e quindi anche ambito di confronto, assimilazione e trasformazione dei linguaggi. Al che va aggiunta l'istanza di uno scambio comunicativo tra le diverse forme di presenza e di espressione delle aggregazioni ecclesiali. A proposito dei linguaggi in cui trasmettere la tradizione, è stato molto apprezzato il ruolo svolto dai media cattolici per lo sviluppo di un giudizio critico sulla realtà culturale, sociale e politica del nostro Paese e del mondo, come esemplificazione significativa di un'educazione all'incidenza culturale e pubblica della nostra tradizione. E più in generale, rispetto ai mezzi della comunicazione sociale, è stata più volte suggerita l'eventualità di un coordinamento più efficace a livello formativo e pratico tra gli operatori delle diverse forme della comunicazione, da quelle interne alla comunità cristiana ai media nazionali e internazionali. E anche un collegamento esplicito riguardante l'uso e la valorizzazione in senso evangelizzante dei beni culturali rientra tra le proposte avanzate. C'è inoltre un patrimonio di fede e di spiritualità che è presente nella religiosità popolare, nelle feste e nei luoghi particolari di culto che può divenire, adeguatamente evangelizzato, un momento ancora efficace di trasmissione della fede. Questo sforzo educativo viene in diversi interventi collegato esplicitamente al progetto culturale della Chiesa italiana, che si chiede di sviluppare nei prossimi anni, non solo ampliandone gli ambiti di incontro e di confronto con le diverse problematiche della vita e della società, ma diventando un vero e proprio progetto formativo permanente. E in definitiva è a questo che tutti i contributi concordemente tendono: che la tradizione cristiana possa essere sempre più incarnata nel tessuto del nostro Paese e mostrare l'incidenza della fede nella quotidianità della vita. Ambito 5: cittadinanza Sintesi dei lavori nei gruppi di studio, a cura del prof. Luca Diotallevi 20 ottobre 2006 Considerazioni generali I verbali dei gruppi di lavoro dell'ambito " cittadinanza " documentano un confronto generoso e vivace, ricco di vigorosi accenti critici. Dai partecipanti è emerso l'invito e innanzitutto l'impegno a proseguire il confronto anche dopo queste giornate di Verona, e a coinvolgere in esso quanto più possibile le comunità ecclesiali locali. La piacevole sorpresa che questi resoconti ci offrono è quella di un nucleo di richieste e di proposte assai condiviso. 1. Una riflessione sull'esperienza: alcune attenzioni prioritarie a) Generale, dettagliata e ricorrente è la domanda di formazione ai temi e alle sfide della cittadinanza. Essa mostra una consistenza particolare perché assai spesso si presenta come desiderio di approfondimento ulteriore e non di primo approccio. È proprio l'aver già riflettuto su pace, solidarietà, impegno sociale, ad esempio, o sulla vecchia " alternativa pubblico/privato ", o sulla mondialità e la globalizzazione, o sulle forme della governance, o sui valori e sul valore storico della costituzione italiana del 1948, che fa sorgere l'esigenza di approfondire questi temi sempre più e meglio e insieme la dottrina sociale della Chiesa, la sua storia e quella del movimento cattolico, in modo - lo si sottolinea costantemente - più qualificato e scientificamente rigoroso. Se vogliamo, questa richiesta di formazione confessa anche una sottile preoccupazione. Non di rado, di fronte a tante novità sociali e culturali, ci scopriamo forse non in difetto di speranza ma nella condizione di coloro che a ogni costo vogliono sperare, che cercano " segni dei tempi " nei quali trovare non conferme ma spazi meno angusti per l'esercizio della speranza cristiana. Si chiede alla formazione di far emergere eventi, processi, linguaggi, modelli di lettura, relazioni da cui la speranza cristiana certo non dipende, ma " che consentono di abitare con simpatia il cambiamento ". La domanda di formazione permanente e integrale, di vera e propria educazione, esprime la voglia di non limitarsi a ripetere principi. E attraverso questo sforzo di formazione e questa pratica dell'intelligenza credente che si cerca una risposta all'esigenza di identità attraverso la pratica continua della mediazione e non attraverso le scorciatoie pericolose e sterili del fondamentalismo, onde uscire dalla " cultura dell'impossibile ". È in questa prospettiva che si suggerisce anche di guardare alle esperienze delle altre Chiese europee. Una speciale attenzione è spesso prestata ai giovani di questo tempo, a favore dei quali vanno pensate occasioni di tirocinio cristiano alla cittadinanza necessariamente diverse ma non meno efficaci di quelle cui attinsero le generazioni del passato. Di occasioni del genere in questo momento si avverte una grave scarsità. b) Costante e indefesso è il richiamo a un'attenzione prioritaria agli ultimi, a coloro che fanno fatica, a una strenua partnership al fianco delle loro battaglie per una piena inclusione nel regime civile di diritti, doveri e opportunità. Non tragga in inganno il fatto che su questo punto il numero delle righe spese è piccolo: esso appare con chiarezza inversamente proporzionale alla forza delle affermazioni che esprime. Visto il tema dell'ambito e la pressione dell'attualità, l'attenzione di pressoché tutti i gruppi si è concentrata sulla questione della presenza di amici e amiche stranieri in cui riconosciamo una presenza nuova, che non manca di porre problemi anche seri, e che sappiamo potersi trasformare pienamente in una opportunità vitale per i nostri cuori e le nostre Chiese, e non meno per le nostre città, attraverso un percorso di dialogo, di rispetto, di corresponsabilità nella laicità dello Stato e nel riconoscimento delle istanze del diritto naturale. Un cambiamento si chiede alle politiche pubbliche in questo campo. c) In terzo luogo, non si può non registrare che gli atti dei lavori di gruppo ci testimoniano che i cattolici italiani hanno ancora una grande passione per la politica, vogliono fare politica, sentono l'esigenza di colmare così un vuoto grave tra fede e vita. L'occhio del sociologo, ormai abituato a elevate medie di disinteresse, resta sorpreso. Ma quello della Chiesa trova conforto, quello dei nostri concittadini dovrebbe vedervi un motivo di rinnovata fiducia. Dai gruppi proviene uno sguardo dal respiro assai ampio. Innanzitutto, la passione politica non mette in dubbio che il " luogo dell'unità dei cristiani è la Chiesa e non la politica ", ne fa chiudere gli occhi di fronte a una tendenza di riflusso nel privato che non risparmia lo stesso tessuto ecclesiale. Inoltre, è riconosciuto e difeso come non transeunte il valore dell'impegno prepolitico, ma non è idealizzato ne da solo certo appaga la passione e la responsabilità civile di chi ha preso la parola, anche quando si ricorda con soddisfazione che " le nostre esperienze ecclesiali rappresentano spesso la punta avanzata delle risposte che la società civile sta elaborando ". L'attenzione è protesa verso nuovi modelli culturali e organizzativi che l'impegno politico richiede oggi, rispetto al passato, a tutti e non solo ai cattolici. Questa voglia di politica appare animata da non trascurabile realismo. Il presente assetto del sistema politico italiano, le sue regole, i suoi attori, a partire dall'attuale bipolarismo, sono accettati come un dato di fatto e nello stesso tempo considerati suscettibili di ulteriori evoluzioni. Semmai, questo regime di bipolarismo rende ancora più urgente la difesa e lo sviluppo di un ethos condiviso, non solo nella Chiesa ma anche nella società. Contemporaneamente, forte è la critica all'attuale legge elettorale del parlamento, e determinata è la denuncia delle drammatiche condizioni in cui la legalità versa in tante aree del Paese. Infine, va ricordato che le preoccupazioni appena espresse negli ultimi due punti ( b e c ) costantemente convergono nel sottolineare l'attualità e l'urgenza, spesso drammatica, della " questione meridionale ". 2. Un approccio pastorale integrato: alcune proposte Dai verbali appare che la proposta di concentrare gli sforzi verso una pastorale più integrata, proposta che costituiva uno dei motivi del Convegno sin dalla sua convocazione, è stata non solo compresa e accolta, ma addirittura quasi radicalizzata. Proprio mentre si richiede una maggiore attenzione di tutta la comunità ecclesiale ai problemi e alle istanze di questo ambito, si contrasta preventivamente l'idea che questi vengano affidati a un nuovo, ennesimo ufficio. Costantemente si richiede che essi siano innestati nel cuore della pastorale ordinaria. In questo senso, più spesso che altre ricorrono tre proposte. a) In tutti i verbali e più volte in ciascuno si richiede di implementare e qualificare tutte le istituzioni in grado di corrispondere alla urgente domanda di formazione di cui si è detto in principio. Anche in questo caso, non perché nulla si è fatto ma perché si sente il bisogno e il dovere di fare di più, molto di più. L'esperienza del progetto culturale, delle scuole di formazione sociopolitica, delle commissioni lustitia et pax ( di cui magari rafforzare il livello regionale ) e così via sono gli esempi più citati. Ma non basta. A fianco di queste si vogliono, ai diversi livelli della vita ecclesiale, luoghi finalmente permanenti di discernimento comunitario, aperti a competenze e professioni, a uomini e a donne, a giovani, costantemente e rigorosamente attenti ai processi e ai soggetti civili ( politici, economici ecc. ) e ai segni dei tempi che possono custodire. È anche in queste sedi che i politici cattolici possono superare l'esperienza di solitudine e abbandono da parte della comunità che questi denunciano. È attraverso queste sedi che si ritiene sia possibile evitare che il bipolarismo e il pluralismo politico dei cattolici producano un'abitudine alla delegittimazione reciproca. Queste sedi possono essere allo stesso tempo luoghi di ricezione e di elaborazione di una " nuova antropologia cristiana", e laboratori di un nuovo cattolicesimo politico. b) Si chiede che la responsabilità per la città sia portata al cuore delle celebrazioni eucaristiche, al cuore della ricerca della Parola nelle Scritture, che risuoni nella normale omiletica, che sia tenuta presente nella catechesi ordinaria e in modi adeguati sin dai primi passi dell'iniziazione cristiana. E a questo livello fontale, oppure mai più, che si può costruire una spiritualità cristiana non disincantata. " La centralità della Parola e dell'Eucaristia dovranno essere il fondamento e l'alimento dell'impegno concreto del cristiano nella città ". c) Infine, con sorprendente convergenza, sono proprio le parrocchie e le Diocesi, i consigli pastorali parrocchiali e i consigli pastorali diocesani a essere indicati come i luoghi decisivi di questa integrazione pastorale, della quale anche la responsabilità per la città vuole essere anima e dalla quale sola sente di poter trarre nuovo alimento spirituale. Ciò richiede che nella loro vita ordinaria, e magari proprio a partire dai gradi di trasparenza dei processi di amministrazione economica, parrocchie e Diocesi offrano una testimonianza pubblica adeguata. Una personale impressione: non è solo di alcuni la coscienza cui ci richiamava la Centesimus annus, che anche la nostra generazione di cristiani è posta di fronte a " cose nuove ", e che ciò ci richiede di guardare indietro ma anche attorno e davanti. Queste cose nuove non richiedono una fede diversa, ma magari diverse idee e il coraggio di assumere diversi rischi, certi che è nella fede di sempre che noi rinnoviamo la libertà cristiana richiesta da ogni nuovo giorno. Quella libertà cui ogni mattino è ripetuto: " Ascoltate oggi la sua voce: "Non indurite il vostro cuore" ". Capiamo così meglio perché mai anche la grande storia dell'impegno civile dei cattolici italiani è fatta di fasi mai del tutto contenute dalle fasi che le avevano precedute. Questa è la storia di un impegno dei cattolici per la città che si è lasciato continuamente rinnovare dal rinnovarsi della Chiesa, e che a volte le ha restituito occasioni di rinnovamento e testimonianze di santità. Nessuno di noi pensa di avere di fronte un'opera facile, ma nelle pagine che ieri pomeriggio andavo leggendo vedevo la fede forte di tante e di tanti che sanno che sarà il Signore ad assumersi la parte più grande dell'opera e ad aiutarci in quella più piccola e pur per noi spesso pesante che ci è affidata, e poi a compierla lui stesso: " L'opera delle tue mani, o Signore, completa ". Intervento conclusivo di S.Em. il Card. Camillo Ruini 20 ottobre 2006 1. Venerati e cari confratelli nell'episcopato, fratelli e sorelle nel Signore, giunge ormai a termine questo 4° Convegno Nazionale delle Chiese che sono in Italia, dopo intense giornate di preghiera, di ascolto e di dialogo. Siamo dunque, forse, un poco affaticati, ma siamo soprattutto pieni di quella gioia del cuore che è frutto dello Spirito Santo ( Sir 50,23; Gal 5,22 ) e alla quale il Papa Benedetto sempre ci richiama. Questi sono stati, infatti, giorni felici, nei quali abbiamo sentito e gustato la bellezza e la fecondità del trovarci insieme, come fratelli, nel nome del Signore ( Mt 18,20 ). Il mio primo compito, quindi, è dare voce alla nostra comune gratitudine. Vogliamo anzitutto rinnovare il nostro grazie a Dio, Padre, Figlio e Spirito. Da lui proviene tutto ciò che di buono e positivo abbiamo vissuto qui a Verona e nel lungo cammino di preparazione, da lui imploriamo la forza e la grazia perché i germogli che sono stati piantati possano giungere a maturazione: in concreto perché si mantenga e si approfondisca la nostra comunione e aumentino in noi la consapevolezza e l'audacia di essere, ogni giorno, suoi testimoni. Un pensiero di speciale gratitudine lo inviarne al Santo Padre: per la sua presenza tra noi che ci ha permesso di esprimergli anche visibilmente il bene che gli vogliamo; per il discorso che ci ha rivolto e che costituisce la piattaforma fondamentale per la vita e la testimonianza delle nostre Chiese nei prossimi anni, avendoci indicato con la profondità e la chiarezza che gli sono proprie " quel che appare davvero importante per la presenza cristiana in Italia "; per la s. messa che abbiamo celebrato con lui e con tutta la Chiesa di Verona, oltre che con tante persone e gruppi venuti da ogni parte. In questa messa Benedetto XVI ha sentito l'abbraccio del nostro popolo, mentre noi, guidati dalla sua parola, siamo andati alla radice della nostra gioia e della nostra comunione. Ma vogliamo anche ringraziarci l'un l'altro per quel che insieme, tra noi e con il Signore, abbiamo potuto vivere e costruire: questa reciproca gratitudine, amicizia e stima è anche la premessa del cammino che dopo Verona dobbiamo proseguire insieme. Speciale riconoscenza esprimiamo al Card. Dionigi Tettamanzi, ai vari relatori e a tutti coloro che hanno lavorato alla preparazione del Convegno. Nel dire questo avvertiamo però che il raggio della nostra gratitudine non si restringe ad alcuni tra noi, ma piuttosto si allarga ben al di là del numero di coloro che sono qui riuniti. Una nota saliente dell'attuale Convegno è infatti la quantità e qualità della partecipazione che lo ha preceduto e lo ha fatto lievitare, specialmente a partire dalla pubblicazione, nel luglio dello scorso anno, della Traccia di riflessione: straordinario è stato il coinvolgimento delle Chiese locali - non solo di quelle che hanno ospitato e curato gli eventi legati ai cinque ambiti del Convegno -, intensa la partecipazione spirituale, serio e condiviso l'approfondimento delle problematiche, particolarmente sentita la ricerca dei segni di speranza presenti oggi nella società e nella Chiesa, così come la valorizzazione di quelle figure di cristiani del '900 che costituiscono per l'Italia di oggi modelli convincenti di testimonianza evangelica: tutto ciò in un clima di fiducia, di libertà e di spontanea comunione. Un vivissimo grazie lo diciamo ai Vescovi venuti a testimoniarci la fraterna vicinanza di tutta la Chiesa cattolica che vive in Europa e anche negli altri continenti. Ringraziamo inoltre di cuore i delegati fraterni delle altre Chiese e comunità cristiane, e parimenti i rappresentanti della comunità ebraica, di quella islamica e di altre religioni. Uno speciale e ingente debito di gratitudine abbiamo verso Mons. Flavio Roberto Carraro e tutta la Chiesa di Verona: l'affetto con cui ci hanno accolto e la premura di cui ci hanno circondato sono stati un contributo prezioso alla buona riuscita del Convegno, e per ciascuno di noi un incoraggiamento e un motivo di gioia. Vorrei poi ricordare con voi un nostro fratello, l'Arcivescovo di Monreale Mons. Cataldo Naro, che abbiamo molto amato e ammirato e che ha collaborato con straordinaria partecipazione, intelligenza e apertura di cuore, in qualità di vicepresidente del Comitato preparatorio, all'ideazione e alla progressiva realizzazione del Convegno. Per molti di noi egli è stato un amico personale, per tutti un esempio e un testimone di amore alla Chiesa e di una cultura compenetrata dal Vangelo. Lo sentiamo vivo e presente in mezzo a noi, nel mistero del Dio che si è fatto nostro fratello, per il quale Mons. Cataldo ha speso la sua vita. Questo mio intervento è stato indicato, nel programma del Convegno, come " discorso conclusivo ": un titolo giustificato solo dal fatto che è l'ultimo della serie, ma non da quello che potrò dire. In realtà le conclusioni sono state in buona misura già proposte nelle ottime relazioni che abbiamo appena ascoltato sui lavori dei cinque ambiti e saranno ulteriormente formulate nel documento che, come è d'uso, l'Assemblea della CEI dovrebbe approvare qualche mese dopo il Convegno. Soprattutto, la vera conclusione, o meglio il frutto e lo sviluppo concreto dei lavori di queste giornate e di tutto il cammino preparatorio, consisterà in quello che, come Chiesa italiana, sapremo vivere e testimoniare nei prossimi anni, cercando in primo luogo di essere docili alla guida del Signore. Il mio intervento si pone dunque semplicemente come un contributo alla riflessione comune, affinché le grandi indicazioni offerteci dal Santo Padre e tutto il lavoro svolto prima e durante il Convegno trovino sbocchi concreti nella vita e nella testimonianza della Chiesa italiana. Spero di rimediare così, in qualche misura, all'impegno troppo scarso con cui ho partecipato al cammino preparatorio, per il quale si è speso invece con eccezionale competenza, disponibilità e amore il nostro carissimo Mons. Giuseppe Betori, che non ha potuto essere Fisicamente con noi in queste giornate ma è ormai pronto a riprendere il suo lavoro di segretario della CEI e a contribuire come egli sa fare agli sviluppi che tutti attendiamo dal Convegno: a lui vanno il nostro affetto e la nostra gratitudine, nel vincolo di fraternità che ci unisce nel Signore. 2. Cari fratelli e sorelle, questo incontro di Verona deve aiutare le nostre comunità a testimoniare Gesù risorto entro un contesto sociale e culturale, nazionale e internazionale, che cambia molto rapidamente, mentre si rinnova anche la realtà ecclesiale. Proprio la coscienza di questi cambiamenti, dei problemi che essi pongono alla pastorale quotidiana e della necessità di non subirli passivamente, ma piuttosto di saperli interpretare alla luce del Vangelo, per poter interagire con essi e orientare in senso positivo il loro corso, è forse il principale motivo per il quale molte attese si concentrano sul nostro Convegno. Nei quasi undici anni che ci separano dall'incontro di Palermo abbiamo ricevuto anzitutto alcuni grandi doni, come l'anno santo del 2000, un'esperienza di fede, di preghiera, di partecipazione ecclesiale i cui frutti, nell'economia di salvezza, non si sono certo esauriti. Poi abbiamo vissuto gli ultimi anni del pontificato di Giovanni Paolo II, la sua straordinaria testimonianza di abbandono in Dio e di dedizione totale alla causa del Vangelo, di cui proprio nei giorni della sua morte è divenuta manifesta al mondo la grandissima efficacia, capace di far riscoprire il senso cristiano - e autenticamente umano - del vivere, del soffrire e del morire, e al contempo l'unità profonda dell'intera famiglia umana. Con il nuovo Papa Benedetto XVI abbiamo sperimentato come, nell'avvicendarsi delle persone, possa essere piena la continuità nella guida della Chiesa e nel legame d'amore che unisce il popolo di Dio al successore di Pietro. Ma godiamo anche della luce di intelligenza e di verità con cui Papa Benedetto propone il mistero della fede e illumina le realtà e le sfide che tutti viviamo: ieri di questa luce abbiamo usufruito qui in modo speciale. Ci fa bene, cari fratelli e sorelle, rammentarci di questi e di altri grandi doni del Signore, che non rimangono esterni a noi ma fanno parte della nostra vita, anche per non rinchiuderci nel breve raggio del nostro lavoro quotidiano e per non cedere a quella miopia spirituale che fa male alla speranza. Quando celebravamo il Convegno di Palermo prevaleva ancora, sebbene già in parte offuscata, quell'atmosfera di sollievo e di fiducia, a livello di scenari europei e mondiali, che era nata dalla caduta della cortina di ferro e dalla fine della lunga stagione della " guerra fredda ". Oggi non è più così, per delle cause profonde e di lungo periodo che hanno nella tragica data dell'11 settembre 2001 un'espressione emblematica ma assai parziale. La sfida rappresentata dal terrorismo internazionale, per quanto ardua e minacciosa, è infatti soltanto un aspetto di una problematica molto più ampia, che si riconduce al risveglio religioso, sociale e politico dell'IsLam e alla volontà di essere di nuovo protagoniste sulla scena mondiale che accomuna almeno in qualche misura le popolazioni islamiche, pur con tutte le differenze e le tensioni che esistono tra di esse. Questo grande processo ci tocca da vicino, a nostra volta, sotto il profilo religioso e non soltanto sociale, economico e politico, anche perché, nel quadro generale dei grandi fenomeni migratori, è forte la presenza islamica in Europa e ormai anche in Italia. Lo stesso risveglio dell'islam, d'altronde, si accompagna ad altri importanti sviluppi che sono in corso e che vedono protagoniste altre grandi nazioni e civiltà, come la Cina e l'India, configurando ormai uno scenario mondiale assai diverso da quello che faceva perno unicamente sull'occidente. Nello stesso tempo rimangono in tutta la loro drammatica gravita le situazioni di povertà estrema e mancato sviluppo di numerosi paesi e aree geografiche, specialmente ma certo non esclusivamente in Africa. In questo contesto di grandi trasformazioni sta assumendo dimensioni nuove e diventa sempre più vitale e irrinunciabile il compito della costruzione della pace, mentre persistono e si aggravano tante forme di guerra e minacce di guerra. Tutto ciò, di nuovo, ci interpella anche e specificamente in quanto credenti in Cristo: la Chiesa italiana, pertanto, non può non essere attenta e partecipe verso queste tematiche, decisive per gli anni che ci attendono. Un'altra novità di grande spessore e implicazioni che ha guadagnato molto spazio nell'ultimo decennio è quella che viene indicata come " questione antropologica ": nei lavori del nostro Convegno essa è stata, giustamente, assai presente. Negli interrogativi intorno all'uomo, infatti, nelle domande su chi egli realmente sia, sui suoi rapporti con il mondo e con la natura, ma anche nelle questioni che riguardano l'evolversi dei suoi comportamenti personali e sociali e le nuove e rapidamente crescenti possibilità di intervento sulla sua stessa realtà che le scienze e le tecnologie stanno aprendo, la fede cristiana e la conoscenza dell'uomo che essa ha in Gesù Cristo ( Gaudium et spes 22 ) vengono messe inevitabilmente a confronto con le prospettive e i punti di vista, talora assai divergenti, che riguardo all'uomo stesso hanno largo corso e cercano di imporsi. Questo confronto, che si svolge in tutto l'occidente e anzi si estende sempre più a livello planetario, coinvolge profondamente anche l'Italia e appare chiaramente destinato a proseguire e a intensificarsi negli anni che ci attendono. Esso si sviluppa, contestualmente, a molteplici livelli: sul piano culturale e morale, su quello della ricerca scientifica e delle sue applicazioni terapeutiche, su quello del vissuto delle persone e delle famiglie come su quello delle scelte politiche e legislative. Dobbiamo dunque continuare a sostenere questo confronto, che è stato già di grande stimolo per il nostro " progetto culturale ", essendo anzitutto consapevoli che la luce della fede ci fa comprendere in profondità non un modello di uomo ideale e utopico, ma l'uomo reale, concreto e storico che di per sé la stessa ragione può conoscere, e che, come ha detto Benedetto XVI il 30 maggio 2005 aggiungendo a braccio queste parole al suo discorso all'Assemblea della CEI, " non lavoriamo per l'interesse cattolico ma sempre per l'uomo creatura di Dio ". Un ulteriore elemento di novità, meno evidente e appariscente ma che si riferisce alla vita stessa della Chiesa e dei cattolici in Italia, mi sembra possa individuarsi in una crescita che ha avuto luogo in questi anni, sotto vari aspetti, tra loro certamente connessi. Si sono rafforzati cioè i sentimenti e gli atteggiamenti di comunione tra le diverse componenti ecclesiali, e in particolare tra le aggregazioni laicali, mentre si è fatto nettamente sentire, anche nel corso del nostro Convegno, il desiderio di una comunione ancora più concreta e profonda. A un tale positivo sviluppo ha certamente contribuito l'approfondirsi e il diffondersi della consapevolezza circa la necessità e l'urgenza, e al contempo le molte innegabili difficoltà, di una effettiva opera di rievangelizzazione del nostro popolo: ciò ha suscitato nuove energie e ha fatto sentire più forte il bisogno di lavorare insieme, per una missione che è comune a noi tutti ( Apostolicam actuositatem 2 ). È cresciuto inoltre, in maniera visibile, il ruolo della Chiesa e dei cattolici in alcuni aspetti qualificanti della vita dell'Italia: in particolare nel porre all'attenzione di tutti il significato e le implicazioni della nuova questione antropologica. In questo contesto si sono formate, o hanno intensificato la loro presenza, realtà come Scienza & Vita, il Forum delle famiglie, RetInOpera, con una forte unità tra i cattolici e un'assai significativa convergenza con esponenti della cultura " laica ". Si è potuto interpretare così, come è apparso specialmente in occasione del referendum sulla procreazione assistita, il sentire profondo di gran parte del nostro popolo. Ho ricordato questi aspetti di crescita non per nascondere le difficoltà che persistono, e sotto qualche profilo si aggravano, nella presenza cristiana in Italia, ma per mostrare come i giudizi e gli atteggiamenti improntati alla stanchezza e al pessimismo, che esistono anche all'interno della Chiesa e possono essere umanamente assai comprensibili, si rivelino unilaterali già sul piano dei fatti e dell'esperienza. 3. Proprio alla luce delle novità intercorse nell'ultimo decennio appare assai felice la scelta di concentrare l'attenzione del 4° Convegno della Chiesa italiana sulla testimonianza di Gesù risorto, speranza del mondo. Nell'articolazione di questo titolo è facile ravvisare la duplice attenzione, ormai tradizionale in questi convegni, alla missione evangelizzatrice della Chiesa e al suo determinante influsso positivo sulla vita della società. Questa duplice attenzione, però, non degenera in una dicotomia, ma si mantiene all'interno dell'unità dell'esperienza credente: è la testimonianza stessa di Gesù risorto, infatti, a costituire la speranza del mondo. Ancor più significativo è il fatto di essere andati, facendo perno sulla risurrezione di Cristo, al " centro della predicazione e della testimonianza cristiana, dall'inizio e fino alla fine dei tempi ", come ci ha detto ieri il Papa, che ha anche fatto risaltare in tutta la sua forza il motivo di questa centralità. Uno sguardo d'insieme all'evoluzione del mondo in cui viviamo, delle sue direttrici e dei suoi comportamenti, fa vedere infatti come i problemi che emergono tocchino le fondamenta stesse della nostra fede, e anche di una civiltà che voglia essere umanistica. Le possibilità di darvi risposta dipendono pertanto, in primo luogo, dall'autenticità e profondità del nostro rapporto con Dio. Soltanto così si formano quei testimoni di Cristo che l'alierà Card. Joseph Ratzinger ha chiesto a Subiaco il 1° aprile 2005, con parole che è bene riascoltare in questo Convegno: Ciò di cui abbiamo soprattutto bisogno in questo momento della storia sono uomini che, attraverso una fede illuminata e vissuta, rendano Dio credibile in questo mondo. La testimonianza negativa di cristiani che parlavano di Dio e vivevano contro di lui ha oscurato l'immagine di Dio e ha aperto le porte dell'incredulità. Abbiamo bisogno di uomini che tengano lo sguardo dritto verso Dio, imparando da lì la vera umanità. Abbiamo bisogno di uomini il cui intelletto sia illuminato dalla luce di Dio e a cui Dio apra il cuore, in modo che il loro intelletto possa parlare all'intelletto degli altri e il loro cuore possa aprire il cuore degli altri. Soltanto attraverso uomini toccati da Dio, Dio può far ritorno presso gli uomini. Grande attenzione e cura sono state dedicate pertanto, già nella preparazione del Convegno, a ciò che nelle nostre comunità può meglio disporci a quell'evento gratuito per il quale gli uomini e le donne di ogni età e condizione sono " toccati da Dio ", e questo è anche il primo obiettivo a cui puntare per il dopo-Convegno. Si tratta " di riproporre a tutti con convinzione " quella " misura alta della vita cristiana ordinaria " che è la santità, come ci ha chiesto Giovanni Paolo II al termine del Grande Giubileo ( Nova millennio ineunte 31 ). La prof.ssa Paola Bignardi, nel suo intervento di martedì, definendo la santità " unica misura secondo cui vale la pena essere cristiani ", ha rimarcato come a questa richiesta non ci siano per noi alternative praticabili. Infatti il cammino verso la santità non è altro, in ultima analisi, che il lasciar crescere in noi quell'incontro con la persona di Cristo " che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva ", secondo le parole della Deus caritas est riprese ieri dal Papa nel suo discorso: così, nonostante tutte le nostre miserie e debolezze, possiamo essere riplasmati e trasformati dallo Spirito che abita in noi. In concreto, nella preparazione e nello svolgimento del nostro Convegno, sono ritornate con insistenza le richieste di dare spazio alla gratuità, alla contemplazione, alla lode e alla gratitudine della risposta credente al dono che Dio sempre di nuovo fa di se stesso a noi. Nella sostanza è lo stesso invito che ci ha fatto ieri il Papa, quando ci ha detto che " prima di ogni nostra attività e di ogni nostro programma [ … ] deve esserci l'adorazione, che ci rende davvero liberi e ci dà i criteri per il nostro agire ". Abbiamo a che fare qui con quello che è il vero " fondamentale " del nostro essere di cristiani. Esso, certamente in forme congruenti alle diverse vocazioni e situazioni di vita, riguarda ugualmente tutti noi, sacerdoti, religiosi e laici ( Lumen gentium 40-41 ), che abbiamo " per condizione la dignità e la libertà dei figli di Dio, nel cuore dei quali dimora lo Spirito Santo " ( LG 9 ). Il mistero cristiano, vissuto nella pienezza delle sue dimensioni di amore gratuito e sovrabbondante, di sequela di Cristo crocifisso e risorto e così di partecipazione alla vita stessa di Dio, è infatti l'unica realtà che possiamo davvero proporre come quel grande " sì " a cui si è riferito anche ieri Benedetto XVI, " sì " che salva e che apre al futuro, anche all'interno della storia. È questo il motivo di fondo per il quale il Santo Padre insiste sul posto fondamentale della liturgia nella vita della Chiesa, come anche sull'opportunità di non pianificare troppo e di non lasciar prevalere gli aspetti organizzativi e tanto meno burocratici: con tutte queste indicazioni il nostro Convegno si è mostrato in spontanea e sentita sintonia. Da questa assemblea sale dunque un'umile preghiera, che implica però anche un sincero proposito, affinché il primato di Dio sia il più possibile " visibile " e " palpabile " nell'esistenza concreta e quotidiana delle nostre persone e delle nostre comunità. 4. Cari fratelli e sorelle, ciascuno di noi constata ogni giorno quanti siano gli ostacoli che l'ambiente sociale e culturale in cui viviamo frappone al cammino verso la santità. Tutto ciò rende ancor più necessaria e importante l'opera formativa che le nostre comunità sono chiamate a compiere e che si rivolge, senza dualismi, alla persona concreta dell'uomo e del cristiano, con l'intero complesso delle sue esperienze, situazioni e rapporti. Queste giornate di lavoro e le relazioni che abbiamo appena ascoltato hanno già approfondito i molteplici aspetti di un tale impegno formativo, mentre Benedetto XVI ha sottolineato che l'educazione della persona è " questione fondamentale e decisiva ", per la quale è necessario " risvegliare il coraggio delle decisioni definitive ". Per parte mia vorrei solo confermare che il nostro Convegno, con la sua articolazione in cinque ambiti di esercizio della testimonianza, ognuno dei quali assai rilevante nell'esperienza umana e tutti insieme confluenti nell'unità della persona e della sua coscienza, ci ha offerto un'impostazione della vita e della pastorale della Chiesa particolarmente favorevole al lavoro educativo e formativo. Si tratta di un notevole passo in avanti rispetto all'impostazione prevalente ancora al Convegno di Palermo, che a sua volta puntava sull'unità della pastorale ma era meno in grado di ricondurla all'unità della persona perché si concentrava solo sul legame, pur giusto e prezioso, tra i tre compiti o uffici della Chiesa: l'annunzio e l'insegnamento della Parola di Dio, la preghiera e la liturgia, la testimonianza della carità. Non è necessario aggiungere che l'opera formativa, sebbene oggi debba essere rivolta a tutti, mantiene un orientamento e una rilevanza speciale per i bambini e i ragazzi, gli adolescenti e i giovani: sono proprio le nuove generazioni, del resto, le più esposte a un duplice rischio: quello di crescere in un contesto sociale e culturale nel quale la tradizione cristiana sembra svanire e dissolversi - perfino in rapporto al suo centro che è Gesù Cristo - rimanendo viva e rilevante soltanto all'interno degli ambienti ecclesiali, e quello di pagare le conseguenze di un generale impoverimento dei fattori educativi nella nostra società. Anche di questi problemi e delle possibilità di rispondervi il nostro Convegno si è occupato approfonditamente. In particolare l'iniziazione cristiana si presenta oggi alle nostre Chiese come una sfida cruciale e come un grande cantiere aperto, dove c'è bisogno di dedizione e passione formativa ed evangelizzatrice, di sicura fedeltà e al contempo del coraggio di affrontare creativamente le difficoltà odierne. Di un'analoga passione educativa c'è forte necessità nelle scuole e specificamente nelle scuole cattoliche. È giusto ricordare qui che la Chiesa italiana nel prossimo triennio realizzerà un progetto denominato " Agorà dei giovani ", il cui primo e assai importante appuntamento sarà l'incontro dei giovani italiani a Loreto il 1° e il 2 settembre 2007, al quale abbiamo invitato il Santo Padre. Un aspetto sul quale occorre insistere è quello dell'orientamento e della qualificazione missionaria che la formazione dei cristiani deve avere, a ogni livello. Non si tratta di aggiungere un elemento dall'esterno, ma di aiutare a maturare la consapevolezza di ciò che alla nostra fede è pienamente intrinseco. Come ha detto il Papa al Convegno della Diocesi di Roma il 5 giugno scorso: " Nella misura in cui ci nutriamo di Cristo e siamo innamorati di lui, avvertiamo anche lo stimolo a portare altri verso di lui: la gioia della fede infatti non possiamo tenerla per noi, dobbiamo trasmetterla ". 5. Questa tensione missionaria rappresenta anche il principale criterio intorno al quale configurare e rinnovare progressivamente la vita delle nostre comunità. Dal nostro Convegno emerge chiara l'esigenza di superare le tentazioni dell'autoreferenzialità e del ripiegamento su di sé, che pure non mancano, come anche di non puntare su un'organizzazione sempre più complessa, per imboccare invece con maggiore risolutezza la strada dell'attenzione alle persone e alle famiglie, dedicando tempo e spazio all'ascolto e alle relazioni interpersonali, con particolare cura per la confessione sacramentale e la direzione spirituale. In un contesto nuovo e diverso, avremo così il ricupero di una dimensione qualificante della nostra tradizione pastorale. Per essere pienamente missionaria, questa attenzione alle perso ne e alle famiglie deve assumere però un preciso orientamento dinamico: non basta cioè " attendere " la gente, ma occorre " andare " a loro e soprattutto " entrare " nella loro vita concreta e quotidiana, comprese le case in cui abitano, i luoghi in cui lavorano, i linguaggi che adoperano, l'atmosfera culturale che respirano. È questo il senso e il nocciolo di quella " conversione pastorale " di cui sentiamo così diffusa l'esigenza: essa riguarda certamente le parrocchie, ma anche, in modo differenziato, le comunità di vita consacrata, le aggregazioni laicali, le strutture delle nostre Diocesi, la formazione del clero nei seminari e nelle università, la conferenza episcopale e gli altri organismi nazionali e regionali. Proprio qui si inserisce la proposta, o meglio il bisogno, della " pastorale integrata ". Dobbiamo precisare i suoi contorni e darle man mano maggiore concretezza, ma sono già chiari il suo obiettivo e la sua direzione di marcia: essa trova infatti nella comunione ecclesiale la sua radice e nella missione, da svolgere nell'attuale società complessa, la sua finalità e la sua concreta ragion d'essere. Punta quindi a mettere in rete tutte le molteplici risorse umane, spirituali, pastorali, culturali, professionali non solo delle parrocchie ma di ciascuna realtà ecclesiale e persona credente, al fine della testimonianza e della comunicazione della fede in questa Italia che sta cambiando sotto i nostri occhi. Fin da quando si è incominciato a progettare il presente Convegno è apparso centrale, proprio nella prospettiva della missione, il tema dei cristiani laici e molto è maturato in proposito sia in queste giornate sia nel lavoro preparatorio, nella linea del concilio Vaticano II e dell'esortazione apostolica Christifideles laici. È chiaro a tutti noi che il presupposto di una piena e feconda presenza e testimonianza laicale è costituito dalla comunione ecclesiale e specificamente da quella spiritualità di comunione che è stata invocata da Giovanni Paolo II con queste parole appassionate: " Fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione: ecco la grande sfida che ci sta davanti nel millennio che inizia, se vogliamo essere fedeli al disegno di Dio e rispondere anche alle attese profonde del mondo " ( Novo millennio ineunte 43 ). In particolare è indispensabile una comunione forte e sincera tra sacerdoti e laici, con quell'amicizia, quella stima, quella capacità di collaborazione e di ascolto reciproco attraverso cui la comunione prende corpo. Anzitutto noi Vescovi e presbiteri, proprio per la peculiare missione e responsabilità che ci è affidata nella Chiesa, siamo chiamati a farci carico di questa comunione concreta, prendendo sul serio la Parola di Gesù, ripresa nella Lumen gentium n. 18, che ci dice che siamo a servizio dei nostri fratelli. Ciò non significa che si debba abdicare al nostro compito specifico e all'esercizio dell'autorità che ne fa parte. Implica e richiede però che questo compito e questa autorità siano protesi a far crescere la maturità della fede, la coscienza missionaria e la partecipazione ecclesiale dei laici, trovando in ciò una fonte di gioia personale e non certo di preoccupazione o di rammarico, e promuovendo la realizzazione di quegli spazi e momenti di corresponsabilità in cui tutto ciò possa concretamente svilupparsi. Analogo spirito e comportamento è evidentemente richiesto nei cristiani laici: tutti infatti dobbiamo essere consapevoli che tra sacerdoti e laici esiste un legame profondo, per cui in un'ottica autenticamente cristiana possiamo solo crescere insieme, o invece decadere insieme. La testimonianza missionaria dei laici, che in Italia ha alle spalle una storia lunga e grande, le cui forme moderne sono iniziate già ben prima del Vaticano II, e che poi ha ricevuto dal Concilio nuova fecondità e nuovo impulso, ha oggi davanti a sé degli spazi aperti che appaiono assai ampi, promettenti e al tempo stesso esigenti. Questa testimonianza è chiamata infatti a esplicarsi sotto due profili, connessi ma distinti. Uno di essi è quello dell'animazione cristiana delle realtà sociali, che i laici devono compiere con autonoma iniziativa e responsabilità e al contempo nella fedeltà all'insegnamento della Chiesa, specialmente per quanto riguarda le fondamentali tematiche etiche e antropologiche. L'altro è quello della diretta proposta e testimonianza del Vangelo di Gesù Cristo, non solo negli ambienti ecclesiali ma anche e non meno nei molteplici spazi della vita quotidiana: in quello scambio continuo, cioè, che ha luogo all'interno delle famiglie come nelle scuole, nei luoghi di lavoro, nei locali pubblici e in tante altre occasioni. Sono i laici pertanto ad avere le più frequenti e per così dire " naturali " opportunità di svolgere una specie di apostolato o diaconia delle coscienze, esplicitando la propria fede e traducendo in comportamenti effettivi e visibili la propria coscienza cristianamente formata. Così essi possono aiutare ogni uomo e ogni donna con cui hanno a che fare a riscoprire lo sguardo della fede e a mantenere desta a propria volta la coscienza, lasciandosi interrogare da essa e possibilmente ascoltandola in concreto. Soltanto per questa via può realizzarsi la saldatura tra la fede e la vita e può assumere concretezza quella " seconda fase " del progetto culturale che è stata motivatamente proposta dal Card. Dionigi Tettamanzi. Questa forma di testimonianza missionaria appare dunque decisiva per il futuro del cristianesimo e in particolare per mantenere viva la caratteristica " popolare " del cattolicesimo italiano, senza ridurlo a un " cristianesimo minimo ", come ha giustamente chiesto don Franco Giulio Brambilla: tale forma di testimonianza dovrebbe pertanto crescere e moltiplicarsi. Potrà farlo però soltanto sulla base di una formazione cristiana realmente profonda, nutrita di preghiera e motivata e attrezzata anche culturalmente. Di fronte a una tale prospettiva diviene ancora più evidente la necessità di comunione e di un impegno sempre più sinergico tra i laici cristiani e tra le loro diverse forme di aggregazione, mentre si rivelano davvero privi di fondamento gli atteggiamenti concorrenziali e i timori reciproci. 6. Cari fratelli e sorelle, nel nostro comune impegno di evangelizzazione e testimonianza dobbiamo essere chiaramente consapevoli di una questione che la Chiesa ha affrontato fin dall'inizio e che specialmente oggi non è in alcun modo aggirabile: quella della verità del cristianesimo. Nell'attuale contesto culturale essa implica un confronto con posizioni che mettono in dubbio non solo la verità cristiana ma la possibilità stessa che l'uomo raggiunga una qualsiasi verità non puramente soggettiva, funzionale e provvisoria: tanto meno egli potrebbe raggiungere la verità in ambito religioso e in ambito etico. Così la fede cristiana è messa in questione nel suo stesso nucleo sorgivo e contenuto centrale, nel riconoscimento di Dio e del suo rivelarsi a noi in Gesù Cristo: in particolare non sarebbe più seriamente proponibile quello che è il cuore del presente Convegno, la testimonianza di Gesù risorto. Tutto ciò si riferisce in primo luogo al confronto intellettuale e al dibattito pubblico, ma ha certamente un'eco e un influsso nella coscienza e nei convincimenti delle persone, in specie dei giovani che si stanno formando. Bisogna aggiungere però che gli atteggiamenti di chiusura o anche di contestazione esplicita della plausibilità della fede in Dio, e in particolare del cristianesimo, coesistono e confliggono con uno sviluppo ben diverso, quello della crescita dell'importanza della religione, che si sta verificando a largo raggio e in particolare anche in Italia, dove si qualifica in buona misura come riaffermazione del valore dell'identità cristiana e cattolica. Non si tratta comunque e soltanto di un fenomeno che si esprimerebbe prevalentemente a livello pubblico, come difesa di un'identità che si sente minacciata da altre presenze. Esso ha a che fare, più profondamente, con la questione del significato della nostra vita, dei suoi scopi e della direzione da imprimerle: questione che nel contesto di una forma di razionalità soltanto sperimentale e calcolatrice non trova spazio legittimo e tanto meno risposta. Una tale questione è però insopprimibile, perché tocca l'intimo della persona, quel " cuore " che solo Dio può davvero conoscere ( 1 Re 8,39; At 1,24; At 15,8 ). Il risultato di un simile contrasto alla fine non è positivo né per la razionalità scientifica, che rischia di essere percepita come una minaccia piuttosto che come un grande progresso e una straordinaria risorsa, né per il senso religioso che, quando appare tagliato fuori dalla razionalità, rimane in una condizione precaria e può essere preda di derive fantasiose o fanatiche. È dunque davvero provvidenziale l'insistenza con cui Benedetto XVI stimola e invita ad " allargare gli spazi della nostra razionalità ", come ha fatto anche ieri al nostro Convegno e più ampiamente nel grande discorso all'Università di Regensburg, dove ha messo in luce il legame costitutivo tra la fede cristiana e la ragione autentica. A questa opera la Chiesa e i cattolici italiani devono dedicarsi con fiducia e creatività: anch'essa fa parte della " seconda fase " del progetto culturale e ne costituisce una dimensione caratterizzante. Va compiuta nella linea del sì all'uomo, alla sua ragione e alla sua libertà, che il Papa ieri ci ha riproposto con forza, attraverso un confronto libero e a tutto campo. Abbraccia dunque le molteplici articolazioni del pensiero e dell'arte, il linguaggio dell'intelligenza e della vita, ogni fase dell'esistenza della persona e il contesto familiare e sociale in cui essa vive. È affidata alla responsabilità dei Vescovi e al lavoro dei teologi, ma chiama ugualmente in causa la nostra pastorale, la catechesi e la predicazione, l'insegnamento della religione e la scuola cattolica, così come la ricerca filosofica, storica e scientifica e il corrispondente impegno didattico nelle scuole e nelle università, e ancora lo spazio tanto ampio e pervasivo della comunicazione mediatica. Di più, la sollecitudine specifica per la questione della verità è parte essenziale di quella missionarietà a cui, come ho già sottolineato, i cristiani laici sono chiamati nei molteplici spazi della vita quotidiana, familiare e professionale. La forma e modalità in cui la verità cristiana va proposta ci riconduce al tema del nostro Convegno: è infatti, necessariamente, la forma della testimonianza. Ciò non soltanto perché l'uomo del nostro tempo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri ( Evangelii nuntiandi 41 ), ma per un motivo intrinseco alla verità cristiana stessa. Essa infatti apre al mistero di Dio che liberamente si dona a noi e mette in gioco, insieme con la nostra ragione, tutta la nostra vita e la nostra salvezza. Non si impone quindi con evidenza cogente ma passa attraverso l'esercizio della nostra libertà. La coerenza della vita, pertanto, è richiesta a ciascuno di noi se vogliamo aiutare davvero i nostri fratelli a compiere quel passo che porta a fidarsi di Gesù Cristo. Questo legame tra verità e libertà è oggi quanto mai attuale e importante anche sul piano pubblico, sia nei confronti di coloro che, in Italia e in genere in occidente, vedono nella rivendicazione di verità del cristianesimo una minaccia per la libertà delle coscienze e dei comportamenti, sia in relazione al dialogo interreligioso, da condurre nel cordiale rispetto reciproco e al contempo senza rinunciare a proporre con sincerità e chiarezza i contenuti della propria fede e le motivazioni che li sostengono. Il concilio Vaticano II, ponendo a fondamento della libertà religiosa non una concezione relativistica della verità ma la dignità stessa della persona umana, ha messo a punto il quadro entro il quale i timori di un conflitto tra verità e libertà potrebbero e dovrebbero essere superati da tutti ( Dignitatis humanae 1-3 ). 7. La tensione escatologica del cristianesimo, fortemente evidenziata nel titolo stesso del nostro Convegno dal riferimento alla risurrezione e alla speranza, coinvolge d'altronde l'indole stessa della verità cristiana, che è sempre più grande di noi, va accolta e testimoniata nell'umiltà e ci orienta verso il futuro di Dio. Per la medesima ragione la verità cristiana ha carattere " inclusivo ", tende a unire e non a dividere, è fattore di pace e non di inimicizia e così mostra chiaramente di non essere una ideologia. Come disse Giovanni Paolo II al Convegno di Loreto ( n. 5 ), nella sua essenza profonda la verità cristiana è, infatti, manifestazione dell'amore, e solo nella concreta testimonianza dell'amore può trovare la sua piena credibilità. Sento il bisogno di ricordare qui due nostri fratelli, don Andrea Santoro e suor Leonella Sgorbati, che di un tale legame tra verità di Cristo e amore del prossimo hanno dato quest'anno la testimonianza del sangue. Proprio riguardo alla concezione dell'amore si è sviluppata negli ultimi secoli, come ha scritto Benedetto XVI nella Deus caritas est n. 3, una critica sempre più radicale al cristianesimo, che il Papa così riassume: " La Chiesa con i suoi comandamenti e i suoi divieti non rende forse amara la cosa più bella della vita? ". Già Nietzsche riteneva decisivo, per superare e sconfiggere definitivamente il cristianesimo, attaccarlo non tanto sul piano della sua verità quanto su quello del valore della morale cristiana, mostrando che essa costituirebbe un crimine capitale contro la vita, perché avrebbe introdotto nel mondo il sentimento e la coscienza del peccato, autentica malattia dell'anima. Un simile attacco sembra davvero in corso, anche se in maniera per lo più inconsapevole, come appare da quel processo di " alleggerimento " che tende a rendere fragili e precari sia la solidarietà sociale sia i legami affettivi. Tra i suoi fattori ci sono certamente l'affermarsi di un erotismo sempre più pervasivo e diffuso, così come la ricerca del successo individuale a ogni costo, sulla base di una concezione della vita dove il valore prevalente sembra essere la soddisfazione del desiderio, che diventa anche la misura e il criterio della nostra personale libertà. Anche sotto questo profilo siamo dunque chiamati a rendere ragione della nostra speranza ( 1 Pt 3,15 ), con tutta quell'ampiezza di impegno e di servizio che ci ha illustrato il Papa nel suo discorso. Si tratta infatti della vita concreta delle persone e delle famiglie, e del sostegno che esse nella comunità ecclesiale trovano o non trovano. Si tratta in particolare del modo in cui è concepito, proposto e vissuto il matrimonio, come del tipo di educazione che offriamo alle nuove generazioni. Al riguardo deve crescere la nostra fiducia e il nostro coraggio nell'affrontare la grande questione dell'amore umano, che è decisiva per tutti e specialmente per gli adolescenti e i giovani: è illusorio dunque pensare di poter formare cristianamente sia i giovani sia le coppie e le famiglie senza cercare di aiutarli a comprendere e sperimentare che il messaggio di Gesù Cristo non soffoca l'amore umano, ma lo risana, lo libera e lo fortifica. Una testimonianza che si muove su un piano in apparenza molto diverso, ma in realtà profondamente connesso, è quella della sollecitudine cristiana verso i più poveri e i sofferenti: attraverso di essa si esprimono infatti quella generosità e quella capacità di attenzione verso gli altri che sono il segno dell'amore autentico. Perciò l'esercizio della carità è, anche per i giovani, un tirocinio prezioso che irrobustisce la persona e la rende più libera e più idonea a un duraturo dono di sé. Specialmente quando si tratta del dolore e della sofferenza, da affrontare nella propria carne o da cercare di alleviare nelle persone del nostro prossimo, ci è data la possibilità di entrare nella logica della croce e di comprendere più da vicino la radicalità e la forza dell'amore che Dio ha per noi in Gesù Cristo, come ci ha detto ieri Benedetto XVI con parole particolarmente penetranti. Dobbiamo dunque ringraziare il Signore per l'ininterrotta testimonianza di carità della Chiesa italiana verso i poveri di ogni specie che sono tra noi, verso gli ammalati, verso le tante popolazioni del mondo che soffrono la fame e la sete, sono vittime della violenza degli uomini o di catastrofi naturali e di terribili epidemie. Rinnoviamo qui, insieme, la preghiera e l'impegno perché questa testimonianza continui e si rafforzi, nella certezza che per questa via il volto della Chiesa può riflettere la luce di Cristo ( LG 1 ). 8. La sollecitudine per il bene dell'Italia ci ha spinto a prendere in esame, anche in questo Convegno, le problematiche sociali, economiche e politiche, nel quadro della chiara indicazione che il Santo Padre ha ribadito anche ieri nel suo discorso, secondo la quale " la Chiesa [ … ] non è e non intende essere un agente politico ", ma nello stesso tempo " ha un interesse profondo per il bene della comunità politica ". Negli anni che ci separano dal Convegno di Palermo la novità politicamente forse più rilevante è stata l'affermarsi del " bipolarismo ", con l'alternanza tra le maggioranze di governo, mentre sul piano economico si segnala il passaggio dalla lira all'euro e il grande incremento della presenza di immigrati influisce a molteplici livelli. Il nostro Paese attraversa comunque una stagione non facile, che ha visto tendenzialmente ridursi il suo tasso di sviluppo e il suo peso nell'economia internazionale. l dato più grave e preoccupante è chiaramente il declino demografico, che persiste ormai da troppi anni senza dare finora segnali di una consistente inversione di tendenza: le sue conseguenze su tutta la vita dell'Italia saranno purtroppo sempre più pesanti e condizionanti. Come ci ha detto il Dott. Savino Pezzetta, la bassa natalità è il segno più evidente del venir meno di uno slancio vitale e progettuale nei confronti del futuro. Un altro nodo ancora largamente non risolto è la cosiddetta " questione meridionale", che in realtà è questione di tutta l'Italia e merita pertanto un impegno comune e solidale. Anche su di noi, naturalmente, hanno influito non poco quei grandi rivolgimenti che ho ricordato all'inizio, come l'affermarsi di nuovi grandi attori sulla scena mondiale e l'emergere della questione antropologica. Nel cammino di sviluppo dell'Unione europea la nota saliente è stata il suo forte allargamento, specialmente nei confronti dei paesi ex comunisti, che ha posto rimedio a una grande ingiustizia storica. Per questo e per altri e più radicati motivi l'Unione europea sta conoscendo a sua volta non lievi difficoltà e si scontra con problemi non risolti: ha dunque bisogno di riscoprire le sue più profonde ragioni d'essere, per poter trovare più convinto sostegno nei popoli che ne fanno parte. Nel corso di questi anni la Chiesa italiana si è mantenuta costantemente fedele alle indicazioni emerse, con l'esplicito sostegno di Giovanni Paolo II, dal Convegno di Palermo: esse si sono rivelate positive e feconde sia per la vita della Chiesa sia per il suo contributo al bene dell'Italia e corrispondono certamente all'insegnamento di Benedetto XVI. Abbiamo dunque tutti i motivi per proseguire su questa via, non coinvolgendoci in scelte di partito o di schieramento politico e operando invece perché i fondamentali principi richiamati dalla dottrina sociale della Chiesa e conformi all'autentica realtà dell'uomo innervino e sostengano la vita della nostra società. All'interno di questa linea costante l'ultimo decennio ha visto crescere delle attenzioni specifiche, specialmente in rapporto all'aggravarsi della situazione internazionale, con l'esplosione del terrorismo di matrice islamica e di guerre funeste, e soprattutto con l'impatto che sta avendo anche da noi la questione antropologica. Pertanto, in stretta sintonia con l'insegnamento dei pontefici, abbiamo messo l'accento sulla cultura della pace, fondata sui quattro pilastri della verità, della giustizia, dell'amore e della libertà, come afferma la Pacem in terris ( nn. 18-19 e 47-67 ). Abbiamo inoltre concentrato il nostro impegno sulle tematiche antropologiche ed etiche, in particolare sulla tutela della vita umana in tutte le sue fasi, dal concepimento alla morte naturale, e sulla difesa e promozione della famiglia fondata sul matrimonio, contrastando quindi le tendenze a introdurre nell'ordinamento pubblico altre forme di unione che contribuirebbero a destabilizzarla. Con lo stesso spirito abbiamo incoraggiato l'impegno pubblico nell'educazione e nella scuola e insistito con pazienza e tenacia, anche se finora con risultati modesti, per la parità effettiva delle scuole libere. Occorre ora dare seguito anche a queste attenzioni specifiche, probabilmente destinate a farsi ancora più necessarie nei prossimi anni, mantenendoci naturalmente sempre aperti a cogliere le problematiche nuove che avessero a manifestarsi. In questa sede, piuttosto che soffermarmi ancora una volta sui singoli argomenti, preferisco aggiungere qualche parola su un interrogativo di fondo della nostra società e sull'animo e l'atteggiamento con cui la comunità cristiana cerca di svolgere il proprio compito, muovendosi nella chiara consapevolezza della distinzione e della differenza tra la missione della Chiesa come tale e le autonome responsabilità propriamente politiche dei fedeli laici. L'interrogativo a cui mi riferisco riguarda la tendenza a porre in maniera unilaterale l'accento sui diritti individuali e sulle libertà del singolo, piuttosto che sul valore dei rapporti che uniscono le persone tra loro e che hanno un ruolo essenziale non solo per il bene della società, ma anche per la formazione e la piena realizzazione delle persone stesse. A questa tendenza, fortemente presente nella cultura pubblica e anche, sebbene in misura minore e in forme diverse, nel vissuto della gente, e attualmente protesa a cambiare la legislazione esistente, per parte nostra non intendiamo opporre un rifiuto altrettanto unilaterale: siamo infatti ben consapevoli che la libertà della persona è un grandissimo valore, che va riconosciuto nella misura più ampia possibile anche nella società e nelle sue leggi, limitandola solo quando e in quanto è necessario, come insegna il concilio Vaticano II ( Dignitatis humanae 7 ). Riteniamo importante e urgente però, non per qualche interesse cattolico ma per il futuro del nostro popolo, far crescere a tutti i livelli una rinnovata consapevolezza della realtà intrinsecamente relazionale del nostro essere e quindi del valore decisivo dei rapporti che ci uniscono gli uni gli altri. Il senso del nostro impegno di cattolici italiani va dunque, prima che a fermare quei cambiamenti che appaiono negativi per il Paese, a mantenere viva e possibilmente a potenziare quella riserva di energie morali di cui l'Italia ha bisogno, se vuole crescere socialmente, culturalmente e anche economicamente, e se intende superare il rischio di quella " scomposizione dell'umano " da cui ci ha messo in guardia il prof. Lorenzo Ornaghi. È questo il contesto concreto nel quale si colloca la chiara affermazione, da parte di Papa Benedetto, di quella laicità " sana " e " positiva " in virtù della quale le realtà temporali si reggono secondo norme loro proprie e lo Stato è certamente indipendente dall'autorità ecclesiastica, ma non prescinde da quelle istanze etiche che trovano il loro fondamento nell'essenza stessa dell'uomo e da quel " senso religioso " in cui si esprime la nostra costitutiva apertura alla trascendenza. Questo concetto di laicità ci rallegriamo di veder condiviso in maniera crescente anche tra coloro che non hanno in comune con noi la fede cristiana, o almeno non la praticano. Accettiamo parimenti con animo sereno le critiche e talvolta le ostilità che il nostro impegno pubblico porta con sé, sapendo che fanno parte della libera dialettica di un paese democratico, e che molto più preoccupante delle critiche sarebbe quell'indifferenza che è sinonimo di irrilevanza e che sarebbe il segno di una nostra mancata presenza. 9. Cari fratelli e sorelle, tutto l'insieme delle richieste e dei compiti, a prima vista assai diversificati, che questo Convegno ha fatto passare davanti a noi, si riconduce alla missione della Chiesa, che in realtà è una sola, e deve trovare pertanto il soggetto che se ne fa carico nella medesima Chiesa, intesa però nella pienezza delle sue dimensioni: come popolo di Dio che vive nella storia, con le sue molteplici articolazioni e componenti, e come mistero e sacramento, presenza salvifica di Dio Padre, corpo di Cristo e tempio dello Spirito, con una ordinazione intrinseca alla salvezza di tutti gli uomini ( LG 1 e 2 ). Perciò, se saremo veramente Chiesa nella realtà della nostra preghiera e della nostra vita, non saremo mai soli, come ci ha detto ieri il Papa, e non porteremo da soli il peso dei nostri compiti. Per il modo in cui interpretare storicamente il nostro essere Chiesa negli anni che ci attendono, Benedetto XVI ci ha dato dei grandi ammaestramenti, specialmente nel discorso alla Curia romana del 22 dicembre scorso, invitandoci a proseguire e sviluppare l'attuazione del concilio Vaticano II sulla base dell'" ermeneutica della riforma ", cioè del rinnovamento nella continuità dell'unico soggetto Chiesa e dei principi del suo insegnamento, continuità che ammette forme di discontinuità in rapporto al variare delle situazioni storiche e ai problemi nuovi che via via emergono. Il Papa stesso ha aggiunto che il Concilio ha tracciato, sia pure solo a larghe linee, la direzione essenziale del dialogo attuale tra fede e ragione, e che adesso " questo dialogo è da sviluppare con grande apertura mentale, ma anche con quella chiarezza nel discernimento degli spiriti che il mondo con buona ragione aspetta da noi proprio in questo momento ": a un tale compito affascinante anche il nostro Convegno confida di aver dato un contributo, per quanto modesto. La parola " discernimento " ci richiama a un obiettivo che ci eravamo dati nel Convegno di Palermo, anche con l'impulso di Giovanni Paolo II, specialmente in rapporto al discernimento comunitario che consenta ai fratelli nella fede, collocati in formazioni politiche diverse, di dialogare e di aiutarsi reciprocamente a operare in maniera coerente con i comuni valori a cui aderiscono. È diffusa l'impressione che questo obiettivo sia stato mancato in larga misura nel decennio scorso, anche se una valutazione più attenta potrebbe suggerire che esso ha avuto pure delle realizzazioni non piccole, principalmente, ma non esclusivamente, in occasione della legge sulla procreazione assistita e del successivo referendum. Per fare meglio in futuro può essere utile tener accuratamente presente la differenza tra il discernimento rivolto direttamente all'azione politica o invece all'elaborazione culturale e alla formazione delle coscienze: di quest'ultimo infatti, piuttosto che dell'altro, la comunità cristiana come tale può essere la sede propria e più conveniente, mentre partecipando da protagonisti a un tale discernimento culturale e formativo i cristiani impegnati in politica potranno aiutare le nostre comunità a diventare più consapevoli della realtà concreta in cui vivono e al contempo ricevere da esse quel nutrimento di cui hanno bisogno e diritto. La premessa decisiva per una buona riuscita del discernimento comunitario, da realizzarsi in ambito pastorale non meno che riguardo ai problemi sociali e politici, come assai più largamente la premessa per una più piena testimonianza cristiana a tutti i livelli, è in ogni caso la crescita e l'approfondimento di quel senso di appartenenza ecclesiale che purtroppo fatica a penetrare l'intero corpo del popolo di Dio, e talvolta anche in sue membra qualificate sembra scarso. Benedetto XVI, mettendo davanti a noi " la vera essenza della Chiesa ", come la incontriamo, pura e non deformata, nella Vergine Maria, ci ha indicato ieri la strada giusta per maturare in noi il significato e il motivo autentico della nostra appartenenza, che non ignora, non nasconde e non giustifica le tante carenze, miserie e anche sporcizie di noi stessi e delle nostre comunità, ma sa bene perché non deve arrestare soltanto lì il proprio sguardo e perché esse non devono attenuare la sincerità e profondità della nostra appartenenza. Cari fratelli e sorelle, su questa nota ecclesiale vorrei terminare il mio troppo lungo discorso, intimamente convinto che l'amore alla Chiesa fa alla fine tutt'uno con l'amore a Cristo, pur senza dimenticare mai che tra la Chiesa e Cristo vige non un'identità ma una " non debole analogia ", come ha insegnato il Concilio ( LG 8 ). Questo amore indiviso, dunque, dobbiamo far rifiorire in noi. Ci affidiamo per questo all'intercessione di Maria, Madre della Chiesa, del suo sposo Giuseppe, che della Chiesa è universale patrono, e di San Zeno patrono della Chiesa di Verona, a cui rinnoviamo il nostro grazie. Il Signore Gesù benedica la nostra umile fatica di questi giorni e faccia germinare da essa qualche frutto dello Spirito, così che possiamo essere davvero testimoni della sua risurrezione, per quella speranza di cui tutti abbiamo bisogno. Messaggio alle Chiese particolari in Italia 20 ottobre 2006 Mentre lasciamo Verona per tornare alle nostre Chiese, vogliamo manifestare la gioia profonda per aver vissuto insieme questo 4° Convegno Ecclesiale Nazionale. Portavamo con noi il desiderio di ravvivare, per noi e per tutti, le ragioni della speranza. Nell'incontro con il Signore risorto, abbiamo rivissuto lo stupore, la trepidazione e la gioia dei primi discepoli. Oggi, come loro, possiamo dire: " Abbiamo visto il Signore! ". Lo abbiamo visto nel nostro essere insieme e nella comunione che ha unito tutti noi e che ha preso forma di Chiesa nell'ascolto della Parola e nell'Eucaristia. Lo abbiamo incontrato nella persona di Papa Benedetto e ascoltato nelle sue parole. Lo abbiamo toccato con mano nella testimonianza dei cristiani che, nelle nostre terre, hanno vissuto il Vangelo facendo della santità l'anelito della loro esistenza quotidiana. Abbiamo avviato i nostri lavori lasciandoci illuminare dai loro volti, che sono apparsi a rischiarare la notte che scendeva sull'Arena. Lo abbiamo conosciuto dentro e oltre le parole di quanti hanno raccontato la fatica di vivere nel nostro tempo e insieme hanno mostrato il coraggio di guardare a fondo la realtà, alla ricerca dei segni dello Spirito, efficacemente presente anche nella storia di oggi. Lo abbiamo sperimentato nei dialoghi di queste giornate intense e indimenticabili, espressione di corresponsabile amore per la Chiesa e della volontà di comunicare la perla preziosa della fede che ci è stata donata. Su questa esperienza del Signore risorto si fonda la nostra speranza. La nostra speranza, infatti, è una Persona: il Signore Gesù, crocifisso e risorto. In lui la vita è trasfigurata: per ciascuno di noi, per la storia umana e per la creazione tutta. Su di lui si fonda l'attesa di quel mondo nuovo ed eterno, nel quale saranno vinti il dolore, la violenza e la morte, e il creato risplenderà nella sua straordinaria bellezza. Noi desideriamo vivere già oggi secondo questa promessa e mostrare il disegno di un'umanità rinnovata, in cui tutto appaia trasformato. In questa luce, vogliamo vivere gli affetti e la famiglia come segno dell'amore di Dio; il lavoro e la festa come momenti di un'esistenza compiuta; la solidarietà che si china sul povero e sull'ammalato come espressione di fraternità; il rapporto tra le generazioni come dialogo volto a liberare le energie profonde che ciascuno custodisce dentro di sé, orientandole alla verità e al bene; la cittadinanza come esercizio di responsabilità, a servizio della giustizia e dell'amore, per un cammino di vera pace. Non ci tiriamo indietro davanti alle grandi sfide di oggi: la promozione della vita, della dignità di ogni persona e del valore della famiglia fondata sul matrimonio; l'attenzione al disagio e al senso di smarrimento che avvertiamo attorno e dentro di noi; il dialogo tra le religioni e le culture; la ricerca umile e coraggiosa della santità come misura alta della vita cristiana ordinaria; la comunione e la corresponsabilità nella comunità cristiana; la necessità per le nostre Chiese di dirigersi decisamente verso modelli e stili essenziali ed evangelicamente trasparenti. Papa Benedetto XVI ci ha ricordato che la via maestra della missione della Chiesa è l'" unità tra verità e amore nelle condizioni proprie del nostro tempo, per l'evangelizzazione dell'Italia e del mondo di oggi ". La verità del Vangelo e la fiducia nel Signore illuminino e sostengano il cammino che riprendiamo da Verona con più forte gioia e gratitudine, per essere testimoni di Gesù risorto, speranza del mondo.