Venite e vedrete

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Quando pregate

CCC nn. 240; 441-445; 2779-2785 ( vedi pure nn. 2786-2854 ) CdA nn. 172-175; 821-825 ( vedi pure nn. 953-1013 ) CdG1 pp. 25-26


Proclamando la venuta del regno di Dio e rendendolo già presente nella sua parola, nei suoi gesti e nella sua persona, Gesù lascia intravedere il volto del Dio che prende l'iniziativa sovrana di farsi vicino alla vita umana, di salvarla, di aprirla alla libertà, di farle dono della pace e della giustizia.

La novità del suo annuncio, l'autorità e la potenza dei segni che compie, l'apertura e il dono di sé che traspare dai suoi incontri con ogni genere di persone, danno visibilità umana al Dio che viene a instaurare il suo regno.

Il Dio delle parabole

Gesù ha delineato i tratti salienti del volto di questo Dio nella vivacità del linguaggio delle parabole, con cui si è rivolto alle folle e agli oppositori, per convincerli ad accogliere la sua straordinaria iniziativa e a rispondervi con nuovi atteggiamenti di vita.

Dio è per Gesù come quel padre dallo sconfinato amore che accoglie e restituisce dignità al figlio allontanatosi da casa ( Lc 15,11-32 ); è come quel padrone che rimette un enorme debito, esigendo però che venga condonato il piccolo debito del fratello ( Mt 18,23-35 ); è come quel padrone di una vigna che fa della gratuità il criterio di ricompensa degli operai presi a giornata ( Mt 20,1-16 ).

Questo Dio è paziente e attende fino all'ultimo la conversione dell'uomo, come quel padrone del campo che lascia crescere insieme grano e zizzania fino al momento decisivo della mietitura ( Mt 13,24-30 ); egli è attento agli ultimi e ai lontani, come quell'uomo benestante che ha invitato alla sua mensa i poveri che stanno ai crocicchi delle strade ( Lc 14,16-24 ); è condiscendente verso chi lo supplica, come quell'amico importunato nel bel mezzo della notte ( Lc 11,5-8 ).

Nelle parabole di Gesù emerge un nuovo volto di Dio, che continua a sconvolgere e nello stesso tempo a rasserenare l'ambigua coscienza religiosa dell'uomo, spesso legata ad immagini fin troppo umane del divino.

Padre di Israele e di ogni credente

Per parlare ai discepoli del Dio del Regno e per esprimere la coscienza del suo rapporto unico con lui, Gesù mostra di preferire il simbolo della paternità.

Questo simbolo era già stato ampiamente utilizzato nell'Antico Testamento.

A partire dall'epoca dei profeti, Dio è visto come il "Padre" di tutto Israele, il popolo che egli ha legato a sé con le grandi gesta salvifiche ( Dt 32,6 ) e che ha amato e cresciuto come un "figlio" ( Os 11,1 ).

Liberato da ogni equivoco richiamo all'idea di generazione, il simbolo della paternità viene a evocare in modo incisivo la profonda intimità e il legame unico che connette il popolo d'Israele al suo Dio.

A questo legame d'amore, espresso nei termini di paternità-filiazione, i profeti si richiamano per sollecitare il popolo alla fedeltà ( Ger 3,19 ) e per coltivare in esso la speranza di essere nuovamente liberato e salvato ( Is 63,15-16; Is 64,7 ).

In epoca più tarda, come testimoniano i libri sapienziali, è il singolo fedele a sentire Dio come Padre della sua vita, in quanto Creatore e Signore della sua esistenza, e a vivere una esperienza individuale di filiazione ( Sir 23,1.4; Sir 51,10 ).

Di questa paternità divina il giusto va orgoglioso ( Sap 2,13.16 ), perché essa gli assicura protezione ed assistenza ( Sap 2,18 ) ed in essa trova la sorgente della sua forza e della sua fiducia.

Su questo sfondo di una paternità divina, simbolo di un amore unico, tenero, compassionevole e al contempo esigente, va compreso il significato della paternità del Dio del Regno annunciata da Gesù.

Il "Padre vostro"

Nelle istruzioni riservate ai discepoli, Gesù parla loro di Dio come il "Padre vostro".

È un Padre di cui i discepoli devono fidarsi perché egli sa di cosa hanno bisogno ed è disposto a concederlo ( Mt 6,32 ).

È un Padre benevolo verso gli ingrati e i malvagi, che nella sua misericordia deve diventare esemplare per la condotta dei discepoli ( Lc 6,36 ).

È un Padre disposto al perdono, a condizione che anche i discepoli si aprano al perdono dei fratelli ( Mc 11,25 ).

Alla piccola schiera dei discepoli, timorosa e oppressa, egli mostra la sua paternità facendo dono del regno di Dio ( Lc 12,32 ).

Questa paternità è talmente singolare che i discepoli non possono dare ad altri il titolo di "padre" sulla terra, senza rischiare di profanare l'immagine paterna di Dio ( Mt 23,9 ).

Da questo insegnamento di Gesù i discepoli vedono svelarsi un volto paterno di Dio, carico di tenerezza e di amore, che diventa la fonte e la misura della loro condotta di vita.

Il "Padre mio"

Se Dio è il Padre dei discepoli, lo è in modo del tutto unico per Gesù.

Egli esprime la coscienza di questo rapporto unico con il Dio che gli è Padre: "Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare" ( Mt 11,27 ).

Ottavio Vannini, Battesimo di Gesù.

Sotto questa densa e significativa parola di Gesù si può cogliere tutta l'intimità esistente tra lui e Dio suo Padre.

Questi ha trasmesso a Gesù la rivelazione di se stesso, così che egli lo conosce nel modo unico con cui un figlio conosce pienamente il proprio padre.

In forza di questa relazione profonda di conoscenza e di amore Gesù può rivelare Dio agli uomini.

Ma l'intimità che Gesù vive con Dio suo Padre si esprime in pienezza nella preghiera.

La molteplice attestazione dei Vangeli sembra concorde nell'indicare che Gesù, a eccezione del grido sulla croce ( Mc 15,34 ), ha sempre invocato Dio con l'espressione "Padre mio".

Ancor più notevole è il fatto che Gesù usasse l'appellativo "Abbà" per rivolgersi a Dio nella sua preghiera: Gesù si rivolge a Dio con la semplicità, l'intimità e la fiducia con cui un bambino si rivolgeva al proprio padre.

Da questa consuetudine unica di Gesù nel rivolgersi a Dio ci viene svelata la natura del suo rapporto e della sua comunione profonda con lui.

Pregare il Padre

Su questo sfondo della relazione unica tra Gesù e il Padre, comprendiamo anche il valore della preghiera che Gesù ha lasciato ai suoi discepoli.

Costoro gli avevano chiesto di insegnare loro a pregare ( Lc 11,1 ) con una preghiera che fosse come il contrassegno e il simbolo dei suoi seguaci.

Gesù, esaudendo la loro richiesta, li autorizza a seguirlo nell'invocazione a Dio come Padre e in tal modo li fa partecipi della sua stessa comunione con Dio.

Tutti i credenti dunque, per l'azione interiore dello Spirito, possono invocare Dio con l'appellativo "Abbà", "Padre".

Lo ricorda Paolo ai suoi cristiani: "Avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: Abbà, Padre!" ( Rm 8,15 ).

Gesù, che ci ha rivelato il volto di un Padre pieno di amore e di misericordia e che ci ha testimoniato il suo rapporto unico con questo Padre suo, per il dono del suo Spirito, ha aperto anche per noi una nuova relazione con Dio e una nuova possibilità di rivolgerci a Dio nella nostra preghiera.

Liberi da ogni sentimento di paurosa sottomissione e di schiavitù, possiamo aprirci a Dio come Padre nostro, con la stessa confidenza e fiducia che ha caratterizzato la vita e la preghiera di Gesù.

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