Venite e vedrete

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Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo

CCC nn. 232-267 ( vedi pure nn. 199-227; 268-274; 441-445; 683-701 ) CdA nn. 315-350 CdG1 pp. 335-338


Gli avvenimenti di Pasqua e Pentecoste, gli incontri con il Risorto, vivente in una condizione del tutto nuova dopo la sua morte, e l'esperienza della forza del suo Spirito abilitano i primi discepoli a fare dell'opera e della persona di Gesù il centro della propria esistenza.

Gesù è la perla su cui fare l'investimento della propria vita ( Mt 13,45-46 ), il grande e inesauribile suggeritore capace di valorizzare tutte le risorse e le esperienze umane.

In lui la storia ha trovato il suo perno e la sua profezia compiuta.

Nella sua risurrezione il velo dell'intera vicenda umana si è squarciato e ha lasciato intravedere l'esito ultimo verso il quale viaggia la storia di ogni uomo.

Nella storia di Gesù il volto dell'uomo e il volto di Dio si legano così strettamente da manifestarsi insieme in tutta la loro verità.

Lungo tutta la sua esistenza Gesù ha realizzato un modo d'essere uomo che ha attirato e meravigliato, ha suscitato contestazione e rifiuto.

Nella sua capacità di accoglienza e verità, di misericordia e resistenza, di fraternità e appello autorevole al cambiamento, Gesù si è posto come presenza discriminante.

Nel duplice invito alla convivialità e al deserto, ha rivelato quale volto debba assumere l'uomo per essere all'altezza della sua dignità e quale sia la strada per raggiungerla.

In tutto questo Gesù ha coinvolto pienamente il volto di Dio.

Se gli uomini sono i destinatari del suo messaggio, del suo modo di pensare e di agire, Dio ne è la sorgente e la ragione ultima e permanente.

Ogni uomo va accolto fraternamente, perché Dio è il Padre che non fa discriminazione; ogni uomo è interpellato dalla verità, perché Dio lo ha chiamato a libertà; ogni uomo è invitato a sollevare il capo dinanzi a ciò che lo opprime e viene contestato nei privilegi che pretende per sé, perché Dio vuole la salvezza di tutti. In tutta la vita di Gesù risalta questo intrecciarsi inscindibile del volto dell'uomo con quello di Dio; per questo essa sorprende, al tempo stesso sconcerta e consola.

La Pasqua di Gesù è la prova ultima, di fedeltà totale, senza riserve e pentimenti, a questo disegno.

Il dono dello Spirito guida a sperimentarne l'efficacia.

La Pasqua e la Pentecoste invitano i discepoli a inoltrarsi nella sequela, scoprendo nella propria vita la novità del Dio di Gesù e il volto nuovo dell'uomo che da lui si lascia ispirare.

Il primo annuncio del vangelo e la conseguente professione di fede, la celebrazione liturgica e la catechesi dicono al vivo questo inesauribile intreccio di comunione tra Dio e l'uomo.

Gesù Messia, Signore e Figlio di Dio

Per chi aderiva a Gesù dall'interno dell'ebraismo, dall'interno di quel popolo e di quell'esperienza di fede dentro la quale Gesù stesso si era riconosciuto, divenne fondamentale riconoscerlo come Messia.

In tal modo lo si accoglieva come il compimento di tutte le promesse con le quali Dio aveva sostenuto la storia di Israele.

"In realtà, tutte le promesse di Dio in lui sono divenute "sì"" ( 2 Cor 1,20 ).

La sua Pasqua ne è il sigillo: ""Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?".

E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui" ( Lc 24,26-27 ).

In quanto compimento di tutte le promesse, Gesù viene a collocarsi in una posizione nuova e unica rispetto agli uomini, destinatari delle promesse, e a Dio, autore delle promesse e della loro attuazione.

La fede della comunità dei discepoli, nata dalla Pasqua, lo dice indicando in Gesù il Signore e il Figlio di Dio.

Proclamandolo Signore ( At 2,36; Rm 10,9; 1 Cor 12,3; Fil 2,11 ), la fede cristiana riconosce a Gesù il titolo che la fede ebraica riconosceva come esclusivo di Dio.

In Gesù, dunque, l'azione con la quale Dio guida la storia e la mantiene tenacemente aperta verso il suo compimento ha trovato la sua espressione definitiva.

In lui Dio si riconosce totalmente espresso.

In tal modo la signoria di Dio, l'amore di Dio si precisa definitivamente come l'inesauribilità dell'amore.

Nella Pasqua, Dio si rivela come l'amore che è in grado di dare la vita oltre la morte e di sostenere nella storia la testimonianza degli uomini all'amore.

Tutto questo pone Gesù in una condizione unica in relazione a Dio stesso.

Tra Gesù e Dio c'è totale corrispondenza, pienezza di condivisione.

Gesù appartiene alla realtà stessa di Dio, alla sua intima vita: è il Figlio unigenito da sempre nel seno del Padre ( Gv 1,18 ).

In modo particolare il Vangelo di Giovanni condensa in formule di autopresentazione questa identità di Gesù: il Figlio fa le opere del Padre ( Gv 5,36 ); dice le parole che il Padre gli ha date ( Gv 12,50 ); è una cosa sola con il Padre ( Gv 10,30 ).

Con Gesù, proprio perché è la piena apertura di Dio a noi, l'offerta della pienezza della vita è anche la via al Padre, l'accesso al mistero di Dio.

Egli è davvero "la via, la verità e la vita" ( Gv 14,6 ).

Dio, il Padre di Gesù

"Se conoscete me, conoscerete anche il Padre: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto" ( Gv 14,7 ).

È la risposta che Gesù, nel quadro della cena che prelude e anticipa la sua Pasqua, dà a Filippo che lo interroga su come superare lo sbigottimento provocato dall'annuncio della sua immediata partenza.

Nell'interrogativo di Filippo è l'intera comunità dei discepoli che si riconosce.

Anzi, sono le domande che la vita stessa solleva rispetto a Dio.

Come si "giustifica" Dio rispetto al nostro mondo e alla nostra storia, così profondamente segnati dall'ingiustizia, dal male, da ciò che spesso appare destino cieco, disgrazia o fortuna senza ragione?

La storia degli uomini nella sua irritante concretezza non dà forse scacco a Dio?

Non lo rende una domanda lontana, comunque troppo difficile, fuori della nostra portata?

Gesù non risponde con uno sforzo di ragionamento, ma indicando la sua persona, il cammino della sua esistenza e ciò che essa manifesta.

La comunità dei credenti, attraverso di lui, è messa in grado di intuire come due segreti inesauribili – quello dell'amore, della libertà sovrana e inaccessibile di Dio che si offre e quello della libertà dell'uomo che nella storia si cerca e prende forma – si incontrano, talora si scontrano, senza eliminarsi.

La libertà di Dio rimane senza pentimenti e appassionatamente disponibile; quella dell'uomo è capace di scoperta, di apertura e fioritura, ma anche esposta al rischio della chiusura, dell'indifferenza, dello "scandalo" per la libertà stessa degli uomini, sempre rispettata da Dio.

Il nostro mondo non riposa in un equilibrio precario su un abisso indefinibile o su un'energia senza forma, ma è sorretto dalla mano buona del Padre di Gesù, da colui al quale Gesù permanentemente fa riferimento e che costituisce il segreto del suo dare la vita e del suo riproporsi come vivente oltre la morte ( Gv 10,17-18 ).

Di tutto questo la nostra libertà umana, pur tra molti condizionamenti, porta il segno e riceve continuo apprezzamento e alimento nel dono dello Spirito di Gesù risorto e del Padre suo.

Lo Spirito del Padre in noi

La fecondità della risurrezione del Signore, il segno del suo rimanere con noi, la permanente disponibilità di Dio Padre per noi: tutto ciò è nel dono dello Spirito.

Fin dall'inizio del ministero di Gesù, lo Spirito emerge come la forza interiore, che gli consente di dire le parole del Padre e di farne le opere.

Lo Spirito che viene dal Padre gli consente di rimanere teso al suo obiettivo: dare forma filiale e fraterna alla sua umanità.

Dentro ogni circostanza, Gesù è in grado, per lo Spirito che è in lui, di agire e reagire in modo da dare a tutte le sue risorse umane, energie fisiche, intelligenza, volontà, cuore, il modo della libertà di figlio e fratello.

Lo Spirito è il "respiro" di Gesù, ciò che lo mantiene sempre e totalmente aperto a Dio e disponibile agli uomini.

Poiché dello spirito filiale Gesù innerva tutta la sua comunità, risorgendo egli lo può donare a noi, realizzando così tutta la sua disponibilità nei nostri confronti e sostenendo la nostra verso di lui.

Facendone progressivamente l'esperienza, i cristiani comprendono allora che anche lo Spirito di Gesù e di Dio, del Figlio e del Padre, appartiene alla realtà stessa di Dio, è costitutivo della fisionomia originaria di Dio.

Poiché consente alla nostra libertà di valorizzare ogni nostra energia sullo stile di Gesù, secondo la modalità filiale e fraterna, lo Spirito è, con il Figlio e il Padre, Dio.

Così l'adesione dei cristiani a Gesù avviene "nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo" ( Mt 28,19 ).

È il dono dello Spirito che ci consente di formare un solo corpo con Gesù ( 1 Cor 12,13 ) e ci permette di gridare con lui la fiducia nel Padre, che valica ogni peso e ogni tentazione ( Gal 4,7 ).

Dio è comunione del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo

La vicenda di Gesù "racconta" i tre nomi dell'unico Dio: il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo.

Non come termine di una speculazione della nostra mente, ma come i protagonisti del pieno manifestarsi e comunicarsi a noi della ricchezza ultima della realtà, che sorregge il nostro mondo e la nostra storia.

Si tratta dell'unico Dio: il mondo non è teatro di tensioni e conflitti che avrebbero all'origine due principi, due divinità opposte.

Nessuna delle nostre lacerazioni e divisioni sale fino al cielo.

Ma l'unico Dio non è un solitario, chiuso nel suo splendido isolamento.

È invece pienissima e trascendente comunicazione e comunione, secondo un'inesauribile e sovrana libertà.

Il fondo della realtà, la culla della vita e di ogni sua manifestazione, non è energia senza volto, non è destino cieco, ma piena comunione, senza alcuna estraneità, del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.

Così ogni singolarità storica, ogni brillare di vita, ogni differenza trova in Dio il suo fondamento di valore e insieme fa appello a compiersi nell'incontro, nella comunicazione, nel proporsi come dono che suscita accoglienza.

Di fronte a ogni riflessione umana, il volto di Dio rivelato da Gesù si presenta come l'inimmaginabile e l'attraente, come la sorpresa che sconvolge e la risposta ad attese profonde.

È il Dio vicinissimo e Altro, il non appropriabile e il disponibile.

È il Dio che mai ci sostituisce o ci esonera dalle nostre responsabilità, il Dio che mai ci abbandona alle nostre solitudini.

È il Dio sempre nuovamente riconoscibile nelle ultime parole di Gesù sulla croce: "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito" ( Lc 23,46 ) e insieme nel dono che egli ci fa da risorto: "Ricevete lo Spirito Santo" ( Gv 20,19 ).

Ogni volta che la nostra esistenza ci apre alle esperienze più ricche della libertà, dell'impegno, della giustizia e dell'amore ci fa intuire lo splendore della vita divina.

Ogni volta che siamo esposti alle prove più dure, è alla Pasqua del Signore Gesù che siamo sollecitati a tornare.

La Pasqua ci fa comprendere che, quando la vita risplende, non siamo in preda a illusione e, quando c'è la prova, non siamo sull'orlo della distruzione.

Quando la nostra intelligenza vuole comprendere ciò che la fede professa, deve anzitutto ancorarsi alla consistenza degli avvenimenti di Pasqua e Pentecoste, all'intera vicenda di Gesù.

Per questo ora è possibile anche liberare il nostro linguaggio umano fino a parlare di questo Dio che si è rivelato a noi.

Non certo fino a definirlo o chiuderlo nelle nostre formule e nei nostri concetti, ma formando dei segni indicativi, delle frecce che dicono all'intelligenza credente la direzione per custodire e approfondire la comprensione, sempre limitata, di Dio.

È la via percorsa dalla ricerca e dal linguaggio teologico e dal magistero della Chiesa, specialmente nei grandi concili dell'antichità, trinitari ( Nicea [ 325 ] e Costantinopoli [ 381 ] ) e cristologici ( Efeso [ 431 ] e Calcedonia [ 451 ] ).

Di fronte al rischio che la novità cristiana venisse assorbita nei confini della ricerca filosofica o del sincretismo religioso la riflessione di fede e il magistero hanno precisato che Gesù, il Figlio, e lo Spirito da lui donatoci sono veramente Dio come il Padre e che, nella loro pienezza di comunione, sono l'unico essere di Dio, l'unica sostanza divina.

E così anche l'unico essere di Dio non è anonimo, ma volto personale: il volto del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.

La formula "una natura, tre persone", che oggi a noi può sembrare un poco astratta, nel secolo IV fu per la Chiesa l'autorevole garanzia della fede.

Il linguaggio della fede volle così proteggere la novità profonda del Dio rivelato da Gesù.

Questo impegno della riflessione di fede non poteva non coinvolgere subito dopo anche la concretezza singolare di Gesù.

Come può Dio comunicarsi veramente attraverso un uomo?

E che ne è di questa umanità concreta, così investita dalla ricchezza infinita di Dio?

La teologia e il magistero del secolo V vollero precisare che in Gesù umanità e divinità non risultano concorrenti: Dio non sottrae spazio all'uomo.

E, d'altra parte, Dio per comunicarsi non ha bisogno di vie privilegiate; gli basta veramente l'umanità, un'umanità come la nostra, solamente libera dalla nostra disumanità, cioè dal peccato.

Così si giunge alla ricca formula del concilio di Calcedonia che sottolinea la straordinaria novità di Gesù, "perfetto nella divinità e perfetto nell'umanità, veramente Dio e veramente uomo, consustanziale al Padre secondo la divinità, consustanziale a noi secondo l'umanità, generato dal Padre prima dei secoli secondo la divinità, e per noi e la nostra salvezza nato da Maria vergine Madre di Dio secondo l'umanità".

Nella persona di Cristo confluiscono, dunque, senza confusione e senza separazione, sia la natura divina sia la natura umana.

Ed ecco allora una seconda formula importante, protettiva dell'identità di Gesù: egli è "un'unica e identica persona – quella del Figlio di Dio – in due nature distinte, non separate e non confuse".

Queste formulazioni autorevoli, raccolte nei simboli di fede della Chiesa antica e nelle spiegazioni con le quali i Padri le accompagnarono, fanno da guida alla riflessione della Chiesa in tutti i tempi.

La rinviano permanentemente ai racconti e alle testimonianze evangeliche, di cui vollero proteggere il significato, e sollecitano d'altra parte l'impegno a personalizzare la fede dentro i diversi orizzonti culturali che la storia propone.

Sono formulazioni la cui intenzionalità e il cui significato non possono essere abbandonati, perché espressioni della fede della Chiesa nella sua istanza di garanzia.

Esse non intendono però esaurire il mistero di Dio che ci supera da ogni parte ( Rm 11,33 ).

Come amano dire i nostri fratelli d'Oriente, sono simboli che guidano il cuore e lo sguardo ad accogliere sempre di nuovo nella vita il mistero della paternità di Dio, l'umanità del Figlio Gesù nel dono a noi del suo Spirito.

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