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Fate questo in memoria di me

CCC nn. 1322-1419 CdA nn. 684-699 CdG1 pp. 148-149; 150-155


L'Eucaristia è il centro dell'esistenza della Chiesa, perché nel segno del pane e del vino si fa realmente presente il Signore.

Essa è il luogo per eccellenza della comunione con Dio e fonte e culmine di tutta la vita cristiana.

Ciò nonostante attorno alla celebrazione eucaristica spesso si fa il vuoto.

Il "precetto domenicale" che comporta l'impegno alla partecipazione alla Messa nel giorno festivo, rende maggiormente visibile, più che negli altri sacramenti, il livello di maturità raggiunto dalla nostra fede.

Pigrizie, incomprensioni, storture e resistenze rendono difficoltosa e altalenante la partecipazione, specialmente tra i giovani, grandi assenti alla Messa domenicale.

Sono tanti i motivi che raffreddano gli entusiasmi attorno alla mensa eucaristica: chi la giudica ripetitiva, si annoia e la evita; chi la sente estranea alla vita la ritiene superflua e si affida al rapporto diretto con Dio nella preghiera privata; chi la ricerca per trovare il calore di una comunità, rimane spesso deluso da certi stili formali e burocratici …

Per una Messa che può apparire insignificante e poco espressiva occorre trovare un rimedio, anche se non siamo noi che dobbiamo cambiare la Messa e prestarle l'anima, ma è la Messa che deve cambiare noi.

Le difficoltà tendono a sciogliersi quando si arriva a capire che la celebrazione eucaristica non è qualcosa che facciamo noi, ma qualcosa che Cristo ha fatto per noi: il dono della sua vita.

Da qui scaturisce lo stupore, la lode e la gioia: il terreno buono su cui è possibile coltivare il rendimento di grazie, cioè l'Eucaristia.

Memoria che rende presente la morte e risurrezione del Signore

"Fate questo in memoria di me" ( Lc 22,19; 1 Cor 11,24 ): il comando di Gesù, che leggiamo nei racconti neotestamentari dell'ultima cena, è ripetuto ancora oggi al centro di ogni liturgia eucaristica.

In tal modo la Chiesa dichiara di agire in obbedienza a quanto il Signore stesso ha voluto.

Quel comando, come ogni altro che Gesù ha dato, era insieme una promessa: ogni volta che voi farete questo in memoria di me, io sarò in mezzo a voi e voi sarete in comunione con me.

Non è un semplice ricordo né una semplice promessa, ma una realtà.

La parola "memoria" qui ha un significato molto diverso di quello che le viene comunemente attribuito nel linguaggio ordinario.

La Messa celebra e ripresenta il sacrificio di Gesù, consentendoci in tal modo di parteciparvi, presenti anche noi, sebbene la croce sia stata e resti un evento passato e personale di Gesù.

Nella Messa avviene ciò che è avvenuto nell'ultima cena di Gesù: lì i suoi gesti e le sue parole non sono stati semplicemente una prefigurazione del Calvario, né semplicemente una spiegazione del suo significato salvifico.

Oggi la Messa non è semplicemente un ricordo del sacrificio del Calvario o una spiegazione del suo significato.

Essa è molto di più: la parola di Gesù è parola efficace; ciò che egli annuncia si realizza nel momento stesso e per il fatto stesso che egli lo annuncia.

In forza di questa efficacia, i discepoli nell'ultima cena non sono semplicemente davanti alla notizia degli eventi che avverranno al Calvario.

Quegli eventi sono già in atto, realmente presenti nella cena: i discepoli li stanno vivendo.

Non solo è predetto il futuro, ma, addirittura, è offerto ai discepoli come dono il futuro profetizzato.

E così è oggi in ogni Messa.

I gesti e le parole di Gesù – quelli dell'ultima cena come, oggi, quelli che il sacerdote compie in suo nome nella Messa – sono efficaci, compiono ciò che dicono, realizzano ciò che significano.

Con la cena eucaristica i discepoli di allora e di oggi hanno così veramente accesso a un evento altrimenti inaccessibile: la morte e risurrezione di Cristo.

È in questo senso forte che la Chiesa, celebrando l'Eucaristia, "fa memoria" della vita di Gesù, una vita in dono, e in questa memoria trova la forza e la direzione per entrare a sua volta, con tutta se stessa, nella logica del dono.

Pietro Lorenzetti, L'ultima cena.

Fare comunione col Signore e tra noi

La comunione con Gesù non è un mistero che si celebra semplicemente nella liturgia, con gesti e parole.

Il comandamento ( "fate questo in memoria di me" ha un duplice spessore: fare memoria nel sacramento e fare memoria nella vita, rendere presente Gesù nel sacramento e renderlo presente nella carità.

In questo senso è particolarmente eloquente il racconto del Vangelo di Giovanni, che non riferisce lo spezzare del pane, ma la lavanda dei piedi, un gesto simbolico con il quale Gesù mostra che l'intera sua vita, come la morte ormai imminente, altro non sono che gesto di donazione, di servizio e di condivisione ( Gv 13,1-20 ).

"Beati gli invitati alla cena del Signore": è questo un invito che ci viene rivolto in ogni Messa.

È un invito a fare comunione con il Signore e anche fra noi.

La fraternità non è il senso ultimo dell'Eucaristia, che resta sempre il dono e la presenza di Gesù.

Questo è vero: la fraternità, la solidarietà, gli stessi ideali di giustizia e di pace sono realtà precarie, se poggiano su se stesse.

Ma sono solide se poggiano sul dono e sulla presenza di Gesù, se da quel dono e da quella presenza mutuano la forza e la direzione, se di quel dono e di quella presenza sono la manifestazione visibile, la pregustazione oggi di una pienezza che ci è promessa nel futuro.

L'Eucaristia è il sacramento con il quale tutta la nostra vita è chiamata a concentrarsi nel gesto di suprema donazione di Gesù, in quel gesto unificarsi e trasfigurarsi, acquistando così un valore e un significato che altrimenti non avrebbe.

L'Eucaristia dà senso alla vita: non solo alla vita di ciascuno, ma anche alla storia umana nella sua totalità.

Questa insistenza sull'importanza della vita non deve però essere fraintesa.

E vero che se la celebrazione eucaristica non trova la sua espressione nella vita, appare certamente come un segno vuoto: ogni sacramento è sempre orientato alla vita.

Ma la non corrispondenza con la vita, non basta per rendere falso e vuoto il segno.

La verità e l'efficacia del segno sacramentale, infatti, riposano sulle parole di Gesù e sulla sua promessa di essere presente fra noi sino alla fine dei secoli.

La verità del sacramento non poggia sulla nostra carità.

Giotto, Il bacio di Giuda

Presenza reale del Signore Gesù

Nei segni del pane e del vino è realmente presente il Signore.

È questa la certezza più consolante, anche se per molti è proprio questo il punto più difficile da accettare.

La fede ci dice che i gesti e le parole trasformano la sostanza stessa del pane e del vino, ne toccano misteriosamente la natura profonda, fanno di queste cose materiali una realtà nuova.

E presente la persona di Cristo nella sua pienezza e nella sua totalità.

Questa presenza rimane disponibile nei segni del pane e del vino anche oltre la celebrazione della Messa.

La devozione, l'adorazione dei fedeli e la visita al santissimo Sacramento, proprio perché hanno in se stesse un ineliminabile orientamento al sacrificio e al rendimento di grazie che nella Messa si celebra, consentono di attingere ulteriormente alla ricchezza di quel mistero.

Parola di vita eterna

La Messa per molti cristiani è insignificante, si osservava all'inizio.

Ma il rimedio – lo abbiamo compreso – non può esaurirsi nella ricerca di forme espressive, capaci di rendere la celebrazione più vivace, più spontanea, più idonea a suscitare simpatia e affiatamento reciproco.

Il rimedio deve essere trovato più in profondità, là dove la riflessione sul gesto di Gesù ci ha condotto.

Il Vangelo racconta che molti discepoli, al sentire Gesù parlare della sua carne da mangiare e del suo sangue da bere, gli voltarono le spalle dicendo: "Questo linguaggio è duro: chi può intenderlo?".

E alla domanda di Gesù se anche i Dodici volessero andarsene, Pietro rispose professando la propria fede e quella degli apostoli: "Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna" ( Gv 6,60.69 ).

Parola di vita eterna è stata l'ultima cena; parola di vita eterna è la celebrazione eucaristica.

Consegnandosi a noi come cibo, Gesù per primo realizza nella sua persona il programma proposto ai discepoli, secondo il quale nessuno ha un amore più grande di chi dà la vita per i fratelli ( Gv 15,13 ).

La comunità fa l'Eucaristia per vivere a sua volta del dono che le viene dall'Eucaristia, dono di comunione con il Signore e con tutti i fratelli.

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