Venite e vedrete

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Uno solo è il vostro Signore

CCC nn. 2030-2046; 2242-2246; 2443-2449 CdA nn. 1086-1094


Nella vita e nell'annuncio di Gesù ricopre un interesse centrale il regno di Dio.

Nell'evangelista Marco esso costituisce il primo annuncio di Gesù ( Mc 1,15 ).

Anche per il cristiano il Regno è al cuore degli interessi: "Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia" ( Mt 6,33 ).

Ma se Gesù resta per il credente il modello anche di questo impegno, ci chiediamo anzitutto come Gesù si sia posto di fronte alla politica.

Gesù e la politica

Gesù non ha mai fatto un discorso politico, né ha compiuto azioni direttamente politiche.

Tuttavia ha detto parole e fatto cose che gettano luce anche sulla politica.

Ha messo a nudo le radici dell'oppressione e della violenza e ha smascherato il cuore dell'uomo.

Ma tutto questo non lasciandosi imporre le regole dalle formazioni politiche che si contendevano il terreno.

Con il suo messaggio è andato alla radice, ha toccato il centro più delicato e nevralgico di ogni politica.

Alla domanda tendenziosa, rivoltagli dai farisei e dagli erodiani: "È lecito o no dare il tributo a Cesare?", Gesù dà una risposta inattesa, apparentemente evasiva, ma in realtà molto pertinente: "Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio" ( Mc 12,13-17 ).

Risposta pertinente, che conduce il discorso là dove si trova il centro ispiratore, cioè la giusta concezione della dipendenza da Dio e, quindi, la giusta libertà di fronte allo stato.

Con la sua risposta Gesù non mette Dio e Cesare sullo stesso piano.

Nelle parole: "Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio", l'accento cade sulla seconda parte.

La preoccupazione di Gesù è di salvaguardare, in ogni situazione politica, i diritti di Dio.

Gesù è totalmente preso dalla causa di Dio e dalla difesa dei suoi interessi nel mondo: ma la causa di Dio coincide con la causa dell'uomo, l'affermazione del primato di Dio è la radice della dignità dell'uomo e della libertà di coscienza.

Ma è anche vero che, in un contesto religioso teocratico, come quello che volevano difendere gli zeloti in Palestina, la parola di Gesù: "Rendete a Cesare ciò che è di Cesare" intende richiamare a responsabilità proprie della convivenza sociale e dell'ordinamento civile.

In una società come quella romana, in cui l'invadenza dello stato rischiava di assorbire tutto lo spazio dell'uomo, l'accento cade sul: "Date a Dio ciò che è di Dio".

Sono parole che valgono anche per noi oggi: affermare il primato di Dio non può significare privare la società della sua giusta autonomia; al tempo stesso, riconoscere uno spazio proprio alla politica non deve sminuire il primato della libertà di coscienza e l'opposizione ad ogni esorbitante pretesa dello stato.

Responsabilità della Chiesa in ordine alla politica

Come Gesù, anche la Chiesa non fa politica direttamente, schierandosi con fazioni o partiti.

Tuttavia le competono responsabilità che profondamente toccano anche l'azione politica.

La responsabilità politica minima, alla quale in nessun caso potrà mai rinunciare, è quella dell'opposizione nei confronti di ogni evidente prevaricazione del potere politico.

La storia, lontana e recente, mostra come l'esercizio di questo dovere di opposizione possa costituire in molti casi un compito di significato politico tutt'altro che marginale.

La stessa esperienza storica dimostra anche come questo compito non sia sempre ovvio e facile: cecità politica, disinteresse o complicità d'interessi, inerzia colpevole nei confronti dell'autorità costituita hanno a volte impedito alle comunità cristiane di realizzare questa opposizione con la chiarezza e la decisione auspicabile.

Le responsabilità politiche della Chiesa non si limitano a questo compito critico.

Attraverso il magistero dei pastori, attraverso l'educazione etico - politica, che responsabilizza e illumina le coscienze dei cristiani sui principi fondamentali, attraverso soprattutto un dialogo e un confronto tra i cristiani stessi che consenta loro di verificare i rispettivi giudizi e le rispettive scelte in materia politica, la comunità cristiana svolge un'attività che, senza essere immediatamente operativa, pone le premesse per una partecipazione qualificata dei cristiani alla vicenda civile.

La Chiesa interviene con il proprio giudizio "quando ciò sia richiesto dai diritti fondamentali della persona o dalla salvezza delle anime" ( Gaudium et spes, 76 ).

Profezia e servizio agli ultimi

Le comunità cristiane possono e devono costituire un fatto di grande rilevanza politica.

All'interno di una società civile dominata dalla lotta per prevalere e dall'estraneità reciproca dei singoli, la comunità cristiana vuole essere un segno profetico di quella convivenza fraterna e riconciliata che costituisce il termine ideale, mai adeguatamente realizzato, d'ogni società umana: il regno di Dio.

L'agire politico di ogni singolo e di ogni comunità è una forma alta della carità.

Nel Battesimo, essendo divenuti una cosa sola con Cristo, anche a noi è stata data la dignità e insieme il compito di essere nel mondo "profeti" e "re".

Sono responsabilità di grande significato anche politico.

Essere profeti significa essere guidati dallo Spirito di Dio a intuire qual è il futuro che Dio sta preparando, verso quali sentieri sta chiamando la nostra storia perché venga il suo regno.

Il titolo di re dato a ogni cristiano non è un residuo ridondante di altri tempi, ma significa essere rivestiti dell'autorità, che è di Cristo, di cambiare questo mondo, naturalmente secondo la logica del vangelo.

"I capi delle nazioni, voi lo sapete, dominano su di esse e i grandi esercitano su di esse il potere", dice Gesù ai suoi discepoli.

"Non così dovrà essere tra voi; ma colui che vorrà diventare grande tra voi, si farà vostro servo, e colui che vorrà essere il primo tra voi, si farà vostro schiavo; appunto come il Figlio dell'uomo, che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti" ( Mt 20,25-28 ).

Atto politicamente rilevante, anche se non immediatamente politico, è poi il servizio cristiano prestato agli ultimi.

Le comunità cristiane dovrebbero denunciare e, insieme, parzialmente correggere i limiti della presunta giustizia dell'ordine sociale, mediante l'opera del "buon samaritano", cioè prendendosi carico di coloro che l'organizzazione sociale abbandona ai margini della strada, degli esclusi e degli emarginati di ogni genere.

"Per rispondere alle esigenze della giustizia e dell'equità, occorre impegnarsi con ogni sforzo affinché nel rispetto delle persone e dell'indole propria di ciascun popolo, le ingenti disparità economiche che portano con sé discriminazione nei diritti individuali e nelle condizioni sociali, quali oggi si verificano e spesso si aggravano, quanto più rapidamente possibile vengano rimosse" ( Gaudium et spes, 66 ).

Nessuna organizzazione politica potrà mai provvedere al bisogno singolo e di ogni singolo, così come può farlo l'attenzione personale, l'ascolto e la disponibilità nei confronti dell'uomo incontrato nel cammino.

Talvolta i singoli, le comunità cristiane, le organizzazioni di cittadini, ispirate al vangelo o a un profondo rispetto per l'uomo, si prendono cura degli "ultimi", quasi anticipando o sostituendosi alle carenze di una società politica che, se giusta, non dovrebbe trascurare nessuno.

Tuttavia i singoli come le comunità sapranno ricorrere agli strumenti della partecipazione e della legalità, per far sì che il governo della cosa pubblica si assuma quegli impegni che ad esso competono.

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