Assisi, 12 marzo 1982 Messaggio dei Vescovi italiani in occasione dell'VIII centenario della nascita di San Francesco 1. - Siamo ad Assisi, pellegrini. Anche noi Vescovi, come Francesco ai piedi del Crocifisso di San Damiano, chiediamo all'Altissimo e glorioso Signore Dio « fede diricta, speranza certa, carità perfetta, humiltà profonda, senno e cognoscemento ». Davvero con « frate Francesco poverello », che noi veneriamo nell'VIII centenario della nascita, Dio continua a restaurare la sua Chiesa, illumina il mondo e fa cantare tutte le sue creature: belle, radiose, chiare, preziose e liete. « Laudato sie mi Signore cum tutte le tue creature! ». Siamo venuti ad Assisi per ritrovare l'intensità di questo cantico della creazione alla gloria di Dio. Un cantico capace di far vibrare i sentimenti puri dell'animo umano, sempre, in tutta la terra. Un inno di fede, che si sprigiona libero dove non c'è odio e peccato, torpore dello spirito, schiavitù del denaro e del piacere; dove il cuore confida in Dio, ne sente i passi familiari, si apre all'abbraccio dei fratelli e riconquista, nello Spirito, l'armonia originaria del creato. Non è il figlio spensierato a gaudente, se pur buono, di Pietro di Bernardone a condurci in questa rivelazione. È Francesco quasi cieco e vicino a morte, tra i suoi frati, dopo una vita penitente e crocifissa per amore del Padre, mentre, al sorgere di « frate sole », si risveglia da una notte di dolore. 2. - Vivere è cantare a Dio Francesco aveva deciso un giorno di non adorare più se stesso e di seguire decisamente le orme di Cristo. Si innamorò del Vangelo, che fu per lui la « regola senza glossa », la « forma » di vita. Si estasiò per il mistero dell'Incarnazione e, nei pressi di Greccio, inventò il presepio; non riuscì più a pensare alla crocifissione di Gesù, senza commuoversi e piangere; scelse soprattutto ogni invito a passare per la porta stretta. E la porta stretta lo condusse presto ai lebbrosi: avevano il volto di Cristo, anzi erano il Cristo stesso, la sua santa icona. Chinarsi su Cristo e chinarsi sull'umanità sofferente divenne per lui la stessa cosa. Cominciò allora per Francesco la inquietante parabola del suo innamoramento dell'« Altissima Povertà »: si espropriò di tutto, e prese la croce. E a mano a mano che nella sua carne si imprimeva la passione di Cristo per gli uomini, Francesco si liberava « dalla nebbia densa delle cose terrene … saliva leggero alle altezze celesti e si immergeva puro nella luce ». Sul monte della Verna, Dio stesso lo segnò anche esteriormente con le stimmate del Figlio suo; ed egli rispose cantando a Dio i sentimenti dell'anima innamorata e trasfigurata in Cristo: « Tu sei santo, Signore Iddio, unico; Tu sei forte, tu sei grande, tu sei l'Altissimo, sei il Padre santo, il bene, tutto il bene, il sommo bene … Tu sei amore, sei sapienza, sei umiltà, sei pazienza, bellezza, sicurezza. sei pace, gaudio e letizia … Tu sei speranza, fede e carità, sei fortezza, sei rifugio, sei la nostra dolcezza, sei la nostra vita eterna, grande e ammirabile Signore, Dio onnipotente, misericordioso Salvatore ». Nell'estasi dell'esperienza delle stimmate, esplodeva così il motivo dominante della vita di Francesco e della nostra umana esistenza: vivere è cantare a Dio; è sprigionare dalle creature, con la forza del Vangelo, l'inno corale della gloria di Dio. Ma perché il singolare cantico francescano, passato per i secoli, giunga a noi, è utile raccogliere qui il messaggio centrale di tre « lettere circolari », che Francesco scrisse ornai prossimo alla morte, « considerando che non poteva visitare i singoli a causa della malattia e della debolezza del suo corpo » e, d'altra parte, ritenendosi obbligato « a servire a tutti e ad amministrare a tutti le fragranti parole del suo Signore ». 3. - A tutti i cristiani Scrisse una delle tre lettere « a tutti i cristiani, religiosi, chierici e laici, maschi e femmine, a tutti coloro che abitano nel mondo intero ». Questa ne è la supplica fondamentale: « Amiamo dunque Dio e adoriamolo sopra ogni altra cosa … E lodiamolo e preghiamolo giorno e notte dicendo: " Padre nostro che sei nei cieli ", perché bisogna pregare sempre senza stancarsi ». Francesco delinea così la vita dei cristiani, tutta sospinta in quello slancio verso l'alto, che fonda, e ogni giorno alimenta, la nostra presenza nel mondo. È slancio di verità, che ci impegna a riconoscere nelle creature l'opera e la gloria di Dio, in ogni uomo e in ogni donna l'immagine di cui Egli è geloso, nei sofferenti e negli ultimi il volto prediletto del Figlio suo. È slancio di libertà, che ponendo « Dio sopra ogni altra cosa », salva le nostre umane energie dalla schiavitù del peccato e dalla zavorra che non serve. Non c'è alcun idolo di fronte al nostro Dio: non il denaro, non il potere, non il consumo, non il benessere non l'opera delle nostre mani; non i nostri vizi, neppure la nostra umana sapienza. Lui solo dobbiamo amare e a Lui solo servire; e il prossimo come noi stessi, fino a dare la vita. È slancio di fraternità, che sale gradito all'unico « Padre nostro », solo se trascina con sé l'uomo avvilito a cui sia stata fatta giustizia: l'uomo che ha fame, ha sete, è forestiero, nudo, malato, in carcere; che non ha voce, è senza casa, senza lavoro, senza amore, emarginato, stanco. È contemplare, è « pregare sempre senza stancarsi ». È « perfetta letizia », che nasce da un cuore povero, innamorato solo di Dio. Senza pretesa di cambiare le strutture sociali del suo tempo, Francesco ha, di fatto, rivoluzionato il suo tempo, rinnovando la coscienza degli uomini e il volto della società. La « lettera ai cristiani » arriva oggi a noi, come efficace testimonianza di quella radicale scelta per il Vangelo, che può collocare anche noi, con chiarezza, tra gli uomini e rendere credibile la nostra presenza di cristiani nelle prospettive del paese e del mondo. « Se non abbiamo fatto abbastanza nel mondo - scrivemmo nell'ottobre scorso - non è perché siamo cristiani, ma perché non lo siamo abbastanza. Qui, ad Assisi, noi cristiani prendiamo particolarmente lucida coscienza di una vocazione di povertà evangelica a cui dobbiamo essere fedeli e di cui dobbiamo dare segni sempre più credibili: come Vescovi, come preti, come religiosi e religiose, come laici, come Chiesa. 4. - A tutti i « chierici » Una seconda « lettera circolare » di Francesco è scritta « a tutti i chierici sulla riverenza del Corpo del Signore ». Francesco ci fa arrivare l'ardore e lo sdegno - a seconda dei casi - per il modo con cui trattiamo il Corpo eucaristico di Cristo. È duro nel denunciare « quanto siano vili i calici, i corporali, le tovaglie » che usiamo; quanto siano « indegni » i luoghi in cui conserviamo l'Eucaristia, « lacrimevole » il modo di « portarla per via »; come si riceva e si amministri senza riverenza il Corpo del Signore; come manchi il rispetto per le parole « scritte » della consacrazione, per i libri liturgici diremmo oggi in senso ampio. Supplica e scongiura di emendarci « subito e con fermezza », perché lo stesso buon Signore si mette spontaneamente nelle nostre mani e a noi si affida senza difesa. Minaccia anche, ricordando che chi non farà questo dovrà « venire nelle mani del Signore » e rendere ragione nel giorno del giudizio. L'amore di Francesco per l'Eucaristia è tutto concentrato qui: l'Eucaristia è Gesù nelle nostre mani. Egli piange e si intenerisce per il Gesù trascurato sull'altare, come piange e si intenerisce sul Gesù povero del presepio e sul Gesù martoriato della passione; perché l'incomprensione per l'Eucaristia indica una vita spenta e una missione inutile. Da questa fede tenera e immediata nasce la straordinaria venerazione di Francesco per i sacerdoti: « Il Signore mi dette e mi dà tanta fede nei sacerdoti … - scrive nel " Testamento " -; non voglio in loro considerare il peccato, poiché in essi io vedo il Figlio di Dio e sono miei signori. E faccio questo perché dell'Altissimo Figlio di Dio niente altro io vedo corporalmente in questo mondo, se non il santissimo Corpo e il Sangue suo che essi soli consacrano ed essi solo amministrano agli altri ». La venerazione di Francesco per il clero tocca così il cuore dell'esistenza sacerdotale, radicata nell'Eucaristia, e per ciò stesso posta solo a servizio del Dio Altissimo, in intima unione di vita con la passione, morte e risurrezione del Figlio suo. Questa, e non altra, è la nostra vera identità di Vescovi, e dei presbiteri associati al nostro ministero sacerdotale, come dei diaconi. Questa è la sola passione che - con la grazia dello Spirito Santo - può salvare la nostra vocazione e, incessantemente orientandola all'amore misericordioso di Dio per gli uomini, ogni giorno consuma le nostre energie per l'edificazione della Chiesa e per la salvezza del mondo intero. 5. - Ai reggitori dei popoli Nella lettera « ai reggitori dei popoli », sorprendentemente Francesco non parte dal contestare coloro che esercitano l'autorità né dall'indicarne i loro doveri. Ad essi augura salute e pace; ma subito ricorda severamente che di tutto dovrà essere reso conto, e supplica, « con rispetto per quanto posso, di non dimenticare il Signore ». Ai governanti del suo tempo, egli con coraggio raccomanda « di ricevere devotamente la comunione » e di inviare ogni sera un banditore per proclamare che « siano rese lodi e grazie all'onnipotente Signore Iddio da tutto il popolo ». Ma a chiunque detiene autorità - credente o non credente che sia - Francesco fa prima ancora arrivare la sua chiara testimonianza evangelica. Non offre solo ammonizioni, ma presenta realizzazioni. Tra i suoi, vuole che tutti siano chiamati semplicemente « fratelli minori » e coloro che governano siano chiamati solo « ministri », « servi », così che i sudditi « possano parlare e fare con essi come parlano e fanno i padroni con i loro servi ». Questa carica evangelica di Francesco nel campo dell'esercizio del potere, va al di là del suo ordine, e arriva decisamente anche al nostro tempo, a tutti i livelli della responsabilità sociale. Il potere non ha e non può avere senso se non è servizio. Gravi e cruciali questioni del nostro tempo, come quelle riguardanti il diritto alla vita, la libertà di coscienza e la libertà religiosa, la pace, la fame nel mondo, la pubblica moralità, l'autodeterminazione politica e la collaborazione tra i popoli, richiedono oggi indubbiamente la responsabile partecipazione di tutti: « l'assenteismo, il rifugio nel privato, la delega in bianco non sono leciti a nessuno, e per i cristiani sono peccato di omissione », scrivemmo ancora nell'ottobre scorso. Eppure affidiamo queste preoccupazioni alla particolare responsabilità di una classe dirigente e politica, che voglia essere trasparente e sappia essere competente a svolgere il proprio insostituibile servizio. Nella logica di Francesco, noi auspichiamo, nel nome di Dio, che quanti hanno responsabilità di guida del Paese siano attenti interpreti e « servi » dell'uomo, della sua vocazione, della sua dignità, dei suoi diritti, delle sue spirituali aspirazioni: - perché dove c'è violenza portino giustizia e amore, dove c'è menzogna siano operatori di verità e di sano costume morale, dove c'è morte siano promotori di vita; - perché la rivalità o il compromesso tra le parti non prevalgano sul bene comune, perché l'orgoglio del potere non mortifichi gli umili; - perché la nostra gente possa vantarsi davanti al Signore di chi la governa e possa vivere nella fraternità, benedicendo il santo nome di Dio. 6. - Il Signore vi dia la pace « Il Signore mi rivelò che dicessi questo saluto: " Il Signore ti dia pace " », scrive Francesco nel Testamento. Per ordine del Signore, già Aronne benediceva gli Israeliti con lo stesso augurio ( cfr. Nm 6,22-26 ), che ricorre poi in tutta la storia della salvezza, ogni qualvolta Dio visita il suo popolo. È il saluto di Cristo risorto agli Apostoli, l'annuncio efficace che Egli affida alla Chiesa per la riconciliazione del mondo intero:« Pace a voi! come il Padre ha mandato me anch'io mando voi … Ricevete lo Spirito Santo … rimetterete i peccati » ( cfr. Gv 20,19-23 ). Noi abbiamo quasi consumato e reso sterile questo saluto tanto familiare, che pure la liturgia fa insistentemente risuonare, soprattutto nella celebrazione eucaristica: « La pace del Signore sia sempre con voi! ». Qui, ad Assisi, ne sentiamo commossi la forza. Francesco è una singolare visita di Dio tra gli uomini; è Sua parola; è per noi saluto del Signore. Tutta la vita evangelica di Francesco è l'eco chiara del saluto di Cristo risorto: « Pace a voi! ». Con Francesco, come Vescovi accogliamo nella fede questo saluto della pace che viene da Dio e, insieme, da Assisi, lo rivolgiamo alla Chiesa e al paese: « Il Signore dia pace! ». Con lieta riconoscenza, accogliamo tra di noi Giovanni Paolo II: a lui associati e da lui guidati nel ministero episcopale, noi annunciamo e imploriamo la pace del Signore: per la Chiesa, per le famiglie, per il nostro popolo italiano e per i suoi governanti, per tutti i paesi martoriati dall'oppressione, dalla fame e dalla guerra, per il mondo intero. Uniti alle nostre comunità cristiane, confermiamo la volontà di vivere, come Francesco, per il Vangelo della pace, in comunione con Dio e tra di noi, a servizio degli uomini nella predilezione degli « ultimi »: per demolire con loro gli idoli, per eliminare violenze ed emarginazioni, per riscoprire i valori del bene comune, per progettare insieme il domani, per avere la forza di affrontare i sacrifici necessari, per dare al mondo la vera visione dell'esistenza e un nuovo gusto di vivere, il gusto della pace che viene da Dio. Salutiamo, da Assisi, i sacerdoti, i diaconi, i religiosi e le religiose. Salutiamo le famiglie francescane maschili e femminili, grati al Signore del servizio da sempre offerto alle comunità cristiane e sicuri della testimonianza di pace e di bene che vorranno ancora dare alla nostra gente. Salutiamo i laici dell'Azione cattolica, delle associazioni e dei movimenti ecclesiali, i battezzati e gli uomini di buona volontà, comunque impegnati, con il prezzo della loro esistenza quotidiana, a promuovere giustizia e fraternità nel paese. Per tutti, con il Papa, celebriamo presso il sepolcro di Francesco l'Eucaristia ed eleviamo la preghiera alla Vergine Maria, circondandola con Francesco di « amore indicibile », perché ha reso nostro fratello il « Signore della maestà ». La grazia, la pace e l'amore di Dio sia con tutti noi.