Comunità e l'accoglienza della vita umana nascente Introduzione 1. - La fedeltà alla missione ricevuta dal Signore e il compito di discernere, alla luce del Vangelo, le situazioni concrete dell'esistenza umana sollecitano la Chiesa a precisare, ancora una volta, la sua posizione di fronte al fenomeno sociale dell'aborto e alla risposta che ad esso la legge civile ha dato. Con l'introduzione, anche in Italia, della legge abortista, infatti, la situazione si è recentemente aggravata. 2. - La comunità cristiana non può affatto chiudere gli occhi sulla tristissima realtà dell'aborto, sulla sua espansione impressionante e sulle indicazioni di carattere sociale, economico, familiare, di benessere psicologico e anche di vero e proprio egoismo, con le quali si pretende di motivare l'interruzione della gravidanza. Di fronte a problemi tanto gravi, i cristiani non possono rifugiarsi in atteggiamenti di fatalismo rassegnato o di sterile allarmismo, e neppure possono esaurire il loro impegno nel condannare a parole l'ingiustizia di questa legge. Sono chiamati, piuttosto, ad assumere più ampie e positive responsabilità di accoglienza e di servizio della vita umana nascente. Ciò è possibile se si rinnova la coscienza della missione che il Signore ha affidato alla sua Chiesa. È la missione di annunziare il Vangelo e comunicare la vita nuova della grazia all'uomo. Così la Chiesa difende e promuove l'uomo stesso, proteggendolo in tutti i suoi diritti, primo tra i quali il diritto fondamentale alla vita. 3. - Dopo i suoi molteplici e ripetuti interventi - in particolare i documenti « Il diritto a nascere » ( 1972 ) e « Aborto e legge di aborto » ( 1975 ) - la Conferenza Episcopale Italiana offre ora all'intera comunità ecclesiale i punti fondamentali di una catechesi sulla responsabilità relativa all'accoglienza della vita nascente. Parte I - La dottrina della Chiesa sull'aborto e sulla sua regolamentazione civile I. - L'aborto in sè stesso: il disordine morale 4. - La Chiesa, alla luce della Parola di Dio e della retta ragione, ha sempre giudicato l'aborto procurato, cioè l'interruzione deliberata e diretta del processo generativo della vita umana, un grave crimine morale. 5. - La Chiesa crede che Dio è il Creatore provvidente di ogni vita umana. « Egli ci ha fatti e noi siamo suoi » ( Sal 100,3 ); siamo così un dono del Dio vivente. La vita ci è stata data non in assoluta proprietà, ma come un tesoro da amministrare e di cui dovremo rendere conto al Signore ( cfr. Mt 25,14-30; Lc 19,12-27 ). Dio vigila con il suo amore sulla vita umana ( cfr. Gen 9,5-6 ) e la difende con il suo comandamento: « Non uccidere » ( Es 20,13; Mt 5,21 ). Per questo la vita dell'uomo è sacra ed intangibile in tutto il suo arco di sviluppo, dall'origine alla fine. Gesù Cristo, figlio e immagine del Padre, perfezionando la legge antica e riassumendola nel precetto dell'amore del prossimo, obbliga a rispettare la vita degli altri, a soccorrerla e a promuoverla. Perciò la soppressione della vita del fratello è una radicale contraddizione con il comandamento dell'amore, che spinge il discepolo di Cristo sino al punto di dare la propria vita per amore dei fratelli. 6. - La Chiesa, in ogni tempo e in ogni paese, ha sempre accolto e riproposto la parola e il comandamento di Dio circa l'assoluta inviolabilità della vita umana innocente, anche solo concepita. La Tradizione si presenta, in tema di giudizio morale sull'aborto, con una unanimità che non conosce discrepanze e con una fermezza che non ammette eccezioni. Sin dalle sue origini, la comunità cristiana, accogliendo la parola e l'esempio di Cristo nel suo amore per i bambini, si è coraggiosamente contrapposta al mondo pagano difendendo il valore della vita umana non-ancora-nata. Leggiamo ad esempio nella Didachè: « Non ucciderai … non farai perire il bambino con l'aborto nè l'ucciderai dopo che è nato … La via della morte è questa: … non riconoscono il loro Creatore, uccidono i figli e fanno perire con l'aborto creature di Dio ». Per denunciare la gravità morale dell'aborto e per scoraggiare i credenti dal farvi ricorso, la Chiesa non è mancata di intervenire in diversi Concili, comminando anche pene spesso assai severe. 7. - Confermando il senso di fede della comunità cristiana, il Magistero ha più volte autorevolmente dichiarato la grave illiceità morale dell'aborto: Pontefici, Conferenze Episcopali, singoli Vescovi sono concordi e fermi su questo giudizio morale. Il Concilio Vaticano II afferma: « Dio, padrone della vita, ha affidato agli uomini l'altissima missisone di proteggere la vita, missione che deve essere adempiuta in modo umano. Perciò la vita, una volta concepita, deve essere protetta con la massima cura; e l'aborto come l'infanticidio sono abominevoli delitti … » ( Gaudium et spes, n. 51 ). Sull'argomento dell'aborto, Paolo VI ha dichiarato che l'insegnamento della Chiesa « non è mutato ed è immutabile » ( Allocuzione del 9 dicembre 1972 ). Lo stesso Pontefice, al chiudersi del suo quindicesimo anno di pontificato, ha potuto affermare: « E noi, che riteniamo nostra precisa consegna l'assoluta fedeltà agli insegnamenti del Concilio, abbiamo fatto programma del nostro pontificato la difesa della vita, in tutte le forme in cui essa può essere minacciata, turbata o addirittura soppressa … Ma la difesa della vita deve cominciare dalle sorgenti stesse della umana esistenza … Di qui le ripetute affermazioni della dottrina della Chiesa cattolica sulla dolorosa realtà e sui penosissimi effetti del divorzio e dell'aborto, contenute nel nostro magistero ordinario come in particolari atti della competente Congregazione. Noi le abbiamo espresse, mossi unicamente dalla suprema responsabilità di maestro e di pastore universale, e per il bene del genere umano! » ( Omelia del 29 giugno 1978 ). 8. - Non solo la fede cristiana ma anche la retta ragione condanna moralmente l'aborto, in quanto esso costituisce una soppressione violenta di un essere umano innocente, indifeso, bisognoso di tutto e di tutti. L'aborto è certamente una delle ingiustizie più radicali che possono essere compiute verso l'uomo: lungi dall'essere riconosciuto nella sua originalità di persona, egli viene calpestato nel suo diritto all'esistenza quale diritto primo, fondante tutti gli altri e irrecuperabile una volta perso. L'ingiustizia dell'aborto risulta poi aggravata dal fatto che il concepito è un innocente senza alcuna possibilità di difendersi, e dal fatto che viene soppresso da coloro che l'hanno chiamato all'esistenza e da coloro che dovrebbero custodire e difendere la vita, come i sanitari. La retta coscienza di ogni uomo trova dentro di sè, come principio incontestabile e sacro, il rispetto di ogni vita umana sin dal suo concepimento; e il mondo della medicina, fin dai tempi più antichi, ha fatto di tale principio il fulcro luminoso della sua fatica e della sua arte. 9. - Non manca chi pretende di giustificare l'aborto fondandosi sul fatto che il nascituro non è ancora un essere umano. Questa posizione è del tutto inaccettabile, perché dal concepimento non può trarre origine che un concreto essere umano. Lo rileva la stessa riflessione e analisi razionale, che valuta il concepito come un essere umano a partire dalla sua origine e struttura e dalla sua destinazione tipicamente ed esclusivamente umana. Lo riconosce il diritto che si dichiara a servizio di tutti e di ciascuno e protegge giuridicamente anche i nascituri: « Il fanciullo, a causa della sua immaturità fisica e intellettuale, ha bisogno di una particolare protezione e di cure speciali compresa una adeguata protezione giuridica, sia prima che dopo la nascita ». Lo conferma la scienza moderna secondo cui in tutto il processo generativo, dalla cellula fecondata sino alla nascita del bambino, non c'è passaggio qualitativo di specie da uno stadio di generica animalità all'umanità vera e propria, bensì uno sviluppo individuale unico e continuo di maturazione della persona. È da ricordare, infine, come « dal punto di vista morale, questo è certo: anche se ci fosse un dubbio concernente il fatto che il frutto del concepimento sia già una persona umana, è oggettivamente un grave peccato osare di assumere il rischio di un omicidio. È già un uomo colui che lo sarà ( Tertulliano ) ». II. - L'aborto in chi lo compie: la colpa e la censura 10. - Per ragioni ora riportate, le persone che chiedono l'aborto, lo compiono o collaborano a compierlo, in consapevolezza e libertà, si macchiano di gravissimo peccato. Come per ogni altro peccato, il giudizio morale su chi ricorre all'aborto o vi collabora dovrà formularsi in riferimento sia al valore della vita umana, sia alla diversa situazione delle persone. Quest'ultima dovrà essere accuratamente valutata in termini realistici, senza cadere aprioristicamente né in condanne né in assoluzioni, e riservando una più delicata considerazione per tutte quelle persone che sono sconvolte dall'angoscia e dal dramma. 11. - Al cristiano che si macchia gravemente di aborto la Chiesa commina la pena della scomunica: « Coloro che procurano l'aborto, non esclusa la madre, nel caso si raggiunga l'effetto, incorrono nella scomunica "latae sententiae" riservata all'Ordinario » ( C.J.C., can. 1398 ). A motivo della scomunica, il cristiano è privato dei Sacramenti, in particolare dell'Eucaristia ( C.J.C., can. 1331; can. 915 ). Per superare interpretazioni distorte, e ancor più per cogliere positivamente il contenuto e lo spirito profondo dell'intervento « penale» della Chiesa, rileviamo quanto segue: a ) con la scomunica, il cristiano peccatore resta escluso dalla pienezza della comunione ecclesiale, e quindi non può partecipare al sacramento dell'Eucaristia. La gravità di questa pena risulta dalla gravità stessa dell'esclusione dall'Eucaristia, come impossibilità a partecipare al momento vertice della vita cristiana, al momento cioè nel quale si rinnova l'Alleanza e la Chiesa viene edificata dallo Spirito di Cristo in comunità religiosa e fraterna, riconciliata con Dio e nei suoi membri; b ) come ogni pena nella Chiesa, anche la scomunica per l'aborto ha soprattutto uno scopo preventivo e « medicinale », o pedagogico. In realtà, con essa la Chiesa denuncia l'aborto come un'azione che è assolutamente incompatibile con le esigenze del Vangelo ed intende aiutare nel suo cammino di conversione chi ha fatto ricorso all'aborto. Prendendo atto che il cristiano colpevole di aborto si esclude dalla pienezza della sua comunione, la Chiesa gli rivolge un appello particolarmente forte perché si penta del suo peccato, riveda la sua posizione e ritorni alla vita nuova della grazia. Nello stesso tempo, la scomunica diventa un « richiamo » ai credenti perché siano trattenuti di fronte alla tentazione di chiedere e di compiere l'aborto. Il significato autentico della scomunica può essere compreso solo alla luce della dimensione ecclesiale del peccato del cristiano e della sua riconciliazione. Il cristiano, che è membro del corpo di Cristo, con il suo peccato non solo offende Dio Padre, ma anche ed insieme « ferisce » la Chiesa santa di Dio ( cfr. Lumen gentium, n. 11 ). Chi poi è colpevole di aborto contraddice gravemente ad un aspetto della missione della Chiesa quale quello di porsi al servizio della vita nascente, e ne rende perciò meno credibile ed efficace l'attuazione concreta. La scomunica caratterizza così, in modo aperto e forte, l'aborto compiuto dal cristiano come un grave atto antiecclesiale; c ) si comprende allora perché lo « scioglimento » di tale scomunica sia riservato all'Ordinario, ossia al Vescovo della Chiesa locale, o ad un sacerdote da lui autorizzato; d ) si incorre nella scomunica ad alcune condizioni. La pena della Chiesa presuppone sia la reale gravità della colpa personale di chi è ricorso all'aborto e l'ha compiuto, sia la conoscenza dell'esistenza di questa stessa pena. La scomunica per aborto procurato è « latae sententiae ». Ciò significa che non ha bisogno di essere pronunciata per ogni singolo caso di aborto, ma si pone come norma generale, cosicché vi incorre chi procura l'aborto per il solo fatto di procurarlo volontariamente; e ) in un contesto sociale e culturale assai poco sensibile al significato positivo della pena, non mancano alcuni che si interrogano sull'opportunità o meno che la Chiesa conservi questa scomunica, ed altri che la rifiutano come storicamente superata e come aliena dal genuino spirito del Vangelo. In realtà non è difficile risolvere l'interrogativo e l'obiezione, se si coglie il significato autentico della scomunica entro il contesto della missione e della vita della Chiesa. Per la gravità del delitto e la mentalità corrente poco incline ad avvertirla, la Chiesa con la scomunica mantiene vivo e operante il senso del valore della vita e agisce a difesa dei più deboli e innocenti; f ) altri ancora si domandano perché la Chiesa conservi la scomunica per l'aborto procurato e non la commini invece per delitti di altra natura, non meno gravi dell'aborto stesso. A chi ben rifletta non può sfuggire il fatto che l'aborto è un omicidio qualificato, perché il nascituro è del tutto incapace di una difesa personale; l'intervento penale della Chiesa si pone a difesa del nascituro, tanto più che lo Stato, almeno in alcuni casi, come da noi, non considera più l'aborto come reato, mentre conserva la qualifica di reato per l'omicidio. III. - L'aborto nella legge civile: il giudizio morale 12. - Il discorso sull'aborto non può essere ristretto alla sua dimensione morale in rapporto alla singola persona che lo chiede o lo compie: lo si deve considerare anche in una prospettiva sociale. In realtà, l'aborto è un fenomeno sociale per molteplici motivi: coinvolge in profondità la relazione che lega tra loro i due esseri umani, la donna e il figlio; ha ripercussioni sulla coppia e sulla famiglia e, ancor più ampiamente, sull'ambiente sociale entro cui si è inseriti. Per questo l'aborto non può non sollecitare !'interesse e l'intervento dell'intera comunità politica. 13. - Nel suo intervento circa la vita nascente, la comunità politica non può restringersi all'emanazione di una legge, peraltro necessaria, che proibisca come reato l'aborto, da punirsi tuttavia con giustizia ed equità, tenendo conto delle situazioni concrete, in cui è stato commesso. Tale legge, infatti, non risolverebbe da sola tutto il complesso e difficile fenomeno sociale dell'aborto. Lo Stato deve piuttosto puntare primariamente su di un intervento educativo, elaborando e diffondendo una cultura rispettosa e promotrice del valore della vita e del senso di responsabilità nei suoi confronti. Deve inoltre puntare su di un intervento sociale, stimolando e offrendo una serie di iniziative, sussidi e possibilità di prevenzione e di sostegno delle gravidanze indesiderate e difficili. 14. - Spesso però la comunità politica, anche per il suo inadeguato impegno culturale e sociale, deve affrontare l'increscioso fenomeno degli aborti clandestini, con le risultanze negative dei pericoli per la salute e la vita della donna, della speculazione economica di un certo personale medico e paramedico, di una discriminazione fra le classi sociali, ecc. Diventa cosi necessario anche un intervento legislativo: è il problema della « regolamentazione legale », ossia della posizione della legge civile di fronte a questo fenomeno sociale. 15. - Per questo problema viene spesso invocato il principio della tolleranza civile, in forza del quale lo Stato può, o addirittura deve, tollerare qualche male per evitare mali più gravi. Ma il principio della tolleranza civile, nella sua concreta applicazione, non giustifica affatto la positiva autorizzazione a sopprimere direttamente un innocente, come se lo Stato potesse concedere il « diritto » ad alcuni di chiedere e ad altri di compiere l'aborto: « La legge umana può rinunciare a punire, ma non può rendere onesto quel che sarebbe contrario al diritto naturale, perché tale opposizione basta a far si che una legge non sia più una legge ». L'applicazione del principio della tolleranza civile all'aborto legalizzato è illegittima e inaccettabile perché lo Stato non è la fonte originaria dei diritti nativi ed inalienabili della persona, né il creatore e l'arbitro assoluto di questi stessi diritti, ma deve porsi al servizio della persona e della comunità mediante il riconoscimento, la tutela e la promozione dei diritti umani. Cosi quando autorizza l'aborto, lo Stato contraddice radicalmente il senso stesso della sua presenza e compromette in modo gravissimo l'intero ordinamento giuridico, perché introduce in esso il principio che legittima la violenza contro l'innocente indifeso. 16. - Da quanto precede emerge chiaro il giudizio morale sulla legge civile che autorizza l'aborto: è una legge intrinsecamente e gravemente immorale. Tale legge, diversamente da quelle giuste e oneste, non ha potere di vincolare la coscienza: non può quindi minimamente intaccare il principio della inviolabilità di ogni vita umana innocente, che resta immutato e immutabile. L'uomo si sente vincolato unicamente dalla legge scritta da Dio nel suo cuore, la quale, comandando di non uccidere, autorevolmente giudica e assolutamente rifiuta una simile legge umana. 17. - Il giudizio morale negativo sulla legge abortista italiana risulta anche dai seguenti elementi: a) la sua contraddizione con i valori e i principi fondamentali della legge morale naturale-divina, per la mancata o comunque insufficiente tutela giuridica del « diritto alla vita » proprio di ogni essere umano; b) l'aberrante facoltà attribuita alla libertà della donna di decidere in termini unicamente individualistici, al di fuori e contro ogni responsabilità verso il « diritto » del nascituro; c) la grave deformazione di alcuni ruoli fondamentali della convivenza sociale: risultano, infatti, violati i diritti del padre del concepito e i diritti e doveri dei genitori rispetto alla figlia minorenne; così pure la professione medica di servizio alla vita viene piegata con violenza non solo a prestazioni del tutto estranee, ma anche e più gravemente ad un compito che si oppone in forma diretta alla tutela e alla promozione della vita umana; d) l'individualismo esasperato che ispira la legge abortista risulta ancor più grave dal fatto di essere riconosciuta dallo Stato, il quale a sua volta costringe tutti i cittadini, anche quelli dichiaratamente contrari all'aborto, a dare un qualche contributo; e) il pericolo, non affatto ipotetico e nonostante le esplicite asserzioni contrarie, di fare dell'aborto legalizzato un mezzo di regolazione delle nascite; f) i limiti e le ambiguità del riconoscimento del diritto all'obiezione per il medico e per il personale esercente le attività ausiliarie; g) la contraddizione della legge all'etica professionale, perché essa fa obbligo a chi non formula ufficialmente l'obiezione di coscienza di operare l'interruzione della gravidanza in ogni caso, anche se la sua coscienza in un caso singolo glielo vieti. Parte II - L'azione pastorale della comunità cristiana in favore della vita nascente I. - La responsabilità della comunità ecclesiale 18. - Di fronte al fenomeno dell'aborto, la prima responsabilità della Chiesa è annunziare con forza la novità e originalità del messaggio cristiano, che proclama la grandezza di ogni uomo, anche solo concepito, come immagine di Dio vivente in Gesù, e infonde in tutti un amore nuovo, donato da Gesù Cristo, capace di affrontare positivamente anche le situazioni più difficili. 19. - La gravità attuale del fenomeno dell'aborto spinge la Chiesa ad assumere in pienezza la sua responsabilità comunitaria e individuale: tutti i suoi membri, nessuno escluso, sono coinvolti nel compito di tutelare e favorire la vita umana, e a ciascuno - anche in questo campo - è affidato un compito unico, irripetibile e insostituibile. In questo contesto è da richiamarsi l'impegno della Chiesa locale e delle comunità cristiane particolari come tali; il rispetto, l'amore e l'accoglienza della vita nascente devono esprimersi con gesti propriamente comunitari ed ecclesiali. 20. - Passando ora ai contenuti e agli operatori, indichiamo i compiti comuni a tutti, e quelli specifici di talune categorie di persone. Dei compiti comuni segnaliamo le mete operative e proponiamo alcuni strumenti di attuazione; di quelli specifici prendiamo in considerazione i compiti propri alle coppie e famiglie cristiane, alla donna in attesa, al personale medico e paramedico, al personale religioso, ai direttori sanitari e ai membri dei consigli di amministrazione, ai giudici tutelari, ai sacerdoti. II. - Le mete operative 21. - Il rifiuto efficace dell'aborto passa attraverso una lucida ed energica lotta contro le cause che lo favoriscono. Si deve riconoscere che la causa generale più determinante si ritrova nella disistima e nel rifiuto dell'assoluta intangibilità della vita umana non-ancora-nata. Ciò è frutto di una cultura che ritiene l'uomo un valore assoluto, svincolato da ogni legame con Dio e con una norma morale universale e immutabile, impegnato solo a perseguire il proprio benessere materialisticamente ed edonisticamente inteso, anche con la strumentalizzazione degli altri, sino a misconoscerne i diritti più sacri e inviolabili. L'attuale cultura poi si presenta in larga parte dominata dalla ferrea ed inumana « logica della violenza », di cui l'aborto rappresenta uno dei sintomi più vistosi e inquietanti, soprattutto quando viene reclamato come un « diritto » della donna e della società. Così dicendo, non si intende affatto dimenticare la triste presenza nella nostra società di cause sociali, di difficoltà economiche e legislative, di sofferenze psicologiche, ecc., che spesso favoriscono la tragedia dell'aborto. Di tali cause e degli impegni che ne derivano per un'autentica e saggia politica familiare parliamo diffusamente anche nei numeri che seguono. 22. - In un simile contesto culturale e sociale, la Chiesa deve, anzitutto, educarsi ed educare al valore della vita umana e al dovere di amarla e di accoglierla, ispirandosi in tutte le sue scelte quotidiane alla beatitudine della non-violenza: « Beati gli operatori di pace, perché sa ranno chiamati figli di Dio » ( Mt 5,9 ), e alla legge evangelica dell'amore e del servizio verso i più poveri e i più piccoli. 23. - Qui si inserisce anche l'impegno a far superare alcune mentalità diffuse ma inaccettabili, che conducono a trovare nell'aborto la soluzione del doloroso problema della gravidanza indesiderata e difficile. Ci riferiamo, in generale, alla cultura sessuale che tende a scindere e a contrapporre tra loro l'esercizio della sessualità e la procreazione di una nuova vita. Tale cultura risulta da una concezione privatistica e di piacere della sessualità stessa. Questa difficilmente può apparire come servizio all'amore fecondo quando si pone al servizio dell'individuo ripiegato su di sè o aperto solo al partner, e quando è vissuta come fonte di un piacere fine a sè stesso. Anche quando si riconosce alla sessualità il suo valore di apertura alla vita, è da rilevarsi, poi, la diffusa presenza di una certa disistima verso la famiglia numerosa. Ci riferiamo poi, in particolare, al persistere di una mentalità poco illuminata e farisaica nel giudicare le varie forme di maternità extramatrimoniale o irregolare, come sono i casi della ragazza madre e della donna separata o divorziata. 24. - Un momento fondamentale di quest'opera educativa riguarda la prevenzione della gravidanza indesiderata. Obiettivo essenziale è quello di una tempestiva, capillare e permanente educazione alla sessualità come valore e impegno di tutta la persona nella sua dimensione corporale e spirituale, e alla generazione fisica e spirituale della vita umana come termine di un amore eticamente responsabile. Simile educazione deve essere rivolta con particolare urgenza alle coppie, perché siano aiutate concretamente nella conoscenza e nella scelta di quei metodi di regolazione della fecondità che risultino leciti dal punto di vista morale. Quest'opera educativa, anche se non darà sempre frutti immediati e spesso si dovrà sviluppare in un contesto di non facile comprensione e condivisione, si pone a lungo termine come l'autentica strada umana per la paternità e la maternità pienamente responsabili. 25. - Infine, alla luce dell'incidenza, talune volte notevolissima, che sull'interruzione della gravidanza sviluppano le stesse condizioni di vita e di lavoro, di crescita culturale e di situazioni economiche, si impone come in dilazionabile una più coraggiosa politica familiare. Si dovrà cioè sviluppare tutta una serie di iniziative legislative, economiche, assistenziali, sanitarie e previdenziali, sindacali e culturali capaci di rendere « possibile, sempre e dappertutto, ad ogni bambino che viene in questo mondo un'accoglienza degna dell'uomo ». III. - Gli strumenti operativi 26. - Gli strumenti di cui la comunità ecclesiale può e deve servirsi per raggiungere le mete operative indicate sono molteplici e vari: dalla catechesi sul valore della vita alla formazione della coscienza morale circa il dovere di proteggerla e di promuoverla, alle iniziative di giustizia e di carità, sia individuali che comunitarie. Tutti i cristiani sono chiamati a mettere in opera i diversi doni e ministeri ricevuti dallo Spirito in risposta alle varie e concrete esigenze dell'ambiente entro cui sono inseriti, con quella libertà e « fantasia » d'intervento che scaturisce dall'amore cristiano verso la vita. Entro questo contesto estremamente vario di possibilità, sollecitiamo due urgenti iniziative: i consultori familiari e i centri per l'accoglienza della vita. 1. - I consultori familiari 27. - Per i consultori familiari riproponiamo con rinnovata forza quanto raccomandavamo nella XII Assemblea Generale: « Sostenuti dalle Chiese locali e collegati con gli altri organismi della pastorale familiare, sorgano a livello diocesano, o almeno interdiocesano, o regionale, consultori familiari professionalmente validi e di sicura ispirazione cattolica. Nello stesso tempo si sappiano valorizzare, con spirito di apertura e di discernimento, i contributi offerti, anche agli stessi cristiani, dai consultori già esistenti ». 28. - Il primo impegno pastorale è per una adeguata valorizzazione dei consultori di ispirazione cristiana. Ciò significa, tra l'altro, !'impegno di: a) crearli dove non ci sono e risultano necessari, e qualificarli sempre più se già esistono; b) assicurare in essi una chiara ed effettiva ispirazione alla morale cristiana per i vari problemi riguardanti la sessualità, il matrimonio e la famiglia; c) diffondere, con serietà scientifica e con l'appello ad una corresponsabilizzazione della coppia come tale, i metodi di una regolazione « naturale » della fecondità, sollecitando in questo campo l'insostituibile apostolato da coppia a coppia; d) rifiutare il ricorso alla sterilizzazione maschile e femminile, quando essa è finalizzata unicamente e direttamente a rendere la facoltà generativa incapace di procreazione; e) rendersi più critici dinanzi alla semplicistica ed errata opinione che ritiene che l'unica efficace forma di riduzione e di eliminazione dell'aborto sia la contraccezione artificiale; f) preparare accuratamente il personale dei consultori ad affrontare i problemi psicologici di quanti intenderebbero ricorrere all'aborto o già vi hanno fatto ricorso, offrendo alternative realistiche ai primi, e ai secondi rinnovate ragioni di speranza e di vita; g) sviluppare nella comunità cristiana una sensibilità favorevole ai consultori e una solidarietà effettiva di aiuto per le loro necessità di funzionamento. 29. - Un altro impegno pastorale riguarda la presenza dei cristiani nei consultori pubblici e liberi. Di fronte ad alcune leggi che tendono a restringere fortemente lo spazio operativo dei cristiani, questi sono chiamati a difendere il più possibile il vero significato del consultorio, quello cioè di un servizio soprattutto psicologico e sociale alla coppia e alla famiglia, nella linea di un aiuto positivo all'amore coniugale e alla vita. Con il peso della loro capacità professionale e della loro dedizione, i cristiani sapranno impegnarsi con coerenza nei compiti, proposti dalla stessa legge ( cfr. artt. 2 e 5 ), di informazione e di aiuto alla donna per rimuovere le cause che potrebbero indurla all'interruzione della gravidanza. Nello stesso tempo avranno il coraggio democratico di denunciare quelle violazioni della legge che si verificano andando al di là dei limiti da essa fissati. Inoltre sapranno esigere il rispetto del loro diritto di essere esonerati - in forza dell'obiezione di coscienza - dal concorrere all'iter legislativo finalizzato all'interruzione della gravidanza. 2. - I centri per l'accoglienza della vita 30. - Un secondo strumento che domanda di essere programmato e reso operante nelle Chiese locali sono i centri per l'accoglienza della vita. Simili centri: a) devono essere sostenuti dall'interesse e dal contributo anche economico di tutti i membri della comunità; b) devono venire incontro alle gestanti in difficoltà mediante: - l'aiuto morale della comprensione, del dialogo e del sostegno; - la consulenza medica, psicologica, legale e morale; - l'assistenza sociale in termini di aiuto materiale ed economico, mediante la ricerca del lavoro o della casa, il sostegno finanziario, ecc.; - l'effettiva accoglienza del nascituro, offrendo alla madre tutti gli aiuti possibili per tenere il bambino, allevarlo, educarlo; c) devono porsi anche come luogo di possibile adozione da proporre alla donna che decidesse di non tenere il bambino. IV. - I compiti specifici di alcune categorie di persone 31. - Se la responsabilità di accogliere la vita nascente coinvolge tutta la comunità ecclesiale, raggiunge però alcune categorie di persone in forma più diretta e urgente, in rapporto alle loro condizioni e professioni di vita. 1. - La donna in attesa 32. - La donna chiamata a dover accogliere una maternità indesiderata e difficile si trova inserita spesso in un pesante e doloroso clima di solitudine, se non addirittura di emarginazione e di rifiuto. Questa situazione impegna i cristiani a una vera e propria « solidarietà » con la donna in attesa. Non basta astenerci da ogni giudizio di condanna e assicurare una sincera comprensione; occorre piuttosto aprire la donna alla speranza mediante l'offerta tempestiva di quell'aiuto concreto che la situazione rivela necessario. È evidente che la prima solidarietà deve realizzarsi all'interno della coppia e della famiglia: la vicinanza affettuosa e la condivisione aperta e profonda del coniuge, dei genitori e dei parenti e amici possono tener vivo un clima di serena attesa e di fiducia, che rendono meno difficile il periodo della gravidanza. 33. - Nell'attuale riscoperta dei più ampi e significativi ruoli della donna nel campo della sua personale perfezione e del suo contributo al bene della società e della Chiesa, si deve positivamente ripensare il valore educativo e sociale della « maternità ». Questa non si restringe al semplice fatto biologico della riproduzione, né confina la donna nella vita e nel lavoro domestici, ma costituisce una forma fondamentale dell'amore coniugale, che insieme realizza la maturazione della coppia e il suo servizio alla comunità umana ed ecclesiale. 34. - Con ammirata gratitudine, ricordiamo la testimonianza di tantissime mamme che, pur trovandosi in situazioni difficili e sofferte, sanno portare a termine la loro maternità, con una forza d'animo che solo la fede e l'amore per la vita riescono ad ispirare e a sostenere. La loro testimonianza, mentre denuncia la miseria morale di una società spesso scossa da spinte di morte, di egoismo e di comodità, offre motivi sicuri di speranza in una futura società che potrà trovare il suo rinnovamento nelle energie di vita, di amore e di generosità, pure in essa presenti e operanti anche se nascoste e taciute. 2. - Le coppie e le famiglie cristiane 35. - I coniugi sono chiamati ad offrire alla Chiesa e alla società la testimonianza di quel « ministero della vita » che scaturisce dalla loro partecipazione all'amore di Dio Creatore e Padre e, tramite il sacramento del matrimonio, all'amore di Cristo Redentore e della Chiesa sposa e madre. Il ministero di vita dei coniugi non si attua unicamente nell'opera generativa ed educativa dei propri figli; si esprime anche nelle più varie forme di « fecondità spirituale ». Tra esse ricordiamo: - la disponibilità ad accogliere e ad aiutare anche i figli degli altri, nella consapevolezza che tutti sono figli di Dio, unico e universale Padre; - la vicinanza cordiale e delicata alla donna che soffre i problemi della prossima maternità; - la generosità disinteressata nel far ritrovare ai bambini abbandonati e soli il calore affettivo di una famiglia mediante l'adozione; - la premurosa partecipazione alle varie iniziative in difesa della vita umana. Una particolare responsabilità hanno i genitori nell'educare i loro figli al vero significato della vita umana, al valore che possiede e ai compiti che affida: le scelte quotidiane di rispetto, amore, sollecitudine operosa verso i più piccoli e i più deboli costituiscono l'atmosfera più concreta e determinante per un'educazione all'accoglienza della vita nascente. 3. - I sacerdoti 36. - Il sacerdote, guida e animatore delle comunità cristiane, ha precise e originali responsabilità anche nel campo della vita nascente. Nell'annuncio della Parola di Dio, predicherà il comandamento del « Non uccidere » e dell'amore verso i fratelli, illustrando la dignità personale inviolabile dell'essere umano anche solo concepito e la qualificata ingiustizia della violazione di tale dignità. Nell' opera di formazione alla vita cristiana, educherà i fedeli ad accogliere e servire responsabilmente ogni vita umana, anche attraverso i consultori familiari e i centri per l'accoglienza della vita, come pure, per le persone interessate, attraverso la dichiarazione dell'obiezione di coscienza. Non tralascerà inoltre di illuminare i fedeli sulla distinzione - e talvolta sulla contrapposizione - tra quanto viene autorizzato e prescritto dalla legge civile e quanto risponde alle più profonde e incancellabili esigenze della legge morale. Ciò è richiesto soprattutto dall'accresciuto divario, attualmente in atto, tra legalità e moralità e dalla mentalità sempre più diffusa secondo cui è moralmente ammesso ciò che la legge civile prescrive o consente. Grazie a questa necessaria illuminazione, i fedeli combatteranno la falsa convinzione che l'aborto ora legalmente praticabile in alcuni casi sia per questo fatto un comportamento meno riprovevole. 37. - Nel sacramento della Riconciliazione, il sacerdote è chiamato a rivivere lo spirito e l'atteggiamento di Gesù Cristo verso il male e verso il peccatore: « Non sminuire in nulla la salutare dottrina di Cristo è eminente forma di carità verso le anime. Ma ciò deve sempre accompagnarsi con la pazienza e la bontà di cui il Redentore stesso ha data l'esempio nel trattare con gli uomini. Venuto non per giudicare, ma per salvare ( cfr. Gv 3,17 ), egli fu certo intransigente con il male, ma paziente e misericordioso verso le persone ». Accaglierà dunque con vivo e profondo spirito di fraternità anche chi è colpevole di aborto, comprendendo - sia pure senza giustificare - le motivazioni immediate e profonde che l'hanno indotto a questo gesto. Inoltre manterrà sempre un grande rispetto verso la persona che ha abortito, pur dovendo affrontare in modo delicato e chiaro il problema del significato morale del gesto compiuto. Lo stesso spirito di fraternità guiderà il sacerdote nella Confessione dei medici e dei sanitari che fossero venuti meno, in forme sia pure varie, alla propria missione di difesa della vita umana. Una simile fraternità deve accompagnarsi all'impegno pastorale di chiarire eventuali responsabilità implicanti la scomunica e di esigere per l'avvenire l'osservanza dei doveri della vita cristiana. 38. - Tutta l'azione del confessare è ordinata a riconciliare il penitente con Dio e con la Chiesa. Lo accompagnerà lungo l'itinerario della conversione, aiutandola a pentirsi sinceramente del suo peccato, a chiedere con umile fiducia il perdono al Dio della vita e a proporre di non più ricadere. Il ministro della Riconciliazione porterà inoltre il penitente a comprendere, accogliere e attuare un'adeguata « penitenza » o soddisfazione sacramentale. Al proposito si tenga presente quanto richiama l'Ordo Paenitentiae: « Il genere e la portata della soddisfazione si devono commisurare a agni singolo penitente, in modo che ognuno ripari nel settore in cui ha mancato, e curi il suo male con una medicina efficace … e trasformi in qualche modo la vita » ( n. 6 c ). 39. - Il confessore è chiamato anche a portare a conoscenza del penitente la pena della scomunica per procurato aborto, a verificare se il penitente vi è incorso, e in caso positivo a spiegare il significato ecclesiale dell'intervento penale. Per l'assoluzione della censura, il confessore rimanderà il penitente al Vescovo o al sacerdote autorizzato dal Vescovo, oppure assolverà « nel caso urgente », secondo le indicazioni e lo spirito della vigente disciplina della Chiesa. Non vorrà, invece, vanificare l'occasione di grazia dell'incontro sacramentale con assoluzioni affrettate o immeritate nei casi di dubbia necessità, ma valorizzerà la situazione per un autentico cammino di catechesi e di conversione. 4. - Il personale medico e paramedico 40. - Tra le categorie più direttamente interessate al problema della gravidanza si pone quella dei medici e di tutti coloro che si dedicano alla salute e alla vita. Il loro compito professionale, che per i credenti si configura come un « vero ed eccellente ministero di carità », li rende collaboratori di Dio nella difesa e nello sviluppo della creazione nel campo così delicato e decisivo della vita umana. In questa luce si comprende la radicale contraddizione di chi procura direttamente l'aborto e di chi vi coopera. Nessuna scusante può essere addotta invocando la legge dello Stato che autorizza l'aborto: l'ingiustizia di una simile legge non può fondare né diritti né doveri per la coscienza. 41. - La coscienza ha il diritto di sollevare obiezione di fronte alla legge abortista. Tale diritto si fonda nella dignità e libertà della persona che non può essere forzata ad agire contro la propria coscienza, né impedita di comportarsi in conformità ad essa. È un diritto nativo e inalienabile, che gli ordinamenti civili delle società devono riconoscere, sancire e proteggere: diversamente si rinnega la dignità personale dell'uomo e si fa dello Stato la fonte originaria e l'arbitro insindacabile dei diritti e dei doveri delle persone. 42. - Il dovere di sollevare obiezione di coscienza si pone ogni volta che la richiesta della legge civile contrasta con le prioritarie ed inviolabili esigenze della coscienza, come avviene nel caso dell'aborto legalizzato. Il valore grandissimo della vita umana, che qui è in gioco, fa di questo dovere una obbligazione morale grave, che si radica nella legge scritta nel cuore di ogni uomo. La Chiesa la ripropone nella sua legislazione, colpendo di scomunica i cristiani che procurano l'aborto o vi collaborano ( cfr. C.J.C., can. 1398 ). Richiamiamo qui alcuni dei principi morali esposti nella nostra « Notificazione » del 1° luglio 1978: « a) non è mai lecita l'azione abortiva diretta; b) non è lecita la cooperazione prossima all'azione abortiva diretta, quale si verifica con le prestazioni richieste all'équipe delle sale operatorie e con il rilascio di attestati che siano una vera e propria autorizzazione all'aborto per il loro contenuto e per il loro valore legale; c) il pericolo di scandalo, anche per la posizione di alcune persone come le religiose, può rendere illecite altre forme di cooperazione non prossima ». 43. - Per l'aborto procurato, l'obiezione di coscienza è riconosciuta, sia pure con limitazioni, anche dalla recente legge italiana che esonera l'obiettore dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l'interruzione della gravidanza. In tal modo l'obiezione di coscienza risulta di due specie, anche se tra loro collegate: quella « naturale » o morale, fondata sulla dignità umana della persona, e quella « legale », riconosciuta e determinata dalla legge civile. Per l'obiezione di coscienza sono da rilevarsi alcune incertezze e ambiguità presenti nella legge civile, che rendono auspicabili e urgenti o un'interpretazione od anche una modifica - ferma restando l'inaccettabilità della legge stessa - circa la possibilità dell'obiettore di coscienza di partecipare alle procedure. Così al di là del grave obbligo morale della obiezione « naturale », che non viene mai meno, è opportuno che non soltanto il personale ostetrico-ginecologico, ma anche quello medico e paramedico, continui a esprimersi in favore dell'obiezione legalmente riconosciuta. 44. - Soprattutto il medico obiettore di coscienza rimane impegnato a salvare e promuovere la vita, anche usufruendo delle possibilità offerte dalla stessa legge civile. Ogni medico di fiducia o esercente in ambulatori o consultori - preavvertendo di essere obiettore di coscienza e di non poter rilasciare al termine la certificazione scritta - può e deve condurre il colloquio e fare le visite e gli accertamenti, anche nel caso in cui la donna formuli l'ipotesi di interrompere la gravidanza. In questa prospettiva sono lecite e doverose: - l'assistenza antecedente, se specificamente e necessariamente non finalizzata all'aborto; - la somministrazione di tutte le cure richieste e necessarie per la salvezza e la salute della donna, a seguito di complicazioni sopravvenute; - l'assistenza successiva all'intervento, come testimonianza di sollecitudine e di amore per le difficoltà che la stessa interruzione della gravidanza non elimina, quando non aggrava. 45. - I pericoli di discriminazione e di danno che incontrano gli obiettori di coscienza sollecitano un più vivo e operante spirito di solidarietà, sia all'interno del personale medico e paramedico, sia nell'ambito della comunità cristiana e civile. Un particolare interesse dovranno avere le forze sociali, sindacali e politiche per assicurare l'esercizio democratico dei diritti di tutti. 46. - La difesa del diritto all'obiezione di coscienza e il suo alto significato di coerenza personale e di denuncia sociale di una situazione legale ingiusta troveranno più facile attuazione e risulteranno più credibili se il personale medico e paramedico solleverà l'obiezione con autenticità di motivazioni e si aprirà con disinteressata generosità al più vasto e complesso campo degli impegni e delle iniziative in favore della vita. 5. - Il personale religioso 47. - I Religiosi e le Religiose, in forza della loro professione evangelica, sono chiamati ad essere modelli privilegiati dì carità cristiana anche nel campo della tutela e della promozione della vita. Per questo risulta gravemente inaccettabile l'opera del personale religioso in quelle cliniche private nelle quali si dovesse praticare l'aborto. La sua presenza può invece essere utile negli ospedali pubblici, nei quali tuttavia dovrà non solo evitare qualsiasi occasione o parvenza di scandalo, ma soprattutto promuovere con coraggio ogni iniziativa in difesa della vita. 6. - I direttori sanitari e i membri dei consigli di amministrazione degli ospedali e case di cura 48. - I direttori sanitari, che sono anche medici, si trovano, in quanto medici, nella situazione morale già indicata e valutata per il personale medico. Se invece non sono medici, mentre non vengono riconosciuti dalla legge civile nel loro diritto all'obiezione di coscienza, sono dalla stessa legge chiamati ad assicurare che negli enti ospedalieri e nelle case di cura autorizzate siano espletate le procedure ed effettuati gli interventi abortivi. Si snatura così la funzione loro propria. Il rispetto alla loro libertà di coscienza, invece, esige che anche ad essi sia riconosciuto il diritto all'obiezione. Analoga posizione è quella dei consiglieri di amministrazione degli enti ospedalieri e delle case di cura. Le specifiche funzioni della loro presenza nei delicati settori dell'organizzazione ospedaliera sono poste a servizio della vita e della salute delle persone malate, non invece della soppressione degli esseri umani. L'azione di queste persone dovrà usufruire di tutte le forme democraticamente possibili per tutelare la vita nascente e potrà dirsi moralmente lecita solo quando, valutati tutti gli elementi e tutte le circostanze, non diventi causa di effetti abortivi. 7. - I giudici tutelari 49. - Il giudice tutelare è coinvolto nell'applicazione della legge abortista nei casi della minorenne priva dell'assenso di chi esercita la potestà o la tutela e della donna interdetta per infermità di mente ( cfr. artt. 12 e 13 ). Il giudice tutelare, a cui la legge non riconosce il diritto all'obiezione di coscienza, ma la cui decisione non è soggetta a reclamo, è moralmente tenuto a rifiutare il suo consenso, in quanto questo si configura come vera e propria autorizzazione all'aborto e quindi come cooperazione ad essa. V. - L'impegno politico dei credenti di fronte alla legge abortista 50. - La vita di fede impegna i cristiani a costruire una città terrestre che sia realmente capace di amare e di accogliere la vita di tutti, e in particolare dei più piccoli e dei più deboli. Il loro contributo competente, onesto e vivificato dallo Spirito di Cristo si esprimerà in forma prioritaria con un'originale opera educativa nella scuola e nelle altre sedi culturali e con un'ampia azione sociale, giuridica e politica ordinata a prevenire e sostenere le gravidanze indesiderate e difficili. 51. - Rientra nell'impegno più propriamente politico dei cristiani: a) richiamare, con coraggio e con metodi democratici, il dovere di rispettare la vita umana sin dal suo inizio, denunciando di conseguenza l'iniquità della legge abortista; b) operare una lettura critica dell'attuale normativa sull'aborto: senza trascurare i limitatissimi elementi positivi, si dovranno rilevare le profonde contraddizioni che essa presenta con la Costituzione e all'interno dei suoi stessi articoli; c) esigere la rigorosa osservanza di tutte le clausole positive della legge, che difendono la prosecuzione della maternità, controllandone l'esecuzione e denunciandone le eventuali violazioni; d) sostenere da un punto di vista umano, sindacale e politico gli obiettori di coscienza, perché non siano isolati e non siano oggetto di ingiustizie di ordine amministrativo e politico; e) operare per un superamento della legge attuale, moralmente inaccettabile, con norme totalmente rispettose del diritto alla vita. 52. - Di particolare importanza è l'impegno dei legislatori di ispirazione cristiana, sia perché più direttamente responsabili di leggi che incidono sul costume dei cittadini, sia per la testimonianza d'amore alla giustizia e di sollecitudine disinteressata verso il vero bene comune che sono chiamati a offrire. Consapevoli della loro responsabilità, i legislatori non devono sentirsi dispensati dal dovere morale di lavorare per contenere il più possibile gli effetti negativi della legge abortista vigente e soprattutto di spingere verso un suo superamento. Ciò è tanto più urgente quanto più manifestamente ingiusta è la legge emanata. Conclusione La gloria di Dio è l'uomo che vive 53. - Il mondo oggi attende dai cristiani un nuovo impegno a favore della vita nascente, che traduca nelle opere concrete, individuali e comunitarie, l'annuncio evangelico dell'intangibile valore della vita di ogni uomo che viene in questo mondo. Questo impegno sarà tanto più efficace quanto più si inserirà in un'opera allargata alla difesa e alla promozione della vita umana ovunque e comunque venga minacciata e mortificata, dalle condizioni disumane di lavoro e di abitazione alla tortura e lla pena di morte, dalla emarginazione dei minorati fisici e psichici alla violenza fisica e morale e ai sequestri di persona, ecc. ( Cfr. Gaudium et spes, n. 27 ). 54. - Nell'assolvere le sue responsabilità, la comunità ecclesiale ripone la sua fiducia in Dio, autore e amante di ogni vita e nell'uomo stesso: creato a immagine e somiglianza di Dio, l'uomo è scosso da una segreta e inestinguibile sete di vita, di giustizia, di amore autentico, di onestà e di rinnovamento morale. La nostra storia però registra anche la cattiveria del cuore umano, la permissività del costume sociale, l'iniquità delle legislazioni abortiste, la tristissima realtà di vite innocenti che non vedranno mai la luce del sole e il sorriso dei fratelli e non saranno rigenerate nell'acqua e nello Spirito. Ma anche quest'uomo, in cui l'immagine divina è gravemente deformata, è chiamato a salvezza, può accogliere da Dio il dono della conversione, può essere richiamato ai valori fondamentali della esistenza dagli stessi disastri compiuti con le sue mani. Con questa fiducia in Dio e nell'uomo, il cristiano rinnoverà il suo impegno di servire e di accogliere la vita umana nascente, convinto di collaborare con Dio e di glorificarlo nell'opera delle sue mani, perché « la gloria di Dio è l'uomo che vive». Roma, 8 dicembre. Solennità dell'Immacolata Concezione della B. V. Maria. Il Consiglio Episcopale Permanente