27 marzo 1980

Messaggio del Consiglio Permanente per il XV centenario della nascita di San Benedetto

1. - La Chiesa universale celebra quest'anno, con letizia, il XV centenario della nascita di San Benedetto, Patriarca del monachesimo d'Occidente e Patrono dell'Europa.

Nel nostro Paese, la ricorrenza ha già suscitato una vasta serie di iniziative, e altre ne prevede, che mettono in luce l'attualità della sua figura e del suo messaggio.

Di particolare intensità spirituale è stata la domenica 23 marzo del corrente anno.

Insieme al Papa, pellegrino a Norcia, in un momento di grave angustia per tutti, i cristiani si sono raccolti in preghiera e in attenta meditazione.

Gli autorevoli insegnamenti che Giovanni Paolo II ha espresso in quella « giornata benedettina », costituiscono un patrimonio quanto mai prezioso per chiunque voglia guardare al futuro con fiducia e con senso di responsabilità.

Mentre esprimiamo al Santo Padre la riconoscenza vivissima e filiale della Chiesa italiana, riteniamo ora quanto mai opportuno proporre alle comunità cristiane alcune considerazioni che possono rendere più feconda la riflessione, in un momento in cui il nostro Paese ha bisogno di sicuri valori spirituali, per ritrovare le vie della riconciliazione e della ricostruzione morale e sociale.

Offriamo queste considerazioni semplici soprattutto a quanti hanno compiti educativi nella Chiesa o possibilità di promuovere una seria comunicazione sociale, confidando che, con la loro genialita, vogliano svilupparle soprattutto per i più giovani.

San Benedetto da Norcia e la sua « Regola »

2. - Benedetto nasce verso il 480 a Norcia, un borgo montuoso dell'appennino umbro.

Si trova a vivere in una società in cui sono evidenti i segni di una crisi profonda, che investe tutta la vita dell'uomo.

Crolla un mondo, quello dell'impero romano, e un altro mondo faticosamente si va delineando, pur nel disorientamento e nella paura che derivano dal succedersi delle invasioni dei barbari sul territorio italiano.

Una situazione difficile, che rischia di paralizzare gli animi:

le campagne sono in abbandono,

i valori morali sembrano crollare,

l'ordinamento giuridico diviene precario,

e la violenza dilaga …

Molti studiosi, giustamente, ci dicono che non sono poche le somiglianze con il nostro tempo.

3. - Il1 giovane Benedetto non si rassegna alla forza degli eventi.

Vi reagisce con una scelta senza compromessi: lascia Roma e gli studi che ha intrapreso, per ritirarsi nel verde silenzio della valle dell'Aniene, vicino a Subiaco.

Non è una fuga dal mondo; la sua è una ricerca di Dio, che impegna tutta la vita.

Intuisce che l'unica strada per ritrovare se stessi e ridare all'uomo una speranza, è quella segnata da Cristo.

È commovente pensare che in quell'umile « Speco », dove egli vive solo con Dio, si pongono per tanti versi le sorti cristiane della futura Europa.

4. - Dopo circa tre anni di esperienza solitaria, Benedetto si apre alle richieste di alcuni monaci e accetta di farsi loro guida, allargando il suo influsso su piccoli centri spirituali che si vanno formando.

Comincia a prendere forrna una esperienza di vita comunitaria.

Più tardi, Benedetto si spinge verso il Sud e, in cima a « quel monte a cui Cassino è nella costa » ( Dante Par. 22,37 ), trapianta gli stessi ideali.

Questa volta, come città di Dio posta sul monte, nasce un unico grande monastero, con una forma di vita più stabile e organizzata.

La « Regola » che Benedetto scrive ne è il riflesso fedele, come è riflesso fedele della sua vita: « Se vuoi saperne di più su di lui - dice il biografo S. Gregorio Magno - esamina la Regola che egli ha scritto, perché l'uomo di Dio non è vissuto in modo diverso da quello che ha insegnato » ( Dial. II,36 ).

5. - Il piccolo libro della « Regola » ha avuto un peso storico eccezionale e ha condotto il monachesimo a diventare struttura portante della Chiesa e della società.

Quando nel 547, o poco dopo, Benedetto muore, l'edificio spirituale e sociale da lui costruito ha basi così solide da poter sfidare i secoli.

La « Regola » si impone ben presto su quelle preesistenti, per la sua intrinseca validità.

I monasteri coprono come un tessuto connettivo tutta l'Europa.

Chi li conta?

In Italia, a un certo punto, sono centinaia in ogni regione.

E via via la storia delle successive fondazioni monastiche si intreccia con la genesi dell'Europa cristiana.

Per questo, noi consideriamo San Benedetto il Patriarca del monachesimo d'occidente e il Patrono dell'Europa.

6. - Ma ora il nostro sguardo si volge al presente.

Che cosa dice San Benedetto al mondo di oggi?

Cosa dice alla Chiesa del dopo-Concilio, cosa dice a questa Europa che cerca faticosamente la strada della sua unità?

Ci dibattiamo in una crisi molto simile a quella del suo tempo.

La « dotta e misteriosa sintesi del Vangelo » ( così Bousset definisce la « Regola » ), che Benedetto ha scritto e vissuto, appartiene a quei valori che non tramontano.

Oggi come allora può offrire un sicuro orientamento a chi si interroga sul senso dell'esistenza.

Cogliamo qui alcuni valori emergenti, che hanno il significato di un richiamo e il valore di una proposta.

7. - Ricerca di Dio e primato della preghiera

L'Uomo di Dio: così costantemente Benedetto viene designato dal biografo, Gregorio Magno.

Egli è andato allo Speco « con il desiderio di piacere solo a Dio … di vivere sotto il suo sguardo » ( Dial. II, Introduzione e C. 3 ).

Se penetriamo la sua vita e l'esperienza dei suoi monaci, la Regola » rivela anche a noi che l'uomo è attirato da Dio: per questo può desiderarlo, cercarlo, tendere a lui con tutto lo slancio dell'essere.

Può spalancare gli occhi alla sua luce, che lo divinizza, e aprire orecchi pieni di stupore al suono della sua voce ( cfr. Regola di San Benedetto = RB, prol. 9 ).

Le porte del monastero, come le porte di una autentica esperienza spirituale, si aprono soltanto a chi « davvero cerca Dio »: « si revera Deum quaerit » ( RB, 58, 7 ).

Certo nessuno lo cercherebbe se prima Dio stesso non lo avesse cercato ( RB, prol. 14 ); e si trova Dio solo per cercarlo con amore più ardente.

È questa la grande avventura della fede.

Il nostro mondo ha bisogno di riscoprire la forza di Dio che parla, scuote, provoca, si rivela, si comunica, chiama e attrae a comunione con se.

Ieri tutto sembrava portare a Dio; oggi pare che niente e nessuno aiuti a pensare a lui.

Intorno a Dio c'è quasi una tacita congiura del silenzio.

Ma non è cosi: ogni giorno ciascuno di noi, e tutti insieme, possiamo riscoprire il fascino della sua presenza e il bisogno che abbiamo di lui, per respirare, per vivere.

8. - Forse oggi le « teologie », i « discorsi su Dio », per quanto importanti, non bastano più.

Ci vogliono esistenze che gridano silenziosamente il primato di Dio.

Ci vogliono uomini che trattano il Signore da Signore, che si spendono nella sua adorazione, che affondano nel suo mistero, sotto il segno della gratuità e ( senza umano compenso ), per attestare che egli è l'Assoluto.

Tale è stata l'esistenza di S. Benedetto; e tale è chiamata ad essere quella dei monaci.

Ma tale deve essere la vita del cristiano.

È questa la testimonianza più urgente da dare, in un mondo in cui il senso di Dio si oscura e c'è bisogno come non mai di riscoprire il suo volto.

9. - L'incontro con Dio avviene nella preghiera.

E Benedetto fa dei suoi monaci gli uomini della preghiera.

Nel dialogo orante, essi scoprono il volto di Dio, e a lui parlano con la fiducia dei figli che si sanno amati.

Il monastero, di conseguenza, è anzitutto una comunità « orante » e « una scuola di servizio divino » ( RB, prol. 45 ).

Lì si impara a fare della preghiera il respiro della vita e l'elemento che scandisce i ritmi della giornata: « Sette volte al giorno a te canto la mia lode ( RB, 16, 3 ).

La preghiera del monaco e della comunità orante nel monastero altro non è se non segno della preghiera di cui la Chiesa e tutti i cristiani son chiamati a vivere.

È innanzitutto la preghiera che orienta costantemente la Chiesa a Dio, la mantiene in costante ascolto di lui, apre il suo sguardo d'amore al suo Signore e Sposo, in una conversazione spirituale di lode gioiosa, quasi un canto perenne che si eleva a nome di tutta l'umanità.

Alla nostra generazione, che sembra credere soltanto al suo agitarsi febbrile e spesso vuoto di carica interiore, Benedetto ricorda che la grande energia che tiene in piedi il mondo è la preghiera; e la nostra azione è costruttiva per il Regno, solo quando è ancorato a Dio, quando si nutre del colloquio quotidiano con lui.

10. - Ascoltare è la prima battuta del dialogo orante, e anche la più importante.

Tra le varie forme di preghiera, Benedetto predilige quella che nasce dall'ascolto.

È con un invito all'ascolto che la « Regola » si apre ( cfr. RB, prol. 1 ).

Si tratta di offrire una disponibilità totale a Dio che parla nella Scrittura; e di accogliere la Scrittura nella Chiesa, in un incessante arricchimento che viene da una vita di comunione fraterna.

È infatti Parola sempre viva, attraverso lo Spirito che la ringiovanisce.

La comunità monastica testimonia che tutta la Chiesa e ciascun cristiano devono essere come sospesi a quell'ascolto, se vogliono essere fedeli al progetto di Dio: « Chi ha orecchie per ascoltare, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese » ( RB, prol. 11 ).

11. - Altri elementi caratteristici del clima contemplativo si spiegano in rapporto all'ascolto.

Così il silenzio, che avvolge uomini e cose, mette in ascolto di quella voce.

L'ubbidire, pronto e gioioso, è il prolungamento nella vita di quell'udire che mobilita tutte le energie del credente.

È ancora alla luce della Parola che l'« uomo di Dio » diventa capace di leggere cose e fatti in chiave profetica: negli avvenimenti della vita e della storia, egli coglie le tracce della presenza di Dio e l'attuarsi del suo disegno di salvezza.

Possano, queste brevi considerazioni, aiutare le nostre comunità cristiane a sviluppare correttamente l'esercizio di una preghiera costante e vigorosa; e possano esse trovare la guida sicura di saggi maestri di contemplazione.

12. - Centralità di Cristo e della Liturgia

Il punto forse più qualificante della spiritualità benedettina è il « Cristocentrismo »: Cristo posto al di sopra di tutto e nel cuore di tutte le realtà.

Per dire queste cose, San Benedetto non sviluppa organici discorsi teologici.

Le coglie piuttosto sul piano dell'esperienza concreta: « Non mettere mai nulla prima dell'amore di Cristo » ( RB, 4, 21 ), « proprio assolutamente nulla » ( RB, 72, 11 ), perché l'uomo di Dio « non ha al mondo nulla o di più caro » ( RB, 5, 2 ).

Un primato vissuto con coerenza e con gioia, che lo fa correre verso di lui, « con il cuore dilatato dall'inesprimibile dolcezza dell'amore » ( RB, prol. 49 ).

13. - Tutto questo non può accadere che a una precisa condizione: che Cristo sia accolto come una persona viva, presente, più intima a noi di noi stessi; qualcuno che è ineffabilmente vicino e con il suo fascino esercita una attrattiva irresistibile.

Si annoda così un rapporto interpersonale con Cristo, che dà alla vita tutto il suo senso, e diventa « la pietra » su cui si innalza solido tutto l'edificio dell'esperienza cristiana ( cfr. RB, prol. 32-34 ).

Ed è proprio nel cuore di questa esperienza che avviene l'incontro: perché tutto è « sacramento » di Cristo, cioè segno della sua presenza.

Così, ad esempio, « si sa per fede che l'abate tiene le veci di Cristo » ( RB, 2, 2 ); il servizio reso al fratello ammalato « si fa davvero alla persona di Cristo ( RB, 36, 1 ); negli ospiti « si accoglie e si adora Cristo » che in essi è presente e, se sono poveri, « lo si accoglie ancora di più » ( RB, 53, 7 e 15 ).

Quel « di più », poi, dice tutto il realismo di questa visione di fede.

14. - Alla luce di questo principio, tutto il « quotidiano » si trasfigura: tutta la realtà che ci circonda, e in particolare tutta la rete dei rapporti umani, diventa segno della presenza del Signore.

Ogni incontro si traduce in un incontro con lui, soprattutto nella comunità, luogo privilegiato di questa presenza del Risorto.

La vita allora si unifica e il cristiano diventa l'uomo che sa una cosa sola: Gesù Cristo.

E il senso della storia e del mondo è ( colto in questa luce nuova: il mondo intero si raccoglie come in un unico raggio di luce.

Tale, come dice Gregorio Magno ( cfr. Dial. II, 35 ), è stata l'esperienza di Benedetto; tale è lo stile di vita che i cristiani devono lasciare sempre trasparire nel mondo, oggi soprattutto bisognoso di vedere i segni concreti della redenzione operata da Cristo.

15. - Si spiega così il posto centrale che anche il Santo di Norcia assegna alla Liturgia; egli la designa come « Opera di Dio ».

« Nulla preporre all'Opera di Dio » e « nulla preporre all'amore di Cristo » ( RB, 43, 3 e 4, 21 ), sono le due espressioni parallele di un'unica convinzione.

La Liturgia infatti è lo spazio privilegiato dell'incontro con Cristo.

Ispirandosi al « nostro santo padre Basilio » ( come egli chiama il grande legislatore monastico dell'Oriente: cfr. RB, 73, 5 ), Benedetto pone al centro e al culmine della giornata monastica il momento della lode divina che ritma il fluire del tempo.

È quanto il Concilio Vaticano II riafferma quando richiama il primato della Liturgia come « culmine e fonte » della vita della Chiesa ( SC, 10 ); o ancora quando sottolinea la necessità di non fermarsi alla soglia delle parole e dei segni esteriori, ma di raggiungerne i valori interiori ( SC, 48 ).

« La nostra mente si accordi alla nostra voce » ( RB, 19, 7; cfr. SC, 90 ), direbbe San Benedetto.

Alle parole che la Chiesa ci mette sulle labbra deve corrispondere l'intimo movimento del cuore.

A ogni gesto, un atteggiamento interiore.

È l'unica strada dell'autenticità, il solo modo di superare il formalismo.

Non tanto con segni puramenti esteriori noi possiamo riformare e rivivere la Liturgia, bensì con una chiara vita di fede che, attraverso i riti e le preghiere, ci consenta di entrare dentro il mistero, di incontrare Cristo e di lasciarci rinnovare dalla sua Pasqua.

16. - « Ora et labora »

Il celebre motto, se non si trova materialmente nella « Regola », ne riassume però felicemente il pensiero fondamentale.

« Ora et labora »: preghiera e lavoro, come un'esperienza unitaria di vita.

Il primato di Dio e quello dello Spirito non oscura i valori umani, al contrario: li illumina.

San Benedetto non accetta di metterli in antitesi: vuole che siano coniugati insieme in un ritmo armonioso.

Noi cristiani, oggi soprattutto, dobbiamo essere sicuri che la ricerca di Dio e il primato di Cristo mettono in maggior luce i valori umani.

Non si voltano le spalle al mondo quando ci si rivolge a Cristo.

Chi serve Dio, deve insieme partecipare alla costruzione del mondo, sulla linea del Vangelo.

In questa luce è visto il lavoro quando è intimamente unito alla preghiera: esso è vissuto come collaborazione con Dio nel servire i fratelli e nel rendere il creato più accogliente e più bello.

L'uomo che si limita a produrre e non eleva la sua fatica ai valori dello spirito soccombe sotto il proprio peso quotidiano; o sotto la paura delle sue stesse conquiste.

17. - Fu proprio San Benedetto che nel suo tempo recuperò particolarmente la dignità del lavoro manuale, legato fino ad allora alla condizione degli schiavi.

Obbligando i suoi monaci a un lavoro serio e proficuo, egli intendeva farne una prerogativa dell'uomo libero: « Allora sono davvero monaci se vivono del lavoro delle proprie mani, come i nostri Padri e gli Apostoli » ( RB, 48, 8 ).

È all'uomo infatti che, come insegna San Benedetto, dobbiamo costantemente guardare.

I criteri economici e l'idea del profitto sono importanti, ma vengono dopo.

E saranno validi se messi a servizio dell'uomo che lavora e della fraternità che deve essere costituita.

Ci devono interessare le persone innanzitutto e i loro diritti a sviluppare le proprie capacità in vista del bene comune.

Allora anche il lavoro sarà veramente umano.

18. - E solo così il lavoro diviene un insostituibile fattore di solidarietà e di comunione.

Se si è consapevoli di collaborare per un'opera comune, si decide che bisogna lavorare insieme; si sviluppa il contatto umano e ci si educa al senso degli altri.

Si esce dal privatismo angusto che vede il lavoro solo in rapporto a se stessi.

Il frutto del lavoro non appartiene solo al singolo: viene messo generosamente a vantaggio della comunità.

Tutto sia comune a tutti come è scritto dice San Benedetto ( RB, 33, 6 ).

La dimensione comunitaria dà al lavoro un senso autentico di servizio per lo sviluppo e il progresso di tutta l'umanità.

Non è concepibile né la supremazia del profitto, a danno della persona, né la corsa esasperata al benessere di alcuni, con l'emarginazione e lo sfruttamento di altri.

E ciò che vale per i rapporti tra le persone vale anche per il rapporto tra i popoli.

Sono convinzioni assai diffuse nel nostro tempo, che attendono però un più deciso impegno anche dei cristiani: la ricorrenza centenaria di San Benedetto possa guidarci nel ridare vigore a questi cardini indispensabili della convivenza sociale.

19. - Autorità: servizio d'amore

È una comunità che San Benedetto vuole edificare, dopo gli anni di vita solitaria a Subiaco.

Il Monastero si presenta così alla Chiesa e alla società come una singolare realizzazione di « vita associata ».

E anzitutto emerge il ruolo dell'abate: non a caso egli viene designato con questo nome, che lo pone nell'ottica della paternità divina.

È qui soprattutto che il legislatore monastico si dimostra non solo « esperto di Dio », ma pure « esperto in umanità ».

In una comunità articolata in vari servizi, l'abate diventa il centro della comunione.

Non è qualcuno che assomma in sé tutti i compiti: si apre alla condivisione, stimola la corresponsabilità.

Alla porta pone « un anziano saggio » ( RB, 66, 1 ); nell'infermeria un fratello che sa servire i malati con diligenza e sollecitudine ( cfr. RB, 36, 7 ); alla economia prepone un monaco che sappia essere come un padre per tutta la comunità » ( RB, 31, 2 ).

La saggezza del primo responsabile è trovare collaboratori « che condividano i suoi pesi » ( RB, 21, 3 ) e sua gioia valorizzare tutte le forze, aprendosi a quella che Paolo chiama « la varietà dei carismi ».

20. - Nella comunità si realizza così una larga forma di partecipazione.

La « Regola », accanto a un capitolo sulle qualità dell'abate ( cfr. RB, 2 ), pone un altro capitolo che prescrive di radunare tutti i fratelli a consiglio ( cfr. RB, 3 ).

Ogni affare di una certa importanza è risolto con l'apporto di tutti, anche del più giovane « perché spesso il Signore rivela a lui ciò che è meglio » ( RB, 3, 3 ).

Ognuno nella comunità deve sentirsi ascoltato, anche se la decisione ultima spetta all'abate.

Nella stessa scelta di quest'ultimo, la comunità è coinvolta: egli non viene dal di fuori, non è inviato da altri.

È la comunità che lo sceglie dal suo seno ( cfr. RB, 64 ).

21. - La funzione di chi guida è poi concepita essenzialmente in chiave di servizio: « Deve mirare più a giovare che a presiedere » ( RB, 64, 8 ).

Sono parole famose di Agostino, che diventano un cardine della « Regola ».

Chi presiede non lo fa a suo vantaggio, ma per gli altri, mirando unicamente al bene dei fratelli.

E poiché ognuno di essi è irripetibile, egli deve « adattare il suo servizio all'indole di ciascuno » ( RB, 2, 31 ).

Di qui quel senso di larghezza, di realismo, di « discrezione » ( qualità precipua della « Regola » secondo Gregorio Magno: Dial. II, 36 ), che deve sempre informare l'azione del responsabile.

Così la persona è compresa, rispettata e valorizzata.

22. - Soprattutto l'abate, riflesso della paternità di Dio, « si sforza di essere amato piuttosto che temuto » ( RB, 64, 15).

Il rapporto si sposta dal freddo piano giuridico a quello caldo della fiducia che mette in comunione le persone, la figura del responsabile viene accostata alla immagine del buon Pastore, il cui tratto più saliente è quello di « dare la vita » per il gregge.

A lui è chiesta la piena disponibilità di se stesso e del suo tempo per tutti e in ogni momento.

Si fa tutto a tutti, per guadagnare tutti a Cristo.

23. - Lo stile di governo, delineato da questi grandi principi, possa diventare oggetto di riflessione lieta per tutti.

Oggi non abbiamo fiducia gli uni negli altri; e siamo scettici su chi ha compiti di governo nella Chiesa e nella società civile.

Eppure è possibile, ed è anzi doveroso, ricostruire i rapporti comunitari, traendo speranza dalla ricchezza di prospettive che anche il Concilio Vaticano II ha indicato per un ordinato sviluppo sia della comunione ecclesiale sia della corresponsabilità sociale e civile.

Ognuno, nella Chiesa o nella società, può realizzare un vero servizio d'amore.

E ogni membro della Chiesa e della società può attingere uno stimolo per uscire dalla passività, e diventare membro attivo, per il bene e la crescita di tutto il corpo.

24. - Saggezza umana e divina

Concludendo, ci piace richiamare un tratto amabile e luminoso del volto di San Benedetto: la sua profonda umanità, fatta di equilibrio e di discrezione.

Egli ci aiuta a ritrovare il senso di quell'umanesimo cristiano che viene dall'incontro e dalla fusione tra le possibilità degli uomini e la parola di Dio, tra l'attenzione dovuta all'uomo con tutti i suoi valori e la ricerca di Dio.

25. - Si sa che l'ideale monastico è nato in Oriente, dove ha assunto un tono marcato di ascetismo, con pratiche rigorose che a noi sembrano a volte incomprensibili.

Benedetto ha una visione serena dell'uomo; mitigando l'austerità di certe forme si ascesi, egli riconduce l'impegno dei suoi monaci entro limiti che permettono « ai forti di desiderare qualcosa di più e ai deboli di non sgomentarsi » ( RB, 64, 19 ).

In compenso, insiste sulla disciplina interiore, e va diritto alle disposizioni intime.

Lì si fa molto esigente.

Vuole soluzioni radicali ( « radicitus »; cfr. RB, 2, 26; 55, 18 ) e un impegno totale, una coerenza senza incrinature.

26. - L'Italia ha oggi bisogno di guardare a lui con rinnovata attenzione.

Come il resto dell'Europa e del mondo, anche il nostro Paese sta attraversando una delle più profonde crisi di identità spirituale che si siano verificate nella storia.

La società in cui viviamo ha bisogno di riscoprire i valori perenni cui San Benedetto ha dato autorevole testimonianza.

- Si tende a ridurre le esigenze più profonde dell'uomo alla soddisfazione di bisogni materiali, reali o indotti.

L'invito benedettino alla preghiera richiama il bisogno di Dio, che solo può saziare il cuore dell'uomo.

- Si tende a sostituire la dimensione dell'essere con quella dell'avere.

E Benedetto richiama il primato della preghiera sull'azione, del pensare sull'agire, dell'essere sull'avere.

- Si rischia di assolutizzare le realtà terrene.

San Benedetto afferma la radicale relatività di ogni costruzione storica rispetto al Regno.

- Si cancella la persona nella massa anonima, staccandola dal rapporto con Dio e con gli altri.

San Benedetto testimonia che è possibile una convivenza ordinata e pacifica, dove ogni persona è rispettata nella sua originalità.

- Si smarrisce il senso del valore della vita umana, sacrificata con le piccole e grandi violenze quotidiane.

E Benedetto ricorda che non si può ferire l'uomo senza ferire Cristo.

27. - Attraversando quindici secoli di vicende storiche, i valori benedettini sono giunti fino a noi e dimostrano la loro validità perenne, ancorata alla parola odi Dio che non passa.

Essi sono valori essenziali per la costruzione della società del nostro tempo.

Noi Vescovi d'Italia ne siamo fermamente convinti.

Vogliamo qui esprimere il pensiero riconoscente a tutte le comunità monastiche presenti nella Chiesa in Italia.

Custodendo i carismi dei loro fondatori e della loro tradizione, possano esse testimoniare a tutti i valori evangelici di cui il mondo ha oggi un bisogno struggente.

E possano trovare, viva, l'attenzione dei cristiani per la loro preziosa esperienza.

Chiediamo infine a tutti di non limitarsi, in questo centenario, a celebrazioni esteriori, ma di assimilare i principi evangelici che la ricorrenza rilchiama, accostando anche il testo della « Regola » beneldettina in clima di riflessione e di preghiera.

Insieme siamo impegnati a operare nella vita di ogni giorno, con il generoso servizio a Cristo e ai fratelli, « perché in tutto Dio sia glorificato » ( RB, 57, 9 ).

Roma, 27 marzo 1980.