Criteri di ecclesialità dei gruppi, movimenti, associazioni Introduzione 1. - Il mistero della comunione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, per l'opera e la preghiera di Cristo, compagina nell'unità tutta la comunità ecclesiale, e nello stesso tempo la vivifica nell'attuarsi delle Chiese particolari. La varietà delle articolazioni dell'unico Corpo del Signore è frutto dei doni supremi ma anche di istanze umane, sempre però nell'identità e nella missione della comunione che la Chiesa essenzialmente è. 2. - Guardando in tale luce le nostre comunità ecclesiali, particolarmente dagli anni del Concilio ad oggi, non si può non rallegrarsi - come San Barnaba ad Antiochia ( Cfr. At 11,23-24 ) - per l'ondata di grazia che il Signore vi ha riversato mediante il suo Spirito. È una grande fioritura di aggregazioni - gruppi, movimenti, associazioni - ricche di fermenti, di attività, di programmi, di intenti e desideri. 3. - Tutti questi fermenti portatori di grazia e di doni sono da armonizzare e far convergere al bene della vita e della missione della Chiesa: « Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie, esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono ». ( 1 Ts 5,19-21 ) E questo è compito di tutti. È compito dei fedeli e dei Pastori: dei primi, per orientarsi convenientemente e sicuramente nelle loro valutazioni e nei loro atteggiamenti; e dei secondi, per discernere autorevolmente, offrire con responsabilità e paternità presenza e parola, e camminare con la propria Chiesa in comunione con le esigenze di tutte le comunità. 4. - La presente « nota pastorale » si articola in tre riflessioni. Premesse: - circa la libertà di associazione nella Chiesa - circa la denominazione delle realtà aggregative esistenti nella nostra Chiesa Parte prima: - sui criteri di discernimento della ecclesialità delle associazioni, movimenti, ecc. Parte seconda: - sui criteri e condizioni di riconoscimento delle associazioni, movimenti, ecc. Premesse Libertà dei laici di associarsi nella Chiesa 5. - Di tutto l'insegnamento del Concilio intorno al laicato, un punto merita particolare attenzione: quello riguardante la libertà e il diritto dei laici di aggregarsi: « Salva la debita relazione con l'autorità ecclesiastica, i laici hanno il diritto di creare associazioni e di guidare e di dare il proprio nome a quelle già esistenti ». Questa chiara affermazione discende coerentemente dalla partecipazione dei laici alla comunione e alla missione della Chiesa. Il diritto di associarsi rappresenta un modo concreto, e insieme una garanzia, per vivere tale partecipazione. È una dichiarazione di grande rilievo: alla precisa condizione della « debita relazione con l'autorità ecclesiastica », riconosce senza incertezza e senza ambiguità un vero e proprio diritto di associazione per finalità propriamente ecclesiali, diritto non derivante da una « concessione» dell'autorità pastorale ma fondato sullo « statuto battesimale » del laico cristiano. Va rilevata la novità che il Concilio ha introdotto rispetto alla schematizzazione e alla disciplina proprie del Codice di diritto canonico del 1917. In forza del can. 686, un'associazione aveva titolo ad esistere come tale nella Chiesa soltanto se era stata formalmente « eretta » o « approvata », con un atto di natura costitutiva, dall'autorità ecclesiastica: sì che le associazioni o erano « riconosciute » o non avevano alcuna specifìca consistenza ecclesiale. La nuova prospettiva conciliare fa leva invece sul diritto - che è uno dei diritti propri dei fedeli, derivanti dal loro « statuto sacramentale » - di associazione « nella Chiesa ». L'esercizio di tale diritto, però, è legittimo quando sia accompagnato dal rispetto delle condizioni oggettive relative ai fini, all'attività pastorale e alla struttura gerarchica della Chiesa. Denominazione delle realtà aggregative 6. - Una descrizione esemplificativa delle diverse forme di aggregazione può essere fatta secondo le seguenti linee: a) L'associazione presenta ordinariamente le seguenti caratteristiche: - struttura organica e « istituzionale », definita in uno « statuto »; - adesione dei membri, che avviene per condivisione degli scopi e degli impegni statutari; - adesione formale da parte dei membri, in base alle norme statutarie; - stabilità e autonomia ( relativa ) dell'associazione in quanto istituzione, al di là del variare dei membri; - attribuzione delle cariche associative in base a criteri formali prestabiliti dallo statuto. b) Il movimento è in genere cosi caratterizzato: - alcune « idee-forza » e uno « spirito comune » fanno da elementi aggreganti più delle strutture istituzionali; - spesso l'aggregazione avviene, o almeno inizia, attorno alla figura e alla proposta di un « leader »; - più che in uno « statuto », ci si riconosce in una « dottrina » e in una « prassi », fortemente caratterizzanti, che tendono a diventare quasi una « spiritualità »; - l'adesione non è formale, ma vitale: il movimento « sta » sulla adesione vitale continuamente rinnovata dei membri, senza iscrizioni o tessere. c) Il gruppo è di solito caratterizzato da: - una certa « spontaneità » di adesione e di permanenza da parte dei membri; - una certa omogeneità anche « affettiva »; - grande libertà di auto-configurazione quanto a scopi, struttura e attività del gruppo, e quindi tendenziale non-uniformità tra gruppo e gruppo; - dimensioni relativamente ridotte e diffusione piuttosto limitata; - talora, soprattutto se si tratta di « gruppi di spiritualità », un certo riferimento comune a una « figura » o a un « valore » identici. 7. - È sempre però necessario tener presenti le seguenti osservazioni. - I termini « associazione », « movimento », « gruppo » sono spesso variabili; neppure sono gli unici in uso ( si pensi al termine « società » oppure « comunità » ). Così pure in taluni casi il nome non corrisponde perfettamente alla figura sostanziale che designa. - Si tratta perciò di indicazioni di massima, che servono almeno ad orientare in una complessa materia; dovendosi poi esprimere delle valutazioni precise, sarà bene guardare alla sostanza delle cose, più che al nome, ed esaminare oculatamente ciascun caso. - Si ricordi infine che in un campo come questo ben raramente si danno realtà rigide e fisse: anche le associazioni si aggiornano e si rinnovano, fino a modificare i propri « statuti », così come gli stessi movimenti non sono normalmente privi di un « nucleo » identificante, sufficientemente preciso e stabile. Parte I - Criteri per il discernimento 8. - Sulla scorta degli elementi offerti dal Concilio e degli orientamenti che hanno presieduto all'elaborazione della imminente riforma del C.J.C., si possono tracciare alcune linee che servono come criteri autorevoli e sicuri di giudizio e di comportamento per i Pastori e, indirettamente, per le stesse aggregazioni, tanto per il discernimento dell'ecclesialità di queste realtà aggregative, quanto per il riconoscimento delle medesime nel rapporto di collaborazione con i Pastori. Sulla base dell'insieme delle indicazioni conciliari i criteri di ecclesialità sono facilmente riducibili ai seguenti: 1) fedeltà all'ortodossia, 2) conformità alle finalità della Chiesa, 3) comunione con il Vescovo, 4) riconoscimento della pluralità associativa e disponibilità alla collaborazione. I. - Ortodossia dottrinale e coerenza dei metodi e dei comportamenti 9. - È il primo criterio di ecclesialità, che merita attenta considerazione. a) Una chiara adesione alla dottrina della fede cattolica e al magistero della Chiesa, che la interpreta e la proclama, è indubbiamente condizione indispensabile perché una realtà possa legittimamente esistere come tale « nella Chiesa ». Questo requisito importa la disponibilità ad aderire all'insegnamento della Chiesa non soltanto quando essa propone « i principi dell'ordine etico e religioso », ma anche quando essa attua il dovere e il diritto, che le competono, « di intervenire con autorità presso i suoi figli nella sfera dell'ordine temporale per giudicare dell'applicazione di quei principi ai casi concreti ». b) Occorre pure che le associazioni, movimenti e gruppi promuovano e garantiscano, di conseguenza, una limpida coerenza cristiana nei metodi formativi e nei comportamenti comunitari. c) Non può mancare, in modo particolare, il necessario equilibrio che nell'azione formativa deve esistere: - tra dimensione personale e dimensione comunitaria; - tra appartenenza alla Chiesa e appartenenza ai gruppo; - tra impegno di preghiera, coerenza di vita e azione per gli altri; - tra impegno del laico « nella Chiesa » e impegno del laico « nel mondo »; - tra valorizzazione della vocazione specifica dei laici e riconoscimento della funzione ecclesiale della Gerarchia; - tra autonomia di vita e di attività del gruppo e rapporto con le strutture fondamentali della vita pastorale ( diocesi e parrocchie ); - quando si tratta di movimenti giovanili che hanno componenti maschili e femminili, tra momenti di formazione e di vita distinti e momenti di formazione e di vita comuni. d) La coerenza importa inoltre l'impegno di tendere a realizzare una « intima unità » tra la fede e la vita vissuta, nella convinzione che l'incidenza delle associazioni dipende « dalla testimonianza cristiana e dallo spirito evangelico dei singoli membri e di tutta l'associazione », e che perciò « di ben poca utilità saranno ( … ) le associazioni più fiorenti, se non sono volte ad educare gli uomini alla maturità cristiana ». e) Da parte infine di sacerdoti e religiosi, eventualmente coinvolti in tali realtà aggregative, si esige il rispetto degli obblighi prioritari della vita diocesana e della vita religiosa. II. - Conformità alle finalità della Chiesa 10. - Questo requisito appare ovvio; ma non sembrano inutili, per una sua retta interpretazione, alcune precisazioni. a) Svolgono attività sicuramente conformi alle finalità della Chiesa - ossia all'evangelizzazione - tutte quelle associazioni che si propongono scopi spirituali, religiosi, formativi, pastorali, come pure quelle che attendono all'esercizio di opere di pietà, di misericordia, di carità. La conformità delle finalità di queste associazioni, movimenti, gruppi, ecc. con quelle della Chiesa si mostra in questi casi molto nettamente; e il Concilio riconosce e raccomanda la ricchezza di iniziative che derivano da tali finalità. b) Sono egualmente conformi alle finalità di evangelizzazione della Chiesa le associazioni che perseguono scopi di animazione cristiana dell'ordine temporale. Considerando però che tale scopo può essere realizzato in modi diversi, occorre tener conto della precisazione del Concilio il quale ritiene « di grande importanza, soprattutto in una società pluralistica, … che si faccia una chiara distinzione tra le azioni che i fedeli, individualmente o associati tra loro, compiono in proprio nome come cittadini, guidati dalla coscienza cristiana, e le azioni che essi compiono in nome della Chiesa in comunione con i loro pastori ». 11. - Si deve distinguere, a questo proposito, tra associazioni di ispirazione cristiana che operano nel temporale, e associazioni di animazione cristiana del temporale. a) Le associazioni di ispirazione cristiana che operano nel temporale sono quelle i cui membri, interpretando le diverse situazioni culturali, professionali, sociali, politiche, alla luce dei principi cristiani, e intervenendo in esse per farle crescere secondo prospettive di autentico umanesimo plenario, impegnano nella propria azione esclusivamente se stessi, operando sempre e soltanto sotto la propria responsabilità, personale o collettiva. Si tratta di realtà associative che, pur rivestendo una grande importanza come concreti strumenti per un'efficace azione dei cristiani nel mondo, non presentano tuttavia una specifica consistenza ecclesiale; ad esse, tra l'altro, possono aderire o comunque dare il proprio sostegno persone che ne condividono gli ideali e i programmi, anche senza condividere un preciso e personale impegno di fede e di vita ecclesiale. L'autorità pastorale della Chiesa, di conseguenza, non assume una diretta responsabilità nei loro confronti. b) Le associazioni di animazione cristiana del temporale sono invece quelle che mirano propriamente alla formazione, al coordinamento e al sostegno dei laici per una presenza cristianamente significativa nei diversi campi dell'impegno culturale, professionale, sociale. È una presenza che si propone espressamente finalità di testimonianza cristiana nell'impegno di promozione umana e di partecipazione sociale e quindi presuppone nei membri una adesione personale ai valori evangelici, motivata dalla fede e sostenuta dalla carità, che diventa ansia apostolica soprattutto negli ambienti di vita e di lavoro. Si tratta, in questo caso, di associazioni che, coerentemente alla loro natura, si raccordano in modo più o meno intenso con la comunità cristiana e con i suoi Pastori; che anzi, in un certo senso, la esprimono e la rendono visibile sulla complessa frontiera delle realtà socio-temporali, pur trattenendosi dall'operare in proprio scelte politico-sociali in senso specifico, che restano affidate all'ulteriore responsabilità dei cristiani, singoli o associati, « in quanto cittadini ». Queste debbono essere ritenute, a loro modo, vere aggregazioni ecclesiali e, pur distinte da quelle che hanno finalità spirituali-religiose formative- pastorali, rientrano nell'area delle realtà associative cui intende far riferimento la presente nota. III. - Comunione con il Vescovo 12. - La volontà di piena comunione con il Vescovo, « principio visibile e fondamento dell'unità della Chiesa particolare » ( LG, 22a ), si dimostra autentica se si traduce concretamente nella disponibilità ad accogliere con lealtà e con fiducia: a) i principi dottrinali e gli orientamenti pastorali che il Vescovo richiama nonché i sussidi spirituali e formativi che egli eventualmente offre; b) la sua azione di coordinamento pastorale, che mira ad armonizzare tutta l'attività dei fedeli e a finalizzarla al bene comune della Chiesa, evitando la dispersione delle forze o l'introduzione di forme e metodi meno opportuni; c) l'esercizio del suo compito di vigilanza e, se occorre, di richiamo e di correzione per il recupero di una piena comunione ecclesiale; d) il ministero del presbitero eventualmente inviato o approvato dal Vescovo. IV. - Riconoscimento della legittima pluralità delle forme associate nella Chiesa e disponibilità alla collaborazione con le altre associazioni 13. - Si richiede da parte di ogni associazione un atteggiamento di rispetto, di stima, di apertura verso le forme associative diverse dalla propria; e tale atteggiamento si dimostra vero se si traduce in una disponibilità reale al coordinamento e alla collaborazione con esse, pur nel rispetto della natura propria di ciascuna, e al di sopra di ogni spirito discriminatorio, che comporta spesso il pericolo di autoidentificarsi con la Chiesa. * * * 14. - A questo punto, concludendo il presente capitolo, conviene far cenno a un ultimo criterio di verifica dell'ecclesialità delle associazioni, che in un certo senso riassume e integra i quattro che si sono fin qui recensiti: e precisamente al criterio dei frutti spirituali. Per « frutti spirituali » si intendono quegli elementi di spiccato rilievo soprannaturale che accompagnano, su una certa distanza di tempo, l'opera di un'associazione, movimento, gruppo, ecc. e rappresentano, in un certo senso, la controprova degli autentici dinamismi « spirituali », cioè mossi dallo Spirito Santo, che in essi e attraverso di essi si esprimono: il largo spazio dato alla preghiera, lo stile di povertà, la disponibilità al servizio della carità, il fiorire di vocazioni sacerdotali e di speciale consacrazione, l'invenzione di nuovi metodi di evangelizzazione, il coraggio di una presenza esplicita in ambienti difficili, la passione per l'accostamento dei lontani dalla pratica della fede, il maturare di vere conversioni, la forte « presa » sui giovani, la riscoperta della fraternità vissuta e della comunione dei beni, la rivalutazione dei carismi e dei ministeri, ecc. Si dovrà però sempre ricordare che tali « frutti » sono a loro volta da verificare alla luce del complesso armonico di tutti i valori cristiani: così, ad esempio, la povertà non è pauperismo iroso e polemico, l'accostamento dei lontani non può finire in gretto proselitismo, la carità fraterna deve essere esercitata in primo luogo verso le persone e le strutture ordinarie della comunità cristiana senza altezzose prese di distanza, le vocazioni devono accettare di farsi verificare dalla Chiesa e di inserirsi lealmente e cordialmente nei normali canali formativi da essa predisposti, il coraggio di una presenza esplicita non può assumere toni di intolleranza, la fraternità non deve scadere nell'intimismo, l'apprezzamento dei carismi non può confondersi con la ricerca dello « straordinario », e via dicendo. Parte II - Criteri per il riconoscimento 15. - Gli elementi sin qui recensiti devono essere presenti in ogni associazione, movimento, gruppo, ecc., perché questi possano ritenersi ecclesiali; a partire da tale base comune e irrinunciabile possono darsi ulteriori sviluppi, nella linea del collegamento dell'associazione, movimento, gruppo, ecc. con l'autorità ecclesiastica e della responsabilità che questa si assume nei riguardi dell'associazione stessa. Si danno tre livelli. a) A un primo livello si collocano le aggregazioni che, verificati i criteri di ecclesialità, esistono e operano nella Chiesa, senza richiedere un esplicito riconoscimento da parte dell'autorità ecclesiastica: possono chiamarsi « associazioni libere » ( « liberi coetus » ) o « associazioni non formalmente riconosciute ». b) A un secondo livello si trovano quelle aggregazioni che non si limitano a vivere secondo lo statuto di libertà proprio di tutte le associazioni veramente ecclesiali, ma domandano, e ottengono, uno speciale « riconoscimento » da parte dell'autorità ecclesiastica: possono dirsi « associazioni riconosciute » ( « explicite agnitae » ). c) A un terzo livello stanno quelle aggregazioni che vengono scelte e in particolar modo promosse dalla stessa Gerarchia ecclesiastica, per il valore che esse presentano in ordine al bene comune della Chiesa: sono le « associazioni scelte e promosse dalla Gerarchia » ( « electae et particulari modo promotae ab ecclesiastica auctoritate » ). I. - Aggregazioni libere o non riconosciute esplicitamente 16. - Rappresentano la forma elementare di esercizio del diritto di associazione riconosciuto a tutti i fedeli nella Chiesa. Pur non essendo specificamente e formalmente « riconosciute » dalla Gerarchia, sono legittime « iniziative apostoliche nella Chiesa », nelle quali gli aderenti agiscono liberamente e solidalmente in vista di peculiari finalità che l'ordinamento della Chiesa apprezza generalmente come valide. E l'autorità pastorale, con il necessario discernimento, sempreché siano in esse verificabili i criteri di ecclesialità, assicura loro un giusto spazio di autonomia, garantisce gli aiuti spirituali e i sussidi pastorali che sono offerti a tutti i fedeli, le considera come espressioni della energia vivificante dello Spirito Santo che distribuisce con sovrabbondanza i suoi doni, e attende una loro originale collaborazione nel programma pastorale proprio della Chiesa italiana e delle singole Chiese particolari. Questo tipo elementare di aggregazione non ha bisogno di autenticazioni e di autorizzazioni particolari. Come i singoli fedeli, che si sforzano di vivere genuinamente la vita cristiana in coerenza con il loro battesimo, non necessitano di alcuna speciale connotazione che li dichiari tali, perché la loro vita li proclama cristiani, e tali, fino a prova contraria, vanno ritenuti; così anche queste associazioni: finché esse realizzano in sé i criteri di ecclesialità possono agire liberamente nella Chiesa; anzi, se fanno bene potranno anche meritare « lode » o « raccomandazione » da parte del Vescovo. Se invece la fedeltà ai valori ecclesiali si oscura, il Vescovo potrà assumere nei loro confronti un significativo distacco. In casi dolorosi, quando addirittura dovesse venir meno qualche elemento irrinunciabile di comunione ecclesiale, il Vescovo dovrà pronunciare una chiara parola di denuncia o di richiamo, che metta in guardia la generalità dei fedeli e stimoli gli interessati a un sincero e fattivo ripensamento; e sino a che non saranno nuovamente assicurati i criteri di ecclesialità si dovrà prendere atto che tale aggregazione non può più essere ritenuta una vera associazione ecclesiale e perde conseguentemente il suo statuto di legittimità e di libertà nella comunità cristiana. 17. - Qui occorre parlare della « debita relazione con l'autorità ecclesiastica », che le associazioni, i movimenti e i gruppi - per i quali non occorrano speciali autorizzazioni o riconoscimenti - devono avere. Tale « relazione » è necessaria, perché l'attività di queste aggregazioni « sia inserita con il debito ordine nell'apostolato di tutta la Chiesa; anzi, l'unione con coloro che lo Spirito Santo ha posto a reggere la Chiesa di Dio ( Cfr. At 20,28 ) è un elemento essenziale dell'apostolato cristiano ». Ne consegue, in primo luogo, che il Vescovo deve poter conoscere l'esistenza e valutare la natura e le finalità di queste associazioni, movimenti e gruppi. Al che corrisponde il dovere, da parte dei responsabili dei medesimi, di presentarsi al Vescovo e di offrirgli tutti gli elementi idonei allo scopo. L'autorità ecclesiastica, poi, oltre che « promuovere », e « fornire i principi e gli aiuti spirituali », ha il compito: a) di armonizzare l'attività delle associazioni, movimenti e gruppi dei laici con le finalità complessive dell'azione pastorale della Chiesa; e b) di vigilare affinché siano conservati la « dottrina e l'ordine ». L'espressione « dottrina e ordine » esprime il compito tradizionale della vigilanza: i doni dello Spirito sono dati « per l'edificazione della comunità », ( 1 Cor 14,12 ) nella quale tutto deve avvenire « decorosamente e con ordine ». ( 1 Cor 14,40 ) Il ministero di discernimento comporta per i Vescovi di vigilare perché non si promuovano nuove associazioni od opere senza motivi sufficienti, perché non si mantengano in vita più del necessario associazioni o metodi superati, e perché forme associative istituite in una nazione non vengano portate indiscriminatamente in altre. II. - Aggregazioni riconosciute dall'autorità ecclesiastica 18. - Alcune realtà associative, assicurata la loro conformità con i valori ecclesiali, non si limitano a vivere e a operare nel quadro della legittimità e della libertà a tutte garantite nella Chiesa, ma desiderano e chiedono all'autorità ecclesiastica una particolare ed esplicita approvazione, che di solito si esprime con il termine « riconoscimento »; quando tale approvazione viene concessa, associazioni, movimenti o gruppi « riconosciuti » assumono uno speciale rilievo nell'organismo ecclesiale, perché il loro rapporto con l'autorità pastorale si artioola in modo più preciso e più impegnativo. Si è di fronte a uno sviluppo ulteriore nella linea di quei « vari tipi di rapporti con la Gerarchia » che il Concilio ha illustrato. È perciò opportuno indicare, anche in riferimento a questo tipo di aggregazioni ecclesiali, alcune linee direttive che valgano sia per loro che per i Vescovi come traccia sicura sul piano pastorale. Condizioni per il riconoscimento 19. - Perché l'autorità ecclesiastica possa « riconoscere » gruppi, movimenti, associazioni, è necessario che questi assicurino alcuni precisi requisiti di ordine sia formale che sostanziale. A) Requisiti di ordine formale 20. - Le associazioni richiedenti devono in primo luogo presentare gli elementi indispensabili di ordine formale, cioè quel complesso di dati individuanti che permettano un'adeguata conoscenza e una fondata valutazione della loro fisionomia, delle loro finalità, dei metodi e dei contenuti della loro azione apostolica. In particolare si richiede: a) la presentazione dello statuto ( o di una base normativa equivalente ), dal quale risulti, tra l'altro, la precisa denominazione e la finalità dell'associazione; b) l'indicazione sufficientemente documentata delle dimensioni organizzative e operative ( se a livelLo nazionale o a livello inferiore o superiore ); c) la specificazione del tipo di presenza nell'ordinamento istituzionale della Chiesa in Italia, con riferimento al criterio « territoriale » ( parrocchia, diocesi, circoscrizioni pastorali regionali, ecc. ) oppure al criterio « personale » ( movimenti di ambiente, professionali, di categoria, ecc. ); d) l'indicazione degli organi direttivi con la specificazione dei nominativi dei responsabili e della modalità della loro designazione; e) la segnalazione dell'eventuale presenza di sacerdoti, dichiarando a quale titolo essi partecipano alla vita della associazione, movimento, gruppo, e da chi vengono presentati per eventuali ruoli di responsabilità. B) Requisiti di ordine sostanziale 21. - Per ottenere il « riconoscimento» occorre soprattutto garantire l'autorità ecclesiastica circa l'esistenza di alcuni requisiti sostanziali. Non si tratta di elementi ulteriori e diversi rispetto ai criteri indicati per il discernimento; sono piuttosto una ripresa, un approfondimento e una specificazione di quelli, in una prospettiva di più impegnativo rapporto con la Gerarchia e di disponibilità più organicamente assicurata a collaborare con i suoi indirizzi pastorali. Essi sono fondamentalmente tre: a) la dichiarata disponibilità a convergere, secondo il proprio carisma, nelle scelte pastoali della Chiesa italiana e della Chiesa particolare ( diocesi ) interessata, accogliendo cioè e valorizzando gli orientamenti e i programmi proposti dai Vescovi a tutta la comunità cristiana, collegandovi costruttivamente i propri, e apportando al loro approfondimento e alla loro realizzazione la genialità peculiare e la forza organizzativa dell'associazione e dei suoi membri; b) l'impegno a partecipare a pieno titolo, come segno concreto di tale disponibilità, ai « consigli » o alle « consulte » per l'apostolato dei laici, la cui istituzione è espressamente raccomandata, a diversi livelli, dal Concilio Vaticano II; nonché l'impegno a sostenere i Consigli pastorali e gli altri organismi della pastorale d'insieme; c) l'impegno a riconoscere e ad accogliere la presenza e l'azione di sacerdoti idonei e convenientemente formati, nominati dal Vescovo - oppure, ai rispettivi livelli, dalla Conferenza Episcopale Regionale o dalla C.E.I. -, sentiti i responsabili delle associazioni, e dal Vescovo stesso - o dalla rispettiva autorità competente - « mandati » alla associazione, movimento, ecc., come espressione visibile di piena comunione ecclesiale e di positivo raccordo pastorale, oltre che come aiuto offerto dalla Chiesa per una più profonda e completa formazione apostolica degli associati. Effetti del riconoscimento 22. - Il riconoscimento è un atto specifico, che è destinato a produrre particolari effetti. Tali effetti possono appunto essere delineati secondo alcune specificazioni. a) Innanzi tutto, è importante ricordare che il riconoscimento concesso dall'autorità ecclesiastica non muta la natura dei singoli gruppi, movimenti o associazioni, i quali continuano a rappresentare e a impegnare se stessi, non l'autorità che li ha riconosciuti. Il riconoscimento è indubbiamente un atto ricco di valore ecclesiale, ma non è tale da comportare una sorta di « identificazione » tra la aggregazione e la Chiesa, tra orientamenti e scelte inevitabilmente parziali e relative e la posizione della Gerarchia ecclesiastica che esprime gli indirizzi della Chiesa in quanto tale. Ogni associazione riconosciuta coinvolge nelle proprie scelte se stessa, con i propri valori e i propri limiti, non certamente tutta la Chiesa; pur non potendosi dimenticare che, in qualche modo, essa esprime veramente la realtà della Chiesa, nel suo stesso esistere come fatto di aggregazione intraecclesiale e nel suo operare come componente concreta di quella comunità cristiana nella quale il mistero della « comunione » si incarna e si manifesta. b) Il riconoscimento assicura però i fedeli circa il valore spirituale, la significatività ecclesiale, la capacità di incidenza e quindi l'utilità pastorale di quel determinato gruppo, movimento o associazione. Anzi, esso contiene una implicita « raccomandazione » di tale realtà associativa fatta alla generalità dei fedeli: l'adesione a quel gruppo, movimento o associazione rappresenta una strada sicura e un valido aiuto per chi vuole impegnarsi in una forma di vita e di attività ecclesiale organizzata, perché vi troverà il modo di formare meglio se stesso, sviluppando anche le proprie legittime inclinazioni e preferenze spirituali e apostoliche, e nello stesso tempo di collaborare efficacemente, per l'ambito cui l'associazione si riferisce, alla azione evangelizzatrice della Chiesa. In questo senso il riconoscimento, rappresenta una particolare forma di promozione del laicato da parte della Gerarchia e una specifica modalità di inserimento delle realtà « riconosciute » nell'attività di tutta la Chiesa c) Infine, garantendo da parte delle associazioni uno stabile raccordo con le scelte e i piani pastorali dei Vescovi, il riconoscimento offre anche alla Gerarchia un prezioso affidamento ai fini di una organica programmazione pastorale, che in tal modo si arricchisce della possibilità di assicurare presenze organizzate e articolate nelle complesse situazioni umane, culturali e sociali che caratterizzano la società contemporanea. Problemi particolari 23. - A questo punto, si rendono necessarie alcune chiarificazioni, in risposta a problemi concreti che facilmente potrebbero sorgere in una materia oggettivamente complessa e, delicata. È da premettere che il riconoscimento non si esprime in forme e con intensità sempre identiche. Esso può configurarsi diversamente « secondo le diverse forme e i diversi oggetti dell'apostolato stesso ». a) Quanto alla diversità di oggetto, è chiaro che altro è il riconoscimento di un'associazione a finalità spirituale-religiosa-pastorale, e altro quello di una associazione che si propone scopi di animazione cristiana del temporale. Non sono invece formalmente « riconoscibili » le associazioni di ispirazione cristiana che operano nel temporale, perché l'autorità ecclesiastica non intende assumere nei loro confronti alcuna diretta responsabilità. Questa differenza nel modo e nell'intensità del riconoscimento può esprimersi secondo diversi indici; ma il principale resta normalmente quello del « titolo » e della « funzione » che vengono attribuiti alla presenza e all'opera del sacerdote « mandato » dal Vescovo all'associazione. b) Quanto alla diversità di forme, è da ricordare che nelle aggregazioni di cui si parla si esprime liberamente il diritto di associazione che è proprio dei fedeli, e che quindi la determinazione delle modalità specifiche secondo le quali si intendono perseguire le finalità dell'associazione dipende ultimamente dai soggetti promotori e può portare a configurazioni diverse. Nel valutare queste diverse forme, l'autorità ecclesiastica è a sua volta libera di apprezzarne la conformità maggiore o minore alle urgenze pastorali e alle proprie linee programmatiche generali e specifiche, e di modulare quindi diversamente l'intensità e la forma del riconoscimento che ritiene opportuno di concedere. 24. - Il riconoscimento di un'associazione si deve esprimere in un atto di approvazione formale e specifica. Tale atto è di competenza del Vescovo quando l'associazione che chiede il riconoscimento ha rilievo esclusivamente diocesano. Con esso il Vescovo impegna in modo qualificato la propria prudenza pastorale, in sintonia col bene generale della Chiesa; il riconoscimento dovrà perciò derivare da una ponderata valutazione e fondarsi su oggettive e assodate motivazioni. Il riconoscimento dato da un Vescovo produce però effetto soltanto nella sua Chiesa particolare e non impegna di per sé gli altri Vescovi, anche se, ovviamente, la decisione presa dal primo non può non rappresentare un indizio di valore e un motivo di attenta considerazione anche per gli altri. Quando una associazione è presente, di fatto, in più diocesi, è opportuno ricercare una valutazione comune tra i Vescovi interessati, al fine di evitare atteggiamenti divergenti. Il riconoscimento, inoltre, comporta una valutazione complessiva della associazione che, se è primariamente di merito, presenta anche aspetti di opportunità pastorale. Nessun Vescovo perciò può essere obbligato a riconoscere un'associazione, anche se questa si presenta con finalità e caratteristiche che sono di per sé apprezzabili o anche altamente positive. Non tutto ciò che è buono è anche opportuno; e in ogni modo c'è un ordine pure nella carità. Il giudice ultimo del riconoscimento di un'associazione in una determinata diocesi resta il Vescovo, che è il pastore di quella Chiesa e il sapiente moderatore dei doni e delle funzioni in vista della utilità comune. Quando invece un'associazione ha rilevanza nazionale, la concessione del riconoscimento spetta alla Conferenza Episcopale Italiana, secondo le sue norme statutarie. In questo caso il riconoscimento vale per tutta la Chiesa italiana. Resta tuttavia salvo il diritto di ogni Vescovo di dare, di rinviare o di negare il proprio assenso alla presenza e alla attività di quella determinata associazione nella propria diocesi, in base alle ragioni di opportunità pastorale già richiamate; tali ragioni nondimeno devono essere in questo caso particolarmente ponderate, dal momento che il riconoscimento nazionale comporta un apprezzamento positivo dell'associazione che è di non lieve entità. III. - Associazioni « scelte e promosse » dall'autorità ecclesiastica 25. - Una terza categoria di forme associative è quella comprendente le associazioni, movimenti, gruppi, ecc., che vengono « scelti in modo particolare » dall'autorità ecclesiastica per essere « più strettamente unite al suo ufficio apostolico », e per le quali l'autorità stessa « assume una particolare responsabilità ». Di fatto, in Italia, questo tipo di realtà associativa si è attuato e si attua nella Azione Cattolica Italiana, che presenta, congiunte insieme, tutte le quattro note precisate dal Concilio Vaticano II Di conseguenza, l'A.C.I. si caratterizza per lo speciale rapporto con i Vescovi e la loro Conferenza Episcopale, che ne hanno ripetutamente affermata la singolare validità, sostenendone ed accompagnandone l'impegno. In merito si rimanda, oltre che ad AA 20, ai discorsi di Paolo VI alla II Assemblea Nazionale dell'A.C.I., del 22.9.1973, e alla III Assemblea Nazionale dell'A.C.I., del 25.4.1977; al discorso di Giovanni Paolo II alla IV Assemblea Nazionale dell'A.C.I., del 27.9.1980; alla lettera del Consiglio Permanente della C.E.I. al Presidente dell'A.C.I., del 2.2.1976, e al documento della C.E.I., Evangelizzazione e ministeri, nn. 78-82, del 15.8.1977. Il prezioso patrimonio ecclesiale, storico e culturale dell' A.C.I. e le motivazioni ecclesiali che ispirano questa « particolare forma di ministerialità laicale » ( Paolo VI, 25.4.1977 ), giustificano la speciale sollecitudine che l'Episcopato Italiano dedica a questa Associazione. Conclusione 26. - Forse è bene, chiudendo questa « nota pastorale », rilevarne ancora una volta l'anima e il fine. L'anima è quella dell'amore alla Chiesa: la Chiesa attuata da Cristo per volontà del Padre con la presenza vivificante dello Spirito; la Chiesa costituita da noi tutti, fedeli e Pastori, portatori ciascuno di doni e carismi e ministeri particolari, per essere, tutti insieme, un « corpo ben compaginato e connesso, mediante la collaborazione di ogni giuntura, secondo l'energia propria di ogni membro », e ricevere così « forza per crescere in modo da edificare se stesso nella carità ». ( Ef 4,16 ) L'anima dunque, è l'amore: un amore fatto di rispetto, di stima, di venerazione, di apertura, di comprensione, tanto per le persone quanto per lo Spirito che le guida. Ma l'amore è comunione, mediante lo Spirito Santo, « col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo », ( 1 Gv 1,3 ) e con i fratelli. E domanda di incarnarsi in comunità, nella comunità ecclesiale, che si riflette e rifrange in ogni aggregazione di fedeli. Lo scopo di questa « nota » risulta evidente: è l'invito a cooperare alla costruzione della comunità cristiana nella comunione più vera e più piena.