La Chiesa Italiana e le prospettive del paese Consiglio permanente della CEI Roma, 23 ottobre 1981 Introduzione 1. Il permanente stato di crisi dell'Italia trova una profonda e continua eco nella nostra quotidiana esperienza di vescovi. Le comunità cristiane ci chiedono di parlarne, secondo le nostre specifiche responsabilità: chiedono da noi una parola di chiarezza e gesti concreti di speranza. Per questo esprimiamo ancora il nostro pensiero, provocati dalla situazione attuale. Vogliamo dare fin dall'inizio alle nostre considerazioni una coerente ispirazione evangelica. Dal Vangelo, infatti, e da una tensione permanente verso il Signore Gesù Cristo, i cristiani traggono il lume e il sostegno essenziale per le loro attività nel paese e per interpretarne la realtà. 2. Se negli anni del dopo concilio la Chiesa italiana ha messo al primo posto la parola di Dio e i sacramenti, e ha strettamente collegato con la propria vita di fede l'impegno per la promozione umana, era per indicare anche lo spirito e la via per cui cristianamente si è presenti alla società italiana. Per tale spirito e in tale via non siamo tuttora scoraggiati, anche se non possiamo nascondere carenze, lentezze e contraddizioni della vita quotidiana dei cristiani, perché in molte cose tutti pecchiamo. Prendiamo anzi dalle nostre stesse deficienze, coraggiosamente guardate davanti a Dio, la spinta a non aver paura del passato e a orientarci, con rinnovato impegno, al futuro dell'Italia. Capire il momento e affrontare il domani 3. Le persistenti difficoltà che anche l'Italia sperimenta oggi non sono frutto di fatalità. Sono invece segno che il vertiginoso cambiamento delle condizioni di vita ci è largamente sfuggito di mano, e che tutti siamo stati in qualche modo inadempienti. Senza fermarci sul passato, se non per scoprirvi comuni errori, dobbiamo piuttosto guardare alla realtà odierna e affrontare il domani, radicati nei valori di una tradizione positiva che ci appartiene. A quali valori vogliamo ispirare il nostro futuro? Non intendiamo qui fare analisi dettagliate della realtà sociale ed economica, né tanto meno indicare prospettive di carattere politico. Esaminiamo responsabilmente, piuttosto, la situazione attuale, per proporre a tutti, e particolarmente alle comunità cristiane, alcune considerazioni, secondo quanto è pertinente al nostro compito. Ripartire dagli "ultimi" 4. Il progresso economico e sociale che anche l'Italia ha sviluppato dagli anni del dopoguerra è per tanti versi innegabile. Ma con esso si sono pure affermati elementi regressivi, che hanno portato alla perdita di valori, senza i quali è impossibile che quel progresso sia vero e proceda ancora per il bene comune. Conosciamo la complessità dei problemi che al riguardo occorre affrontare. Ma, innanzitutto, bisogna decidere di ripartire dagli "ultimi", che sono il segno drammatico della crisi attuale. Fino a quando non prenderemo atto del dramma di chi ancora chiede il riconoscimento effettivo della propria persona e della propria famiglia, non metteremo le premesse necessarie a un nuovo cambiamento sociale. Gli impegni prioritari sono quelli che riguardano la gente tuttora priva dell'essenziale: la salute, la casa, il lavoro, il salario familiare, l'accesso alla cultura, la partecipazione. 5. Bisogna, inoltre, esaminare seriamente le situazioni degli emarginati, che il nostro sistema di vita ignora e perfino coltiva: dagli anziani agli handicappati, dai tossicodipendenti ai dimessi dalle carceri o dagli ospedali psichiatrici. Perché cresce ancora la folla di "nuovi poveri"? Perché a una emarginazione clamorosa risponde così poco la società attuale? Le situazioni accennate devono entrare nel quadro dei programmi delle amministrazioni civiche, delle forze politiche e sociali che, garantendo spazio alla libera iniziativa e valorizzando i corpi intermedi, coinvolgano la responsabilità dell'intero paese sulle nuove necessità. Per un genere diverso di vita 6. Con gli "ultimi" e con gli emarginati, potremo tutti recuperare un genere diverso di vita. Demoliremo, innanzitutto, gli idoli che ci siamo costruiti: denaro, potere, consumo, spreco, tendenza a vivere al di sopra delle nostre possibilità. Riscopriremo poi i valori del bene comune: della tolleranza, della solidarietà, della giustizia sociale, della corresponsabilità. Ritroveremo fiducia nel progettare insieme il domani, sulla linea di una pacifica convivenza interna e di una aperta cooperazione in Europa e nel mondo. E avremo la forza di affrontare i sacrifici necessari, con un nuovo gusto di vivere. 7. Questa esigenza di cambiamento è ampiamente intuita tra la popolazione. Emerge soprattutto quando la gente vive i drammi che nascono dalla dissipazione di valori essenziali dell'esistenza umana, quali sono: il diritto a nascere e a vivere, la libertà dell'amore, la famiglia, il lavoro, il senso del dovere e del sacrificio, la tensione morale e religiosa. E rivela, comunque, che è ormai tempo di misurarsi non sul vuoto di tanti discorsi, ma su progetti concreti, che abbiano senso. Crescere insieme, partecipare, lavorare 8. Nascono per questo, tra le altre, alcune urgenze che comportano la responsabilità di tutti. Il paese non crescerà, se non insieme. Ha bisogno di ritrovare il senso autentico dello Stato, della casa comune, del progetto per il futuro. Ha bisogno perciò di un buon confronto culturale e di una buona comunicazione sociale. Sono così in causa le grandi agenzie che possono creare serio confronto tra i diversi modi di vedere le cose e che devono parlare con verità: la scuola, i centri e le organizzazioni sociali, la stampa, la radio, la televisione, il teatro, il cinema. C'è un crescente rischio che queste agenzie si snaturino e diventino strumenti di manipolazione, di destabilizzazione e conflitto, di incomunicabilità, perfino di disprezzo della realtà popolare, come nel caso della diffusione della pornografia e della provocazione all'intolleranza e alla violenza. 9. Il Paese non può dare deleghe in bianco a nessuno: ha bisogno e ha il dovere di partecipare. Vuole essere consapevole delle proprie scelte e sta imparando a esercitare questo suo diritto, organizzandosi nel territorio: nella scuola, nelle strutture sanitarie e assistenziali, oltre che sul posto del lavoro e sul piano politico. Ma ha bisogno, per questo, di una classe dirigente e politica trasparente, capace di dare senso alle sue aspirazioni e di aprire strade sicure, con onestà e competenza. E chiede una legislazione efficace, non farraginosa, non ambigua, non soggetta a svuotamenti arbitrari nella fase di applicazione, adeguata a garantire gli onesti da qualsiasi potere occulto, politico o non che esso sia. 10. Il Paese chiede di lavorare. Ha bisogno di riscoprire il senso pieno del diritto-dovere del lavoro, e di organizzarlo in termini di sicurezza, combattendo la disoccupazione, aprendo prospettive ai giovani, superando gli squilibri tra le popolazioni del nord e del sud, mettendo in atto un adeguato sistema economico che consideri il capitale e le strutture del lavoro a servizio dell'uomo, della piena espansione della sua personalità, della sua civile convivenza. È qui, in larga parte, che si devono cercare soluzioni decisive non solo per le prospettive economiche del paese, ma, e soprattutto, per la qualità di una esistenza umana quale Dio stesso l'ha progettata, quando ha creato l'uomo e la donna perché, dominando l'universo, conoscessero il suo amore e gli rispondessero con amore. Una prevedibile fatica 11. La crisi in corso non si risolverà a brevi scadenze, né possiamo attendere soluzioni miracolistiche. Conosceremo ancora per molto tempo le contraddizioni di carattere socio-economico, le minacce della violenza e del terrorismo, la precarietà delle strutture pubbliche, la fatica di costruire l'Europa, i rischi per la pace internazionale, il dramma della fame nel mondo. Dovremo pertanto imparare a vivere nella crisi con lucidità e con coraggio, non per adagiarci rassegnati nella situazione, ma per disporci tutti a pagare di persona. Questa prevedibile fatica ha bisogno di forte vigore morale. Il consumismo ha fiaccato tutti. Ha aperto spazi sempre più vasti a comportamenti morali ispirati solo al benessere, al piacere, al tornaconto degli interessi economici o di parte. Lo smarrimento prodotto da simile costume di vita pesa particolarmente sui giovani, intacca il ruolo della famiglia e indebolisce il senso della corresponsabilità, tre dei cardini portanti di un sicuro tessuto sociale. Si tratta oggi di andare con decisione controcorrente e di porre sui valori morali le premesse di una organica cultura di vita. Se tale decisione sarà forte e ci troverà uniti, batteremo ogni logica di distruzione e di morte, e non solo per ciò che riguarda il nostro paese. Non su una ingannevole e iniqua corsa agli armamenti accetteremo di porre le basi della cooperazione internazionale, ma sul diritto di tutti gli uomini e di tutti i popoli, particolarmente di coloro che sono schiavi della fame, delle malattie, dello sfruttamento e della paura, a esistere, a decidere, a lavorare e a vivere con noi. Chiesa e cristiani a servizio del paese 12. Come vescovi, come cristiani, come Chiesa, non possiamo né condividere né tanto meno coltivare stati d'animo o prospettive fallimentari. Non siamo però alla finestra, né possiamo accettare di chiuderci nelle sagrestie o nel privato. Non per questo ci contrapponiamo al paese con progetti alternativi o concorrenze o privilegi di sorta. Tutto ci riporta costantemente, invece, alla carica interiore che ci convoca nel nome di Cristo e in forza del suo Spirito ci manda ad essere buon lievito nel mondo. Non si abbia paura di noi: l'emarginazione della Chiesa, dei vescovi, dei sacerdoti, dei religiosi, dei cristiani dalla vita pubblica conosce precedenti amari, non solo in Italia, e non serve di certo al futuro del paese. Noi siamo del resto consapevoli che potremo collocarci in modo giusto nella realtà attuale se, innanzitutto, saremo credibili. Siamo cioè consapevoli del nostro impegno prioritario di quotidiana conversione a Cristo, per imparare a servire. In questa tensione spirituale permanente, sappiamo di poter maturare le scelte pastorali più adatte e la capacità di tutto vedere e orientare alla luce del progetto di Dio sull'umanità. Il primato alla vita spirituale 13. Il primo impegno che la Chiesa e i cristiani intendono confermare e realizzare con nuova intensità è, pertanto, la volontà di dare sempre più chiaramente il primato alla vita spirituale, da cui dipende tutto il resto. Preti, religiosi, religiose e laici, che vivano la vita di grazia e di comunione con Dio, nella fede, nella speranza, nella carità, in un'incessante preghiera personale e comunitaria, sono lievito buono di cui il mondo ha bisogno. Noi stessi, come vescovi, sappiamo di dover essere sempre più uomini di profonda vita interiore e ministri della santità della Chiesa. Né abbiamo il sospetto che volgersi a Cristo possa significare evadere dalla situazione. Non poche esperienze anche recenti ci confermano, anzi, che disperderci nella realtà sociale senza la nostra identità è il grave rischio da evitare. Se non abbiamo fatto abbastanza nel mondo, non è perché siamo cristiani, ma perché non lo siamo abbastanza. Chiesa, casa di comunione 14. La santificazione si compie e si alimenta nella Chiesa. Vivere intensamente la comunione ecclesiale è dunque condizione indispensabile per la nostra vocazione e per la nostra presenza nel paese. In questi ultimi anni noi abbiamo conosciuto nuove e imprevedibili energie che lo Spirito ha dato per una presenza vivace dei cristiani nel paese. Non dobbiamo mortificare i suoi doni, ma impegnarci a spenderli. 15. Noi pensiamo dunque a una Chiesa che sia la casa, l'esperienza e lo strumento di comunione di tutti i cristiani: di quanti, pur ricchi di vita interiore, tendono a chiudersi nella vita privata, senza altro impegno ecclesiale che non sia quello di una corretta pratica religiosa; di coloro che lavorano da soli, affannandosi e disperdendo energie; di chi, senza volerlo o addirittura lucidamente, rischia di dar vita a "chiese parallele", o sceglie le vie della diaspora ma perde ogni seria disciplina di comunione. Noi pensiamo, inoltre, a una Chiesa in cui la comunione si rafforzi attraverso gli impegni complementari di tutti i membri del popolo di Dio: dei vescovi e della loro conferenza, dei sacerdoti, dei religiosi e delle religiose, dei diaconi, dei laici e delle loro associazioni. E in questa prospettiva, consideriamo oggi determinante il servizio responsabile che i teologi e i maestri di spiritualità possono rendere alla comunità cristiana. Per una nuova presenza di Chiesa 16. Non si tratta di serrare le fila per fare fronte al mondo. Si tratta di vivere il testamento di Gesù, oggi, perché il mondo creda: "Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato" ( Gv 17,21 ). Noi ci riuniamo nelle nostre autentiche comunità cristiane - la diocesi e la parrocchia innanzitutto - per accogliere e vivere questo testamento, con l'assiduità nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere ( cf. At 2,42 ). È questa assiduità a una piena evangelizzazione che ci deve stare a cuore. Non c'è più prospettiva per una cristianità fatta di pura tradizione sociale. E sarebbe d'altra parte grave errore rincorrere l'emergenza dei problemi quotidiani, smorzando l'impegno di fondo che trova nel confronto quotidiano con la parola di Dio, nella celebrazione dell'eucaristia e nel dovere della testimonianza al Vangelo il suo progetto organico. Dalla intensa vita ecclesiale, potremo trarre sempre nuove sensibilità per servire il paese. 17. C'è innanzitutto da assicurare una nuova presenza di Chiesa. E tale presenza ha un inconfondibile stile evangelico: come Cristo, anche la Chiesa è nel mondo, è per il mondo, ma non del mondo. Di qui la purificazione dei nostri comportamenti, restituiti a libertà da pretese o compromessi mondani, per testimoniare il Vangelo nella sua purezza e integrità. Non sarà cosa facile né di facile accoglienza, perché è in atto una frattura tra Vangelo e culture, che Paolo VI definiva drammatica ( cf. EN 20 ). Ma l'annuncio del Vangelo intero sarà possibile, se andremo al cuore delle culture, cioè fra la gente, dove il dramma rischia di consumarsi e dove tuttavia la parola di Cristo mette più facilmente radici. 18. Tale evangelizzazione per un mondo più umano ha come inalienabile punto di riferimento il Cristo e l'annuncio esplicito del suo mistero di salvezza di tutto l'uomo. Nello stesso tempo, essa deve oggi cogliere le domande cruciali che la gente spesso soffoca dentro di sé e dire con amore la verità cristiana sui problemi che giocano il suo futuro. E se si esprime nella "capacità di comprensione e di accoglimento, di comunione di vita e di destino con gli altri, solidarietà negli sforzi di tutti per tutto ciò che è nobile e buono" ( EN 21 ), rivela anche, con coscienza critica della società attuale, che cosa è vita e che cosa è morte, che cosa è bene e che cosa è male, chi sono i figli concepiti, perché si può e si deve vivere un amore stabile e fedele nella famiglia, come e perché si lavora, come si è responsabili per lo sviluppo della giustizia e della pace. 19. Per queste prospettive, le comunità cristiane devono sempre meglio trasformarsi oggi in permanenti scuole di fede, in cui la parola di Dio corra e si diffonda nella famiglia, nel paese, nel quartiere, tra i gruppi, là dove la gente parla e decide, nel cuore degli avvenimenti quotidiani. Le loro celebrazioni liturgiche, l'eucaristia soprattutto, devono accogliere e riflettere questa carica missionaria, con un rinnovamento autentico non solo dei riti, ma dell'amore che in Cristo viene celebrato. Molti italiani, nelle circostanze più impensate, restano pur sempre legati alla celebrazione dei sacramenti, al giorno del Signore, ai tempi forti dell'anno liturgico. Dovremo dunque curare celebrazioni liturgiche che consentano a tutti di sentirsi a casa propria, nella casa dell'unico Signore: per il modo con cui si sentono accolti e possono esprimere la loro preghiera, il loro canto, il loro silenzio; per la familiarità con cui proclamiamo la parola di Dio; per la dignità di un'omelia fedele ai testi liturgici, legata alla historia salutis e alla vita quotidiana della gente, non aggressiva ma fraterna anche quando deve essere severa; e ancora, per la solidarietà cristiana che la celebrazione liturgica deve fare trasparire a tutti, in forza dell'unico sacrificio di Cristo e della comunione con lui. L'esperienza liturgica dovrà così proiettarsi nell'impegno della carità e della giustizia, e le comunità cristiane ne daranno concreta testimonianza soprattutto nel territorio in cui vivono: con le opere educative e assistenziali della comunità stessa, con la qualificata presenza nelle iniziative e nelle istituzioni pubbliche locali e con il contributo del volontariato. Presenza di cristiani 20. Ma il senso più efficace di questa presenza di Chiesa deve tradursi in una efficace presenza di cristiani consapevoli delle responsabilità che a ciascuno derivano dalla propria vocazione e dal proprio impegno ministeriale. A ciò sono chiamati innanzitutto i sacerdoti, i diaconi e noi vescovi con loro. La nostra coerenza, la nostra spiritualità, la nostra preghiera, il nostro servizio ministeriale non sono soltanto valore fondante per la vita ecclesiale, ma anche forza morale per un paese che cerca la sua crescita umana. Già in questo siamo edificatori della città terrena. Altrettanto è vero, per la loro parte, dei religiosi e delle religiose, che col loro richiamo a Dio e alla contemplazione sovvengono a chi porta il peso della scristianizzazione e della demoralizzazione attuale. Nel vivere la loro vocazione alla "perfetta carità", essi possono trovare oggi nuove forme di presenza e di opere sia nella Chiesa come nella società, per rispondere ai nuovi bisogni e ai nuovi poveri. Presenza di laici 21. Ma oggi, in termini nuovi, l'Italia ha una particolare esigenza della presenza più diretta e specifica di laici cristiani. Tale presenza ha già una storia notevole sia ai livelli comuni del popolo cristiano, che costruì e costruisce ogni giorno il tessuto più sano della società, sia ai livelli particolari di associazioni, movimenti, gruppi ecclesiali o di ispirazione cristiana. Ora il compito è diventato più ampio e grave, sì da chiamarci ad abilitare sposi, famiglie, lavoratori, studenti, educatori, intellettuali, sindacalisti, operatori sociali, uomini politici, con un itinerario pedagogico che li renda capaci di impegnare la fede nella realtà temporale. 22. Tale itinerario ha la sua base permanente e il suo luogo di costante confronto in un più severo tirocinio di vita ecclesiale. Soprattutto in una catechesi più sistematica per i giovani e per gli adulti: troppi giovani e troppi adulti sono cresciuti senza catechesi, accontentandosi di una fede infantile, o di esperienze bibliche e liturgiche piuttosto emotive, o di saggistiche teologiche di moda, a volte consumandosi in imprese sociali e politiche senza più un serio confronto con il Vangelo e con la fede della Chiesa. D'altra parte, è indispensabile che le comunità cristiane rinnovino la pedagogia della fede, e la catechesi in particolare, per coltivare mature vocazioni laicali. È essenziale che le comunità cristiane formino catechisti, animatori della liturgia, operatori di carità, ma non basta. Gli educatori della comunità cristiana devono essere consapevoli per primi che il campo proprio dell'attività evangelizzatrice dei laici è il mondo vasto e complicato della politica, della realtà sociale, dell'economia, della cultura, della vita internazionale; e ancora della famiglia, dell'educazione, delle professioni, del lavoro, della sofferenza. 23. La pedagogia della Chiesa deve assumersi maggiormente questo impegno formativo di laici che siano soggetti attivi e responsabili di una storia da fare alla luce del Vangelo, riconosciuti e sorretti per sviluppare, con la giusta autonomia, le loro risorse cristiane e umane a servizio del paese. Questo è importante soprattutto per la famiglia, le donne e i giovani. Siamo convinti infatti che nel decennio in corso larga parte di un autentico progresso ecclesiale e sociale dipenderà dalle loro risorse. 24. In conseguenza di una tale dimensione formativa, i cristiani rimarranno fedeli al loro impegno nella società attuale nonostante le non poche difficoltà e contrarietà. Si dice che i cristiani sono forza minoritaria in Italia, e per alcuni versi è vero. Ma non lo è per gli aspetti più qualificanti della loro esistenza, perché la forza dello Spirito in chi ha ricevuto il battesimo e ha conosciuto il Vangelo è sempre feconda e capace di rianimare chi si è arreso. Certo, questo non basta a giustificare l'assenteismo o la confusione di alcuno. È piuttosto una provocazione per tanti cristiani a ricordarsi della loro vocazione, a uscire dalle pigrizie e dall'anonimato, per essere nuovamente testimoni del Vangelo in una vera identità cristiana. 25. Questa identità, a scanso di equivoci, non coincide con i programmi di azione culturale o sociale o politica che i cristiani, singoli o associati, perseguono. Si fonda invece sulla fede e sulla morale cristiana, con il loro preciso richiamo all'insegnamento in campo sociale; si vive nella comunione ecclesiale e si confronta fedelmente con la parola di Dio letta nella Chiesa. È un'identità da incarnare, senza rivendicarla solo per sé, nel pluralismo delle situazioni, giorno per giorno, quando proprio la fede anima le competenze umane dell'analisi, del confronto, della mediazione e della progettazione. Riteniamo particolarmente importanti queste indicazioni sull'identità cristiana dei laici presenti alla vita del paese. Un chiaro metodo di presenza è infatti indispensabile, sia per l'orientamento delle loro energie sia per far fronte correttamente alle delicate questioni politico-sociali d'oggi. Ne richiamiamo tre. Il lavoro 26. La prima questione riguarda il lavoro e occupa una posizione di centralità nella vita dell'uomo e della donna, della famiglia e della società. Per questo si devono difendere con forza la dignità e i diritti degli uomini del lavoro, denunciando e superando le situazioni che ne impediscono il responsabile esercizio. Gli attuali grandi sistemi ideologici che risolvono con segno diverso il rapporto fra lavoro e capitale, cioè il liberalismo di tipo capitalista e il socialismo scientifico, con le loro concrete espressioni, non hanno dato prova, nell'esperienza di oltre un secolo, di assicurare all'uomo le sue molteplici aspirazioni e i suoi diritti fondamentali. Anche in Italia, perciò, è necessaria una profonda trasformazione e un effettivo superamento delle contraddizioni e degli antagonismi, per un più sicuro servizio all'uomo. È questa la più grossa fatica nella quale devono impegnarsi in prima persona i cristiani, trovando l'innovazione ardita e creativa richiesta dalla presente situazione del mondo. Tale pratica innovativa deve essere ispirata a tre principi: il primato dell'uomo sul lavoro; il primato del lavoro sul capitale e sui mezzi di produzione; il primato della destinazione universale dei beni sulla proprietà privata. 27. La centralità dell'uomo e dei suoi diritti in rapporto a tutte le altre componenti del lavoro va dunque riaffermata con vigore. Creato a immagine e somiglianza di Dio, perché lavori la terra, l'uomo ha il diritto e il potere di dominare il processo del lavoro e dell'economia, perché divenga vero il suo progresso. Le leggi economiche non sono assolute. Uomini e strutture, sia dello Stato sia del mondo del lavoro, devono invece saperle impiegare con giustizia ed equità, anche per creare le condizioni che danno senso alla fatica quotidiana e impegnano la coscienza morale dei lavoratori. A tali condizioni, si potrà e si dovrà parlare contro l'assenteismo, contro il doppio o triplo lavoro, contro il lavoro minorile, e chiedere a tutti, particolarmente a coloro che operano nei servizi, di assicurare a chi ha maggiormente bisogno onestà, competenza ed efficienza. Cultura e comunicazione sociale 28. La seconda questione riguarda la situazione culturale del nostro paese e, in orizzonti più vasti, del mondo intero. È una situazione di crisi profonda, che rivela da una parte l'inadeguatezza delle culture tradizionali e, dall'altra, il bisogno inquieto di nuovi progetti di esistenza umana. Il tormento che ne deriva pesa soprattutto su molti giovani, che in quest'ultimo decennio hanno drammaticamente cercato il senso della vita nella contestazione radicale, in spinte libertarie e istintive, in rivendicazioni utopiche, in socializzazioni provvisorie, nel ritorno al privato, sconfinando a volte nella violenza o nell'evasione della droga. 29. Dobbiamo chiederci perché la proposta cristiana, per sua natura destinata a dare pieno senso all'esistenza, è stata inadeguata alla richiesta dei giovani e degli uomini del nostro tempo, e quali responsabilità ora ci attendono. Troveremo di certo una carenza grave del nostro esplicito annuncio di Cristo e della nostra testimonianza di fede. Ma impareremo anche a delineare un'organica pastorale della cultura, che sappia si giudicare e discernere ciò che c'è di valido nei sistemi culturali e nelle ideologie, ma più ancora sappia puntare su tutto ciò che affina l'uomo ed esplica le molteplici sue capacità di far uso dei beni, di lavorare, di fare progetti, di formare costumi, di praticare la religione, di esprimersi, di sviluppare scienze e arte: in una parola, di dare valore alla propria esistenza ( cf. GS 53 ). È evidente che la elaborazione di una cultura intesa in questi termini è compito primario di tutta la comunità cristiana, che lo realizza con chiare proposte di valori e con lo specifico impegno dei laici - degli intellettuali ma anche dei laici più umili - nel terreno della vita quotidiana, dove occorre capacità di dialogo, di confronto, di fondato giudizio, di fattiva promozione umana. 30. L'impegno per la cultura richiama il problema della comunicazione sociale e dei suoi mezzi. Su questi ultimi, si riflettono vistosamente in Italia, e a volte si ingigantiscono, sia la complessità della situazione sia il presunto divorzio tra la fede cristiana e la realtà culturale. Pensiamo in particolare alla "grande" stampa nazionale, al cinema e all'emittenza radio-televisiva. È vero che ora le comunità cristiane dispongono di non pochi mezzi locali di comunicazione: settimanali, emittenti radiofoniche e televisive, diffusione di rotocalchi a testata nazionale. Tutta questa rete di comunicazione è senza dubbio assai importante e va ora meglio coordinata e orientata, in modo da rendere più incisiva la presenza della comunità ecclesiale nel tessuto sociale, evitando che si trasformi in motivo di chiusura e di isolamento sociale dal reale contesto esistenziale. Resta qui da segnalare vigorosamente l'esigenza di potenziare il quotidiano cattolico, che è e deve sempre meglio diventare strumento indispensabile di comunione nella Chiesa e con il paese. 31. Prima che ai mezzi, comunque, occorre rivolgere l'attenzione al fenomeno stesso della comunicazione sociale: alla sua natura, alle sue leggi, alle sue agenzie. Molti dei problemi esistenti vanno indubbiamente affrontati dagli operatori, che la comunità cristiana, a livelli locali, regionale e nazionale, deve concorrere a formare anche con nuova iniziativa. Eppure, l'impegno prioritario è quello di una più efficace educazione dei cristiani alla comunicazione sociale e all'uso dei suoi mezzi. È aperto qui un vasto campo di azione pastorale, fino a oggi per lo più carente. Tale azione richiede a tutti capacità di presenza dove si forma l'opinione pubblica, educazione al rispetto della verità, denuncia quando occorre, buone attitudini di mediazione e di espressione entro gli stessi mezzi della comunicazione. Occorre che questi mezzi siano realmente portatori fedeli di verità, non condizionati né manipolati in questo da prepoteri economici o politici, o da interessi di parte, e finalizzati, nei loro contenuti e nelle loro espressioni, al bene di tutta la comunità. Presenza nelle istituzioni pubbliche 32. Problema decisivo per l'avvenire è, in terzo luogo, il rapporto tra le istituzioni pubbliche e la gente: tra le strutture di governo - locale, regionale, nazionale - e la società viva. La sfasatura esistente ormai pesa in modo preoccupante. La gente si sente sempre meno interpretata, sempre meno rappresentata. E si disaffeziona al suo paese. La crisi delle istituzioni viene da lontano: è crisi di senso e di progetti, incapacità di dare prospettive, vuoto di cultura nel quale facilmente si inserisce il puro potere o addirittura il prepotere, comunque una burocrazia esasperante che paralizza i servizi sociali e che la gente non sopporta più. La crisi delle istituzioni in Italia - ma è crisi assai più estesa - contribuisce oggi a dare proporzioni preoccupanti alla crisi internazionale; e molte ne sono le conseguenze sul piano economico e commerciale, politico, della giustizia sociale, della lotta contro la fame e la miseria, della pace mondiale. Quali responsabilità possono assumere la Chiesa e i cristiani per un positivo superamento della situazione? 33. C'è innanzitutto da assicurare presenza. L'assenteismo, il rifugio nel privato, la delega in bianco non sono leciti a nessuno, ma per i cristiani sono peccato di omissione. Si parte dalle realtà locali, dal territorio. E si è partecipi delle sorti della vita e dei problemi del comune, delle circoscrizioni e del quartiere: la scuola, i servizi sanitari, l'assistenza, l'amministrazione civica, la cultura locale. Ci si apre poi alla struttura regionale, alla quale oggi sono riconosciute molte competenze di legislazione e di programmazione. Così la presenza si estenderà anche ai livelli nazionale, europeo e mondiale, e potrà avere efficacia. È sbagliato, infatti, contare solo sui tentativi di rifondazione o di riforma che vengono dai vertici della cultura ufficiale e della politica. 34. C'è da trarre tutti gli stimoli alle proprie responsabilità che vengono dalla distinzione tra la Chiesa come comunità e i cristiani come cittadini, per quanto riguarda la presenza nelle realtà sociali. Senza mai confondersi con la realtà politica, la Chiesa e le sue comunità locali hanno il dovere primario di richiamare il compito dei cristiani di mettersi a servizio, sul modello del loro Signore, per l'edificazione di un ordine sociale e civile rispettoso e promotore dell'uomo; di proporre l'autentica concezione dell'uomo, dei suoi veri bisogni, del valore delle relazioni familiari e sociali, quali risultano dal messaggio evangelico; di offrire con la preghiera, i sacramenti, lo scambio e il sostegno fraterni, la possibilità di liberare la propria coscienza da ogni ambiguità e dalla tentazione dell'uso strumentale del potere, purificando e rafforzando l'impegno di servire con umile tenacia, al di là di ogni orgoglio e di ogni egoismo. È questa, oggi soprattutto, l'urgenza da additare agli uomini responsabili della vita politica, amministrativa, sindacale, perché ridiventino credibili. Dovere della Chiesa, insomma, è principalmente quello di formare i cristiani, in particolar modo i laici, a un coerente impegno, fornendo non soltanto dottrina e stimoli, ma anche adeguate linee di spiritualità, perché la loro fede e la loro carità crescano non "nonostante" l'impegno, ma proprio "attraverso" di esso. Se poi non spetta ordinariamente alla comunità cristiana operare scelte politiche, essa però può e deve oggi con nuove capacità animare i settori prepolitici, nei quali si preparano mentalità e competenze, dove si fa cultura sociale e politica, dove si fa tirocinio di attività amministrativa, sindacale, partecipativa. 35. Tocca poi ai laici agire direttamente nelle strutture pubbliche in coerenza con la fede e la morale cristiana. La loro presenza deve essere una garanzia di competenza, che nasce da preparazione professionale qualificata, aggiornata, capace di invenzione continua. Una garanzia di moralità, non solo per coerenza di fede, ma per amore al paese, a una autentica democrazia, al dovere del servizio. Una garanzia di chiarezza, che sa prendere atto della incompatibilità di scelte o disumane o in contrasto con la fede e la morale cristiana, non solo quando si tratta di ideologie, ma anche quando si tratta di movimenti sociali e di progetti concreti contrari al Vangelo e ai valori umani fondamentali. Deve essere infine garanzia di collaborazione, che, nella chiarezza delle posizioni, sa mediare, sostenere il confronto e il dialogo, arrivare a scelte politiche ispirate a sana solidarietà e al bene comune. 36. La presenza dei cristiani nelle istituzioni pubbliche ha una tradizione ed è una realtà che nessuno può onestamente ignorare. Espressa in forma largamente unitaria, anche per responsabile sollecitazione della Chiesa di fronte a situazioni straordinariamente difficili e impegnative, essa è stata presenza decisiva per la ricostruzione del paese dopo la guerra, per l'elaborazione di un nuovo ordine costituzionale, per la salvaguardia della libertà e della democrazia, per la trasformazione e lo sviluppo della società italiana in diversi settori di rilievo, per la convinta apertura all'Europa, per la sicura garanzia della pace. Oggi più acutamente si avvertono gli inevitabili limiti e un certo logoramento di tale esperienza e non manca chi appella al pluralismo per orientare su strade diverse l'impegno dei cristiani. 37. Noi sappiamo bene che non necessariamente dall'unica fede i cristiani debbono derivare identici programmi e operare identiche scelte politiche: la loro presenza nelle istituzioni potrebbe legittimamente esprimersi in forme pluralistiche. Ma non tutti i programmi e non tutte le scelte sono indifferenti per la fede cristiana. Alcune di esse sono chiaramente incompatibili o per la loro matrice culturale o per le finalità e i contenuti che perseguono o per i metodi di azione che propongono, soprattutto in relazione ai grandi valori, quali: la vita umana, le libertà democratiche, i diritti e i doveri dell'uomo, il pluralismo sociale e istituzionale nel quadro del bene comune, il lavoro, la giustizia sociale e la solidarietà, l'ordine mondiale fondato sul rispetto dei popoli, la pace e lo sviluppo. Su questi e simili temi fondamentali, i cristiani non possono ammettere ambiguità o contraddizioni: e l'effettiva garanzia di questi valori può storicamente richiedere l'unità della loro azione politica. Nel caso invece in cui il pluralismo delle presenze si rivelasse concretamente più opportuno e rispettoso dei valori suddetti, esso non può in ogni modo tradursi in una pura dispersione di energie e non deve determinare lacerazioni nella comunità cristiana, anche se deve essere apprezzato e accolto quando è sano e fecondo. È necessario che sempre i cristiani sappiano maturare le loro scelte nel quadro di una grande chiarezza di idee, di un consapevole realismo, di un serio confronto ecclesiale, di una concorde volontà di servizio. Per un impegno comune 38. Queste considerazioni e questi orientamenti, offerti in particolare alle comunità cristiane poste di fronte alle prospettive del paese, non presentano nuovi programmi pastorali. Richiamano piuttosto scelte che la Chiesa italiana ha già fatto negli anni '70 e che ora intende rendere permanenti e più operative. E delineano un comune impegno a sviluppare ricerca e studio e a mettere in atto opportune iniziative a livello locale. Potranno così stimolare una riflessione responsabile nelle parrocchie, nei vicariati, nelle diocesi, tra le associazioni e i movimenti locali. Anche se per il momento è prematura una decisione, l'auspicio è che si possa in prospettiva ritrovarsi insieme, a livello regionale e poi nazionale, per un secondo convegno ecclesiale che ci consenta di rivivere e di sviluppare il convegno "Evangelizzazione e promozione umana" del 1976. Frattanto, ci sembra opportuno prevedere e incoraggiare a distanze più ravvicinate convegni nazionali periodici che, con una qualche sistematicità, ci consentano di approfondire i principali aspetti della presenza dei cristiani nel paese e di sviluppare la dottrina sociale della Chiesa. L'avvio di queste iniziative è già dato, con il prossimo convegno: "Dalla Rerum Novarum ad oggi" ( Roma, 28-31.10.1981 ). 39. Ci preme inoltre confermare che la Conferenza episcopale italiana vede l'urgenza di altri impegni concreti, cui darà il suo massimo appoggio. Ritiene innanzitutto che si debbano potenziare i centri e i servizi di formazione cristiana permanente e di educazione all'impegno sociale. Pensa, poi, a un organico progetto di pastorale della cultura, che coinvolga responsabilità e competenze di intellettuali, dei centri universitari, degli operatori della comunicazione sociale. Vede la necessità indilazionabile di un'azione che consenta al quotidiano cattolico di svolgere il suo insostituibile ruolo nella Chiesa e nel paese. 40. Queste iniziative, ovviamente, saranno inserite nel quadro dell'azione pastorale che è già in atto nelle Chiese locali e che, comunque, deve rinnovarsi costantemente soprattutto per rendere più presenti nel paese: laici responsabili, capaci di fare storia nella luce del Vangelo; famiglie cristiane consapevoli della loro vocazione e della loro missione; una Chiesa che sappia far posto alle nuove generazioni e orientare le loro energie; comunità cristiane che operino nel mondo del lavoro con nuove competenze; cristiani capaci di operare nel territorio. Questo nostro intervento è frutto di attenta riflessione che il consiglio permanente ha avviato il 16-18 marzo scorso, con una prima sessione di studio, allargata ad altri vescovi rappresentanti delle conferenze episcopali regionali. È poi maturato nel corso della XVIII assemblea generale dei vescovi italiani, riuniti a Roma dal 18 al 22 maggio. Infine, è stato approvato dallo stesso consiglio permanente, nella sessione del 12-15 corrente mese. Ora lo colleghiamo fiduciosamente alla ricorrenza dell'VIII centenario della nascita di san Francesco. La testimonianza evangelica della sua povertà, della sua fraternità, della sua letizia, del suo amore a Dio e alle creature è entrata nella storia degli italiani e di tanti popoli. Noi siamo chiamati a dare oggi la stessa testimonianza: di Chiesa e di cristiani che amano il paese e il mondo, e che di nessuna altra sapienza e potenza possono vantarsi, se non della croce del Signore Gesù Cristo, vita e speranza ultima per la famiglia umana.