Sovvenire alle necessità della Chiesa Corresponsabilità e partecipazione dei fedeli 1. - La revisione del Concordato Lateranense e le riforme che ne sono derivate stanno ponendo in maniera nuova alla Chiesa che è in Italia il problema antico della disponibilità di risorse economiche, di cui la Chiesa stessa abbisogna per la propria vita e per l'adempimento della sua missione. Non dispiaccia che i Vescovi ne parlino, nell'esercizio del loro magistero pastorale. Non si tratta di "mischiare il sacro e il profano" o di concedersi a preoccupazioni troppo umane e poco evangeliche. Si tratta piuttosto di cogliere, anche sotto questo profilo, la peculiare realtà della Chiesa e le esigenze che derivano dalla nostra appartenenza ad essa, per metterla sempre meglio in grado di esercitare la missione ricevuta dal Signore. Siamo anzi convinti che proprio il non parlare di tale problema nel quadro dei valori evangelici ed ecclesiali rischia di dare spazio a concezioni scorrette e a prassi ambigue, che danneggiano la credibilità della Chiesa. La responsabilità educativa, cui siamo tenuti nei confronti di tutti i fedeli, ci induce dunque a prendere la parola, valorizzando gli appuntamenti e gli impegni ai quali saremo chiamati a partire dal prossimo anno. I. - Necessità della Chiesa, povertà evangelica e partecipazione dei Fedeli Nel Magistero Conciliare e nella prassi delle prime comunità cristiane 2. - L'insegnamento del Concilio Vaticano II Ciò che il Concilio Vaticano II rivendica per tutte le confessioni come espressione del diritto di libertà religiosa ( "alle comunità religiose compete il diritto ( … ) di acquistare e di godere di beni adeguati" - DH, 4 ) vale anche per la Chiesa cattolica e trova una profonda motivazione in precise ragioni teologiche. La Chiesa vive nello spazio e nel tempo, perchè Cristo l'ha costituita qui sulla terra come realtà risultante di un elemento umano e di un elemento divino, come organismo visibile e sociale, al servizio del suo Spirito che la vivifica e la fa crescere ( cf. LG, 8 ); pellegrina verso la patria celeste, nelle sue istituzioni porta la figura fugace di questo mondo e vive tra le creature ( cf. LG, 48 ), consapevole che "le cose terrene e quelle che, nella condizione umana, superano questo mondo sono strettamente unite"; perciò essa "si serve delle cose temporali", anche se soltanto "nella misura che la propria missione richiede" ( GS, 76 ). Questa subordinazione costitutiva dell'uso dei beni temporali da parte della Chiesa, nella qualità e nella misura, alle caratteristiche e alle esigenze della sua missione è molto importante, e merita di essere richiamata fin dall'inizio della nostra riflessione. Il discorso sulle risorse economiche di cui la Chiesa abbisogna, pur necessario, non può contraddire, anzi deve profondamente intrecciarsi con l'imperativo evangelico e con la virtù cristiana della povertà, che valgono non soltanto per i singoli fedeli ma ,anche per la realtà istituzionale e per le modalità d'azione della Chiesa medesima. La rinuncia all'imponenza umana dei mezzi e delle risorse è infatti manifestazione e garanzia di totale fiducia nella forza dello Spirito del Risorto, da cui origina la missione. Questa rinuncia custodisce nella Chiesa la coscienza del proprio essere strumento dell'azione di Dio ed è segno e condizione di credibilità della sua opera evangelizzatrice. Il Concilio è molto chiaro in proposito: "come Cristo ha compiuto la sua opera di redenzione attraverso la povertà e le persecuzioni, così la Chiesa è chiamata a prendere la stessa via per comunicare agli uomini i frutti della salvezza"; la Chiesa dunque "quantunque per compiere la sua missione abbia bisogno di mezzi umani, non è costituita per cercare la gloria sulla terra, bensì per far conoscere, anche con il suo esempio, l'umiltà e l'abnegazione" ( LG, 8c ). Ne viene che "poichè la missione continua e sviluppa nel corso della storia la missione del Cristo stesso, inviato a portare la buona novella ai poveri, la Chiesa sotto l'influsso dello Spirito di Cristo deve procedere per la stessa strada seguita da Cristo, cioè la strada della povertà, dell'obbedienza, del servizio e del sacrificio di sè fino alla morte, da cui uscì vincitore" ( AG, 5b ). In una parola: "lo spirito di povertà e di carità è la gloria e la testimonianza della Chiesa di Cristo" ( GS, 88a ). 3. - Le indicazioni del Nuovo Testamento Del resto, quanto il Concilio afferma non può stupire chi abbia familiarità con le narrazioni evangeliche e con le testimonianze della Chiesa apostolica. A) Gesu e i discepoli. Gesu e il gruppo di discepoli che condividevano con lui il ministero evangelico lungo le strade di Palestina per primi hanno vissuto la testimonianza della povertà, conducendo una vita itinerante, senza il sostegno di una famiglia e senza la garanzia di un lavoro ( cf. Mt 8,20; Lc 18,28 ). Per le cose necessarie disponevano di un minimo di risorse, come traspare da qualche accenno dei vangeli: le risorse provenivano anzitutto dalla generosità dei seguaci e dei simpatizzanti di Gesu, tra i quali si distinguevano alcune donne ( cf. Lc 8,1-3 ); c'erano una cassa e un amministratore ( cf. Gv 12,6; Gv 13,29 ); e di quanto perveniva si usava per il sostentamento di Gesu e dei discepoli ( cf. Gv 4,8 ), per le necessità della missione evangelica ( cf. Mt 14,15-16; Mt 15,32 ), per i doveri del culto ( cf. Gv 13,29; Mt 17,24-27 ) e per l'aiuto ai poveri ( cf. Gv 13,29 ). 4. - B ) Le comunità apostoliche Nella Chiesa apostolica, che cresce e si organizza, si rintraccia lo sviluppo coerente di questi tratti. La parola rivolta da Pietro allo storpio che chiede l'elemosina alla porta del tempio: "Non possiedo nè argento nè oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesu Cristo, il Nazareno, cammina!" ( At 3,6 ), esprime molto bene la coscienza e la condizione dei primi cristiani: il vero "tesoro" della Chiesa non è l'oro nè l'argento ma il "nome" di Gesu, nel quale si manifesta la potenza di Dio salvatore, quel Dio che "ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perchè nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio" ( 1 Cor 1,27-29 ). Tutto nella Chiesa deve prendere senso alla luce di questa legge fondamentale della salvezza cristiana: le "cose che sono", comprese le risorse economiche, debbono in qualche modo "svuotarsi" della loro consistenza mondana e servire come semplici strumenti per aprire la strada alla "stoltezza della predicazione" e per manifestarne la potenza trasformatrice nel segno della carità. L'insegnamento e l'esempio di Gesu devono dunque segnare anche l'uso dei beni da parte di quelli che credono in Lui e vengono alla Chiesa. Possiamo raccogliere in proposito dagli scritti neotestamentari alcuni cenni particolarmente espressivi: * Si educano i credenti a non considerare come esclusivamente proprio ciò che essi possiedono, ma a metterlo generosamente nel dinamismo di una vita di comunione concreta ( cf. At 4,32 ), deponendo la propria offerta ai piedi degli apostoli ( cf. At 4,34-35 ), centro della comunione ecclesiale e sovraintendenti dei servizi della carità ( cf. At 6,1-6 ) * Si allarga l'orizzonte della solidarietà ecclesiale, particolarmente attraverso la grande colletta organizzata da Paolo nelle chiese da lui fondate in favore della chiesa madre di Gerusalemme, per la quale egli raccomanda che "ogni primo giorno della settimana ( la domenica ) ciascuno metta da parte ciò che gli è riuscito di risparmiare" ( 1 Cor 16,2; cf. anche 2 Cor 8-9 ). * Si impegnano i membri della comunità a sostenere l'attività missionaria, "imparando a distinguersi nelle opere di bene riguardo ai bisogni urgenti, per non vivere una vita inutile" ( Tt 3,13-14; v. anche 3 Gv 5-8 ). * Riprendendo una precisa parola di Gesu ( cf. Lc 10,7 ), si danno disposizioni per il sostentamento degli operai del vangelo che si affaticano nella predicazione e nell'insegnamento ( cf. 1 Cor 9,11-14; Gal 6,6; Fil 4,10-19; 1 Tm 5,17-18 ), anche se per essi rimangono precettivi il distacco e la semplicità ( cf. Mt 10,9-15 ), la gratuità del dono ( cf. Mt 10,8 ), la prontezza ad accettare la tribolazione annunciata insieme al centuplo promesso ( cf. Mc 10,30 ) e il rischio di un'esistenza vissuta nell'affidamento totale "al Signore e sulla parola della sua grazia" ( At 20,32 ). * I credenti più fortunati mettono le loro case a disposizione per l'ospitalità missionaria ( cf. At 16,14-15 ) e per le riunioni della comunità e le celebrazioni del culto cristiano ( cf. At 16,14-15; Fm 1-2 ). * Si organizzano i ministeri dell'assistenza e della carità, sostenuti dall'apporto delle comunità: in particolare il ministero dei diaconi ( cf. At 7 ) e quello delle vedove ( cf. 1 Tm 5,9-10 ). * Si insiste sul dovere della beneficenza, considerata come forma di autentico "culto spirituale" ( cf. Rm 12,13; Eb 13,16 ), da vivere nello spirito della parola di Gesu "vi è più gioia nel dare che nel ricevere" ( At 20,35 ) da parte di tutti i fedeli, ma soprattutto di quelli che sono "ricchi in questo mondo", cui spetta "di fare del bene, di arricchirsi di opere buone, di essere pronti a dare, di essere generosi, mettendosi così da parte un buon capitale per il futuro, per acquistarsi la vita vera" ( 1 Tm 6,17-19 ). * E tutto deve essere fondato sulla convinzione che genera partecipazione, sulla libertà mossa dall'amore, sulla lealtà segno di verità, come ricorda con forti tratti l'episodio di Anania e Saffira ( cf. At 5,1-11 ). * Via via che la Chiesa si diffonde e offre la testimonianza di una fraternità concreta aperta alle esigenze della carità, aumentano anche gli apporti: tra coloro che si convertono al vangelo vi è chi avverte l'esigenza di ricomporre i rapporti con i fratelli e affida alla Chiesa quanto intende destinare ai poveri, sull'esempio di Zaccheo ( cf. Lc 19,8 ) e nella linea dell'ammonimento di Gesu, che invita a farsi amici i poveri in vista del giudizio, riscattando l'ambiguità della ricchezza ( cf. Lc 16,9 ). 5. - La Chiesa dei primi secoli Soprattutto nei primi tre secoli della sua vita, la Chiesa è sostenuta nelle sue esigenze concrete dal senso di comunione, di partecipazione e di solidarietà, educato nei fedeli come caratteristica coerente di un'esistenza trasformata dalla novità cristiana. È da segnalare in modo particolare la stretta connessione tra la celebrazione della liturgia cristiana, specialmente dell'Eucaristia, e l'impegno alla condivisione fraterna e alla carità solidale. Già l'apostolo aveva ammonito che il radunarsi insieme per mangiare la cena del Signore non poteva essere contraddetto da avidità egoistiche dei fedeli più dotati, che gettano il disprezzo sulla Chiesa e fanno vergognare chi non ha niente ( cf. 1 Cor 11,20-22; cf. anche Gc 2,1-6 ). Paolo poi non aveva temuto di qualificare la colletta in favore dei poveri di Gerusalemme come atto liturgico, come "servizio sacro", che non soltanto "provvede alle necessità dei santi, ma ha anche maggior valore per i molti rendimenti di grazie a Dio" che esso suscita ( 2 Cor 9,12 ). I Padri della Chiesa, il cui stimolante insegnamento sull'uso dei beni da parte dei cristiani meriterebbe di esser meglio conosciuto, sviluppano volentieri questo tema. Ricordiamo per tutti il filosofo e martire Giustino, che sottolinea con forza questo aspetto nella sua prima apologia, scritta all'imperatore in difesa dei cristiani verso l'anno 150 d.C.: non soltanto "in ogni luogo e per ogni cosa cerchiamo di pagare tributi e tasse a coloro che hanno il compito di riscuoterli, come ci è stato insegnato da Gesù" ( 17,1 ), ma, un tempo "bramosi più di ogni altro dei mezzi per conseguire ricchezze e possedimenti, ora, portando in comunità quanto possediamo, lo condividiamo con chi è bisognoso" ( 14,2 ). Tutto questo è strettamente congiunto con il momento eucaristico: "nel giorno detta del sole, riunendoci tutti in un sol luogo dalla città e dalla campagna, si fa un'assemblea", nella quale si leggono gli scritti sacri, si ascolta l'ammonizione di colui che presiede, si elevano preghiere comuni, si porta pane, vino e acqua, si consacrano i doni in rendimento di grazie, ci si comunica al pane eucaristico, mandandone per mezzo dei diaconi a chi non è presente; ma non manca il gesto della carità fraterna: "coloro che hanno in abbondanza e che vogliono, ciascuno secondo la sua decisione dà quello che vuole e quanto viene raccolto è consegnato al presidente; egli stesso va ad aiutare gli orfani, le vedove e coloro che sono bisognosi a causa della malattia o per qualche altro motivo, coloro che sono in carcere e gli stranieri che sono pellegrini: è insomma protettore di tutti coloro che sono nel bisogno" ( 67,2-6 ). È da ricordare inoltre che non esiste in questo tempo alcuna forma di intervento da parte dell'autorità civile o delle strutture pubbliche; piuttosto, non mancano nella società pagana limitazioni e condizionamenti a un più efficace e organico dispiegarsi delle strutture e dei servizi ecclesiali. Ma la convinzione dei credenti e la fierezza di poter contribuire a far correre tra i pagani la novità del vangelo hanno permesso alla Chiesa di irradiarsi sino ai confini del mondo conosciuto contando sulle proprie forze. 6. - L'evoluzione storica Non possiamo seguire in questa sede la complessa evoluzione del problema delle risorse economiche della Chiesa nelle vicende storiche successive. Non sono mancate le luci e le ombre. Il grande fiume della generosità ecclesiale non ha mai cessato di scorrere, sia in afflusso che in deflusso; le forme dell'apporto dei fedeli si sono progressivamente trasformate, non senza concreta relazione all'evolversi delle condizioni sociali e culturali proprie dei diversi contesti in cui la Chiesa operava, e le finalità concrete perseguite nell'uso delle risorse hanno diversamente accentuato i quattro riferimenti essenziali: culto, apostolato/pastorale, carità, sostentamento del clero. È venuto crescendo anche l'apporto delle autorità civili e il concorso delle risorse pubbliche, sia pur attraverso alterne e travagliate vicende. Questo fatto ha indubbiamente permesso un consolidamento delle strutture ecclesiali e un accrescimento dei mezzi necessari o utili per la sua missione, ma ha introdotto anche non poche ambiguità, ha talvolta condizionato la piena libertà del ministero pastorale e ha generato in alcuni casi forme paradossali di "tutela", sfociate in misure di pesante interferenza amministrativa da parte dello Stato quando non addirittura nell'eversione del patrimonio ecclesiastico. È andato in ogni modo confermandosi quel dovere di partecipazione anche economica dei fedeli in favore della Chiesa, che si è formulato poi in maniera semplice e chiara in uno dei tradizionali "precetti": "sovvenire alle necessità della Chiesa contribuendo secondo le leggi e le usanze". Tale dovere si è comunemente espresso attraverso tre forme principali di "sovvenzione": le offerte in denaro o in natura, date dai fedeli spontaneamente o in risposta a sollecitazioni pastorali in occasione di particolari circostanze o a titolo di tributo; le offerte connesse con la celebrazione di sacramenti o di sacramentali, in primo luogo della S. Messa, avvertite come occasione per l'espressione della propria partecipazione ecclesiale e della carità concreta nei momenti significativi della propria esistenza e della vita familiare; i lasciti di beni sotto forma di donazione, eredità o legato, o di costituzione di fondazioni pie di vario tipo. II. - Indirizzi canonici e disposizioni concordatarie per sovvenire alle attuali necessità della Chiesa 7. - La disciplina attuale della Chiesa La coscienza e gli indirizzi della Chiesa in questa delicata materia, approfonditi nella luce del Concilio, sono oggi opportunamente riassunti in alcune norme del nuovo codice di diritto canonico, che è utile richiamare: 1. Tra i doveri fondamentali dei membri della Chiesa, cioè dei credenti battezzati in Cristo ( "christifideles" ), il can. 222, par. 1 enumera il seguente: "I fedeli hanno il dovere di sovvenire alle necessità della Chiesa, per permetterle di disporre di quanto è necessario per il culto divino, per le opere dell'apostolato e della carità e per l'onesto sostentamento dei ministri sacri". 2. A sua volta "la Chiesa cattolica ha il diritto nativo, indipendentemente dal potere civile, di acquistare, possedere, amministrare e alienare beni temporali per conseguire i fini che le sono propri" ( can. 1254, par. 1 ). 3. Conseguentemente "il vescovo diocesano è tenuto a ricordare con chiarezza ai fedeli l'obbligo di cui al can. 222, par. 1, urgendone l'osservanza in modo opportuno" ( can. 1261, par. 2 ): ciò può avvenire o attraverso l'imposizione di tributi ecclesiastici ( cf. can. 1260 ) o, più normalmente, attraverso la richiesta di contributi rivolta alla generosità dei fedeli ( cf. can. 1262 ) o educando la libera iniziativa di questi ( cf. can. 1261, par. 1 ). 8. - Gli sviluppi conseguenti alla revisione del Concordato Nel nostro Paese l'ordinamento dei beni ecclesiastici e la disciplina delle risorse necessarie alla vita e all'attività della Chiesa hanno conosciuto una storia secolare dai molteplici e complessi risvolti. Da qualche anno si parla di novità e di riforme; introdotte dalla revisione del Concordato, e molti fedeli assistono all'avvio di profonde trasformazioni senza comprenderne il significato e le prospettive, perchè scarsamente aiutati da un'insufficiente informazione ecclesiale, dalle ansietà di qualche sacerdote e dalle imprecisioni dei mezzi della comunicazione sociale. Che cosa sta avvenendo? Fino al 1984, l'ordinamento degli enti e dei beni della Chiesa in Italia era per larga parte caratterizzato dal cosiddetto sistema beneficiale. Al sostentamento della maggior parte dei sacri ministri ( vescovi, parroci, canonici ) si provvedeva attraverso un complesso meccanismo: era stato costituito e "personificato" un complesso di beni, giuridicamente unito all'ufficio pastorale di questi ministri, i cui redditi erano destinati al loro congruo sostentamento. I diversi "benefici" erano stati riconosciuti anche dallo Stato, il quale, a seguito delle travagliate vicende risorgimentali, si era anche impegnato a supplire le eventuali insufficienze dei loro redditi mediante un assegno integrativo, chiamato "congrua". La figura del beneficio era diventata dominante, anche perchè non dappertutto esisteva l'ente "chiesa parrocchiale" o l'ente "chiesa cattedrale"; e sui benefici si erano andati di fatto caricando anche taluni beni che la generosità dei fedeli aveva intenzionalmente destinato a finalità di culto, ad attività pastorali o alla carità. 9. - In conformità alle indicazioni del Concilio Vaticano II ( cf. PO, 20 ) e alle disposizioni del nuovo codice di diritto canonico ( cf. can. 1272 e 1274 ), gli Accordi di revisione del Concordato sottoscritti nel 1984 hanno soppresso il sistema beneficiale, perchè ormai contrastante con tanti valori ecclesiali e pastorali, diventato spesso controproducente in ordine a una moderna amministrazione degli stessi beni donati dai fedeli alla Chiesa, appesantito da non poche pastoie burocratiche e poco consonante con una corretta impostazione delle relazioni tra Chiesa e Stato. Si è introdotto un nuovo sistema, che dopo la fase transitoria che stiamo vivendo ( anni 1987-1989 ), si configurerà nella sua pienezza a partire dall'anno 1990. Questi i suoi tratti fondamentali: - i beni dei benefici soppressi vengono conferiti a un Istituto diocesano per il sostentamento del clero, che provvede ad amministrarli senza vincoli di tutela da parte dello Stato e in forma unitaria e razionale, destinandone i redditi al sostentamento del clero; - i beni dell'ente chiesa parrocchiale sono trasferiti all'ente parrocchia, riconosciuto anche civilmente, perchè ne usi per le finalità pastorali; - alle parrocchie e alle diocesi vengono ritrasferiti dall'Istituto diocesano quei beni ( chiese, episcopi, case canoniche, immobili adibiti ad attività pastorali o caritative, cespiti totalmente gravati da oneri di culto ) che impropriamente erano intestati ai benefici; - viene favorita la razionalizzazione delle circoscrizioni territoriali ( diocesi e parrocchie ), che non è priva di riflessi anche economici; - la remunerazione di tutti i sacerdoti che svolgono servizio in favore delle diocesi è assicurata dal concorso diretto delle comunità presso le quali esercitano il proprio ministero, eventualmente integrata con i redditi dei beni ex-beneficiali dall'Istituto diocesano, il quale, in caso di necessità, può ricorrere a ulteriori integrazioni da parte dell'Istituto Centrale per il sostentamento del clero; - lo Stato continua a intervenire in favore della Chiesa cattolica in Italia, rinnovando profondamente le motivazioni di questo impegno. Superate le forme antiche di finanziamento diretto, apre due nuove possibilità di sostegno alla Chiesa, che agevolano la libera iniziativa dei cittadini, credenti o non credenti, nell'assegnare risorse alla Chiesa stessa per le esigenze di culto della popolazione, per attività caritative in Italia o nel terzo mondo, per il sostentamento del clero ove non si sia completamente provveduto per le altre vie. Su alcuni aspetti ritorneremo nel corso di questo documento e in appendice. Qui ci limitiamo a ricordare che le innovazioni concordatarie non hanno investito tutta la complessa realtà dei beni e delle risorse nella Chiesa ( si pensi alle realtà peculiari e ai flussi di risorse degli istituti religiosi, delle confraternite, delle pie fondazioni, delle diverse opere ecclesiastiche soprattutto di tipo formativo e assistenziale, delle associazioni di apostolato, dei gruppi e dei movimenti ecclesiali, ecc. ). Ma nello stesso tempo vogliamo sottolineare la reale importanza delle riforme intraprese, che toccano il tessuto ordinario della vita ecclesiale ( parrocchie e diocesi ) e domandano di essere conosciute nelle loro linee e soprattutto nel loro spirito, per essere accompagnate a positivo compimento con il concorso responsabile di tutti. 10. - Le esigenze attuali Un fatto rimane, peraltro, in tutta la sua concretezza: anche oggi la Chiesa, che pur si libera da strutture superflue e ritrova lo stile della semplicità e della sobrietà, ha bisogno di mezzi e di risorse per rispondere ai suoi compiti molteplici. Anzi, le necessità della Chiesa in Italia sono notevolmente aumentate proprio in questi ultimi anni: - le attività pastorali si fanno più articolate e si proiettano sempre più in prospettiva evangelizzatrice e missionaria, utilizzando anche strumenti economicamente impegnativi ( mezzi della comunicazione sociale, scuole, corsi e convegni, proposte culturali, ecc. ); - le urgenze della carità si moltiplicano, aprendo nuovi fronti soprattutto nella linea di un efficace intervento per la lotta contro le "nuove povertà" ( tossicodipendenti, emarginati sociali, anziani abbandonati, immigrati al terzo mondo, ecc. ); - in non poche diocesi è ancora viva l'esigenza della costruzione di nuove chiese e centri parrocchiali, mentre in tutte si fa di anno in anno più drammatico il problema della conservazione e del restauro delle chiese antiche e in dei beni culturali ecclesiastici; - gli oneri per il sostentamento del clero e per la preparazione dei futuri sacerdoti restano pesanti, anzi, come nel caso dei seminari, sono spesso aggravati proprio dalla dolorosa diminuzione del numero complessivo dei soggetti, a fronte della quale alcuni costi fissi permangono inalterati; - vi sono opere e iniziative di lunga tradizione e di varia configurazione giuridica, sorte comunque dall'impulso della carità cristiana e animate dal clero secolare, dalle famiglie religiose o da un prezioso volontariato laicale, che non possono essere dimenticate o messe a rischio, ma piuttosto domandano interventi creativi e generosi per favorirne il costante aggiornamento e renderne il servizio più concreto e qualificato; - crescono infine i doveri di partecipazione allo sforzo generoso che la Chiesa esprime nell'esercizio delle sue responsabilità universali: si pensi all'urgenza di un più organico sforzo missionario in tutti i continenti e al necessario sostegno da parte di tutti i cattolici all'opera instancabile della Santa Sede per la promozione della comunione fra tutte le Chiese e per la diffusione dei principi cristiani nelle relazioni con le autorità civili e nelle grandi istanze internazionali. Se si considera, poi, che è diminuito il numero dei fedeli praticanti, mentre le opere della Chiesa per lo più restano con tutto il loro carico economico, e che a partire dall'anno 1990 non vi saranno più garanzie automaticamente assicurate nei settori impegnativi del sostentamento del clero e, almeno in parte, dell'edilizia di culto, i motivi di giusta preoccupazione sembrano aumentare. È corretto peraltro osservare che non mancano indicazioni di segno diverso: il livello di vita del nostro Paese va crescendo e quindi aumentano le disponibilità anche dei fedeli; e se, attraverso la revisione del Concordato, sono cadute alcune garanzie automatiche si sono però introdotte nuove possibilità di concorso agevolato alle necessità della Chiesa da parte di tutti i cittadini. Alla Chiesa in Italia si aprono dunque nuove opportunità anche in questo campo: si tratta di coglierle attraverso una grande opera di educazione dei fedeli e una testimonianza sempre più trasparente e credibile dell'azione della Chiesa nella nostra società, che susciti crescente attenzione e partecipazione anche da parte di cittadini non praticanti sensibili alla solidarietà cristiana. Del resto la secolare vicenda della Chiesa nel nostro Paese conosce una storia di generosa partecipazione popolare alle sue necessità e alle opere di bene da essa animate, le cui dimensioni sono difficilmente misurabili, tanto ne sono largamente diffusi i segni e la memoria. Non si tratta quindi di cominciare da zero; bisogna piuttosto aiutare a conoscere e a comprendere le crescenti necessità e a rinnovare con più viva coscienza ecclesiale quella partecipazione che, in Italia, ha fatto della Chiesa la Chiesa della nostra gente. III. - Comunione, corresponsabilità, partecipazione: le motivazioni teologiche di un impegno 11. - Da dove deriva il dovere proprio di tutti i battezzati - siano essi chierici, religiosi o laici - di "sovvenire alle necessità della Chiesa"? Non deriva soltanto dal principio elementare, secondo il quale ogni forma di aggregazione stabile di persone, che perseguono convintamente e liberamente finalità comuni, è responsabile dei servizi e delle risorse che le sono necessari per vivere e per diffondersi. Deriva, più profondamente, da una precisa idea di Chiesa, quella che il Concilio ci ha insegnato: una Chiesa che è manifestazione concreta del mistero della comunione e strumento per la sua crescita, che riconosce a tutti i battezzati che la compongono una vera uguaglianza nella dignità e chiede a ciascuno l'impegno della corresponsabilità, da vivere in termini di solidarietà non soltanto affettiva ma effettiva, partecipando, secondo la condizione e i compiti propri di ciascuno, all'edificazione storica e concreta della comunità ecclesiale e assumendo con convinzione e con gioia le fatiche e gli oneri che essa comporta ( cf. can. 204 e 208 ). Dunque una Chiesa che non sia praticamente distinta tra alcuni che fanno e comandano e altri che usano dei servizi da questi apprestati e ne pagano il pedaggio, una specie di grande "stazione di servizio" distributrice di beni spirituali per ogni evenienza della vita, ma che sia una comunità che educhi al senso della partecipazione come esigenza interiore di una fede matura e di una carità operosa, prima che come un obbligo, e che aiuti a spingere la logica della corresponsabilità fino alla solidarietà e alla messa a disposizione dei propri beni. Vale del resto nella Chiesa una sorta di evangelica "legge dello scambio". Le parole dell'apostolo Paolo sono estensibili all'intera Chiesa e a tutta la sua azione missionaria e pastorale: "se noi abbiamo seminato in voi le cose spirituali, è forse gran cosa se raccoglieremo beni materiali?" ( 1 Cor 9,11 ). Il dono della fede che la Chiesa ci ha annunciata, i sacramenti che per noi essa celebra, la parola di Dio che essa ci spezza, la fraternità a cui ci educa, l'esperienza di vita rinnovata che ci permette di gustare, le imprese di animazione cristiana dell'ordine temporale cui essa ci sollecita e ci orienta sono valori che non hanno misura. Di fronte a tali valori è ancor poco "ricambiare" con l'impegno della nostra persona e con l'apporto della nostra generosità, per aiutare la Chiesa stessa ad essere ancor oggi. per tanti altri, strumento di grazia e di vita come lo è stata per noi, e per realizzare tra fratelli di fede quella "uguaglianza evangelica" che è l'esito connaturale di un'autentica esperienza di carità e uno dei più trasparenti segni di credibilità della testimonianza ecclesiale: "Qui non si tratta di mettere in ristrettezza voi per sollevare gli altri, ma di fare uguaglianza. Per il momento la vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza, perchè anche la loro abbondanza supplisca alla vostra indigenza, e vi sia uguaglianza, come sta scritto: colui che raccolse molto non abbondò, e colui che raccolse poco non ebbe di meno" ( 2 Cor 8,13-15 ). Questi valori e queste prospettive sono di fondamentale importanza e impegnano tutti a vivere la propria appartenenza alla Chiesa nello sforzo convinto di renderli esperienza precisa e concreta. Ma in primo luogo essi provocano la responsabilità dei pastori, vescovi e preti: questa immagine di Chiesa rischia di rimanere generica e confusa o addirittura di apparire retorica se essi non offrono per primi ai fratelli di fede un esempio e una traccia per realizzarla, manifestando nello stile della loro vita e della loro guida pastorale la passione per l'edificazione di una comunità cristiana che le assomigli sempre di più. IV. - Criteri e forme della partecipazione 12. - In una materia complessa e segnata da tante vicende storiche, che hanno influenzato soprattutto nel nostro Paese mentalità e tradizioni, è bene richiamare alcuni criteri-guida a cui tutti - pastori e fedeli - dobbiamo riferirci in maniera sempre più consapevole nel vivere l'impegno della partecipazione al sostegno economico della Chiesa. A) Responsabilità dei cristiani e intervento dello Stato. La primaria responsabilità per il sostegno economico alla vita e all'azione pastorale della Chiesa spetta ai fedeli e alle comunità cristiane ( cf. can. 222 e 1260 ); lo Stato e, più in generale, le pubbliche istituzioni sono impegnati a dare un loro apporto in forme corrette e tresparenti, ma per diverso titolo ( cf. GS, 76 ). La partecipazione delle comunità cristiane e di ciascun fedele al sostegno della Chiesa ha una radice teologica, è una questione di coerenza nell'appartenenza ecclesiale, è animata e sostenuta dalla fede e dalla carità; perciò, trattandosi di una obbligazione fondamentale dei battezzati, costituisce anche la garanzia permanente e sicura della disponibilità di risorse per la Chiesa medesima. La generosità dei fedeli, illuminata dalla fede, non verrà mai meno. L'apporto delle risorse pubbliche è invece fondato, in uno Stato democratico-sociale, sul doveroso apprezzamento della rilevanza etica, culturale e sociale della presenza e dell'azione della Chiesa nella trama viva della società in ordine alla formazione di quel tessuto di valori che fondano e presidiano un'autentica democrazia ispirata a principi di rispetto e promozione della persona umana, di giustizia e di solidarietà; e nello stesso tempo sul compito, che la costituzione italiana assegna alla Repubblica, di rimuovere gli ostacoli e di promuovere le condizioni per il pieno esercizio delle libertà fondamentali dei cittadini, tra le quali vi è indubbiamente la libertà religiosa ( cf. art. 3, 7, 8, 19, 20 Cost. ). 13. - B ) Libertà dei fedeli e attenzione alle esigenze pastorali. La Chiesa ha sempre riconosciuto largo spazio alla libertà dei fedeli nell'orientare le loro offerte in favore di diverse finalità ecclesiali, e intende rispettare con scrupolo le specifiche intenzioni da loro indicate quando non contrastino con il bene comune ( cf. can. 1300 e 1301 ). Occorre però nello stesso tempo educare i fedeli a rispettare un ordine nella finalizzazione dei loro apporti. È ovvio che la propria concreta comunità di appartenenza ecclesiale sia spesso la prima destinataria del nostro dono, ma non si può dimenticare che ogni comunità vive entro la più vasta realtà della Chiesa particolare, la diocesi, di cui è cellula viva e da cui è garantita nella sua vitalità ( cf. can. 1274, par. 3 ), e che ogni Chiesa particolare è chiamata a esprimere fraterna solidarietà verso tutte le altre Chiese, particolarmente quelle più bisognose ( ibidem ), e a sostenere con il proprio apporto il centro visibile della comunione cattolica, cioè il Papa e gli organismi di cui egli si serve per il suo servizio universale di carità ( cf. can. 1271 ). La Chiesa poi apprezza che la generosità dei fedeli si orienti liberamente anche nella direzione degli istituti di vita consacrata, delle associazioni variamente configurate che hanno finalità di apostolato o di animazione cristiana della società, delle molteplici opere e istituzioni, antiche e nuove, fiorite nel grande solco della carità cristiana; della promozione dell'arte e della cultura cristianamente ispirate e della salvaguardia e valorizzazione del cospicuo patrimonio storico-artistico consegnatoci dalle generazioni di fedeli che ci hanno preceduto. Vogliamo sottolineare questa prospettiva. L'attenzione alla propria parrocchia, alla propria diocesi e alle necessità del Papa per l'aiuto a tutta la Chiesa dovrebbe esser avvertita sempre più da parte di tutti i fedeli, singoli e associati, come criterio di verifica di un senso di Chiesa veramente formato. La generosità e la libertà dei credenti saprà aprirsi anche ad altre destinazioni ecclesiali, ma nessuno dovrebbe trascurare quelle realtà - comunità parrocchiale, Chiesa particolare, Chiesa universale - che lo identificano nell'appartenenza ecclesiale originaria e che l'hanno generato ed educato alla fede. In questa prospettiva vogliamo ringraziare i religiosi e le religiose per l'aiuto che già offrono a queste realtà ecclesiali secondo le indicazioni del can. 640, che propone al loro impegno di carità e povertà anche il sovvenire alle necessità della Chiesa con qualcosa dei propri beni. Nel contempo confermiamo ai religiosi e alle religiose la nostra sollecitudine fraterna per le loro necessità e ringraziamo con loro il Signore perchè la generosità dei fedeli sa esprimersi concretamente come stima per il loro carisma e attaccamento e sostegno alle loro opere. 14. - C) Il diverso valore delle forme di contributo alla Chiesa. C'è un ordine da promuovere anche nelle forme concrete dell'apporto dei fedeli. Stanno infatti per essere introdotte nel nostro Paese forme di agevolazione di tipo fiscale per il sostegno economico alla Chiesa cattolica da parte dei cittadini, di cui meglio diremo in seguito: deducibilità dalla base imponibile IRPEF, fino alla misura di due milioni, delle offerte per il sostentamento del clero; possibilità di destinare alla Chiesa lo 0.8 per cento del gettito complessivo dell'IRPEF annuale. Ebbene, si dovrà ricordare che l'apporto più ricco di valore cristiano resterà sempre quello che, nascendo da una coscienza formata e da un cuore generoso, che non misura vantaggi e svantaggi, si traduce in un sacrificio concreto non ripagato. Resta esemplare da questo punto di vista l'episodio evangelico dell'obolo della vedova ( cf. Mc 12,41-44 ): per lo sguardo ammirato di Gesu non conta tanto la quantità dell'offerta, ma la disponibilità gratuita e totale da cui vengono i "due spiccioli": "In verità vi dico: questa vedova ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Perchè tutti hanno dato del loro superfluo, essa invece, nella sua povertà, vi ha messo tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere". Del resto l'esperienza secolare della Chiesa dice che proprio su queste offerte "non agevolate" possono contare le comunità cristiane e s'appoggiano tante iniziative di bene, per non dire la quasi totalità. Seguono poi le offerte deducibili, perchè a fronte del vantaggio della riduzione della base imponibile IRPEF sta comunque un esborso personale, non completamente pareggiato dal vantaggio fiscale. La scelta relativa alla destinazione dello 0,8 per cento del gettito IRPEF viene per ultima nella scala di valore, perchè non "costa nulla", anche se da essa deriverà di fatto un apporto finanziario considerevole, in quanto è particolarmente adatta per coinvolgere anche il cittadino non praticante o addirittura non credente, il quale apprezza l'opera della Chiesa in Italia e intende che la collettività nazionale la riconosca e, la sostenga, assegnandole una quota, seppur modesta, del gettito fiscale. 15. - D) Verifica e rinnovamento delle forme di partecipazione. L'apporto dei fedeli si deve esprimere tenendo conto dell'evoluzione del contesto sociale ed economico in cui la Chiesa concretamente vive e nello stesso tempo dello sviluppo della coscienza della Chiesa medesima, rinnovata dai grandi insegnamenti del Concilio. Sono rispettabili, e per alcuni aspetti sempre raccomandabili, le forme tradizionali di apporto, caratteristiche delle diverse aree ecclesiali d'Italia. Ma occorre che i fedeli acquistino una più precisa consapevolezza delle odierne necessità della Chiesa e si facciano disponibili a sovvenirvi in forme più moderne ed efficaci. Ci permettiamo qualche esemplificazione in proposito: * nell'attuale contesto e nelle prospettive prevedibili della società italiana, la forma insieme piu agile e più sicura di apporto non è quella affidata all'impulso emotivo ed episodico, ma quella del contributo regolare e stabile per le diverse necessità ecclesiali, che dovrebbe essere concepito come impegno di ciascuna famiglia cristiana e messo in qualche modo in bilancio nella programmazione mensile o annuale della destinazione delle risorse familiari. * La convergenza su alcune finalità fondamentali e comuni, proposte dalla parrocchia, dalla diocesi o dalla Santa Sede, è praticamente più utile del perseguimento di scopi personali o marginali, anche perchè esalta quell"'anonimato" della carità che è espressione di autenticità evangelica. * Le norme di derivazione concordataria hanno attribuito la personalità civile all'ente diocesi e all'ente parrocchia, riconoscendo così finalmente anche nell'ordinamento dello Stato l'identità e il rilievo di queste realtà fondamentali della vita e dell'organizzazione della Chiesa. Ciò comporta che diocesi e parrocchie possono essere come tali titolari di rapporti giuridici, compresa la proprietà di beni economicamente redditizi. Sarà bene segnalare tutto questo all'attenzione dei fedeli, perchè è importante che tali enti possano contare su un minimo di patrimonio stabile, non sostitutivo ma integrativo delle offerte e degli apporti ordinari ed usuali; va quindi ricordato che la generosità e la sensibilità ecclesiale dei fedeli può dare particolare attenzione a detti enti attraverso la forma delle donazioni, delle eredità e dei legati, fermo restando che diocesi e parrocchie dovranno poi sapersi aprire a quelle istanze di solidarietà e di perequazione tra gli enti della Chiesa, che abbiamo più volte richiamata. * È bene evitare nella misura del possibile di porre a carico dell'ente a cui si dona oneri e condizionamenti, pur derivanti da apprezzabili intenzioni di devozione o di memoria, che siano eccessivi e rendano praticamente difficile una moderna gestione delle risorse generosamente donate alla Chiesa. * La dimensione gioiosa e "festiva" dell'esistenza cristiana è un valore che non dev'essere negletto e può trovare legittima manifestazione nelle forme care alla tradizione pastorale e a una religiosità popolare ben orientata; ma vale anche a questo proposito il richiamo alla semplicità e alla sobrietà, che non tollera ostentazioni e sprechi, offensivi delle attese dei poveri e delle necessità della Chiesa, e invita a difendere la verità di quella dimensione educando a coglierne il senso più che enfatizzandone i segni. * Occorre mettere ben in luce che l'apporto dei fedeli non si esaurisce nel conferimento di denaro o di beni; ci sono ancor oggi forme ulteriori e diverse di partecipazione, che hanno un valore spesso più prezioso: si pensi a talune forme di volontariato ( dal campo pastorale a quello assistenziale fino a quello della conservazione e valorizzazione dei beni culturali ecclesiastici locali ), all'assicurazione di consulenze e di perizie tecniche e amministrative, alla prestazione di alcuni servizi ( cura della chiesa e degli ambienti parrocchiali, assistenza domestica ai sacerdoti, collaborazione negli uffici parrocchiali, ecc. ). V. - Partecipazione nell'amministrazione 16. - I valori della corresponsabilità e della partecipazione devono essere vissuti non soltanto nel momento del reperimento delle risorse necessarie alla vita della Chiesa ma anche in quello della loro amministrazione. Ferma restando la particolare responsabilità del vescovo e del parroco, tutti i fedeli, ma soprattutto i laici, sono chiamati a mettere a disposizione la loro competenza e il loro senso ecclesiale collaborando disinteressatamente ai diversi livelli dell'amministrazione ecclesiastica, particolarmente negli organismi previsti dalla rinnovata legislazione canonica ( consiglio diocesano per gli affari economici, consigli parrocchiali per gli affari economici, consigli di amministrazione dei diversi enti ecclesiastici, uffici amministrativi delle curie, ecc. ) e aiutando le molteplici iniziative di bene a svilupparsi in modo ordinato, coniugando la carità ardimentosa con la competenza e la prudenza. A tutte le comunità, poi, deve essere dato conto, secondo le norme stabilite, della gestione dei beni, dei redditi, delle offerte, per rispetto alle persone e alle loro intenzioni, per garanzia di correttezza, di trasparenza e di puntualità e per educare un autentico spirito di famiglia nelle stesse comunità cristiane. Competenza degli operatori, trasparenza delle gestioni, ecclesialità di stile e di metodo, coinvolgimento costante di tutta la comunità: sono questi i criteri, e nello stesso tempo le garanzie, di un'amministrazione davvero ecclesiale. 17. - Ma che cosa comporta tutto questo in concreto? Non possiamo qui entrare nel merito dei singoli capitoli di una buona amministrazione ecclesiastica; la nostra Conferenza Episcopale sta proparando una "Istruzione" in materia, e in quella sede verranno date indicazioni piu articolate e precise. Ci sia permesso tuttavia di ricordare sin d'ora alcuni aspetti che giudichiamo importanti: a) la tradizione della Chiesa conosce, soprattutto in Italia, una varia molteplicità di enti, di istituzioni, di iniziative, che diventano punto di riferimento della generosità dei fedeli; è una pluralità giustificata dalla diversità dei fini specifici che si perseguono, dalla varietà dei soggetti ecclesiali che ne sono animatori e responsabili, dalla complessità delle vicende storiche che ne sono all'origine, dalla libertà e imprevedibilità degli impulsi della carità apostolica e pastorale suscitata dallo Spirito Santo. Questa pluralità è, di per sé, un valore e deve diventare una ricchezza di possibilità per la missione della Chiesa, che è il mistero dell'unità dei diversi; ma proprio per questo dev'essere vissuta nel quadro della comunione, in special modo nell'unità della Chiesa particolare o diocesi, di cui il Vescovo è segno e fondamento visibile. b) La normativa canonica generale e particolare vale per tutti gli enti, le istituzioni e le iniziative, nel rispetto dell'identità di ciascuna; la sua osservanza è condizione di chiarezza, di trasparenza, di ordinata collaborazione, di credibilità dell'immagine complessiva della Chiesa anche riguardo a "quelli di fuori" ( cf. 1 Cor 14,23-24 ). È una disciplina che va lentamente precisandosi anche in sede diocesana attraverso i sinodi e le disposizioni vescovili, frutto di consultazione e di collaborazione di fedeli competenti e prudenti: è importante che essa sia conosciuta e rispettata, e che gli organismi delle curie diocesane ne favoriscano la comprensione e ne aiutino l'applicazione in collaborazione con i consigli diocesani e parrocchiali e con i responsabili dei diversi enti. c) Segno concreto e non equivocabile di disponibilità alla comunione e alla solidarietà ecclesiali è la prontezza da parte di tutte le istituzioni e iniziative a concorrere spontaneamente alle eventuali forme di solidarietà e di perequazione proposte dalla diocesi, in particolar modo in vista della costituzione del "fondo comune" previsto dal can. 1274, par. 3, attraverso il quale il vescovo possa provvedere alle necessità molteplici della diocesi e all'aiuto alle diocesi meno fortunate. Segno non meno concreto - è giusto ricordarlo - è il puntuale versamento da parte degli enti ecclesiastici dei tributi che il vescovo è abilitato a imporre per le necessità generali della Chiesa. d) È importante che le finalità originarie e costitutive degli enti ecclesiastici, anche sotto il profilo dell'amministrazione e della destinazione delle risorse economiche, siano fedelmente mantenute e sviluppate, secondo gli indirizzi della Chiesa; a meno che la Chiesa stessa riconosca gli estremi per la soppressione o la trasformazione degli enti medesimi. Questa esigenza assume in Italia un particolare rilievo, proprio per la secolare tradizione da cui non pochi enti provengono. Particolarmente per quanto concerne le confraternite non mancano casi di dolorosa deviazione dalla figura e dalle finalità proprie di queste singolari forme di iniziativa apostolica dei fedeli, e tentativi di sottrazione, qualche volta ostinata, alla vigilanza e agli indirizzi del vescovo, anche in relazione alla gestione dei patrimoni e delle risorse. La revisione del Concordato offre anche in questo campo la possibilità di chiarire e di razionalizzare le situazioni esistenti, spesso precarie. La natura ecclesiale di queste realtà richiede che non si perda questa occasione al fine di ricomporre pienamente l'orizzonte dei valori di spiritualità, di apostolato e di carità nel quale soltanto le confraternite trovano il loro significato e possono offrire alla Chiesa il loro apporto prezioso. VI. - Educazione alla partecipazione 18. - Quello del reperimento e dell'amministrazione delle risorse economiche non è un aspetto isolato nel più vasto quadro ecclesiale; anche nella Chiesa ogni profilo dell'esperienza comunitaria è intrecciato strettamente a tutti gli altri. Se la comunità cristiana è convinta e operosa e se vive intelligentemente le sue responsabilità educative, anche il problema delle risorse trova appropriata soluzione. Il primo modo di educare a dare è quello di offrire ai fedeli e, più largamente, alla gente l'immagine di comunità cristiane che siano veramente se stesse. I vescovi italiani l'hanno insistentemente affermato in questi anni post-conciliari, anche con indirizzi pastorali comuni, che intrecciano costantemente i grandi temi dell'evangelizzazione, della comunione, della ministerialità ecclesiale, della carità, dell'impegno missionario, della promozione umana: è urgente far crescere comunità che siano vere famiglie di credenti, che non si limitino alle dimensioni rituali, al supporto alla religiosità tradizionale, alla coltivazione delle memorie locali, ma siano centri vivi di catechesi, di iniziative caritative, di missionarietà in mezzo alla gente, di animazione culturale e sociale nello spirito del vangelo. La gente impara a dare volentieri alla Chiesa quando vede che essa crede alla Parola che predica, ha la passione per il servizio operoso, mostra genialità creativa per rispondere ai bisogni di tutti, ma specialmente dei ragazzi e dei giovani, dei malati e dei sofferenti, degli antichi e nuovi poveri, di quanti si dedicano senza risparmio a Dio e ai fratelli nella vita consacrata, nel ministero pastorale, nell'impegno missionario secondo gli orizzonti della mondialità. Ma c'è anche un'educazione specifica, che deve essere promossa mediante un'intelligente catechesi fin dalle esperienze di vita ecclesiale. Occorre far comprendere le ragioni teologiche, fondate sul battesimo, sulla cresima e sull'Eucarestia che motivano la partecipazione economica nella Chiesa; illustrarne le varie necessità pastorali e missionarie; proporre la grandezza e la gioia del dare, dell'essere protagonisti - come singoli e come famiglia cristiana partecipanti attivamente alla liturgia domenicale - della vita e degli sforzi pastorali della propria comunità e della Chiesa intera, sia pur con poveri mezzi; superare mentalità e tradizioni di passiva e comoda dipendenza, o addirittura di pretesa, dalle superiori istanze ecclesiastiche o dallo Stato. I fedeli devono anche essere aiutati a comprendere che una sufficiente autonomia economica delle comunità in cui si esprime la loro appartenenza ecclesiale - la diocesi non meno della parrocchia - è condizione necessaria per permettere alla Chiesa di disporre delle risorse complessive in favore di tutte le finalità che urgono e stimolano la sua sollecitudine universale; senza dimenticare che questa autonomia rappresenta anche una concreta garanzia di libertà per l'annuncio coraggioso e la testimonianza provocante del vangelo di fronte alle istituzioni politiche e ai possibili condizionamenti di forze culturali e sociali ricche di mezzi e capaci di crescente pressione sull'opinione pubblica e sul costume. VII. - Partecipazione al sostentamento del Clero 19. - Fin dalle sue origini, la Chiesa ha avvertito la necessità di provvedere al sostentamento di coloro che Gesù ha chiamato gli "operai" del vangelo ( cf. Mt 10,10 ). Infatti, come l'apostolo Paolo ricorda con chiarezza, "il Signore ha disposto che quelli che annunziano il vangelo vivano del vangelo" ( 1 Cor 9,14 ). Questa parola impegna oggi la Chiesa in Italia a provvedere in particolare ai vescovi e ai sacerdoti secolari o religiosi che svolgono il loro ministero a servizio delle diocesi, in attesa che si definiscano in modo più chiaro ed omogeneo la figura e il servizio dei diaconi permanenti e la collaborazione pastorale a tempo pieno delle religiose. Si tratta di assicurare agli odierni "operai del vangelo", come vuole la legge della Chiesa, "una remunerazione adeguata alla loro condizione, tenendo presente sia la natura dell'ufficio che svolgono sia le circostanze di luogo e di tempo, perchè con essa possano provvedere alle necessità della propria vita e alla giusta retribuzione di chi è a loro servizio. Così pure occorre fare in modo che essi usufruiscano della previdenza sociale, con la quale sia possibile provvedere convenientemente alle loro necessità in caso di malattia, di invalidità o di vecchiaia" ( can. 281, parr. 1 e 2 ). Non è questo certamente né l'unico né il principale problema per la Chiesa. Esso però riveste una concreta e permanente importanza, sia per quella esigenza di "contraccambio" dovuto a chi "semina in noi cose spirituali" ( 1 Cor 9,11 ) "affaticandosi nella predicazione e nell'insegnamento" ( 1 Tm 5,17-18 ), che è iscritta nella logica della comunione ecclesiale, sia per mettere in grado ogni vescovo e prete di dedicarsi con libertà evangelica al molteplice esercizio di un ministero pastorale che si fa sempre più impegnativo e faticoso, anche per la crescita dell'età media e la diminuzione numerica dei sacerdoti. Si aggiunga che proprio nella materia del sostentamento del clero la recente revisione del Concordato ha introdotto indirizzi di radicale rinnovamento, rispetto agli equilibri sin qui garantiti dal sistema beneficialecongruale. 20. - Le nuove prospettive che si aprono e gli impegni cui siamo chiamati possono essere così sinteticamente indicati all'attenzione responsabile di tutti: a) Spetta anzitutto alla comunità parrocchiale o all'ente ecclesiastico presso il quale il sacerdote svolge il ministero provvedere al sostentamento di questi, tenendosi ovviamente conto anche degli eventuali stipendi che il prete riceve quando il suo servizio ha rilievo civile e di parte delle pensioni che avesse maturato nell'esercizio di un'attività ministeriale. b) Se la comunità o l'ente non è in grado di provvedere completamente, secondo i criteri e le misure stabiliti dalla C.E.I. e periodicamente aggiornati, interviene l'istituto diocesano per il sostentamento del clero, impegnando i redditi dei beni già appartenenti ai benefici, che direttamente amministra. c) Se neppure con l'intervento dell'istituto si riesce ad assicurare al sacerdote quanto dovutogli, si fa ricorso, tramite l'istituto centrale per il sostentamento del clero, all'apporto derivante dalle due forme di sostegno agevolato alla Chiesa introdotte con la revisione del Concordato: le offerte deducibili fatte in favore del medesimo istituto centrale e una parte, determinata dalla C.E.I., della quota assegnata dai cittadini contribuenti alla Chiesa cattolica sullo 0,8 per cento del gettito complessivo IRPEF. Come si vede, il nuovo sistema cerca di comporre ordinatamente la primaria responsabilità della comunità cristiana verso coloro che la servono e la presiedono, la valorizzazione del patrimonio ex-beneficiale secondo i suoi fini originari e costitutivi, e il libero apporto dei cittadini, non soltanto praticanti o credenti, agevolato dallo Stato. Tutto questo si muove in una linea di solidarietà e di perequazione tra le comunità cristiane e tra gli stessi sacerdoti: a chi maggiormente può è chiesto di dare di più, onde permettere di intervenire in favore di chi può meno e così "fare uguaglianza" ( 2 Cor 8,13 ). Non possiamo in questa sede dilungarci oltre nella descrizione del nuovo sistema. Ci preme piuttosto dire una parola franca e serena ai nostri preti, e a noi vescovi con loro, e a tutti voi fedeli. 21. - a) Una parola ai preti e ai vescovi Il diritto di "vivere del vangelo" ci è assicurato dalla Chiesa, fedele alla parola del Signore. Ma esso trova significato autentico e garanzia concreta soltanto nel quadro dei valori evangelici vissuti. Per sperimentare quaggiù la verità del "centuplo" promessoci occorre "lasciare tutto" davvero ( cf. Mc 10,28-31 ), comprese le ansietà sfiduciate e la ricerca di sicurezze per vie che non sono evangeliche. Sì, il Signore l'ha promesso: a chi si spende senza riserve per l'annuncio del vangelo non mancherà quel "pane quotidiano" che egli ci ha insegnato a domandare al Padre ( cf. Mt 6-11 ), e anche più; il suo Spirito saprà sempre suscitare nel cuore dei credenti la coscienza convinta e gioiosa di dover concorrere, anche attraverso la trama della solidarietà interecclesiale, a far si che i continuatori del servizio apostolico, nutrendosi oggi di quel pane, possano ancora domani dedicarsi totalmente all'annuncio della salvezza e al servizio della gente. È questione di fede nella parola di Gesu e di fiducia nella forza educatrice del nostro ministero! Del resto, anche l'esperienza da sempre lo conferma: dalle mani dei preti convinti, generosi, distaccati, non cessa di passare il flusso della carità dei fedeli, che basta per loro e giova a tanti altri; mentre nelle mani dei preti sfiduciati, preoccupati della sicurazza e perciò attaccati al denaro, quel flusso spesso si inaridisce. È in questo orizzonte di libertà e di fierezza apostolica che sapremo trovare lo stile giusto nel vivere il rapporto con le nostre comunità anche in questa delicata materia. Avremo il coraggio di chiedere ai fedeli con franchezza evangelica, ma soprattutto la sapienza di educare con la testimonianza della nostra vita, prima che con le parole e le disposizioni della Chiesa, senza alterare l'ordine dei valori che sono in gioco: "Non vi sarò di peso, perchè non cerco i vostri beni ma voi. Infatti non spetta ai figli mettere da parte per i genitori, ma ai genitori per i figli. Per conto mio mi prodigherò volentieri, anzi consumerò me stesso per le vostre anime. Se io vi amo più intensamente, dovrei essere riamato di meno?" ( 2 Cor 12,14-15 ). Che se anche avvenisse di sperimentare momenti di difficoltà economica personale o comune, riscopriremo la gioia e la fierezza di condividere più profondamente la vita e le vicende delle comunità nella buona e nella cattiva sorte, avendo liberamente accettato la precarietà di questa evangelica dipendenza dagli altri fratelli di fede come caratteristica peculiare, anzi in un certo senso come elemento identificante, della nostra povertà di preti secolari, secondo quanto ci ha insegnato l'Apostolo: "Ho imparato a bastare a me stesso in ogni occasione; ho imparato ad essere povero e ho imparato ad essere ricco: sono iniziato a tutto, in ogni maniera: alla sazietà e alla fame, all'abbondanza e all'indigenza. Tutto posso in colui che mi dà forza" ( Fil 4,11-13 ). In questa prospettiva va inserito anche il problema, talvolta angustiante, della nostra vecchiaia. Dovremo certamente educare le nostre comunità a saperci accogliere, o in ogni modo a provvedere per noi, anche quando le nostre forze verranno meno; pronti però a dare l'esempio di una solidarietà fraterna tra noi, che preordina con liberi apporti forme diocesane di sostegno, di assistenza e di accoglienza per chi è provato dalla malattia o impedito dall'età, come già lodevolmente avviene in diverse diocesi, e ad accettare anche i sacrifici propri di una condizione che non sempre potrà essere pari alla grandezza del servizio che abbiamo esercitato, non dimenticando che tanti anziani si trovano oggi in angustie ancor più gravi delle nostre. 22. - Ci si lasci ricordare, poi, che anche per noi deve valere quella correttezza e quella trasparenza che vorremmo fossero sempre di più tratti caratteristici di un'amministrazione ecclesiastica credibile. Vi sono aspetti di grande importanza nella gestione personale dei beni di cui disponiamo, che sono da riconsiderare con convinzione e con chiarezza. Non dispiaccia se ne richiamiamo alcuni, in linea con il Concilio e con il codice di diritto canonico: a) "Mossi dallo Spirito del Signore, che unse il Salvatore e lo mandò ad evangelizzare i poveri, i preti, come pure i vescovi, evitino tutto ciò che può allontanare i poveri, e più ancora degli altri discepoli di Cristo vedano di eliminare dalle proprie cose ogni ombra di vanità" ( PO, 17e; cf. anche can. 282, par. 1 ). b) I preti, "dato che il Signore è loro 'parte di eredità' ( Nm 18,20 ), debbono usare dei beni temporali solo per quei fini ai quali tali beni possono essere destinati secondo la dottrina di Cristo Signore e gli ordinamenti della Chiesa. Quanto ai beni ecclesiastici propriamente detti devono amministrarli, come esige la natura stessa di tali cose, a norma delle leggi ecclesiastiche ( … ). Quanto poi ai beni loro assicurati in occasione dell'esercizio di qualche ufficio ecclesiastico, i preti, come pure i vescovi ( … ), devono impiegarli anzitutto per il proprio onesto sostentamento e per l'assolvimento dei doveri del proprio stato; ciò che eventualmente rimane vogliano destinarlo per il bene della Chiesa e per lo opere di carità" ( PO, 17c; cf. anche can. 282, par. 2 ). c) I preti "non trattino dunque l'ufficio ecclesiastico come occasione di guadagno, né impieghino il reddito che ne deriva per aumentare le sostanze della propria famiglia" e quindi, "senza affezionarsi in alcun modo alle ricchezze, debbono evitare sempre ogni bramosia e astenersi accuratamente da qualsiasi tipo di commercio" ( PO, 17c; cf. anche can. 285 e 1392 ). d) In questo contesto deve essere richiamato con forza il dovere di ciascun prete e di ciascun vescovo, tante volte ribadito dai sinodi diocesani, di fare testamento, depositandone copia presso la curia diocesana o persona fidata, evitando così che i beni derivanti dal ministero, cioè dalla Chiesa, finiscano ai parenti per successione di legge; e di formulare le proprie volontà in coerenza con i valori sopra ricordati disponendo in favore della Chiesa dei beni di origine ministeriale e non temendo di "restituire" alla Chiesa stessa l'incommensurabile ricchezza spirituale da essa ricevuta anche destinandole i propri beni personali. Non si dimentichi, del resto, che il già citato can. 222, che stabilisce per tutti i "fedeli" il dovere di sovvenire alle necessità della Chiesa e di soccorrere i poveri con i propri redditi, vale anche per vescovi e preti, i quali, prima che "ministri", sono "battezzati". e) Ma soprattutto va messa in piena luce nella coscienza sacerdotale quella pagina appassionata del Concilio, nella quale siamo "invitati ad abbracciare la povertà volontaria, con cui possiamo conformarci a Cristo in modo più evidente ed essere in grado di svolgere con maggior prontezza il sacro ministero. Cristo infatti da ricco che era è diventato povero per noi, perchè la sua povertà ci facesse ricchi; e gli apostoli, dal canto loro, hanno testimoniato con l'esempio personale che il dono di Dio, che è gratuito, dev'essere trasmesso gratuitamente, sapendo vivere nell'abbondanza e nell'indigenza" ( PO, 17d; cf. 2 Cor 8,9; At 8,18-25; Fil 4,12 ). 23. - b) Una parola ai fedeli La responsabilità di provvedere ai vostri vescovi e ai vostri preti torna sempre più ad essere impegno e onore vostro, come alle origini della Chiesa. Sappiamo di poter confidare sul vostro senso di responsabilità, educato dalla fede e dall'affetto che nutrite verso di noi. Vale ancora una volta la legge dello "scambio evangelico": "Chi viene istruito nella dottrina faccia parte di quanto possiede a chi lo istruisce" ( Gal 6,6 ). Vescovi e preti, siamo per voi. Se talvolta la nostra povera umanità vela lo splendore della Parola che vi annunciamo e la nostra incerta carità non riesce a pareggiare l'impeto dell'amore di Cristo che ci manda a vostro servizio, la nostra vita è stata però interamente e liberamente a voi consacrata nel suo Nome e ogni giorno la vorremmo gioiosamente consumare condividendo le vostre fatiche e sostenendo le vostre speranze. Osiamo perciò chiedervi di "aprire con noi un conto di dare e avere" nella logica paradossale del vangelo, come fecero quelli di Filippi con l'apostolo Paolo prendendo concretamente parte alle sue tribolazioni mediante il sostegno economico ( Fil 4,14-15 ); sapendo che "non è però il vostro dono che ricerchiamo, ma il frutto che ridonda a vostro vantaggio" ( Fil 4,17 ). Anche per voi, infatti, questa rinnovata forma di comunione fraterna con i vostri pastori può diventare esperienza spiritualmente arricchente: i vostri doni "sono un profumo di soave odore, un sacrificio accetto e gradito a Dio"; e Dio "a sua volta colmerà ogni vostro bisogno secondo la sua ricchezza con magnificenza in Cristo Gesù" ( Fil 4,18-19 ). Così potremo anche render vero l'augurio che il Papa Giovanni Paolo II esprimeva al Presidente della nostra Conferenza Episcopale il 5 agosto 1985, dopo l'entrata in vigore della riforma concordataria: "il nuovo sistema ( di sostentamento del clero ) contribuisca a rendere più viva la coscienza dei sacerdoti e dei fedeli di appartenersi gli uni agli altri, e di essere tutti, ciascuno in conformità al proprio stato e secondo le proprie capacità, responsabili della vita e dell'azione della Chiesa" ( Notiziario della C.E.I. n. 12, agosto 1985 p. 397 ). La partecipazione dei fedeli anche al sostegno economico, segno e frutto di una consapevole corresponsabilità ecclesiale, concorrerà così a far crescere - ed è la cosa che importa - la grazia e l'esperienza della comunione. 24. - Anche qui non possiamo dilungarci in precisazioni concrete e in disposizioni amministrative, che saranno via via presentate all'attenzione dei fedeli. Ci sia permesso, tuttavia, di far cenno almeno a un aspetto, il cui rilievo non vorremmo fosse oscurato dall'organico dispiegarsi del nuovo sistema di sostentamento del clero. Si tratta dell'offerta che accompagna la richiesta di celebrazione della Santa Messa e di "applicazione" del suo frutto secondo una speciale intenzione cara all'offerente. La rinnovata disciplina della Chiesa raccomanda vivamente ai sacerdoti di celebrare la Messa per le intenzioni dei fedeli, soprattutto dei più poveri, anche senza ricevere alcuna offerta ( cf. can. 945, par. 2 ); nello stesso tempo però ricorda che "i fedeli che danno l'offerta perchè la Messa venga celebrata secondo la loro intenzione contribuiscono al bene della Chiesa e mediante tale apporto partecipano alla sua sollecitudine per il sostentamento dei ministri e il sostegno delle sue opere" ( can. 946 ). Si tratta di una forma discreta e delicata di partecipazione alle necessità dei sacerdoti, spesso animata dalla riconoscenza e dall'amicizia verso un prete cui si è spiritualmente debitori o dalla stima per la sua pietà e per il suo zelo pastorale. In continuità con una lunga tradizione ecclesiale, tale forma merita di essere coltivata, motivandola correttamente ed evitando assolutamente anche la sola apparenza di contrattazione o di commercio ( cf. can. 947 ). Conclusione 25. - Al termine di queste riflessioni e indicazioni, ci viene spontaneo di ritornare alla possibile obiezione dalla quale eravamo partiti: è stato il nostro un discorso da vescovi o invece questo documento è il segno di una nostra troppo interessata considerazione delle difficoltà dell'oggi e dei rischi del domani, che cerca di ammantarsi di parvenze teologiche e di motivazioni pastorali? La riflessione condotta insieme nell'Assemblea Generale di Collevalenza, preparando con impegno il documento, ci ha serenamente convinti che anche nel proporvi queste cose stiamo edificando la Chiesa di Gesù. Sappiamo bene che la Chiesa non è l'esito di una nostra capacità di intrapresa né tantomeno può somigliare a un'azienda da gestire con razionalità efficentistica. Essa è dono del Padre, è comunione in Cristo di persone vive, è miracolo continuamente suscitato dalla potenza dello Spirito. Mandata ad annunciare l'amore misericordioso di Dio per il mondo, essa non si può identificare e valutare secondo i criteri dell'imponenza dei mezzi di cui dispone e della qualità delle risorse umane che sa implicare. E però siamo anche convinti che, se è vero che non sono i mezzi a fare la Chiesa, è altrettanto vero che una Chiesa che cresce sotto l'azione dello Spirito del Risorto investe della novità cristiana anche la realtà delle risorse umane e materiali, fino alla dimensione economica. Quando ci si sforza veramente di "essere di Cristo", tutto diventa "nostro", anche il mondo e le sue possibilità ( cf. 1 Cor 3,21-23 ); il mondo, le cose, i soldi non sono più per i credenti né suggestioni ingannatrici né forze oscure che incutono paura. Se ne può ormai usare in libertà, mettendole a servizio di quello che conta: la più ampia diffusione della Parola che salva e la prassi della solidarietà fraterna che anticipa in qualche modo "la nuova terra" ( 2 Pt 3,13 ). Vorremmo dunque che le nostre riflessioni e indicazioni fossero accolte così: come un invito fiducioso a portare fin nella concretazza delle cose la logica e le esigenze della comunione, grazie alla libertà per la quale Cristo ci ha riscattati e nella quale il suo Spirito ci sostiene, per far si che, coniugando con intelligenza di fede la sobria semplicità e l'avvedutezza evangelica domandate agli amministratori delle cose di Dio ( cf. Mt 24,47; 1 Pt 4,7-10 ), la Chiesa apra sempre più la strada alla Parola della salvezza, che vuol raggiungere ogni uomo e ogni donna anche in questa nostra complessa e distratta società. È in questa prospettiva e con questo spirito che abbiamo osato con franchezza "parlare di soldi" con voi e che, concludendo, affidiamo alla vostra sensibilità cristiana e alla vostra provata generosità l'esortazione dell'apostolato: "Ciascuno dia secondo quanto ha deciso nel suo cuore, non con tristezza né per forza, perchè Dio ama chi dona con gioia" ( 2 Cor 9,7 ). Roma, 14 novembre 1988