Comunione, comunità e disciplina ecclesiale Introduzione I. A conclusione del piano pastorale per gli anni '80 1. - Camminando sui sentieri del Concilio e rinnovando la propria fedeltà a Cristo, la Chiesa ha la certezza di camminare, nella verità e nella carità, accanto agli uomini del nostro tempo, per condividerne la storia, le aspirazioni e gli interrogativi, le gioie e le sofferenze, e tutto illuminare nella luce del Vangelo del Regno annunciato ad ogni creatura. Servire Cristo è infatti, per la Chiesa, servire l'uomo, "via fondamentale" della sua missione. Per accogliere più profondamente il dono sempre nuovo del Vangelo e testimoniarlo ai fratelli, negli anni '80 la Chiesa che vive in Italia ha ispirato la sua riflessione e la sua azione pastorale a un tema che va al cuore del suo mistero e della sua missione: "comunione e comunità". Essa ha così avuto la possibilità di riscoprire e sperimentare la bellezza e l'impegno, la fatica e la gioia di lasciarsi plasmare dallo Spirito, con l'attiva e personale risposta di ciascuno, come "un popolo adunato nell'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo". 2. - Il cammino è stato scandito da alcuni documenti qualificanti. Nel primo, che ha tracciato il piano generale, abbiamo approfondito il mistero della comunione nella sua sorgente inesauribile: la comunione d'amore della Santissima Trinità che, attraverso la venuta del Figlio e il dono dello Spirito, si fa vita degli uomini nella Chiesa e, attraverso di essa, fermenta e orienta la storia di tutta l'umanità verso il Regno. In un secondo momento, ci siamo soffermati su due dimensioni, entrambe fondamentali, di questo mistero. Da un lato, abbiamo volto lo sguardo all'Eucaristia, "fonte e culmine" della vita cristiana, presenza sempre rinnovata del Cristo risorto nella storia. Dall'altro, ci siamo rivolti alla comunità degli uomini a cui Cristo ci invia, riflettendo sulla vocazione missionaria della Chiesa. In questo itinerario, una tappa che non possiamo dimenticare, per l'incidenza che ha avuto sui nostri spiriti e sulla nostra azione, è stato il Convegno ecclesiale svoltosi a Loreto nel 1985, sul tema "Riconciliazione cristiana e comunità degli uomini": per tutti un autentico, vivificante "evento di Chiesa" . 3. - Già il titolo generale del piano pastorale ci richiama al tema che ora intendiamo mettere a fuoco: comunione e comunità. Se la comunione è l'accogliere il dono dell'unità nell'amore e nella libertà, e cioè la vita stessa di Dio che si fa vita degli uomini redenti da Cristo e di Lui rivestiti nello Spirito, la comunità è "la forma concreta di aggregazione che nasce dalla comunione: in essa i credenti ricevono, vivono e trasmettono il dono della comunione". L'unica Chiesa cattolica, nelle sue molteplici manifestazioni concrete - anzitutto le comunità diocesane - non è altro che il rendersi presente della comunione nella storia "sulla base di rapporti visibili e stabili che legano tra loro i credenti". Proprio per questo, la comunità ecclesiale "gode di strutture e di strumenti altrettanto visibili, attraverso i quali si trasmettono agli uomini il messaggio e la grazia di Gesù ", ed esige una disciplina che ne regola l'esercizio. La parola "disciplina", derivando dal termine "discepolo", che nell'ambito cristiano caratterizza i seguaci di Gesù, ha un significato di particolare nobiltà. La disciplina ecclesiale consiste in concreto in quell'insieme di norme e di strutture che danno una configurazione visibile e ordinata alla comunità cristiana, regolando la vita individuale e sociale dei suoi membri perchè sia in misura sempre più piena, e in aderenza al cammino del popolo di Dio nella storia, espressione della comunione donata da Cristo alla sua Chiesa. Nel suo senso più ampio essa può comprendere anche le norme morali, mentre in un significato più ristretto designa le sole norme giuridiche e pastorali. 4. - In questo documento, a seconda del contesto, usiamo il termine nell'uno o nell'altro di questi significati, e intendiamo soffermarci sul valore profondo e su alcune caratteristiche concrete della disciplina ecclesiale, essenziali per una comunità che sia autentico sacramento di comunione. Nel primo capitolo tratteremo della libertà e dell'obbedienza, quali dimensioni costitutive della comunione e presupposti di ogni forma di disciplina nella comunità ecclesiale. Nel secondo e nel terzo ci occuperemo, rispettivamente, di alcuni aspetti della disciplina morale e canonica della Chiesa. Nel quarto capitolo, infine, tracceremo alcune linee di impegno e di verifica pastorale, che ci paiono rivestire oggi una particolare importanza. Come premessa offriamo un rapido esame della situazione socioculturale ed ecclesiale del nostro Paese, in riferimento al tema che intendiamo svolgere. II. La cultura e la società contemporanea fra libertà, pluralismo e socializzazione 5. - L'epoca contemporanea, come ha sottolineato il Concilio Vaticano II, è solcata da rivolgimenti profondi e accelerati che hanno investito l'esistenza dell'uomo nel suo aspetto personale e sociale, come mai sinora era avvenuto nella storia dell'umanità. Al fondo di questi rivolgimenti, se ben guardiamo, vi sono due esigenze fondamentali di cui s'è fatta portatrice, in modi diversi, la cultura moderna e che sono state enfatizzate dallo sviluppo scientifico e tecnologico di questi ultimi decenni. Da un lato, l'uomo moderno si è voluto affermare come soggetto libero ed emancipato da ogni tutela che gli fosse imposta "dall'esterno" della sua coscienza e della sua ragione, e come unico artefice della sua storia. Dall'altro nel singolo individuo è cresciuta la consapevolezza della sua interdipendenza con gli altri uomini, non solo nel contesto del piccolo mondo in cui egli era tradizionalmente abituato a vivere, ma anche nel rapporto fra le classi, le nazioni, le culture. Libertà e socializzazione sono diventate le due "parole d'ordine" dell'epoca moderna, ed entrambi questi valori, che esprimono qualcosa di genuinamente umano e dunque anche di "naturalmente cristiano", hanno dato vita a vere e proprie "religioni laiche", per le quali ci si è impegnati e ci si è battuti nella prospettiva dell'edificazione di un mondo più a misura d'uomo. 6. - Caratteristica di queste moderne culture della soggettività e della socialità è che, spesso programmaticamente, si sono volute emancipare dalla "tutela" del cristianesimo, visto come una religione che aliena l'uomo dall'autentica e radicale libertà e dal raggiungimento di una giusta e liberante socialità. In tal modo, con una ricerca non di rado intensamente sofferta e a cui va il nostro rispetto, hanno progettato un umanesimo e una società al cui centro vuole essere unicamente l'autonomia e la piena realizzazione dell'uomo. Ma, sganciati da ogni riferimento al trascendente e a Cristo, il quale soltanto "svela pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione", i valori della libertà e della socialità, pur avendo permesso all'umanità di raggiungere positive e feconde conquiste, non hanno tardato a mostrare anche la loro ambiguità e le loro contraddizioni. Da una parte, infatti, si è assolutizzata la libertà del soggetto, sganciandola da ogni riferimento che non fosse la libertà stessa: aprendo così la strada a un indiscriminato individualismo e facendo ritenere ogni forma di norma morale o di regola sociale un'insopportabile imposizione. Inoltre, il pluralismo culturale ed etico, che si è così affermato, spesso si è trasformato in un relativismo che giustifica ogni tipo di opzione, provocando una frantumazione e un deterioramento del tessuto sociale. Dall'altra parte, la giusta esigenza di socializzazione, non regolata dal rispetto della dignità inalienabile di ogni persona umana quale immagine di Dio, ha dato vita a quelle forme di totalitarismo di diverso e persino opposto segno, da cui dolorosamente è stata - ed è - piagata la storia del nostro secolo. Anche la massificazione tipica della società dei consumi deve esser letta come una forma sottile, ma insidiosa, di spersonalizzazione dell'uomo, schiacciato sotto il peso delle anonime leggi del mercato e del profitto. Sperimentato il naufragio di tali progetti, gli uomini e le donne del nostro tempo ricercano la propria realizzazione nel ripiegamento su di una libertà-guadagnata giorno per giorno nel privato dei propri sentimenti e dei propri individuali interessi. Mentre da più parti riaffiora, impellente, una nuova "domanda etica". 7. - Dietro i rivolgimenti dell'epoca moderna, il Concilio ha visto, alla luce della verità cristiana e al di là di contraddizioni e pericolosi unilateralismi, una "crisi di crescita" dell'autocoscienza dell'umanità. Anche riguardo al rapporto fra libertà e socialità appare valida un'analoga valutazione. In fondo, nell'autocoscienza e nell'esperienza dell'uomo moderno emerge una delle aspirazioni fondamentali dell'uomo: quella di dar vita a un'autentica socialità, in cui il singolo possa realizzare la sua identità in un rapporto di condivisione e di comune crescita con gli altri uomini. Tale autocoscienza emerge oggi, anche se in forme diverse e persino contrastanti, nella società e nella cultura del nostro Paese. Di qui l'importanza della presenza e della testimonianza della Chiesa, chiamata ad essere una comunità in cui libertà e comunione, coscienza e verità, lungi dall'elidersi a vicenda, crescono e si autenticano reciprocamente. III. La Chiesa in Italia: crescita di comunione, ricchezza di doni e iniziative ed emergere di tensioni 8. - Con il Concilio Vaticano II, di fronte alla sfida del mondo moderno e tornando alla perenne sorgente del suo mistero, la Chiesa ha preso più profonda coscienza della sua identità e della sua missione nel nostro tempo. Ciò ha provocato, in particolare, due rilevanti conseguenze: - in primo luogo, i documenti conciliari hanno sottolineato, nella prospettiva della Chiesa "popolo di Dio", l'eguale dignità di tutti i battezzati, inseriti in Cristo per godere della sua grazia e della sua libertà mediante la fede, i sacramenti, il vincolo della comunione, e chiamati a edificare insieme, nella forza dello Spirito, l'unico Corpo di Cristo; - in secondo luogo, il Concilio ha presentato il mistero della Chiesa come quello di una comunità visibile, articolata da molteplici carismi e misteri, tutti finalizzati alla crescita dell'unità ecclesiale. "Lo Spirito Santo - ha precisato la Lumen gentium - non solo per mezzo dei sacramenti e dei ministeri santifica il popolo di Dio e lo guida e adorna di virtù, ma 'distribuendo a ciascuno i propri doni come piace a lui' ( 1 Cor 12,11 ), dispensa pure tra i fedeli di ogni ordine grazie speciali, con le quali li rende adatti e pronti ad assumersi varie opere e uffici, utili al rinnovamento e alla maggiore espansione della Chiesa secondo le parole: 'a ciascuno la manifestazione dello Spirito è data perchè torni a comune vantaggio' ( 1 Cor 12,7 )". 9. - Non è il caso di tornare ancora una volta su quanto questa rinnovata presa di coscienza sia stata stimolante e arricchente per il cammino della nostra Chiesa. L'impegno, l'assunzione di corresponsabilità e le forme di partecipazione, sia in modo organizzato e ufficiale sia in maniere più libere e spontanee, da parte di numerosi fedeli laici, sono cresciuti in modo consistente. La stessa fioritura di nuove esperienze ecclesiali - finalizzate alla preghiera, all'approfondimento catechetico della fede, alla crescita della comunione, all'esercizio della carità e all'evangelizzazione -, come la vitalità dei nuovi Movimenti ecclesiali, sono per la nostra Chiesa un grande dono dello Spirito che attesta la rinnovata giovinezza della Sposa di Cristo. 10. - In questo quadro positivo non possiamo, tuttavia, non rilevare difficolta, squilibri e tensioni, tipici peraltro di un cammino di crescita. - La riscoperta della Chiesa quale "mistero di comunione" è stata talvolta erroneamente interpretata come la necessità di un ritorno a una Chiesa idealizzata, puramente spirituale, vista in contrapposizione a una Chiesa istituzionale che sarebbe frutto di situazioni storiche contingenti. Da qui la disaffezione ed anche il rifiuto di ogni forma di disciplina ecclesiale. - L'accento posto sull'eguale dignità dei battezzati ha fatto talora erroneamente pensare a una sorta di livellamento della comunità ecclesiale, in cui non si è più saputo o voluto riconoscere l'articolata e ordinata complementarietà di ministeri e carismi, che la strutturano come "un corpo ben compaginato e connesso" ( Ef 4,16 ). Proprio per questo non sempre si è stati attenti a valutare nel debito modo quel carisma dello Spirito, costitutivo dell'autentica Chiesa di Cristo, che è ministero di unità e di guida esercitato dal Papa e dai Vescovi. - La giusta affermazione della "libertà dello spirito" e della "parresia" ( franchezza ), che oggi a ragione sono sottolineate come qualità fondamentali del discepolo, non di rado è stata assolutizzata e vissuta più come rivendicazione che come espressione del dono della salvezza operata nei cuori dallo Spirito. E non sempre si è saputo armonizzare la ricerca della libertà con l'esercizio di quella fondamentale dimensione della sequela del Cristo che è l'obbedienza: virtù che, nel cristianesimo, prima di una motivazione sociologica, ha un profondo contenuto cristologico ed ecclesiale. - Anche dal punto di vista etico, l'accentuazione del principio della coscienza come del "nucleo più segreto e sacrario dell'uomo", ha fatto spesso dimenticare che proprio "nell'ultimo della coscienza l'uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire", una legge che il Magistero della Chiesa è chiamato a interpretare ed esplicitare alla luce del Vangelo. - Infine, la pluralità di nuove forme di spiritualità e di itinerari di fede, se da un lato ha fatto sperimentare la novità e la ricchezza dello Spirito, dall'altro talvolta ha rischiato di mettere in ombra l'essenziale verità che ogni dono nella Chiesa va esercitato nella carità e finalizzato all'unità. Per cui non di rado si è assistito a una contrapposizione tra i carismi e il ministero gerarchico, creando così un'atmosfera di reciproco disagio e anche di incomprensione. 11. - Una Chiesa, dunque, quella che vive in Italia, che si mostra di grande vitalità, ma anche attraversata da molteplici tensioni, di cui non abbiamo accennato che le piu appariscenti, ma che potremmo ricondurre a quelle tra libertà e obbedienza, coscienza e verità, spontaneità e disciplina, pluriformità e unità. E perciò legittimo e doveroso cercare di approfondire, alla luce del mistero di Cristo, la realtà della comunità ecclesiale come sacramento dell'intima unione con Dio e dell'unità degli uomini tra loro, nel quale queste tensioni trovano un'originale prospettiva di soluzione nella forza unificante e liberatrice della Spirito. Capitolo I - Libertà, obbedienza e disciplina nella Comunità Ecclesiale 12. - In questo primo capitolo vogliamo andare alle radici del significato cristiano della libertà e dell'obbedienza, quali dimensioni costitutive della comunione e presupposti della disciplina ecclesiale. Dopo un accenno all'Antico Testamento, ci soffermiamo sull'evento di Cristo Gesù, per illustrare poi queste fondamentali dimensioni dell'esistenza ecclesiale così come emergono dalla testimonianza della Chiesa delle origini e dall'insegnamento del Concilio Vaticano II, nella continuità della Tradizione ecclesiale. I. Israele, un popolo che nasce dall'ascolto della Parola e dall'osservanza della Legge 13. - L'Antico Testamento ci descrive l'esperienza originaria dell'uomo che, interpellato dalla Parola di Dio, si scopre come il "tu" del Creatore, creato "a sua immagine e somiglianza" ( Gen 1,26 ). Ciò che fa uomo l'uomo è, in radice, proprio la sua capacità di ascolto e di risposta a Dio. Tale ascolto, che si fa obbedienza alla Parola in cui Dio esprime la sua volontà, non è mai qualcosa di servile o di alienante: è, anzi, corrispondere al progetto che il Creatore ha sulla sua creatura, un progetto di dignità e di salvezza, di liberazione e di vita piena. Il cammino di Israele ci mostra inoltre che la chiamata di Dio è all'origine di un popolo, convocato dal Signore come "assemblea" dei chiamati. 14. - Abramo, accogliendo nella fede la Parola, diviene padre di una moltitudine, perchè dalla sua obbedienza al Signore inizia una storia nuova: il cammino dell'umanità fedele all'imprevedibile progetto di salvezza di Dio che si esprime nell'alleanza. E un progetto che si attua progressivamente nella storia e che è proiettato verso un avvenire più grande, attraverso l'intervento multiforme di Dio in mezzo al suo popolo: in Mosè e nella Legge donata ad Israele quale segno dell'alleanza; nel sacerdozio di Aronne e ella dinastia davidica; nei profeti che accendono sempre di nuovo la speranza e nella costante e fedele rinnovazione della promessa da parte di Dio. In particolare, il dono dell'alleanza si esprime in quello della Legge. La volontà di Dio si precisa nel decalogo ( Es 20,1-21; Dt 5,1-22 ), e anche in un ampia serie di leggi e prescrizioni che coprono l'ambito della morale, dei rapporti sociali e della liturgia ( cfr Es 20,22-23,33; Lv 17-26 ). Se per un verso sono leggi legate a una cultura e a un ambiente, per un altro verso sono il concretizzarsi della volontà di Dio. Per Israele l'obbedienza a Dio è anche obbedienza a queste leggi, che compaginano l'unità del popolo e lo guidano nella storia. II. Cristo, il Figlio libero e obbediente nella comunione col Padre 15. - In Gesù si attua la promessa e si compie la nuova alleanza: in lui, la Parola di Dio, accolta dalla fede e dall'obbedienza di Maria, viene ad abitare definitivamente in mezzo a noi ( Gv 1,14 ). Egli è il "nuovo Adamo", la realizzazione piena del disegno del Padre sull'umanità. Leggendo i Vangeli restiamo ammirati di fronte a due caratteristiche dell'esistenza di Gesù che, a prima vista, potrebbero sembrare contraddittorie, ma che invece ne esprimono l'assoluta originalità: egli è l'uomo della libertà e, contemporaneamente, è l'uomo dell'obbedienza! Gesù è l'uomo libero: di quella libertà che mostra di avere nei confronti delle consuetudini sociali e culturali ed anche delle prescrizioni legalistiche e rituali che vengono dagli uomini e non da Dio, e che perciò, spesso, mortificano l'uomo invece di liberarlo; di quella libertà dalle cose, dagli uomini, da se stessi, che esplode nel canto delle Beatitudini; di quella libertà che si esprime nel suo amore di preferenza per gli ultimi e che, alla fine, lo spingerà a far dono della sua stessa vita. Ma anche - anzi proprio per questo - Gesù è l'uomo della perfetta obbedienza a Dio: "Io sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di Colui che mi ha mandato" ( Gv 6,38 ); "Mio cibo è fare la volontà di Colui che mi ha mandato, e portare a compimento la sua opera" ( Gv 4,34 ) … Tutta la sua esistenza è un unico atto d'obbedienza al Padre, disteso nel tempo. Inoltre, il Vangelo ci mostra che Gesù , pur dichiarandosi oltre le molte prescrizioni che mortificano la vera volontà di Dio, è anche osservante delle leggi del suo popolo. Frequenta la sinagoga ( Mc 1,21; Lc 4,16 ) e il tempio ( Mc 11-12 ), si reca a Gerusalemme per le feste ( Gv 7,2ss; Gv 10,22 ), invia il lebbroso dai sacerdoti per la purificazione ( Mc 1,44 ) e paga il tributo del tempio ( Mt 17,24-27 ). Polemizza contro il ritualismo e il formalismo, ma non conclude con l'abolizione delle osservanze rituali e disciplinari, bensì afferma - a partire dal primato dell'amore - che "queste cose bisogna fare e quelle non tralasciare" ( Mt 23,23 ). 16. - La libertà di Gesù ha dunque la sua radice nell'obbedienza al progetto del Padre, calato nella concretezza della storia. Tutto questo ci spinge a penetrare nel cuore del suo mistero, che è rivelazione del mistero a cui ogni uomo, per dono, è chiamato a partecipare. Il fatto che in lui libertà e obbedienza, tensione verso la propria realizzazione e conformità al progetto di Dio coincidono, scaturisce dal mistero della sua identità. Egli è il Figlio unigenito del Padre che vive un rapporto di intimità e di assoluta trasparenza con Lui: "Ciò che fa il Padre lo fa anche il Figlio. Infatti, il Padre ama il Figlio e gli manifesta tutte le cose che fa" ( Gv 5,19-20 ); "Io e il Padre siamo uno" ( Gv 10,30 ). Il Padre, che ama il Figlio, gli mostra e dona ogni cosa; il Figlio, che è l'immagine perfetta del Padre, a Lui obbedisce nell'amore, in tutto accogliendo e compiendo il suo volere. Dal Padre l'amore "discende" come dono inesauribile e gratuito; e dal Figlio l'amore "sale" come obbedienza libera e fiduciosa. 17. - L'obbedienza di Gesù , come via alla comunione con il Padre e alla realizzazione della sua esistenza nel dono ai fratelli, non si può perciò comprendere in tutta la sua profondità e verità senza riferirsi all'ineffabile "dialogo trinitario" d'amore fra Padre e Figlio, che trabocca nella gioiosa comunione dello Spirito Santo. E proprio questo dialogo d'amore che egli esprime nella storia attraverso la sua esistenza di uomo. Un'esistenza che, vissuta nel contesto di un'umanità che sperimenta la propria lontananza da Dio, non può non conoscere la fatica e il dolore: "pur essendo Figlio - scrive la Lettera agli Ebrei - imparò l'obbedienza dalle cose che patì" ( Eb 5,8 ). La preghiera nel Getsemani - "Padre mio, se possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu" ( Mt 26,39 ) - ci dice a quale profondità sia giunto questo "umano imparare" e questa "fatica" dell'obbedienza di Gesù . Il discernimento del progetto di Dio nella storia e la libera adesione ad esso, anche per Lui passano attraverso l'opacità delle situazioni umane e il peso della sofferenza. 18. - Il progetto di Dio sull'uomo, manifestato in Cristo, ci rivela la nostra altissima vocazione di uomini chiamati ad essere figli nel Figlio, rispondendo nell'obbedienza dell'amore al Padre, che per amore ci ha creati e ci salva destinandoci a "essere conformi all'immagine del Figlio suo" ( Rm 8,29 ). Per questo, l'Apostolo Paolo, quando vuol presentare ai cristiani il modello vivo e reale del cammino di crescita dell'uomo nella comunione con Dio e con i fratelli, non può non riferirsi all'obbedienza di Gesù spinta sino al dono della vita: "( Egli ) spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce" ( Fil 2,7-8 ). III. Per la sua perfetta obbedienza Gesù è costituito Signore 19. - Ma è lo stesso Paolo - in unità con tutta la Tradizione apostolica - a dirci come, proprio in virtù di questa perfetta obbedienza, Gesù è stato costituito Signore e Cristo nella sua resurrezione, per condurre come capo e primogenito tutti gli uomini alla salvezza: "Per questo Dio lo ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perchè nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre" ( Fil 2,9-11 ). 20. - In realtà, già nella sua vita terrena Gesù mostra di possedere un'autorità che gli viene direttamente dal Padre: quella d'insegnare una "dottrina nuova", di guarire i malati e scacciare i demoni ( cfr Mc 1,27; Mt 4,23-24 ) … : in sintesi, l'autorità di annunciare con la Parola e di inaugurare con i suoi gesti di salvezza la venuta del Regno di Dio in mezzo agli uomini ( cfr Mc 1,15 ). Per questo, l'evangelista Matteo lo presenta come il legislatore della nuova e definitiva alleanza, venuto per dare compimento alla Legge e ai Profeti ( cfr Mt 5,17 ). Con l'autorità messianica, che possiede in pienezza, Gesù convoca anche attorno a sé il nuovo Israele e, in particolare, sceglie e chiama i Dodici, rendendoli partecipi della sua stessa missione ( Mc 3,13-15 ). 21. - Infine, in virtù della perfetta obbedienza resa al Padre nell'adempimento della sua missione, Gesù diviene, attraverso il mistero della sua Pasqua di morte e risurrezione, "causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono" ( Eb 5,9; cfr Rm 5,9 ). Investito dal Padre di "ogni potere in cielo e in terra", Cristo risorto, col dono dello Spirito, invia gli Apostoli e partecipa loro la sua autorità messianica: "andate e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che io vi ho comandato" ( Mt 28,18-20 ). IV. La comunità del Cristo dimora nella dottrina degli Apostoli 22. - In questa luce si comprendono le caratteristiche che il dono della comunione col Padre e con i fratelli, fattoci da Cristo nel suo Spirito, viene ad assumere nella Chiesa. Innanzitutto, essere fedele all'amore di Cristo significa per la Chiesa osservare le sue parole ( Gv 17,6-8 ) che esprimono la verità della sua esistenza e, in Lui, la verità del progetto di Dio sull'uomo. L'Apostolo Giovanni ritorna più volte su questo concetto. "Da questo sappiamo d'averlo conosciuto - egli scrive ad esempio -: se osserviamo i suoi comandamenti. Chi dice: Lo conosco, e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e la verità non è in lui" ( 1 Gv 2,3-4 ). Identico invito risuona dalle labbra di Gesù stesso: "Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i mie comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore" ( Gv 15,9-10 ). L'esistenza ecclesiale è dunque un vivere nell'amore e nella libertà di Cristo, un partecipare del rapporto filiale tra Lui il Padre e un crescere nella comunione con i fratelli. Ma la verità di questo amore, l'autenticità di questa comunione hanno una misura oggettiva: l'obbedienza ai comandamenti del Signore. A quelli, in primo luogo, che egli medesimo ha dato; ma anche a quelli che la Chiesa, illuminata dallo Spirito che "guida alla verità tutta intera" ( Gv 16,13 ), espliciterà nel corso dei tempi, aderendo alla Parola del Signore e mettendola a confronto con le diverse situazioni storiche. 23. - La comunione donata dal Cristo e attuata dal suo Spirito ha infatti un'altra misura di verità, strettamente collegata alla precedente: l'adesione a coloro che Cristo ha mandato perchè continuino, in unione con Lui, la missione affidatagli dal Padre. Il ministero degli Apostoli, infatti, si riassume nel continuare visibilmente la presenza del Cristo, la sua stessa missione in mezzo ai credenti: "Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi" ( Gv 20,21; cfr Mc 13,14-15; Mt 18,18; Mt 28,19-20; Lc 24,45-48; At 1,8; At 2,1-4 ). La missione del collegio degli Apostoli, con a capo Pietro ( cfr Gv 21,15-17; Mt 16,17-19; Lc 22,31-32 ), si pone sul prolungamento della missione del Cristo risorto, capo e principio di vita del corpo della Chiesa ( cfr Col 1,18-20; Ef 4,15-16 ). Perciò, la comunità cristiana è consapevole che, come gli Apostoli, accogliendo Cristo, hanno accolto il Padre, allo stesso modo essa, accogliendo gli Apostoli e "dimorando nel loro insegnamento" ( cfr At 2,42 ), accoglie Cristo e dimora nel suo insegnamento: "Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie Colui che mi ha mandato" ( Mt 10,40; cfr Lc 10,16 ). V. Comunione e disciplina nella Chiesa delle origini 24. - Ma che cosa significa, concretamente, osservare i comandamenti del Signore? È forse possibile aderire alla Parola di Dio senza aderire alle norme morali, ma anche disciplinari e pastorali che i Pastori della Chiesa impartono per edificare nella storia la comunità del Cristo? Per rispondere a questi interrogativi, osserviamo la Chiesa delle origini, specchio nel quale la comunità cristiana d'ogni epoca deve riflettersi, scegliendo l'esempio della Chiesa di Corinto. 25. - L'Apostolo Paolo riconosce con gioia che questa comunità è ricca di molti doni dello Spirito ( Cfr 1 Cor 1,5-7 ). Questo però non impedisce che sia attraversata da tensioni che la minacciano profondamente. Cè una prima divisione in partiti e correnti, riferendosi chi a un Apostolo chi a un altro ( 1 Cor 1,11-12 ). Cè chi ha compreso che si può mangiare la carne immolata agli idoli e chi, invece, è ancora prigioniero di vecchie superstizioni e ne resta scandalizzato ( 1 Cor 8,1ss ). Ci sono i ricchi e ci sono i poveri ( 1 Cor 11,21 ). E ci sono i molti doni dello Spirito i quali - anzichè convergere verso l'edificazione comune - finiscono col rivaleggiare tra loro e contrapporsi ( cfr 1 Cor 12 e 1 Cor 14 ). Né mancano incertezze, per non dire vere e proprie deviazioni, in campo morale, liturgico e pastorale. 26. - È in questa situazione che l'Apostolo interviene con tutto il peso dell'autorità che gli deriva dal mandato del Signore, per ricordare la preminenza assoluta del dono della comunione e il dovere di tradurla nei rapporti concreti. Egli precisa che la Chiesa è una comunione che si esprime in una comunità articolata come un corpo vivente, la cui legge fondamentale è la complementarietà nell'amore fra le varie membra e la convergenza per la crescita comune nel Cristo risorto. Di qui scaturiscono i criteri per discernere e ordinare i molti carismi: non solo il riconoscimento di Cristo Signore ( 1 Cor 12,3 ), ma anche l'utilità comune ( 1 Cor 12,7 ). Inoltre, spiega Paolo, la comunione delle varie membra non si realizza semplicemente in uno sforzo di reciproco arricchimento e sostegno, ma anche in un comune slancio missionario, in una crescita verso la "piena maturità di Cristo" ( cfr Ef 4,11-13 ). Infine, l'Apostolo non esita a impartire norme concrete e precise, ad esempio per lo svolgimento corretto di un'assemblea della Parola ( 1 Cor 14,22-31.34 ). Sono norme autorevoli, che esigono obbedienza: Paolo, infatti, vuole che "quanto scrive" sia riconosciuto come "comando del Signore" ( 1 Cor 14,37 ). I due livelli del discorso - quello dottrinale e morale e quello disciplinare - non sono semplicemente accostati, ma, pur distinti, si innestano profondamente l'uno nell'altro: la comunione articolata esige una disciplina, e la disciplina deve esprimere la comunione. La motivazione di fondo che l'Apostolo adduce è tanto semplice quanto forte e decisiva: "perchè Dio non è un Dio di disordine, ma di pace" ( 1 Cor 14,33 ). 27. - Non sarebbe difficile estendere il discorso alle altre comunità cristiane primitive. Il Nuovo Testamento mantiene fermo il principio che nella comunità ecclesiale è presente lo Spirito del Risorto, che la compagina nella comunione e la guida distribuendo i suoi doni; nello stesso tempo, sottolinea che la comunione esige anche l'autorità degli Apostoli e l'obbedienza: altrimenti, i molti doni dello Spirito si disperdono, anzichè costruire una comunità visibile e credibile. L'esperienza delle prime comunità cristiane, poi, è ricca di indicazioni non solo per l'obbedienza dei cristiani, ma anche per l'esercizio dell'autorità dei Pastori. Molti testi evangelici ricordano che essa deve esercitarsi come un servizio, e non erigersi a dominio. La presenza di simili avvertimenti in tutta la tradizione evangelica e in contesti molteplici ( cfr Lc 22,25-27; Mc 9,35; Mt 18,4; Lc 9,46; Mc 10,44-45; Mt 23,8-10; Gv 13,12-17 ), prova che già la comunità primitiva, appellandosi all'insegnamento del Signore, ne sentiva tutta l'importanza. Se, da una parte, l'autorità nella Chiesa ha il dovere di impartire delle norme e quindi il diritto di esigere l'obbedienza, dall'altra va egualmente sottolineato che essa si giustifica unicamente come un servizio alla comunione, intesa sia come fedeltà a Cristo sia come edificazione comune. Esercitare l'autorità è, in realtà, per i Pastori un modo concreto e impegnativo di vivere l'obbedienza a Cristo. Senza dimenticare, infine, che l'autorità nella Chiesa deve essere evangelica non soltanto nel suo fine ma anche nelle modalità del suo esercizio, che vanno permeate e sostanziate di carità. VI. L'insegnamento del Concilio Vaticano II 28. - In continuità con la testimonianza apostolica e con l'ininterrotta Tradizione della Chiesa, il Vaticano II ha riaffermato che la comunione ecclesiale si esprime in una comunità visibile e ordinata da una sua propria disciplina di vita e di governo. "La società costituita di organi gerarchici e il corpo mistico di Cristo, la comunità visibile e quella spirituale - scrive la Lumen gentium - ( … ) non si devono considerare come due cose diverse, ma formano una sola complessa realtà. ( … ) Come la natura assunta serve al Verbo divino da vivo organo di salvezza, a lui indissolubilmente unito, in modo non dissimile l'organismo sociale della Chiesa serve allo Spirito di Cristo che la vivifica, per la crescita del corpo ( cfr Ef 4,16 )". 29. - In questa prospettiva, all'interno dell'unico popolo di Dio, del quale si è resi partecipi in virtù del battesimo e nel quale tutti godono della stessa dignità, si colloca la presenza e lo specifico ministero del Papa e dei Vescovi. "Il Romano Pontefice, quale successore di Pietro, è il perpetuo e visibile fondamento dell'unità sia dei Vescovi sia della moltitudine dei fedeli. I singoli Vescovi, invece, sono il visibile principio e fondamento di unità nelle loro Chiese particolari, formate a immagine della Chiesa universale". "Nella persona dei Vescovi, assistiti dai presbiteri, è presente in mezzo ai credenti il Signore Gesù Cristo"; per questo i fedeli sono invitati ad "aderire al Vescovo come la Chiesa a Gesù Cristo e come Gesù Cristo al Padre". 30. - I Vescovi sono pertanto insigniti del triplice ministero della predicazione, della santificazione e del governo della Chiesa loro affidata, e svolgono tale ministero a servizio e in edificazione della vita di comunione del popolo santo di Dio, che - come afferma la Lumen gentium - è popolo profetico, sacerdotale e regale. Innanzitutto, i Vescovi sono chiamati a "predicare al popolo loro affidato la fede da credere e da applicare nella pratica della vita", esercitano il servizio del Magistero dottrinale e morale. In secondo luogo, in quanto possiedono la pienezza del sacramento dell'Ordine, esercitano il supremo sacerdozio di Cristo e sono i primi dispensatori della grazia dei sacramenti. Infine, "reggono le Chiese particolari a loro affidate ( … ) col consiglio, la persuasione, l'esempio, ma anche con l'autorità e la sacra potestà", in virtu della quale "hanno il sacro diritto e davanti al Signore il dovere di dare leggi ai loro sudditi, di giudicare e di regolare tutto quanto appartiene al culto e all'apostolato". In altre parole, essi possiedono ed esercitano un'autorità disciplinare e pastorale. 31. - La Lumen gentium mette anche in evidenza la partecipazione dei presbiteri alla missione del Vescovo e la loro unità nel presbiterio, a servizio dell'edificazione della comunione ecclesiale. "I presbiteri, pur non possedendo il vertice del sacerdozio e dipendendo dai Vescovi nell'esercizio della loro potestà, sono tuttavia a loro uniti nell'onore sacerdotale e, in virtu del sacramento deillOrdine, ( … ) sono consacrati per predicare il Vangelo, pascere i fedeli e celebrare il culto divino, quali veri sacerdoti del Nuovo Testamento ( … )". "( Quali ) saggi collaboratori dell'Ordine episcopale e suo aiuto e strumento, ( … ) costituiscono col loro Vescovo un unico presbiterio, sebbene destinato a uffici diversi. Nelle singole comunità di fedeli rendono, per così dire, presente il Vescovo, cui sono uniti con animo fiducioso e grande, condividono in parte le sue funzioni e la sua sollecitudine e la esercitano con dedizione quotidiana". 32. - Infine, il Concilio non manca di precisare quali debbano essere i rapporti fra i laici e la gerarchia, perchè siano espressione e strumento di vera comunione. I laici "con cristiana obbedienza prontamente accettino ciò che i Pastori, quali rappresentanti di Cristo, stabiliscono come maestri e capi nella Chiesa, seguendo in ciò l'esempio di Cristo, il quale con la sua obbedienza fino alla morte ha aperto a tutti gli uomini la via beata della libertà dei figli di Dio". I Pastori a loro volta "riconoscano e promuovano la dignità e la responsabilità dei laici nella Chiesa; si servano volentieri del loro prudente consiglio, con fiducia affidino loro degli incarichi per il servizio della Chiesa e lascino loro libertà e campo di agire, anzi li incoraggiano perchè intraprendano delle opere anche di propria iniziativa. Considerino attentamente in Cristo e con paterno affetto le iniziative, le richieste e i desideri proposti dai laici ( cfr 1 Ts 5,19; 1 Gv 4,1 ). Con rispetto poi i Pastori riconosceranno quella giusta libertà che a tutti compete nella città terrestre''. VII. Indicazioni per il nostro cammino di Chiesa 33. - Rispecchiandosi nella Parola di Dio, letta alla luce del Magistero del Concilio Vaticano II, la nostra Chiesa può individuare delle piste concrete sulle quali camminare per rispondere all'appello dello Spirito e per dare soluzione evangelica alle tensioni che l'attraversano. Raccogliamo, in sintesi, alcuni elementi che ci sembrano emergere, con particolare evidenza e aderenza alla nostra situazione ecclesiale, dall'esame sin qui condotto. 34. - Innanzitutto, ci preme sottolineare che l'obbedienza a Dio e alla piena manifestazione della verità dell'uomo, rivelata in Cristo è la via irrinunciabile attraverso la quale l'uomo può realizzare la sua identità nel progetto di Dio. Nelle nostre comunità, e nei singoli credenti, è perciò urgente risvegliare la consapevolezza che la fedeltà ai comandi del Signore, interpretati dal Magistero della Chiesa e da esso applicati ai diversi ambiti dell'esperienza personale e sociale e alle diverse situazioni storiche, è la risposta alla più profonda vocazione dell'uomo. Su alcune implicazioni di queste affermazioni per la vita morale del cristiano ritorneremo nel secondo capitolo. 35. - In secondo luogo, è essenziale riscoprire nelle nostre comunità l'importanza e il significato di quella che Giovanni Paolo I ha definito" la grande disciplina della Chiesa ( … ) quale collaudata ricchezza della sua storia". Essa - come ha sottolineato Giovanni Paolo II - "non ha come scopo in nessun modo di sostituire la fede, la grazia, i carismi e soprattutto la carità dei fedeli nella vita della Chiesa. Al contrario, il suo fine è piuttosto di creare tale ordine nella società ecclesiale che, assegnando il primato all'amore, alla grazia e ai carismi, rende più agevole contemporaneamente il loro organico sviluppo nella vita sia della società ecclesiale, sia anche delle singole persone che ad essa appartengono". Nel terzo capitolo offriremo alcune indicazioni sulle fonti e gli strumenti della disciplina canonica nell'oggi della Chiesa. 36. - Siamo convinti, infine, che la vitalità manifestata oggi dalla Chiesa in Italia potrà trovare la sua espressione più feconda e una più vigorosa incidenza missionaria nella misura in cui saprà riconoscersi nell'unità attorno a Cristo, presente nella sua Chiesa attraverso il ministero dei Pastori. Tutto ciò implica che si instauri un clima di sincera fraternità, di reciproca accoglienza, di valorizzazione dei diversi carismi e cammini di fede, ma anche di fiducioso e grato riconoscimento del servizio di discernimento e di autorità, di indirizzo dottrinale, disciplinare e pastorale svolto nelle singole Chiese particolari dai Vescovi, in comunione collegiale e gerarchica con il Successore di Pietro. È implica, al tempo stesso, una crescita di tutti i cristiani nella partecipazione e nella corresponsabilità all'edificazione e all'espansione della comunione ecclesiale. Nell'ultimo capitolo svilupperemo alcune linee di impegno e di verifica pastorale in questa direzione. Capitolo II - Coscienza morale, Magistero e Disciplina Ecclesiale 37. - Non si può parlare del significato della disciplina nel mistero della comunione ecclesiale senza approfondire le implicazioni di questa realtà per la vita morale del cristiano. Oggi infatti, il rapporto tra la coscienza morale e la disciplina solleva non poche difficoltà. Lo testimonia il fatto di appellarsi, spesso, proprio alla coscienza per disattendere le indicazioni della disciplina ecclesiale. Talvolta, anzi, l'appello alla coscienza si configura nei termini di una "obiezione", sollevata non soltanto a proposito di una norma canonica ma anche nei riguardi della stessa legge morale. Come abbiamo rilevato nell'Introduzione, l'appello alla coscienza risulta non di rado viziato dal soggettivismo: di qui il rifiuto di ogni altra norma che non sia il soggetto stesso. A sua volta, il soggettivismo è insieme frutto e segno dell'assolutizzazione della libertà, interamente spogliata di un'autentica responsabilità. In una simile situazione occorre lanciare la sfida di una lettura più matura e critica di queste dimensioni della persona: la libertà, la coscienza e la responsabilità morale; e mettere in luce il loro rapporto con la legge morale, con il servizio del Magistero nella comunità cristiana e con l'intera realtà della disciplina ecclesiale. I. "La verità vi fara liberi" 38. - Nessuno più del cristiano può e deve amare la libertà, perchè nessuno meglio di lui ne può cogliere il significato profondo. Come insegna il Vaticano II, la libertà "è nell'uomo segno altissimo dell'immagine divina". L'Apostolo Paolo la propone come la mèta stessa della vocazione del discepolo: "Voi, fratelli, siete stati chiamati a libertà" ( Gal 5,13 ). Ma lo stesso Paolo precisa: "purchè questa libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri" ( ibid. ). Tali parole definiscono la libertà non nei termini del "libero arbitrio", ossia d'una capacità di scelta - comunque la scelta possa essere fatta -, bensì nei termini d'una possibilità di scelta che esige di attuarsi secondo la verità della vita cristiana. La libertà, infatti, non si può comprendere né realizzare se non in riferimento alla verità, che ci è manifestata in pienezza in Cristo: "se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli: conoscerete la verità e la verità vi farà liberi" ( Gv 8,31 ). La verità che Cristo mostra ed è ( cfr Gv 14,6 ) rende libero il cristiano perchè gli rivela il progetto di Dio sull'uomo e gli indica la strada per realizzare pienamente la sua esistenza in conformità a questo progetto. Libertà e verità non sono, pertanto, realtà contrastanti o contraddittorie, così come non lo sono libertà e obbedienza. Anzi, possiamo affermare che nel cristiano, come in Gesù , la libertà si esprime come obbedienza amorosa alla verità. La libertà - insegna il Concilio - è rafforzata proprio dall'esercizio dell'obbedienza. 39. - In questo senso, la libertà si può definire come "responsabilità" nei confronti della verità dell'uomo, così come è pensato, creato e redento da Dio in Gesù Cristo: è libera risposta di amore a una libera chiamata di amore. E la verità dell'uomo, in fondo, non è che la chiamata alla comunione col Padre in Cristo e, in Lui, con i fratelli: quell'unità nell'amore che è partecipazione alla vita trinitaria stessa del Creatore. Perciò, la libertà manifesta il suo autentico volto solo nella misura in cui si attua come capacità di risposta a Dio, nel dono sincero e gratuito di sé a Lui e ai fratelli. È evidente, allora, che la libertà ha un'intrinseca dimensione sociale, in quanto la persona è chiamata a realizzarsi nella comunione. Deve quindi continuamente confrontarsi non solo con la verità dell'uomo rilevata in Cristo, ma anche con le concrete esigenze della comunione ecclesiale e del suo cammino di crescita attraverso la storia, nella fedeltà a Cristo e nel costante ascolto del suo Spirito. II. Nella coscienza l'uomo ascolta la voce di Dio 40. - Se, in termini generali, il rapporto fra libertà e obbedienza alla verità può non sollevare problemi, tale rapporto incontra delle difficoltà nei casi concreti, di fronte a norme e prescrizioni morali che vogliono esprimere e in qualche modo concretizzare questa verità, ma per le quali il giudizio della propria coscienza sembra poter sollevare delle obiezioni. In realtà, è proprio nell'intimo della sua coscienza che il cristiano vive e cresce nella sua libertà resposabile, maturando decisioni e scelte in rapporto alla verità dell'uomo rivelata in Cristo e, insieme, in rapporto alla storia di ciascuno, nella sua concreta e irripetibile situazione di vita e nel contesto della società e della cultura in cui si trova inserito. Diventa allora necessario precisare il concetto di coscienza morale. Di essa possiamo riprendere ciò che dice la Gaudium et spes: "La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell'intimità propria". È infatti grazie alla coscienza che l'uomo "entra in se stesso", scendendo in quel "luogo interiore" che la Bibbia chiama "cuore". E per entrare in sé l'uomo deve avere il coraggio di restare solo. Certamente, egli "per sua intima natura è un essere sociale, e senza i rapporti con gli altri non può vivere né esplicitare le sue doti": in questo senso ha bisogno degli altri e deve sostenere il confronto con le persone, gli eventi, le situazioni, gli strumenti culturali e scientifici di comprensione dell'uomo. Eppure, la coscienza si dà proprio quando l'uomo "si trova solo": perchè questa solitudine crea la possibilità di un ascolto e si riempie della presenza di Dio, che parla al cuore di ciascuno. Per questo il Concilio definisce la coscienza un "sacrario", quasi un tempio spirituale nel quale s'incontrano e dialogano Dio e l'uomo. 41. - La coscienza fa dunque riferimento, nei suoi giudizi e nelle decisioni, a Dio che manifesta all'uomo la verità della sua vocazione di uomo. In questo senso la Tradizione ha costantemente parlato della "legge" morale ( in cui si esprime la voce di Dio ) come termine di confronto e punto di riferimento oggettivo della coscienza che giudica e decide. "Nell'intimo della coscienza - scrive la Gaudium et spes - l'uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire e la cui voce, che lo chiama sempre ad amare e a fare il bene e a fuggire il male, quando occorre, chiaramente dice alle orecchie del cuore: fa questo, fuggi quest'altro. L'uomo ha in realtà una legge scritta da Dio dentro il suo cuore; obbedire è la dignità stessa dell'uomo, e secondo questa egli sarà giudicato". Questa legge è impressa nel cuore di ogni uomo, è donata da Dio al suo popolo Israele, nell'Antico Testamento, è perfezionata e rivelata in pienezza da Cristo Gesù, ed è interiorizzata nel cuore del credente dalla grazia dello Spirito. 42. - Coscienza e legge morale non vanno dunque viste come realtà antitetiche. La coscienza è fatta per scoprire la legge morale e per aderire ad essa. La legge morale dice alla coscienza ciò che è bene e ciò che è male, ciò che umanizza l'uomo secondo il progetto di Dio e ciò che lo aliena. Inoltre, la legge compie una funzione pedagogica nei confronti della coscienza: la educa alla verità e al bene, la forma cristianamente e la fortifica, la rende sempre più autenticamente libera e pronta a percepire e seguire la voce dello Spirito. III. Il Magistero della Chiesa illumina la coscienza morale 43. - È importante, poi, sottolineare che il Signore Gesù continua a parlare oggi al cristiano attraverso la Chiesa, alla quale ha donato il suo Spirito di verità. Per questo la coscienza morale deve essere attenta e prestare ascolto alla voce della Chiesa e in particolare a quella dei Pastori, ai quali il Signore risorto ha affidato il ministero di maestri e dottori dei suo popolo. In questa prospettiva l'Apostolo Paolo collega il discernimento della verità, al quale la coscienza deve conformarsi, non solo alla voce interiore dello Spirito che guida il credente a una comprensione sempre più profonda delle esigenze del Vangelo ( cfr Rm 12,2; Ef 4,23-24 ), ma anche a un approfondimento che avviene all'interno della comunione ecclesiale, in particolare mediante la "esortazione" ( cfr Rm 12,1 ) apostolica. La coscienza morale del cristiano vive dunque, e si educa, attraverso l'ascolto della voce dello Spirito, che parla nel suo intimo, e nello stesso tempo attraverso l'ascolto della voce del medesimo Spirito, che parla nella Chiesa e si esprime nel Magistero degli Apostoli e dei loro successori. In questo senso - come ha precisato Giovanni Paolo II - "poichè il Magistero della Chiesa è stato istituito da Cristo Signore per illuminare la coscienza, richiamarsi a questa coscienza precisamente per contestare la verità di quanto è insegnato dal Magistero comporta il rifiuto della concezione cattolica sia di Magistero che di coscienza morale". 44. - Circa l'atteggiamento che il cristiano deve avere nei confronti del Magistero della Chiesa, la Lumen gentium afferma: " I Vescovi, quando insegnano in comunione col Romano Pontefice, devono essere da tutti ascoltati con venerazione quali testimoni della divina e cattolica verità; e i fedeli devono accettare il giudizio del loro Vescovo dato a nome di Cristo in materia di fede e di morale, e aderirvi con religioso rispetto". "Ma questo religioso rispetto di volontà e di intelligenza lo si deve in modo particolare prestare al Magistero autentico del Romano Pontefice, anche quando non parla 'ex cathedra', così che il suo supremo Magistero sia con riverenza accettato, e con sincerità si aderisca alle sentenze da lui date, secondo la mente e la volontà da lui manifestata, la quale si palesa specialmente sia dalla natura dei documenti, sia dal frequente riproporre la stessa dottrina, sia dal tenore dell'espressione verbale". 45. - È certamente vero che gli insegnamenti del Magistero hanno un diverso valore dottrinale, e che la prerogativa della infallibilità compete in modo specifico al Sommo Pontefice quando "sancisce con atto definitivo una dottrina riguardante la fede e la morale", al collegio episcopale "quando esercita il supremo Magistero col Successore di Pietro", e anche ai "singoli Vescovi, quando, anche dispersi nel mondo, ma conservanti il vincolo della comunione tra di loro e con il Successore di Pietro, nel loro insegnamento autentico circa materie di fede e di morale convengono su una sentenza da ritenersi definitiva". Ma la giusta distinzione fra insegnamento infallibile e non infallibile non deve costituire un alibi, che dispensi il credente dal "religioso rispetto di volontà e di intelligenza" che sempre è tenuto ad avere nei riguardi del Magistero. Tale rispetto richiede di accogliere concretamente il quotidiano servizio di verità che il Papa e i Vescovi svolgono in favore del popolo di Dio. 46. - Nell'integrale ed autentica esperienza della vita ecclesiale, la coscienza cristiana deve perciò tendere ad essere non solo "retta", e cioè fedele e coerente con ciò che sinceramente ascolta nel suo intimo; ma anche "vera", e cioè capace di giudicare e di decidere secondo la verità morale rivelata da Cristo ed interpretata dal Magistero, anche quando questa verità non è pienamente compresa dal credente in tutte le sue motivazioni. Conformandosi in spirito di fede all'insegnamento morale della Chiesa, il cristiano non potrà mancare di fare l'esperienza che solo la "porta stretta" ( Mt 7,13-14 ) del rinnegamento di sé ( Mc 8,34-35 ), che spesso può apparire dura e oscura, conduce in realtà a quella gioia e a quella libertà che sono veri frutti dello Spirito di Cristo ( Gal 5,22 ). IV. La coscienza cristiana e la disciplina ecclesiale 47. - Bisogna infine ricordare che la coscienza morale cristiana è interpellata non solo dai pronunciamenti riguardanti la fede da credere e da applicare nella pratica della vita, ma anche dalle direttive disciplinari e pastorali del Papa e dei Vescovi. Cetamente non si devono confondere la legge morale e la norma giuridica, né i loro rispettivi contenuti. Ma la disciplina ecclesiale risponde a un'esigenza non puramente esteriore e funzionale; il suo significato non si esaurisce nell'assicurare una perfetta organizzazione e un'efficiente funzionalità della comunità cristiana. Si tratta, più in profondità, di una esigenza interiore ed essenziale, che deriva dal fatto che la disciplina ecclesiale è al servizio della comunione. 48. - L'accoglienza cordiale e convinta dell'intera realtà della disciplina ecclesiale da parte della coscienza morale si concretizza nell'accoglienza delle diverse norme disciplinari e pastorali. Non tutte rivestono lo stesso valore, né in se stesso né in rapporto al variare delle condizioni storiche: di conseguenza anche la loro obbligatorietà ha diversità di gradi. Ma quando si tratta di leggi della Chiesa universale e particolare ( norme del Codice di diritto canonico, norme liturgiche e sacramentali, norme promulgate dal Vescovo per la propria Diocesi ), esse obbligano in coscienza, e la loro infrazione può diventare una colpa morale, anche grave, in rapporto alla maggiore o minore importaaza di ciò che è comandato. 49. - Non è lecito, d'altra parte, appellarsi al carattere storico di varie espressioni concrete della disciplina ecclesiale, per non accoglierle e non viverle secondo il loro significato. Non perchè si debba assolutizzare ciò che è relativo, ma perchè anche ciò che è relativo possiede un suo preciso valore, in quanto è posto al servizio della comunione ecclesiale e della promozione del "bene comune". È vero infatti che alcune norme possono essere cambiate, come già è accaduto e come potrà accadere anche in futuro, ma ciò non toglie che la loro osservanza, finchè sono in vigore, costituisca un criterio di autentico comportamento e spirito ecclesiale. Va inoltre sottolineato che l'obbedienza alla disciplina della Chiesa si mostra normalmente come una via maestra, percorrendo la quale il cristiano si educa a vivere con serietà, concretezza e umiltà in vista dell'utilità comune ( cfr 1 Cor 12,7 ). Anche attraverso questa forma di obbedienza crescono insieme la libertà e la comunione autenticamente ecclesiali. Capitolo III - Fonti e strumenti della Disciplina Ecclesiale I. Vicenda storica e significato della disciplina ecclesiale 50. - Abbiamo già considerato il primo formarsi della disciplina ecclesiale nell'esperienza di vita della Chiesa nascente ( cfr Cap. I ). Dall'epoca post-apostolica in poi, l'esigenza che la comunità ecclesiale ha di crescere, in modo da edificare se stessa nella comunione, ha provocato un progressivo sviluppo sia nell'organizzazione istituzionale che nella legislazione della Chiesa, ferma restando quella struttura essenziale che è di origine divina, poichè proviene da Cristo Signore e fondatore della Chiesa. Le fonti di questa progressiva articolazione sono i Concili, i Sinodi, i rescritti pontifici, le disposizioni episcopali; ma anche l'esperienza dell'intero popolo di Dio, che dà forma a comportamenti stabili e diventa leggittima consuetudine. Nasce a poco a poco anche quell'originale fenomeno di "ordinamento comunitario" che è la disciplina della vita consacrata nelle sue varie forme. La vicenda stessa del rapporto della Chiesa con la comunità politica concorre a farne crescere la dimensione istituzionale e il patrimonio disciplinare. In questo cammino storico emerge l'esigenza di una riflessione sistematica sul diritto della Chiesa, che va intanto ordinandosi nelle prime raccolte organiche. La recente promulgazione del nuovo Codice di Diritto canonico per la Chiesa latina è il segno emblematico di questo ininterrotto processo di autoconfigurazione disciplinare, proprio della vita e della crescita della Chiesa. 51. - Da un'attenta considerazione di questi sviluppi si può concludere che l'ordinamento istituzionale e disciplinare della Chiesa nasce dall'esigenza della fedeltà alla missione che Cristo le ha affidato e quindi, in definitiva, dall'urgenza della salvezza degli uomini, "che nella Chiesa deve essere la legge suprema". Dalla storia della Chiesa si rileva inoltre che ogni autentico rinnovamento nella sua vita è partito indubbiamente dal "rinnovamento del cuore", ma si è tradotto anche in un rinnovamento della disciplina e in un aggiornamento delle sue forme. Tale rinnovamento è richiesto da un lato dalla perenne "riforma", cui è tenuta la comunità ecclesiale per mantenersi fedele alla sua divina origine e missione, dall'altro dalla necessità di tener conto delle mutevoli circostanze sociali e culturali in cui essa opera. Si comprende, perciò, come sia normale che le forme istituzionali e le disposizioni normative della Chiesa mutino e si rinnovino nel tempo, pur rimanendo costantemente sotto il giudizio della Parola di Dio e in continuità con la Tradizione ecclesiale. II. Il nuovo Codice di Diritto Canonico 52. - Il tempo della Chiesa che stiamo vivendo è tempo di grande rinnovamento, che tocca anche la disciplina ecclesiale. Ciò spiega perchè la Chiesa latina abbia rinnovato la sua legislazione generale, con l'entrata in vigore del nuovo Codice di Diritto Canonico, avvenuta il 27 novembre 1983. Esso si sostituisce al Codice del 1917 e intende tradurre in norme generali concrete, precise, organiche i grandi valori e le autorevoli direttive che il Concilio Vaticano II ha proposto alla riflessione e alla vita della Chiesa. Merita perciò di essere ampiamente conosciuto, seriamente studiato, fedelmente applicato, sempre nella luce dell'insegnamento complessivo del Concilio Vaticano II, che ne costituisce - come il Papa stesso ha ricordato - il fondamentale criterio di interpretazione. In questo modo si dà prova di prendere sul serio le disposizioni conciliari, senza interpretazioni arbitrarie e al di là di riduzioni o di enfatizzazioni di comodo. 53. - Ci pare doveroso proporre all'impegno di tutti alcune indicazioni: - una conoscenza almeno sintetica del significato e delle linee essenziali del Codice di Diritto canonico dovrebbe far parte di una completa e matura catechesi per i giovani e per gli adulti, con qualche opportuno sviluppo per coloro che sono chiamati a vivere speciali responsabilità nella Chiesa ( preparazione ai matrimonio e alla famiglia, responsabilità educative, compiti di insegnamento, esercizio di ministeri ); - uno studio più approfondito è richiesto nelle scuole di formazione qualificata, dagli Istituti di scienze religiose sino ai Seminari teologici; così pure una particolare conoscenza degli aspetti specifici che li riguardano va assicurata a quanti operano in settori della pastorale di una certa complessità ( consigli pastorali e per gli affari economici, collaborazione nelle curie diocesane e negli Istituti per il sostentamento del clero, consulte pas torali ); - deve essere favorito l'approfondimento teologico e scientifico del nuovo Codice nelle Facoltà teologiche; e le diocesi e le famiglie religiose non dovrebbero mancare di preparare sacerdoti, religiosi e religiose, laici, esperti nel diritto della Chiesa, anche per assicurare una recezione nelle Chiese particolari e negli Istituti di vita consacrata che sia nello stesso tempo illuminata e sicura. III. La legislazione delle Chiese particolari 54. - Dopo il Concilio è cresciuta in Italia la consapevolezza del valore della Chiesa particolare, in stretto collegamento con il "senso della Chiesa cattolica". In conformità alle disposizioni generali della Chiesa universale, le nostre Chiese particolari, attraverso i Sinodi, le Commissioni, i Consigli e altre forme di partecipazione, non hanno esitato a darsi, negli ambiti di loro competenza e sotto la guida dei Vescovi, nuove strutture e nuove norme. Con apertura alle molteplici urgenze presenti nel contesto nel quale vivono, esse stanno così riprendendo l'abitudine di darsi una propria disciplina. Si pensi agli adattamenti in campo liturgico, alla riorganizzazione della catechesi, alla disciplina degli itinerari sacramentali, all'organizzazione sempre più partecipata delle strutture diocesane e parrocchiali, al rinnovamento dei servizi della carità, alle innovazioni che hanno fatto seguito al nuovo Concordato tra la Santa Sede e l'Italia in materia di insegnamento della religione nella scuola, di sostentamento del clero e di amministrazione dei beni axlesiastici. 55. - Come è noto, l'esercizio della potestà legislativa nelle Chiese particolari compete ai singoli Vescovi. Non ci nascondiamo la grave responsabilità che questo esercizio comporta, ma ci conforta sapere che nella Chiesa tutti i fedeli "in modo proporzionato alla scienza, alla competenza e al prestigio di cui godono, hanno il diritto, e anzi talvolta anche il dovere, di manifestare ai sacri Pastori il loro pensiero su ciò che riguarda il bene della Chiesa". Nella formulazione delle leggi sarà nostro dovere promuovere il dialogo il più ampio possibile, così da leggere e interpretare insieme, sotto la guida dello Spirito, il disegno di Dio sulla vita delle nostre comunità. Siamo convinti che si debba arrivare alla promulgazione delle leggi e alle successive necessarie modificazioni attraverso un cammino di comunione, assicurando sia la partecipazione attiva della comunità, sia il servizio di guida e di governo dei Pastori, a cui spetta deliberare. 56. - Uno degli strumenti più qualificati che la tradizione ci ha consegnato, allo scopo di progettare insieme, Pastori e fedeli, le vie che le nostre Chiese devono percorrere per realizzare la missione a cui sono chiamate, è il Sinodo diocesano. Esso è una particolare assemblea di fedeli i quali, mentre celebrano il Signore che si fa presente nella Parola, nell'Eucaristia e nella comunità stessa adunata nel suo nome, si lasciano illuminare dal suo Spirito per discernere le vie più adatte e i comportamenti più opportuni per servire il Signore e costruire il suo Regno tra gli uomini in un determinato contesto. In ragione del suo ufficio, solo il Vescovo diocesano è il legislatore del Sinodo, colui che dà vigore alle sue dichiarazioni e decreti. Il discernimento che si compie nel Sinodo può sfociare infatti nella statuizione di norme vincolanti anche giuridicamente, che vengono a costituire il patrimonio disciplinare della Chiesa particolare. Esso godrà di una certa stabilità, per essere ripreso e aggiornato di Sinodo in Sinodo. IV. La normativa della Conferenza Episcopale Italiana 57. - Uno strumento di espressione e di promozione della comunione della Chiesa in Italia è la Conferenza Episcopale Italiana. Essa ha il compito di promuovere l'azione concorde dell'Episcopato italiano, in speciale sintonia con il successore di Pietro, Vescovo di Roma e Primate d'Italia favorendo "l'affetto collegiale, la comunione fraterna e la formazione permanente dei Vescovi" e stimolando "l'azione concorde e la collaborazione tra le Chiese particolari, perchè possano meglio adempiere la loro missione". Dopo oltre vent'anni dalla sua costituzione, essa si pone ormai come un importante punto d'incontro, di dialogo, di comune lavoro dei Vescovi e delle Chiese che essi rappresentano. 58. - Tra le funzioni pastorali che i Vescovi italiani attuano congiuntamente nella Conferenza Episcopale, vi è anche quella legislativa, attribuita alla competenza della Conferenza medesima dal Codice di Diritto canonico e dalle disposizioni concordatarie. Il suo esercizio ha prodotto un corpo di norme ormai notevolmente sviluppato, che regola in forma impegnativa alcuni ambiti delle relazioni comunitarie, con efficacia per tutte le Chiese che sono nel territorio nazionale. È di grande importanza tradurre in comportamenti concreti le linee di questa legislazione della C.E.I., promuovendo così la comunione ecclesiale, a un livello particolarmente significativo perchè nazionale. In una società come quella italiana che, senza negare la diversità delle culture e delle situazioni, ricerca un'unità più dinamica e indirizzi convergenti di soluzione per i grandi problemi, la Conferenza Episcopale si propone come figura concreta dell'unità della Chiesa, che concorre, a suo modo, a far crescere quella del popolo italiano, nel rispetto delle legittime diversità e autonomie. V. Le nuove disposizioni concordatarie 59. - Un ulteriore strumento che concorre a definire storicamente il volto della Chiesa in Italia è costituito dagli Accordi di revisione del Concordato Lateranense, sottoscritti il 18 febbraio e il 15 novembre 1984. Essi hanno aperto una nuova stagione dei rapporti della Chiesa con la comunità politica nel nostro Paese e hanno profondamente rinnovato il quadro normativo entro il quale quei rapporti si svolgono. Siamo convinti che in Italia la presenza di un Concordato si motiva fondamentalmente per due ragioni, non estranee ai grandi valori proclamati dal Concilio: la libertà della Chiesa e la corretta collaborazione tra la Chiesa e la comunità politica. - Una Chiesa che, segnata da una storia secolare, presenta una fisionomia fortemente strutturata, ricca di articolazioni organizzative e di iniziative pastorali, non può trovare la possibilità di esprimersi compiutamente secondo il proprio volto e le proprie esigenze in un semplice ordinamento di diritto comune, ma ha bisogno di una disciplina "speciale", anche se non "priviligiaria". - Una Chiesa che vive l'inscindibile connessione tra evangelizzazione e promozione umana non può non ricercare forme e strumenti concreti di collaborazione con la comunità politicamente organizzata dentro la quale esiste, al fine di assicurare "la promozione dell'uomo e il bene del Paese", come programmaticamente dichiara l'art. 1 del nuovo Concordato. 60. - Le norme concordate, che hanno nello stesso tempo efficacia civile e valore di legge canonica particolare per la Chiesa in Italia, chiedono di essere attuate in forma completa e concreta, anche mediante la stipulazione delle necessarie ulteriori intese, e di essere osservate con reciproca lealtà e chiarezza. Per la Chiesa in Italia il Concordato rappresenterà negli anni a venire una sfida e nello stesso tempo una grande occasione di crescita. Esso rende la nostra Chiesa piu libera e perciò più responsabile. Le apre grandi possibilità di presenza, ma le toglie ogni automatica garanzia. La tocca anche in talune garanzie di tipo economico, che erano il portato di antiche vicende e di diverse situazioni, e la "costringe" a ritrovare innanzitutto in se stessa l'assicurazione delle risorse necessarie all'esercizio molteplice della sua missione, confidando in quel "centuplo" evangelico che non è promessa retorica o impossibile utopia, ma esperienza e segno di una comunità che si apre alla logica del Regno di Dio. Capitolo IV - Linee di impegno e di verifica pastorale 61. - In quest'ultimo capitolo, dopo aver focalizzato sia sotto il profilo morale che canonico il significato e alcune caratteristiche della disciplina ecclesiale all'interno della comunità cristiana, vogliamo rapidamente tracciare alcune linee di impegno e di verifica pastorale che ci paiono importanti per la Chiesa che vive in Italia. Come già abbiamo notato nell'Introduzione, lo spirito di comunione è certamente cresciuto e si è rafforzato nelle nostre Chiese particolari, rinnovando profondamente il profilo delle nostre comunità. Ma non possiamo non riconoscere che un senso di incompiutezza caratterizza l'esperienza di rinnovamento comunitario avviata a partire dal Concilio Vaticano II. Non solo forti tensioni attraversano spesso il tessuto ecclesiale, ma si nota pure, a dispetto di uno spirito di comunione che tutti sinceramente dicono di condividere, il persistere e talvolta l'aggravarsi di uno stile individualistico nel modo di concepire e di gestire la vita ecclesiale e l'impegno pastorale. Non ultima causa di questo stato di cose è la mancanza di una profonda e convita "ascetica" del vivere insieme in Cristo, sapendo posporre le proprie vedute, i propri interessi ed anche i propri "doni'' in vista dell'edificazione comune e della comune testimonianza. Il rispetto e l'accoglienza della disciplina ecclesiale, come espressione e strumento di promozione della comunione nella Chiesa, può aiutare non poco in vista del recupero di uno stile autenticamente ecclesiale nell'esperienza della vita comunitaria. 62. - Spesso il rapporto clero-laici soffre ancora, da una parte per le tracce di una mentalità "clericale" dura a morire, dall'altra per il disimpegno o, all'opposto, lo spirito di rivendicazione che finisce col misconoscere l'autentico mistero della comunione ecclesiale. Non sempre è dato trovare realizzato, nella vita del clero diocesano, l'ideale auspicato dal Concilio: "i sacerdoti riconoscano nel Vescovo il loro padre e gli obbediscano con rispettoso amore. Il Vescovo consideri i sacerdoti suoi cooperatori come figli e amici". Le "mutue relazioni'' fra le Diocesi e gli Istituti religiosi, a dieci anni dal documento della Santa Sede ad esse dedicato, non sembrano dappertutto cresciute nella linea di una più cordiale reciproca accoglienza e di una più organica collaborazione. Anche i rapporti tra le Diocesi e le parrocchie da un lato, i gruppi e i movimenti sorti in questi ultimi decenni dall'altro, conoscono momenti di fatica persistenti, e si risolvono talvolta in tensione contrappositiva anzichè in collaborazione ordinata e costruttiva. 63. - È sufficiente richiamare questi problemi così concreti e così attuali, che toccano i rapporti fra le varie componenti della comunità ecclesiale, per dire che l'orizzonte di crescita rimane ampio e impegnativo. Su taluni di questi temi non mancherà l'occasione di ritornare in futuro. Senza entrare per ora nel merito specifico di ciascuno di essi, vogliamo indicare alcune linee di approfondimento e di impegno per i prossimi anni, secondo la triplice prospettiva del popolo di Dio profetico, sacerdotale e regale. I. Accogliere il significato ecclesiale del Magistero del Papa e dei Vescovi 64. - Abbiamo già visto come il Magistero dottrinale e morale dei Pastori costituisca una componente fondamentale dell'autentica Chiesa di Cristo, che quale "popolo santo di Dio partecipa dell'ufficio profetico di Cristo". Questo ruolo di maestri e dottori, che il Papa e i Vescovi sono chiamati ad esercitare nella comunità ecclesiale, non sminuisce la vocazione, la dignità e la missione dei laici nella Chiesa e nel mondo, ma la potenzia e l'arricchisce in modo sempre più pieno e integrale secondo il disegno di Dio. Infatti - come spiega la Lumen gentiurn - "per quel senso della fede, che è esercitato e sorretto dallo Spirito di verità, il popolo di Dio sotto la guida del sacro Magistero, al quale fedelmente conformandosi accoglie non la parola degli uomini ma, qual'è in realtà, la parola di Dio ( cfr 1 Ts 2,13 ), aderisce indefettibilmente alla fede 'una volta per tutte trasmessa ai santi' ( Gd 3 ), con retto giudizio penetra in essa più a fondo e più pienamente l'applica nella vita". 65. - Non è esagerato dire, però, che questa verità, che pure costituisce parte integrante della dottrina conciliare sulla Chiesa, si è non poco appannata nella coscienza ecclesiale dei cristiani. Le cause - già esaminate nell'Introduzione - vanno ricercate nella cultura unilateralmente soggettivistica del nostro tempo. Ma non va dimenticato che talvolta esse vanno individuate anche all'interno della vita della Chiesa, ad esempio in una comunione non sempre piena tra la riflessione dei teologi e la predicazione e la catechesi dei presbiteri da un lato, e i pronunciamenti magisteriali dall'altro. Quando teologi e presbiteri mostrano di non aderire pienamente, o addirittura di essere in disaccordo con le indicazioni del Magistero, si provoca nella comunità ecclesiale un senso di disorientamento, di confusione e anche di scetticismo. 66. - È dunque esigenza prioritaria richiamare a un maturo ed equilibrato rapporto tra il ministero dottrinale dei Pastori e la ricerca e l'insegnamento dei teologi, pur riconoscendo cordialmente l'importanza di questi ultimi per una responsabile crescita della fede nelle nostre comunità. Pastori e teologi sono chiamati, infatti, a svolgere un diverso e complementare servizio nella Chiesa: il Magistero dei Pastori si caratterizza per il "carisma sicuro di verità" di cui è insignito e in forza del quale possiede "l'ufficio di interpretare autenticamente la Parola di Dio scritta o trasmessa"; il servizio dei teologi è un prezioso aiuto all'approfondimento critico e sistematico della fede, che dev'essere compiuto nella fedeltà alla Parola di Dio e alla Tradizione della Chiesa, in comunione col Magistero dei Pastori, nell'ascolto attento della vita del popolo cristiano e nel discernimento dei "segni dei tempi". È pertanto essenziale all'esercizio del servizio teologico, insieme ad una sana ed equilibrata libertà di ricerca, una profonda, convinta e solidale unità col Magistero del Papa e dei Vescovi: senza di questa esso è snaturato nella sua autentica vocazione ecclesiale. 67. - Merita, d'altra parte, un'attenta riflessione il fenomeno diffuso del silenzio e dell'indifferenza che accompagnano soprattutto gli insegnamenti morali del Magistero presso larghi strati del popolo cristiano. Fenomeno, questo, che investe specialmente quegli ambiti della vita morale nei quali è più manifesto il distacco, se non addirittura il contrasto, fra l'insegnamento del Vangelo riproposto nella dottrina della Chiesa e la visione culturale oggi dominante. Si pensi, in particolare, alla morale sessuale e coniugale e al comportamento morale nei confronti dei gravi problemi della vita umana, soprattutto alle sue origini e al suo declino. I cristiani devono ritrovare la consapevolezza che l'intervento della Chiesa in questi campi costituisce non già un'imposizione esteriore e autoritaria, ma un prezioso servizio alla dignità della persona e alla verità dell'amore umano, illuminato dalla rivelazione del progetto di Dio sull'uomo in Gesù Cristo. In questa prospettiva la morale proposta dalla chiesa, proprio per l'altezza dell'ideale presentato, chiede al cristiano di unire l'impegno sincero e risoluto a camminare sulla strada della verità, con la fiducia e la pazienza di cui ogni cammino di fede, nel suo svolgersi quotidiano, ha bisogno. 68. - In particolare, quanti come i sacerdoti e i catechisti hanno una specifica responsabilità nel proporre l'insegnamento morale della Chiesa sulle questioni della sessualità e del matrimonio, devono guardarsi dal presentare come pensiero della Chiesa quello che non lo è. La linea pastorale da seguire è quella della Chiesa stessa, che inscindibilmente si presenta come maestra e madre: maestra nell'annunciare la verità e il bene dell'uomo; madre nell'aiutare tutti e ciascuno, con pazienza e misericordia, a conoscere sempre meglio la verità e ad aderire sempre più profondamente al bene. Meritano di essere riascoltate con attenzione le parole di Paolo VI nell'enciclica Humanae vitae: "Non sminuire in nulla la salutare dottrina di Cristo è eminente forma di carità verso le anime. Ma ciò deve sempre accompagnarsi con la pazienza e la bontà di cui il Signore stesso ha dato l'esempio nel trattare con gli uomini. Venuto non per giudicare ma per salvare, egli fu certo intransigente con il male, ma misericordioso verso le persone. Nelle loro difficoltà, i coniugi ritrovino sempre nella parola e nel cuore del sacerdote l'eco della voce e dell'amore del Redentore". 69. - Un altro settore del quale ci preme mettere in risalto l'attualità è quello del Magistero sociale della Chiesa. Anche recentemente il Santo Padre Giovanni Paolo II ha richiamato l'urgenza di una sua approfondita conoscenza e puntuale traduzione nei diversi contesti sociali, culturali, economici e politici. Di fronte alla "gravità del momento presente", soprattutto nell'orizzonte del comune destino dell'umanità, ma anche in rapporto alle forme di nuova povertà ed emarginazione da cui è lacerata la nostra società, è necessario battere in breccia ogni tentazione di privilegiare antievangelicamente il proprio particolare interesse - come singoli, come gruppi sociali, come nazioni -, e rinnovare la consapevolezza che è doveroso per tutti "includere tra i doveri principali dell'uomo moderno, e osservare, gli obblighi sociali". L'adempimento del dovere della giustizia, il rispetto delle leggi civili e l'impegno a mettere in opera, "con lo stile personale e familiare della vita, con l'uso dei beni, con la partecipazione come cittadini, col contributo alle decisioni economiche e politiche …, le misure ispirate alla solidarietà e all'amore preferenziale per i poveri", sono parte integrante del compito etico del credente e della sua fedeltà alla verità dell'uomo. II. Mettere in atto le disposizioni della disciplina liturgica e sacramentale 70. - Un'altra linea di impegno per le nostre comunità ecclesiali è, senza dubbio, quella relativa alla disciplina liturgica e sacramentale. Anche a questo proposito, il Concilio ha rinnovato profondamente nel popolo cristiano la coscienza della propria partecipazione all'unico sacerdozio di Cristo, ribadendo nello stesso tempo che "il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale o gerarchico ( … ) differiscono essenzialmente e non solo di grado". A vent'anni dalla promulgazione della Costituzione conciliare sulla liturgia, la competente Commissione episcopale della C.E.I. ha pubblicato una Nota pastorale sul "Rinnovamento liturgico in Italia", per offrire un contributo e un indirizzo all'attuazione della riforma liturgica nelle nostre Chiese particolari. Ne richiamiamo alcune fondamentali direttive, che restano di grande attualità per aiutare tutti, presbiteri, religiosi e laici, a cogliere il profondo significato ecclesiale del rispetto e della valorizzazione delle norme liturgiche e sacramentali. 71. - È importante, innanzitutto, ricordare che "intelligenza dei principi teologici, fedeltà alle norme, adattamento creativo alle esigenze delle diverse comunità" sono "i criteri che assicurano e testimoniano una vera attenzione allo spirito della riforma liturgica", intesa a promuovere nell'oggi della comunità ecclesiale la celebrazione dell'evento della salvezza che ci viene da Cristo nella forza santificante dello Spirito. Il rispetto della disciplina liturgica può e deve aiutare a non confondere la sana creatività - come capacità di adattamento alle diverse situazioni e sapiente utilizzazione delle possibilità di scelta offerte dai libri liturgici, per meglio promuovere il legame tra liturgia e vita - con la novità a tutti i costi, che fa smarrire il vero significato del mistero celebrato, il quale non è mai possesso individuale ma dono di grazia ricevuto dalla Chiesa. 72. - In tale prospettiva acquistano valore i nuovi libri liturgici "che offrono al popolo di Dio uno strumento idoneo, ancorchè perfettibile, per un rinnovamento profondo e autentico del culto della Chiesa e della vita liturgica delle comunità e dei singoli fedeli". Una sempre più approfondita e puntuale conoscenza ed utilizzazione di essi è dovere precipuo dei ministri e degli operatori pastorali. Non è inutile richiamare anche l'importanza, per una crescita dell'autentico ''sensus Ecclesiae", della celebrazione - preferibilmente in comune - della liturgia delle ore. Per chi nella Chiesa ne ha assunto l'impegno con l'ordinazione diaconale e presbiterale o con la professione dei consigli evangelici, la fedeltà quotidiana a questa celebrazione, oltre che un chiaro dovere, è garanzia di santificazione personale e di fecondità del proprio servizio ecclesiale. Se pervaso dal sentimento della costante e fedele unione a tutta la Chiesa che celebra e vive il mistero di Cristo, il ministro non potrà non farsi segno e strumento di una celebrazione liturgica e sacramentale che sia autentica "esperienza di fede che si comunica, di speranza che si conferma, di carità che si diffonde". 73. - Infine, occorre ricordare, nel campo sacramentale, che la Chiesa è consapevole di non essere padrona e arbitra delle azioni salvifiche di Cristo: al contrario, in qualità di sua sposa, è tenuta ad attuarle come il Signore le ha volute. Soprattutto i presbiteri, dispensatori dei divini misteri, sono chiamati a rivivere tale fedeltà e obbedienza della Chiesa, rispettando le condizioni di validità e liceità nella celebrazione dei sacramenti, in particolare di quelli della riconciliazione e dell'Eucaristia, ma anche del battesimo e del matrimonio, e preparando con cura i fedeli a riceverli con le dovute disposizioni morali e spirituali. Nell'amministrazione dei sacramenti la coscienza cristiana, in specie sacerdotale, non può appellarsi a presunti diritti dei fedeli contro le disposizioni della Chiesa. Si pensi, ad esempio, alla disciplina ecclesiale circa la non ammissibilità dei divorziati risposati ai sacramenti della riconciliazione e dell'Eucaristia. La fedeltà dei ministri alle norme sacramentali, unita alla carità, è motivo di crescita e maturazione del senso ecclesiale del popolo di Dio. III. Rilanciare le forme di partecipazione ecclesiale secondo il loro autentico significato 74. - La terza linea d'impegno che proponiamo a tutti, Pastori e fedeli, è quella di un approfondimento dell'autentico significato e di un rilancio delle molteplici forme di partecipazione ecclesiale. Esse rappresentano, a livello di vita e di disciplina ecclesiale, delle realtà di primaria importanza che manifestano, sostengono e promuovono il dinamismo di comunione che compagina la comunità cristiana. L'impegno della partecipazione è infatti proprio di ogni cristiano, perchè nasce dai sacramenti dell'iniziazione e della maturità ecclesiale, e viene rinnovato ogni domenica nella celebrazione comunitaria dell'Eucaristia. Ma tale impegno, che è allo stesso tempo un diritto e un dovere del cristiano, non deve esser visto ed esercitato in competizione con il ministero di governo dei Vescovi e dei presbiteri loro collaboratori. Le molteplici forme di partecipazione e di corresponsabilità ecclesiale, da sempre presenti nella Tradizione della Chiesa, che il Concilio Vaticano II ha rivitalizzato e rinnovato, devono rappresentare gli strumenti concreti mediante i quali la comunione da Cristo donata alla sua Chiesa si manifesta visibilmente e si edifica secondo la configurazione che le è propria e specifica: quella di una comunità di figli e fratelli di eguale dignità, all'interno della quale Cristo si rende presente attraverso il ministero di unità e di governo dei Vescovi uniti col Papa. 75. - In concreto, il diritto canonico conosce alcune forme di partecipazione aperte a tutti i cristiani, che però spesso sono disattese o nella loro pratica o nell'impegno a viverne l'originario significato. Si pensi alla funzione di padrino nei confronti dei battezzati e dei cresimati, all'obbligo di dare le informazioni richieste in ordine all'ammissione dei candidati alla celebrazione dei sacramenti che hanno speciale rilievo "sociale" ( pubblicazioni matrimoniali, informazioni relative ai candidati al sacerdozio ), al dovere di rendere testimonianza su richiesta del giudice nei processi ecclesiastici - soprattutto nelle cause matrimoniali -, al dovere di sovvenire alle necessità della Chiesa partecipandovi con le proprie risorse. 76. - Espressioni ulteriori di partecipazione ecclesiale, che derivano da una libera disponibilità del cristiano in risposta a una chiamata dell'autorità ecclesiastica, sono poi i diversi ministeri e l'esercizio di taluni uffici ecclesiastici veri e propri non riservati ai ministri ordinati. La recente disciplina della Chiesa ha fatto più largo spazio ai laici in ordine a queste forme di qualificata partecipazione, per esempio circa l'insegnamento nelle facoltà teologiche, l'insegnamento della religione cattolica nella scuola, le funzioni di giudice nei tribunali ecclesiastici, di cancelliere, di notaio, di direttore di taluni settori nelle curie diocesane, o anche di amministratore in enti ecclesiastici. 77. - L'esercizio della partecipazione avviene in modo particolare attraverso le diverse forme dell'associazionismo dei fedeli, da quelle tradizionali delle Confraternite e delle Pie unioni, a quella felicemente collaudata dell'Azione Cattolica Italiana, a quelle più recenti che si usa riassumere nella formula "Associazioni, Gruppi, Movimenti". In tutte queste realtà, i cristiani "tendono mediante l'azione comune all'incremento di una vita più perfetta, alla promozione del culto pubblico o della dottrina cristiana, o ad altre opere di apostolato, quali sono iniziative di evangelizzazione, esercizio di opere di pietà o di carità, animazione dell'ordine temporale mediante lo spirito cristiano". La Chiesa ha sempre raccomandato l'adesione e l'impegno attivo in queste varie forme di aggregazione laicale; e noi rinnoviamo l'invito, impegnandoci per parte nostra a favorire il coordinamento pastorale del prezioso apporto da esse dato, attraverso opportune strutture di collegamento e partecipazione ecclesiale, come le "Consulte dell'apostolato dei laici", a livello nazionale e a livello diocesano. 78. - Ma l'espressione "partecipazione ecclesiale" viene più comunemente usata in riferimento a quegli specifici organismi che si sono sviluppati dopo il Concilio Vaticano II come strumenti e momenti di studio, di programmazione, di coordinamento e di verifica dell'azione pastorale della diocesi o della parrocchia, in comunione e sotto la guida rispettivamente del Vescovo diocesano o del parroco: pensiamo in particolare al Consiglio presbiterali diocesano, al Consiglio pastorale diocesano, al Consiglio pastorale parrocchiale, al Consiglio parrocchiale per gli affari economici. Quanto ai Consigli presbiterali e pastorali, sappiamo che, dopo una fase iniziale di fervido impegno per la loro costituzione e dopo le prime esperienze di lavoro d'insieme, sono talvolta subentrati momenti di fatica e di sfiducia, che hanno indotto taluni a frettolose conclusioni negative. C'è chi, confondendo la partecipazione ecclesiale con le metodologie dei consessi democratici, lamenta la consultività del voto e il predominio degli indirizzi dell'autorità ecclesiastica. C'è chi, trattenuto da una concezione che confonde la comunione con l'unanimismo e il paternalismo, mal sopporta il confronto aperto, il rigore delle analisi, il desiderio di contribuire a una decisione più matura e più efficace. C'è una comunità, o un presbiterio, che stentano a sentirsi "rappresentati" da questi organismi o, all'opposto, troppo comodamente lasciano ad essi ogni sforzo di riflessione e di programmazione pastorale. Quanto ai Consigli parrocchiali per gli affari economici, dobbiamo anzitutto lamentare che, nonostante il Codice di diritto canonico ne abbia reso obbligatoria la costituzione, è ancora troppo alto il numero delle parrocchie che ne sono prive, pur mettendo in conto l'oggettiva difficoltà di far maturare uno stile e un metodo appropriati per la conduzione di questo nuovo organismo. 79. - Abbiamo richiamato queste difficoltà per dovere di lealtà; ma nonostante le difficoltà, del resto largamente prevedibili dopo secoli di diversa conduzione dell'azione pastorale, intendiamo che gli organismi di partecipazione ecclesiale siano promossi e sostenuti con ogni impegno. La loro riuscita dipende in gran parte dalla maturità spirituale dei partecipanti, cioè dal grado di autentica esperienza di fede e di comunione che in essi è maturato e dalla misura della passione che li anima per l'edificazione della Chiesa e per l'annuncio a tutti del Vangelo. Perchè l'attività di questi Consigli non assuma a poco a poco dimensione formale e burocratica ed essi crescano come strumento vivo a servizio del dinamismo missionario delle comunità, occorre che maturi sempre meglio nei cristiani la coscienza che la comunità stessa non è in primo luogo una struttura da amministrare, ma l'espressione e lo strumento di un'esperienza di comunione tra i credenti in Cristo; che si dà nesso inscindibile tra esperienza di comunione e impegno per la missione evangelizzatrice nel contesto umano in cui la comunità vive; che la pastorale non è soltanto questione di buona volontà ma richiede riflessione adeguata, scelte coerenti, indirizzi costanti, verifiche appropriate, con l'apporto responsabile di tutti. Infine, perchè il lavoro di questi organismi di partecipazione ecclesiale possa svolgersi in modo unitario e costruttivo, si presuppone la necessaria chiarezza circa il rapporto fra la gerarchia e gli altri fedeli all'interno dell'unica Chiesa, e una corretta concezione del valore consultivo dei voti espressi e degli indirizzi approvati. La comunione cristiana infatti è comunione nello stesso tempo fraterna e gerarchica, le cui movenze sono profondamente diverse dagli schemi, pur legittimi, propri delle istituzioni civili in forza della rappresentanza democratica. Conclusione 80. - La Chiesa è "il sacramento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano"; e proprio per questo è in terra "il germe e l'inizio del Regno". Il Regno di Dio, infatti, è la piena e gratuita partecipazione degli uomini all'inesauribile vita di amore e di libertà, di gioia e di unità, del Padre, del Figlio e dello Spirito. Camminando nella storia, tra le opacità e le insidie del peccato, la Chiesa è chiamata a essere segno profetico e strumento efficace di questa divina comunione. La disciplina ecclesiale, che compagina il corpo della Chiesa, e l'adesione ad essa hanno dunque ragione di mezzo e non di fine. Occorre pertanto avere sempre dinanzi agli occhi la finalità che le strutture e le norme ecclesiali hanno, ad esse aderendo per far crescere in noi e fra noi la piena maturità di Cristo, "l'uomo nuovo" ( cfr Ef 4,1 ). Ciò che a uno sguardo puramente umano può talvolta sembrare mortificazione dell'uomo, è in realtà il cammino della sequela che, guidando il discepolo nella via del rinnegamento di sé ( cfr Mc 8,34 ), lo farà partecipare anche alla risurrezione del Signore. Questo vale per l'esercizio dell'autorità come per quello dell'obbedienza; per la ricerca della propria identità come per l'edificazione della comunità; per l'ascolto della voce della coscienza, e in essa dello Spirito, e per l'adesione ai comandamenti del Signore e alla disciplina della Chiesa. 81. - Se la Chiesa, nella concretezza della sua vita e della sua missione, saprà mostrarsi come quello spazio di novità inaugurato nella storia dalla risurrezione del Signore, in cui si sperimenta la libertà di rapporti permeati dall'amore e dal servizio e improntati a uno stile di reciproca obbedienza come obbedienza al Signore risorto, allora essa potrà annunciare con la sua vita Cristo al mondo, e dare un indispensabile contributo alla soluzione delle contraddizioni che lacerano la coscienza delle persone e il tessuto della nostra società. E con umiltà dunque, ma anche con la consapevolezza dell'inestimabile dono di cui è fatta oggetto, che la Chiesa sa di poter dare molto al mondo nel quale si trova immersa. Educando il cristiano all'autentica libertà e insieme a una socialità matura, la Chiesa che è in Italia è chiamata oggi a testimoniare di fronte agli uomini quei valori autenticamente umani, che soli permettono di costruire una società più giusta e liberante e di rispondere alle aspirazioni più profonde che agitano lo spirito dell'uomo contemporaneo. Le nostre comunità ecclesiali diocesane e parrocchiali, le comunità di vita consacrata, le associazioni e i movimenti, devono diventare palestre di educazione di donne e uomini nuovi, che a loro volta siano testimoni di verità e di libertà e artefici di unità e di riconciliazione nei molteplici ambienti della vita umana e sociale: dalla famiglia alla scuola, dall'impegno socio-culturale a quello politico, dal servizio agli ultimi al dialogo con chi sinceramente aspira alla libertà e cerca la verità. 82. - In questo affascinante e impegnativo compito, la comunità ecclesiale non può non guardare a Maria, icona della Chiesa una e riconciliata nella verità, nella carità e nella libertà. Attraverso "l'obbedienza della fede" ( cfr Rm 16,26 ), Ella "ha conseguito quello stato di libertà regale proprio dei discepoli di Cristo".71 Ai piedi della croce, "perfettamente unita a Cristo nella sua spogliazione",72 è divenuta madre di ogni uomo. In spirito di fede, di continua conversione e di umile ascolto della voce dello Spirito, la nostra Chiesa, ricalcando l'itinerario compiuto dalla Vergine Maria, potrà sperimentare quell'unità e quella libertà regale che sono indivisibili doni del Cristo risorto. Roma, 1 gennaio 1989 Solennità di Maria Santissima Madre di Dio