La formazione ecumenica nella Chiesa particolare Presentazione Il senso e il motivo di questa « Nota pastorale »? La risposta è nelle sue parole conclusive « l'ecumenismo è stimolo a credere di più, a essere di più ». Una affermazione così coraggiosa e che riguarda tutte le nostre comunità potrà forse stupire. Soprattutto chi si è avvicinato alla « Nota sulla formazione ecumenica nella Chiesa particolare » senza grande interesse: pensando forse che l'impegno ecumenico è solo una vocazione di specializzati nella Chiesa o addirittura ritenendolo un problema marginale in essa; comunque riservato agli autorevoli e solenni dialoghi teologici di vertice. E allora, per dar fiducia al lettore che non ha ancora grande esperienza di ecumenismo, per confortare chi è già impegnato nel cammino ecumenico, per offrire alle diverse comunità in Italia alcuni orientamenti comuni vorrei proprio introdurre la « nota » riflettendo insieme su questo « Essere di più » che l'ecumenismo offre. « Essere di più » nella comunione La parola ecumenismo, già di per sé sa di « casa » ( Oicos ); essa richiama perciò quella comunione che costituisce ogni famiglia, e dunque la Chiesa come famiglia dei figli di Dio. L'ecumenismo, infatti, per superare le fratture e per aprire alla speranza della loro ricomposizione impegna i cristiani anzitutto a « crescere di più insieme » verso il Signore; con priorità assoluta, anche sul camminare ancora insieme fra di loro. Non è questo il principio che fonda e orienta la crescita di ogni comunità cristiana? Essa potrà dilatare ai fratelli solo la comunione, anzitutto profondamente e intimamente vissuta col suo Signore. Direi perciò che « cuore » della Nota è il capitolo II « principi cattolici della comunione universale »; quando sottolinea « l'universalità del disegno salvifico di Dio Trinità » ( I ) e la Chiesa come « comunità di comunione e di dialogo ». Il prioritario e più profondo incontro con Dio, che l'ecumenismo esige, aiuta anche a scoprire e ad amare e valorizzare « di più » i doni che rendono gli altri diversi; in modo che la loro diversità si riveli come una ricchezza « in più » che essi offrono alla comunione. « Ogni comunità cristiana è chiamata a entrare nella mentalità della ecclesiologia e della comunione e ad aprirsi soprattutto come fraternità, nella reciproca comunicazione di carismi e servizi » ( II,3 ). Questo « ricevere di più in un rapporto fatto di diversi che si integrano è l'insegnamento, valido per ogni comunità, che l'ecumenismo trae dalla storia. In essa, spesso e purtroppo, le diversità non conosciute e non accettate sono diventate divisioni. Per questo il cammino ecumenico, prima di vedere nelle altre confessioni gli aspetti tuttora inconciliabili, insegna a scoprire i valori per cui le loro tradizioni e i loro doni dello Spirito Santo fanno « essere di più » anche noi. Ma anche nel farci leggere la storia l'ecumenismo aiuta la nostra comunità a « essere di più »: quando ci ammonisce che è necessario soffrire tutto, e sopportare tanto pur di non arrivare a fratture che sovente, nate da banalità, diventano gravi e non si sa come potranno rimarginarsi; e quando ridesta il sospetto verso gli interessi politici, economici e personalistici che possono sempre inquinare ogni comunità cristiana. Essi hanno provocato spesso, come la storia insegna, fratture irrimediabili, solo apparentemente motivati da valori di fede. E la « Nota » offre un aiuto per il faticoso risalire di questa corrente di fratture, richiamando gli esemplari « gesti e segni impegnativi » ( I,1 ) che ci precedono e facendoci puntualmente interpellati dal contesto « socioreligioso » italiano ( I,2 ). « Essere di più » nella missione L'ecumenismo che è dimensione di comunione nella Chiesa deve essere, di conseguenza, dimensione della sua missione. Vi sono delle mete come la « nuova evangelizzazione » e problemi come il secolarismo che richiedono non tanto ai cristiani di « fare quadrato » quanto di « essere di più » insieme: nello scambio dei valori condivisi ( che sono poi quelli di fondo ) nella testimonianza che diventa più suadente e perciò più efficace quando è fraterna. La condizione di Chiesa di grande maggioranza in Italia non ci esonera da questa preoccupazione ecumenica che la nota richiama alla responsabilità dei cattolici « il solo fatto di essere maggioranza ( al di là del problema della secolarizzazione che mette in crisi la rilevanza e la effettiva incidenza della cristianità sulla realtà umana ) comporta maggiore responsabilità nel dare l'esempio e nel precedere altri, quando si tratta della causa di Dio e della causa dell'uomo » ( I ). Direi inoltre che la preoccupazione ecumenica deve far capire come ogni gesto o parola, anche all'interno delle singole comunità, possa assumere il valore della missione o decadere nello scandalo, a seconda che sia caratterizzata o no dalla carità e dalla libertà dei figli di Dio. Perché lo stesso modo con cui, in una comunità ecclesiale, ci si tratta, ci si parla, ci si comunica, ci si ammonisce, il modo con cui si esercita un ministero, può essere per il fratello di altra confessione motivo di riavvicinamento o di ulteriore presa di distanza. Perciò la « Nota » dedica un paragrafo allo « stile del dialogo all'interno della comunità cristiana » ( III,1 ) e precisa: « per essere credibili all'esterno nel proporre un rapporto dialogico bisogna che brilli all'interno della nostra vita la esemplarità di uno stile di dialogo ». Dovremmo davvero sempre vederci e ascoltarci fra noi con gli occhi e con l'orecchio di chi è lontano, per vederci e ascoltarci « di più » e fraternamente. A maggior ragione si comprende come l'annuncio missionario di ogni Chiesa sia « più ascoltato » quando ci presentiamo come « una sola cosa »; e sia invece scandalosamente inefficace quando è disturbato dal passato e dal presente delle nostre divisioni. « Essere di più » nei doni del Signore Il III capitolo, che raccoglie gli « orientamenti pastorali », ci invita a contemplare i tanti doni che il Signore offre alla sua Chiesa; ma ci fa anche consapevoli che molti li portiamo senza conoscerli; spesso li difendiamo senza amarli veramente nella loro fecondità. L'ecumenismo invece può farli « più doni » quando per proporli agli altri fratelli ce li fa scoprire; quando li difendiamo dimostrando soprattutto quanti nelle nostre comunità siano capaci di generare santità. È davvero un seminatore di « essere di più » l'ecumenismo: - nel dono della verità eterna e infinita per cui di fronte a essa « ogni conoscente deve rassegnarsi a riconoscere le limitatezze del proprio campo di vista nello stesso istante in cui si sente tentato di criticare l'angustia delle prospettive altrui » dal momento che spesso « tutti i singoli punti di vista che hanno parte a questa unica verità è possibile confrontarli fra loro, ordinarli verso l'unità mai veramente raggiungibile » ( Balthasar, La verità del mondo ). A queste preoccupazioni sulla verità si ispirano le raccomandazioni della « Nota » sullo stile ecumenico della catechesi e della predicazione e l'esigenza di corsi ecumenici a diversi livelli ( III,2 ); - nel dono della liturgia, quando per prepararci all'incontro con i fratelli di diversa confessione ci dovremmo sentire impegnati a quelle essenzialità che il concilio Vaticano II suggerisce e a quella serena purificazione che conserva dignitosamente le nostre tradizioni popolari. « Una importante crescita nell'ecumenismo è quella di accogliere e di attuare pienamente nelle nostre comunità la riforma promessa dal concilio »( III,2 ); - nella parola di Dio, quando il rapporto ecumenico offre il confortante esempio di tanti fratelli che più facilmente si sono incontrati in essa. Non solo, li fa collaborare con le altre confessioni per offrire, comprensibile e nelle esemplari traduzioni interconfessionali, la parola di Dio a tanti popoli che la invocano. La Nota documenta: « una iniziativa di elevato valore ecumenico è stata la traduzione interconfessionale ( detta anche "in lingua corrente" ) della Bibbia, cui si è legato il rilancio della diffusione del libro, a testimonianza concreta dell'unità fondamentale che già stringe tra loro i cristiani e le Chiese, vale a dire l'unità intorno e sotto la parola di Dio »( I,2 ); - nell'impegno di carità, giustizia e pace per l'uomo; cioè, nella « testimonianza comune di servizio all'uomo » ( III,4 ); perché i cristiani diventano « più presenti » e « più efficaci » quando, nonostante le tante fratture, sanno di dover fare insieme tutto ciò che non sono costretti a fare separatamente; - infine nella speranza. Chi vive la dimensione ecumenica di una Chiesa, infatti è « storicamente di più » perchè in un certo senso, ha già superato le tante divisioni e anticipa nello spirito e nel clima ecclesiale quella unità che un giorno sarà visibile per dono dello Spirito Santo. « Perciò le nostre comunità si dovranno esercitare sempre di più nel mettere insieme le forze, perchè la testimonianza al mondo risplenda veramente come segno e dono di un Cristo indiviso » ( III,4 ). Come ogni strumento o criterio pastorale, anche questa « nota » non vuole essere risolutiva e si augura di non essere inutile. L'accompagnamento con un augurio modesto ma importante: ci aiuti e aiuti ogni comunità a « essere più Chiesa ». Roma, 2 febbraio, Festa della Presentazione del Signore + Alberto Ablondi Vescovo di Livorno Presidente del Segretariato per l'ecumenismo e il dialogo Lo Spirito Santo, che è forza di « giovinezza e di rinnovamento » perenne della Chiesa ( LG 4 ) perché suo principio di « vita, unità e moto » ( LG 7 ), è operante in un modo tutto particolare nel movimento ecumenico. Lo riconosce a più riprese il Vaticano II ( cf LG 15; UR 1; UR 4; UR 24; GS 92 ); lo ribadisce il magistero postconciliare. Giovanni Paolo II afferma: « La ricerca dell'unità e la preoccupazione ecumenica sono una dimensione necessaria di tutta la vita della Chiesa … La Chiesa cattolica è impegnata nel movimento ecumenico con una decisione irrevocabile … Per me, Vescovo di Roma, ciò costituisce una delle priorità pastorali. Questo movimento è suscitato dallo Spirito santo ». Il nuovo Codice di diritto canonico dà impressione normativa alle direttive conciliari. Siamo chiamati, allora, a obbedire allo Spirito e alla Chiesa, anzitutto noi cattolici italiani. E lo facciamo con la gratitudine e la gioia di chi è consapevole che l'ecumenismo è vocazione a una sempre maggiore fedeltà al Vangelo e a una sempre più decisa testimonianza missionaria di servizio all'uomo. La responsabilità, che è di tutti, e non solo dei pastori ( UR 5 ), tocca direttamente la riconciliazione dei cristiani e delle Chiese; e quindi dà risalto alla nota dell'unità della Chiesa; ma, alla fine, riguarda il bene dell'umanità intera in quanto l'unità dei credenti in Cristo contribuisce alla pace del mondo. Anche recentemente il Papa ha rivolto alla Chiesa italiana parole di incoraggiamento e di stimolo in questa direzione. Siamo convinti che la nostra situazione presenta urgenze e motivi specifici per una pastorale ecumenica. Vorremmo verificarlo; per tornare alla sorgente ispiratrice della dottrina conciliare, e formulare, poi, orientamenti per le scelte pastorali opportune, secondo le indicazioni del nuovo direttorio del Segretariato pontificio per l'unità dei cristiani. Parte I - L'Ecumenismo in Italia dal concilio a oggi Il problema ecumenico in Italia potrebbe sembrare periferico: i cattolici sono in maggioranza; a Roma ( e quindi in Italia ) avvengono, sì, fatti significativi per la Chiesa universale e si prendono decisioni rilevanti, ma noi - pare - ci limitiamo a « ospitarli ». Ma non è così. Il solo fatto di essere maggioranza ( al di là del problema della secolarizzazione che mette in crisi la rilevanza e la effettiva incidenza dei cristiani sulla realtà umana ) comporta maggiore responsabilità nel dare l'esempio e nel precedere altri, quando si tratti della « causa di Dio » e della « causa dell'uomo ». E anche il fatto di « ospitare » eventi e gesti che animano l'ecumenismo mondiale non permette di restare spettatori, anzi obbliga a coinvolgersi maggiormente. 1. Gesti e segni impegnativi Anche solo riferendoci al Papa, che è anzitutto Vescovo di Roma, dobbiamo riconoscere che la nostra recente vicenda ecumenica d'Italia è marcata da interventi e gesti profetici. Basti ricordare la partecipazione di preghiera di Giovanni Paolo II nella Chiesa luterana di Roma, nel dicembre 1983. Ma anche altri eventi ci hanno coinvolto. Uno fra tanti: il simposio delle Chiese d'Europa, terzo dei quattro finora realizzati, espressione dell'incontro fra il Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee ( CCEE ) e la Conferenza delle Chiese Europee ( KEK ), che ha avuto luogo a Riva del Garda nel 1984, e si è concluso solennemente nel duomo di Trento con un gesto di riconciliazione davanti al Crocifisso e ha offerto una importante confessione comune della fede niceno-costantinopolitana. Di notevole rilievo è stata la riunione a Bari, per due anni consecutivi ( 1986-87 ), della Commissione Internazionale Cattolico-Ortodossa che ha approvato un documento su Chiesa, sacramenti e unità della fede, segnando un passo in avanti nel cammino verso l'unità della Chiesa d'oriente e d'occidente. A Venezia la Roman Catholic International Commission realizza incontri con confessioni diverse, recentemente, con anglicani e metodisti. Ultimo in ordine di tempo e particolarmente significativo è l'evento ecumenico di Basilea ( 1989 ) che ha visto l'impegno di tutte le Chiese cristiane del nostro continente ad approfondire tematiche di grande attualità per il futuro dell'uomo e della storia. La risonanza ampia che questo fatto ha avuto anche in Italia e la volontà di continuare il dialogo avviato in questa occasione dalle delegazioni cattolica ed evangelica del nostro paese è una premessa per promuovere, anche in altri ambiti, ulteriori e feconde vie ecumeniche di dialogo e esemplare collaborazione. È nella logica di tali fatti che possiamo richiamare l'importanza del convegno ecclesiale di Loreto 1985, con la sua decisione di assumere l'impegno ecumenico come momento integrante della pastorale.6 La nota della CEI, che ne ha tratto un bilancio prospettico, ha potuto dichiarare solennemente: « Perché la comunione ecclesiale sia esperienza di riconciliazione, essa deve nutrirsi di uno stile di dialogo, che sappia congiungere la verità con l'amore. Emerge così, innanzitutto, l'importanza del dialogo ecumenico, che porta a vivere la tensione carità-verità come espressione dell'amore e della ricerca che si dirige all'unità in Cristo. L'ecumenismo si presenta così non come una attività fra altre, ma come una dimensione fondamentale di tutte le attività della Chiesa » ( n. 26 ). Tutti questi eventi, certamente, non emergono dal nulla. Prima di essi esisteva già una solida dottrina conciliare che, con il decreto Unitatis redintegratio li fondava e li prevedeva. Eppure, come d'un colpo, in forza di quei gesti, quella dottrina conciliare è parsa entrare effettivamente in circolo vitale dentro la Chiesa intera, anzi dentro l'intera umanità. Quegli eventi coinvolgono la Chiesa italiana. Chi li ha « ospitati » è impegnato a farli maturare, perché portino frutti anche per la vita della Chiesa e della società in Italia. 2. Interpellati dal contesto socio-religioso La situazione in cui oggi ci troviamo, anche in Italia, non permette di isolarci, col pretesto di essere maggioranza e fingendo che non esistano altre realtà religiose. Veniamo sempre più a contatto con fratelli delle Chiese d'oriente, e con fratelli delle Chiese nate dalla Riforma e con molti cristiani di confessione diversa immigrati nel nostro paese. Spesso alcuni nuclei di cristiani non cattolici si presentano radicati saldamente nella nostra storia, e con una vivacità di presenza anche teologica e culturale che va molto al di là della loro consistenza numerica. Dal concilio a oggi, grazie a Dio, registriamo un progressivo miglioramento dei nostri rapporti reciproci; anche se permangono a volte resistenze all'apertura ecumenica e atteggiamenti di rifiuto o di chiusura sia da parte dei fratelli cristiani che di comunità cattoliche. Problemi di non facile soluzione restano ancora il classico discorso sul proselitismo e la sempre più acuta questione dei matrimoni misti. A seconda delle regioni e delle diocesi, esiste notevole diversità di rapporto. Basti pensare alle comunità valdesi nel Piemonte, che da secoli si intrecciano soprattutto con la diocesi di Pinerolo. In alcune regioni è radicata la presenza di comunità ortodosse alle quali attualmente si aggiungono nuclei della Chiesa copta e ortodossa romena. Singolarissima, poi, è la situazione delle comunità di Lungro in Calabria e di Piana degli Albanesi in Sicilia, che, sempre unite con Roma, mantengono fraterni legami col mondo dell'ortodossia. Tali esperienze dovrebbero costituire provvidenziali fermenti di promozione della comunione e dello scambio fra tradizioni ecclesiali diverse. 3. I passi già compiuti Di fatto anche in Italia il concilio Vaticano II ha destato singolari entusiasmi e fervori sul piano ecumenico. Basti ricordare che già nel 1966 si costituiva la commissione CEI per l'ecumenismo, la quale si mise subito al lavoro per organizzare incontri e convegni, sia per i teologi che per i pastoralisti. Tra le iniziative più efficaci vanno ricordate quelle promosse da persone, gruppi e movimenti singoli o di base, in cui l'ecumenismo ha potuto esprimersi in qualità, in intensità e vivacità, come carisma di minoranze profetiche, ma non come forma di vita di comunità e di Chiese. Anche in questo modo si è venuta costruendo una ricchezza a disposizione della Chiesa italiana. Si sono moltiplicati i centri operativi o di riflessione teologico-pastorale, le esperienze e le iniziative di contatto e di dialogo, le pubblicazioni; si è potuto, perciò, parlare di un « patrimonio » ( quasi di una « tradizione » ), capitalizzato a beneficio della vita teologico-spirituale-pastorale della Chiesa italiana, cui si potrà ormai attingere con gioia e gratitudine. Una iniziativa di elevato valore ecumenico è stata la traduzione interconfessionale ( detta anche « in lingua corrente » ) della Bibbia, cui si è legato un rilancio della diffusione del libro sacro, a testimonianza concreta dell'unità fondamentale che già stringe fra loro i cristiani e le Chiese, vale a dire l'unità intorno e sotto la parola di Dio. La CEI, a sua volta, per quanto le è stato possibile ha cercato di tenere aperte agli aspetti ecumenici le sue proprie iniziative di rinnovamento della catechesi e della liturgia, e i suoi vari piani pastorali. 4. Difficoltà e insufficienze Riconosciamo umilmente che il cammino percorso è inadeguato È vero che anche in altre parti del mondo ci si lamenta del fatto che l'ecumenismo non entra ancora pienamente nella vita delle comunità cristiane. Ma la cosa desta maggiori preoccupazioni quando si tratta di una Chiesa come la nostra così vicina al centro della cattolicità. Dobbiamo ancora insistere sul piano della informazione e della sensibilizzazione. Non ci si può permettere di ignorare tuttora il contenuto dei testi ecumenici del concilio; e di restare estranei alla conoscenza di ciò che sono in verità le altre confessioni cristiane ( storia, dottrina, prassi ). È necessario promuovere una reciproca informazione sulle esperienze ecumeniche che qualificano una crescita costante dell'impegno ecumenico nella nostra Italia, mirando all'ideale di una « cultura ecumenica » diffusa e popolare e di una mentalità ecumenica generalizzata. Vanno superate soprattutto la scarsa informazione e le scarse sensibilità che ancora si riscontrano proprio in quei settori che dovrebbero qualificare la vita della Chiesa: teologia, predicazione, catechesi, liturgia. Non ci possono essere ancora seminari, istituti teologici, centri di formazione nei quali non sia promosso l'insegnamento specifico di ecumenismo, e dove le materie continuino a rimanere estranee alla dimensione ecumenica. Nella predicazione e nella catechesi devono scomparire segni di antichi pregiudizi antiecumenici: devono entrare nella mentalità e nella prassi pastorale i criteri sanciti dal concilio per quanto riguarda il primato della parola di Dio, lo spirito biblico, il nesso profondo tra Antico e Nuovo Testamento, la riconduzione al mistero trinitario e cristologico nella presentazione della verità della fede, la valorizzazione del momento liturgico quale « culmine e fonte » di tutta la vita della Chiesa, la centralità della « comunione » della carità nella pastorale Dobbiamo prendere coscienza di quanto grande sia il volume delle « cose comuni » che già ci uniscono fra cristiani di Chiese diverse, e che quindi permetterebbero di « fare insieme » già ora molte cose, almeno sul piano pastorale. Parte II - Principi Cattolici della Comunione Universale Occorre tornare al concilio, per fare nostra la prospettiva di apertura pienamente « cattolica » della fede e della Chiesa. 1. L'universalità del disegno salvifico di Dio Trinità La Chiesa va collocata dentro l'ottica della grandezza universale del piano di Dio, che abbraccia tutt'intera la storia e tutt'intera la creazione ( cf LG, nn. 2-3-4; AG, nn. 2-3-4 ). All'origine di tutto sta il disegno d'amore salvifico universale, che dall'eternità era nascosto nel seno del Padre, e che si è manifestato e realizzato nella pienezza dei tempi con la missione del Figlio e la missione dello Spirito ( cf Ef 3,14; Rm 8,28-29 ). La Chiesa, pertanto, viene generata da quella Parola che svela e attua quel piano di Dio; quindi essa vive in forza della fede, e nella misura in cui essa rimane sotto la parola di Dio. 2. La Chiesa vive nella storia La riscoperta della tensione escatologica verso il Regno rafforza nella Chiesa l'impegno di vivere come Maria, la fede quale « pellegrinaggio » ( cf enciclica Redemptoris Mater ). « Fino a che non vi saranno i nuovi cieli e la terra nuova … la Chiesa peregrinante, nei suoi sacramenti e nelle sue istituzioni, che appartengono all'età presente, porta la figura di questo mondo » ( LG, 48 ). Certamente, la Chiesa cattolica non può rinunciare alla confessione di avere ricevuto in dono da Dio l'integralità dei doni di verità e di grazia che costituiscono il patrimonio cristiano ( cf LG, 8; UR, 3; UR, 4 ) ma non per questo i suoi figli hanno il diritto di considerarsi esenti da limiti e da peccato ( cf LG, 8 ), e quindi esonerati dall'obbligo di confessare umilmente il bisogno di conversione e di perdono ( UR, 4; UR, 6; UR, 7 ). D'altra parte occorre valutare anzitutto la qualità dei doni che uniscono fra loro le Chiese. Perciò la Chiesa cattolica valuta e stima con gioia e gratitudine a Dio la ricchezza di doni che le altre Chiese custodiscono e valorizzano. E intende rafforzare in sé e in tutti gli altri, anzitutto col suo esempio, un processo di continua conversione all'unico Signore; sottoponendo ogni passo al giudizio della parola di Dio. A tale scopo occorre, però, che le nostre comunità tengano veramente in considerazione i principi-guida offerti del concilio; due soprattutto. Prima di tutto la Chiesa domanda la concentrazione della nostra fede sul nucleo fondamentale della rivelazione ( detto, anche, principio della « gerarchia delle verità »; UR, 11 ), senza per questo deprezzare, quasi non sia vincolante, ciò che può apparire periferico. Dobbiamo, inoltre porre una particolare attenzione a non confondere la sostanza divina del dono ricevuto con i modi umani e storici attraverso i quali il dono di Dio viene rivestito, espresso, tradotto ( UR, 6; GS, 62 ); poichè l'unica tradizione può sussistere legittimamente in varie « tradizioni », come l'unica Parola in diverse parole. 3. Comunità di comunione e di dialogo Poichè la Chiesa si presenta come « popolo adunato dall'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo » ( LG, 4; cf S. Cipriano, De ouat. domin. 23 ) la sua forma ideale non può essere altro che la « comunione »; essa deve disegnare nella storia l'immagine della Trinità e realizzare il mistero della comunione col Padre, nel Figlio, a opera dello Spirito ( cf 1 Gv 1,1-4 ). Perciò ogni comunità cristiana è chiamata a entrare nella mentalità dell'ecclesiologia della comunione e a esprimersi soprattutto come fraternità, nella reciproca comunicazione di carismi e servizi. Lo Spirito Santo, infatti, creatore della Chiesa, dispensa molti doni perchè ciascuno partecipi alla costruzione del « corpo di Cristo » ( cf 1 Cor 12 ), e la Chiesa così risplenda, in ogni singola sua comunità, anche qui in terra, come anticipata reale « comunione di santi ». Per tale motivo, diventa importante il « luogo » della convocazione e della ricapitolazione dei doni dello Spirito; vale a dire la Chiesa particolare, e la comunità locale. Perché è qui che la Parola, il sacramento e ogni altro dono dello Spirito, diventano concretezza, ottengono risposta, fanno unità e sintesi. È a questo livello che lo Spirito si mostra, al tempo stesso, principio di diversità e di unità. Ogni cristiano dà il suo apporto alla costruzione della sua comunità; ogni comunità o Chiesa locale dà il suo dono alla Chiesa universale, aprendosi al dono delle altre. È necessario, però, che ogni singolo membro di Chiesa e ogni singola Chiesa particolare non si chiudano in se stessi, ma abbiano cura dell'unità di tutto il popolo di Dio, collaborando effettivamente con coloro che hanno ricevuto dallo Spirito lo specifico ministero dell'unità della Chiesa: i pastori, e in particolar modo il Papa, cui è stato affidato il « servizio singolare di Pietro ». La tensione verso l'unità attinge dal dinamismo che parte dal battesimo e culmina nell'eucaristia. L'ecumenismo impegna appunto a riscoprire e a valorizzare al massimo l'unità che già esiste per il battesimo, e in forza della quale molto si potrebbe « fare insieme » già ora, pur nella situazione attuale di comunione ancora imperfetta. Ma non per questo è lecito attenuare l'esigenza di « pienezza » che deriva dall'eucaristia. L'ecumenismo autentico da sempre sottolinea lo stretto legame che passa tra unità eucaristica e unità ecclesiale; perché, se è vero che, celebrando, la Chiesa fa l'Eucaristia, è ancor più vero che l'Eucaristia, che è dono di Cristo e grazia dello Spirito, fa la Chiesa. Il cammino ecumenico ufficiale, allora, giustamente si propone come traguardo di raggiungiere la triplice integralità: nella fede, nei sacramenti, e nella struttura organica della chiesa. E tutto questo senza negare o minimizzare le divergenze, talora profonde, tuttora esistenti fra la Chiesa cattolica e le altre confessioni cristiane. Ma è proprio per superare tali divergenze che è necessario instaurare un dialogo condotto con rispetto, umiltà, carità e sincerità. Nel frattempo, la comunione che già esiste fra le Chiese deve stimolare a una crescita costante negli sforzi di reciproco riconoscimento e di mutua « recezione ». Perché è necessario, sempre, ascoltare « lo Spirito che parla alle Chiese e attraverso di esse » ( cf Ap 2,7.1 1.17.29 … ); altrimenti c'è il rischio di « estinguere lo Spirito », ( cf 1 Ts 5,19 ) Il decreto UR sollecita appunto a una « fraterna emulazione » nel cammino verso la pienezza di Cristo ( n. 11 ). 4. L'ecumenismo e le « nuove fedi » Sarebbe un grave errore confondere l'ecumenismo con l'atteggiamento da assumere nei confronti di un fenomeno nuovo e completamente diverso, quale è il diffondersi, anche nel nostro paese, di « nuove fedi », o - come si dice - di « nuovi movimenti religiosi o sette ». Sorgono problemi delicati. Non è possibile livellare tutto il fenomeno, che è così complesso, riducendolo a una sola sua forma di espressione. Inoltre, non è lecito confondere tali movimenti con le Chiese storiche o con le grandi religioni mondiali. Al contrario, i problemi sollevati dall'impatto con questo nuovo fenomeno dovrebbero essere studiati con maggiore profondità, e anzi in collaborazione fra tutte le Chiese che si trovano ad affrontarlo. In attesa di indicazioni pastorali più precise a tale riguardo, i fedeli cattolici sono invitati a tener desto l'interesse per questo problema, ma con atteggiamento di equilibrio, di fermezza e insieme di carità, soprattutto rafforzando la propria maturità di fede. Urge una migliore informazione circa la propria tradizione di fede e circa quella degli altri; urge più ancora una solida formazione teologica. Parte III - Orientamenti pastorali La risposta alle sfide della situazione e la fedeltà alle ispirazioni del Concilio devono tradursi in una pastorale che assuma l'ecumenismo in maniera adeguata. 1. Stile cristiano di dialogo all'interno delle comunità Per essere credibili all'esterno nel proporre un rapporto dialogico, bisogna prima che brilli all'interno della nostra vita l'esemplarità di uno stile di dialogo. Purtroppo ci sono ancora molti che diffidano del dialogo, mentre esso dovrebbe costituire espressione genuina di carità e di comunione. Dobbiamo confessare che è spesso per la mancanza del dialogo che ci troviamo di fronte al fenomeno dei lontani e dei non credenti pratici all'interno delle nostre comunità. Nel suo discorso al convegno ecclesiale di Loreto 1985, il Papa formulava il seguente auspicio: « Tutti imparino a comprendersi e a stimarsi fraternamente, a rispettarsi e a prevenirsi reciprocamente, ad ascoltarsi e a istruirsi instancabilmente, affinché la casa di Dio, cioè la Chiesa, sia edificata dall'apporto di ciascuno perché il mondo veda e creda ». Il dialogo diventa allora segno di maturità di fede, di età adulta anche per le nostre comunità. Adulto e maturo, infatti, è colui che è consapevole dei suoi limiti, che si mantiene sempre disponibile alla verifica, al contributo e al dono degli altri, che sa ascoltare e imparare e non solo parlare e insegnare; anzi, quanto più sente l'impegno di educare e di ammaestrare tanto più si fa discepolo e pronto a ricevere continua educazione da parte dei fratelli. E di questi impegni che si nutre l'autentica spiritualità ecumenica; la quale, nel suo senso più alto, è forma di vita « nello Spirito », che è Spirito di verità, di libertà, di carità ( cf Gv 16,13; 2 Cor 3,17; Rm 5,5 ). 2. Teologia, predicazione, catechesi, liturgia: in prospettiva ecumenica La formazione teologica è fattore decisivo di crescita nella maturità cristiana delle comunità. Sollecitiamo, pertanto, che anche in ossequio alle norme canoniche, in ogni centro di studio ( facoltà, seminari, istituti di scienze religiose e scuole d formazione teologica ) sia presente il corso specifico di ecumenismo, e che tutte le materie siano trattate nello spirito ecumenico. Ci auguriamo pure che cresca sempre di più il numero di teologi qualificati e disponibili a dare il loro contributo specializzato nel settore del dialogo ecumenico. A tale proposito devono trovare una risposta concreta le parole rivolte da Giovanni Paolo II agli incaricati diocesani per l'ecumenismo il 26 giugno 1987: « Il concilio Vaticano II, da parte sua, ha attribuito una attenzione particolare alla formazione ecumenica dei sacerdoti, "da cui dipende sommamente la istituzione e la formazione dei fedeli" ( UR 10 ). Il raggiungimento di una tale formazione ecumenica dei sacerdoti coinvolge, di conseguenza, i seminari e le facoltà teologiche, ma suppone anche la fondazione di istituti specializzati per studi ecumenici e non solo per la necessaria ricerca scientifica, ma anche per una altrettanto necessaria proiezione pastorale ». L'osservanza delle norme prescritte dal CIC e dal Direttorio ecumenico offre un necessario punto di riferimento alle Chiese locali, ai parroci e operatori per promuovere anche una prassi pastorale comune che sottolinei il valore della serena accoglienza dei nubendi, il rispetto dovuto alle convinzioni della parte non cattolica e la ricerca di quelle vie più idonee e ammesse per la stessa celebrazione del matrimonio. A livello pastorale, incidenza ancora maggiore hanno la predicazione e la catechesi. È necessaria particolare vigilanza perché siano sradicati tutti quei pregiudizi che sono contrari alla serenità, alla obiettività, alla verità, per quanto riguarda la storia, la dottrina, la natura e la vita dei fratelli non cattolici. Va superata ogni polemica nella presentazione della dottrina; il modo più degno ed efficace di insegnare è la manifestazione ampia e piena della verità; tutti devono poter riconoscere, dal nostro modo di annunciare la parola di Dio, che noi « non siamo contro qualcuno »; siamo soltanto i testimoni d Cristo. Per questo, come i teologi, così anche i predicatori e i catechisti, siano fedeli agli avvertimenti del concilio che anche il Rinnovamento della catechesi ha puntualmente accolto e sottolineato. Porre sempre alla base di tutto la parola di Dio, in concreto la sacra Scrittura; concentrarsi costantemente sul nucleo del mistero, che è il Cristo; operare affinché ciò che attualmente appare contrapposizione si tramuti in complementarietà, segno di ricchezza del dono dello Spirito. Una cura peculiare va dedicata alla formazione dei giovani, perché è da essi che dipende il futuro dell'ecumenismo. Spazio privilegiato di esperienza ecumenica vissuta è la vita sacramentale e liturgica. Non possiamo sottovalutare l'importanza della celebrazione del battesimo per il nostro impegno ecumenico. Infatti è proprio nel battesimo e nella iniziazione cristiana che si radica e fonda l'unità già esistente fra tutti i cristiani. Per quanto riguarda la liturgia, una importante crescita nell'ecumenismo è quella di accogliere e attuare pienamente nelle nostre comunità la riforma promossa dal concilio; così da verificare concretamente l'affermazione, più volte ribadita dal concilio, secondo cui l'espressione più alta e più piena della Chiesa e il momento per eccellenza di edificazione della comunità si ha proprio nel culto liturgico; inoltre, la liturgia offre singolare criterio e misura per ogni altra forma di preghiera e di pietà cristiana, a impedire arbitri e squilibri di soggettivismo. Dove è in atto un serio impegno liturgico la pietà popolare può essere valorizzata in un clima di purificazione. Due aspetti vorremmo soprattutto sottolineare; il valore delle celebrazioni della parola di Dio, e il valore delle celebrazioni penitenziali; due momenti, questi, che consentirebbero importanti, anche se ancora parziali, celebrazioni comuni con i fratelli non cattolici, a testimonianza di ciò che già ora ci unisce. Quindi si potrebbe attuare in certi contesti e tempi significativi, almeno un reciproco « scambio di ambonex, per la predicazione e per la presidenza di celebrazioni della Parola; anche se non è ancora possibile il reciproco « scambio di altare ». In ogni caso, dentro le nostre liturgie è da valorizzare al massimo la « preghiera di intercessione universale », perchè l'intenzione della unità dei cristiani e della pace nel mondo non venga mai dimenticata. Un problema al quale la sollecitudine pastorale deve riservare una particolare attenzione è quello dei matrimoni misti, interconfessionali, i quali offrono elementi che una accorta azione pastorale dovrà valorizzare e sviluppare, sia per il loro valore sia per il contributo che possono dare al movimento ecumenico, soprattutto quando i due sposi vivono fedelmente il loro impegno religioso. Anche nelle difficoltà che accompagnano simili situazioni, sarà preoccupazione dei pastori la salvaguardia della solidità e stabilità del vincolo coniugale e della vita familiare che ne deriva. Una commissione mista, composta da cattolici ed evangelici italiani, sta lavorando per il superamento delle difficoltà inerenti a queste situazioni. 3. Ecumenismo spirituale La preghiera resta l'anima dell'ecumenismo ( cf UR 7-8 ). Perchè solo Dio può cambiare e rovesciare le mentalità. E l'ecumenismo domanda proprio questa « conversione » radicale alla verità di Cristo e del Vangelo. Non mancano stimoli e occasioni per moltiplicare la preghiera ecumenica. Conforta notare come la settimana di gennaio, dal 18 al 25, sia sempre più sentita e fervorosamente vissuta dalle nostre comunità. Vorremmo esortare a non limitarsi a essa, con un'obbedienza puramente formale; ci si impegni a inserire la preghiera ecumenica in tutto l'anno liturgico, in specie il giovedì santo, il venerdì santo e la Pasqua; ci auguriamo, anzi, che possa diventare buona tradizione ( come già avviene in alcune diocesi ) la celebrazione annuale, in spirito ecumenico, della settimana che precede la Pentecoste. Inoltre, in occasione di incontri di studio o di iniziative comuni per la solidarietà, la pace e la giustizia, la preghiera dovrebbe costituire il supporto e il contesto di tutto. Certamente, il mettersi insieme con altri fratelli per pregare, porta a far sentire sempre più acuto il problema dei limiti tuttora esistenti in ordine a una piena e reciproca « ospitalità » ( o « comunicazione nelle cose sacre » ). Questo problema tocca, però, la natura stessa della Chiesa, il rapporto tra Battesimo ed Eucaristia; non può essere ridotto a questione di devozione personale, o di vita interna di singole comunità; va accelerato con criteri che impegnano la Chiesa universale. Dobbiamo, intanto, restare fedeli alle direttive date dalla Chiesa, affinché il cammino ecumenico sia cammino di tutta la chiesa. 4. Testimonianza comune di servizio all'uomo Il campo aperto alla cooperazione nella carità è ampio. Le nostre comunità possono e devono gareggiare in generosità e capacità di servizio. Da sostenere e promuovere è, anzitutto, l'apostolato biblico, per la diffusione della parola di Dio, che può essere fatta insieme, ora che disponiamo della Bibbia in traduzione interconfessionale. Ma perché ciò non appaia una sorta di impresa commerciale, importa costituire esemplari gruppi biblici, per l'educazione all'ascolto della Bibbia, alla « lectio divina », alla meditazione e alla interpretazione e attuazione della parola di Dio; gruppi che raccolgano insieme, se possibile, fratelli di Chiese diverse presenti sul medesimo territorio. Per una sensibilizzazione dei fedeli potrebbe essere molto opportuna la celebrazione, nelle nostre comunità, di una « domenica della Bibbia ». Anche l'approfondimento teologico non deve rimanere appannaggio di specialisti, ma vanno coinvolte le comunità cristiane, valorizzando le numerose scuole di teologia che stanno fiorendo in Italia a tutti i livelli ovviamente in piena fedeltà ai principi di un serio ecumenismo, evitando i due estremi, egualmente dannosi, dell'integrismo che esclude e dell'indifferentismo che tutto livella. La cooperazione, comunque, più accessibile a tutti è quella che riguarda le grandi « cause dell'uomo »: la giustizia, i diritti della persona, la questione morale, la pace, la salvaguardia della natura ( anche se va sinceramente riconosciuto che pure su questi ambiti si incontrano punti di grave diversificazione ). Ma le nostre comunità si dovranno esercitare sempre di piu nel mettere insieme le forze perché la testimonianza al mondo risplenda veramente come segno e dono di un Cristo indiviso. 5. Strutture Il decreto UR afferma esplicitamente ( n. 4 ) che spetta ai Vescovi la responsabilità di guidare l'attuazione dell'ecumenismo nella pastorale della loro Chiesa particolare; lo ribadisce il nuovo Codice di diritto canonico ( can. 755 ). Contemporaneamente, però, lo stesso documento conciliare afferma che « la cura di stabilire l'unione riguarda tutta la Chiesa, sia i fedeli che i pastori, e ognuno secondo la propria virtù » ( n. 5 ). Per questo la CEI ha provveduto alla creazione del Segretariato per l'ecumenismo e il dialogo, del quale sono membri Vescovi, presbiteri e laici, con significativa condivisione di carismi. Tale modello dovrebbe riprodursi in analoghi organismi dentro le diocesi o le Conferenze regionali. Particolare importanza riveste la funzione del delegato diocesano ( coadiuvato da relativa commissione o segretariato ), per l'animazione e la promozione dell'ecumenismo all'interno della rispettiva Chiesa particolare in stretto rapporto con le comunità non cattoliche presenti nel territorio. Il delegato, però, non dovrà limitarsi a tracciare e percorrere un proprio cammino di azione , ma dovrà promuovere il coinvolgimento dei consigli pastorali e di tutti gli organismi di partecipazione. Ogni Chiesa, poi, dovrebbe beneficiare dell'apporto delle famiglie religiose e degli istituti secolari, che esprimono particolare vocazione cristiana. Ogni carisma dovrebbe contribuire col suo specifico dono alla maturazione di una intensa e variegata esperienza di vita ecumenica nelle comunità locali. Conclusione Il decreto UR termina con l'ammonizione a « non recare pregiudizio ai futuri impulsi dello Spirito Santo ( n. 24 ); ciò significa che non basta attuare fedelmente le direttive già date, ma occorre mantenersi aperti al nuovo. L'ecumenismo è assoluta fiducia nello Spirito Santo. Non impegnarsi al massimo potrebbe comportare il rischio di restare indietro, e quindi di aggravare il peccato delle divisioni, andando contro la volontà di Dio. La conversione chiesta dall'ecumenismo è radicale. Ma per arrivare a una mentalità rinnovata dobbiamo passare attraverso una profonda conversione interiore, che ci permetta: di cambiare certi schemi ereditati dal passato per assumerne altri propostici dal concilio; di riconoscere i nostri peccati e le nostre responsabilità in fatto di divisioni; di stabilirci pienamente nell'amore di Dio e dei fratelli: allora molte barriere umane cadranno, poiché la comunione con Dio è sorgente di una profonda comunicazione e comunione anche con i fratelli. La finitezza e la limitatezza umana di fronte all'infinita e immensa grandezza di Dio e di nostro Signore Gesù Cristo, fondano la possibilità delle diversità umane e cristiane. Il peccato contro l'unità si ha anche quando la diversità è vista e vissuta, ma con spirito di protagonismo che considera la propria esperienza e tradizione come unica, esclusiva e totalizzante. Viceversa il recupero della complementarietà esige da una parte riflessione, ricerca, umiltà e scoperta delle realtà divine unitarie e unificanti, e dall'altra la conoscenza delle varietà e delle particolari esperienze e tradizioni storiche. Questa ricerca produce senso di gioia nella scoperta sincera di altri e ulteriori aspetti di verità e di realtà cristiane vissute e proposteci da fratelli di altre Chiese e di altre comunità cristiane. Tutto questo presuppone ed esige infine l'apertura alla pienezza della verità di Cristo che ci giudica e ci trascende. L'ecumenismo ci porterà alla riscoperta d'essere già fratelli ». Per questo motivo la fraternità dovrà veramente costituire la base del vivere cristiano delle nostre comunità, non solo nei loro rapporti interni, ma anche in ordine ad altri che per lungo tempo sono parsi camminare in direzione diversa dalla nostra. Su indicazione del concilio dobbiamo percorrere questa strada con fiducia, perchè l'ecumenismo non è un esporre la propria fede al rischio della sua attenuazione o addirittura della sua perdita. Esso, anzi, è stimolo a una crescita nella verità, a un « credere di più » e a un « essere di più »; attingendo largamente da tutte le fonti che Dio ha scavato e aperto per noi. È la carità di Dio che ha aperto questa strada; quella carità che ci insegna ad avere pazienza, a non scavalcare i tempi nella ricerca della verità e dell'unità. Dobbiamo essere guidati dallo Spirito e non dalle nostre tecniche umane; lo Spirito apre agli altri, a tutti, alla libertà, all'amore; la fiducia nelle risorse nostre, radica nell'egoismo. Abbiamo assoluto bisogno di Dio, e perciò di preghiera e di impegno; perchè, anche attraverso l'ecumenismo, la Chiesa si mostri al mondo sempre di più quale « creatura dello Spirito », e rivelazione dell'amore di Dio. Roma, 2 febbraio 1990, Festa della Presentazione del Signore