La formazione ecumenica nella Chiesa particolare

Indice

Presentazione

Il senso e il motivo di questa « Nota pastorale »?

La risposta è nelle sue parole conclusive « l'ecumenismo è stimolo a credere di più, a essere di più ».

Una affermazione così coraggiosa e che riguarda tutte le nostre comunità potrà forse stupire.

Soprattutto chi si è avvicinato alla « Nota sulla formazione ecumenica nella Chiesa particolare » senza grande interesse: pensando forse che l'impegno ecumenico è solo una vocazione di specializzati nella Chiesa o addirittura ritenendolo un problema marginale in essa; comunque riservato agli autorevoli e solenni dialoghi teologici di vertice.

E allora, per dar fiducia al lettore che non ha ancora grande esperienza di ecumenismo, per confortare chi è già impegnato nel cammino ecumenico, per offrire alle diverse comunità in Italia alcuni orientamenti comuni vorrei proprio introdurre la « nota » riflettendo insieme su questo « Essere di più » che l'ecumenismo offre.

« Essere di più » nella comunione

La parola ecumenismo, già di per sé sa di « casa » ( Oicos ); essa richiama perciò quella comunione che costituisce ogni famiglia, e dunque la Chiesa come famiglia dei figli di Dio.

L'ecumenismo, infatti, per superare le fratture e per aprire alla speranza della loro ricomposizione impegna i cristiani anzitutto a « crescere di più insieme » verso il Signore; con priorità assoluta, anche sul camminare ancora insieme fra di loro.

Non è questo il principio che fonda e orienta la crescita di ogni comunità cristiana?

Essa potrà dilatare ai fratelli solo la comunione, anzitutto profondamente e intimamente vissuta col suo Signore.

Direi perciò che « cuore » della Nota è il capitolo II « principi cattolici della comunione universale »; quando sottolinea « l'universalità del disegno salvifico di Dio Trinità » ( I ) e la Chiesa come « comunità di comunione e di dialogo ».

Il prioritario e più profondo incontro con Dio, che l'ecumenismo esige, aiuta anche a scoprire e ad amare e valorizzare « di più » i doni che rendono gli altri diversi; in modo che la loro diversità si riveli come una ricchezza « in più » che essi offrono alla comunione.

« Ogni comunità cristiana è chiamata a entrare nella mentalità della ecclesiologia e della comunione e ad aprirsi soprattutto come fraternità, nella reciproca comunicazione di carismi e servizi » ( II,3 ).

Questo « ricevere di più in un rapporto fatto di diversi che si integrano è l'insegnamento, valido per ogni comunità, che l'ecumenismo trae dalla storia.

In essa, spesso e purtroppo, le diversità non conosciute e non accettate sono diventate divisioni.

Per questo il cammino ecumenico, prima di vedere nelle altre confessioni gli aspetti tuttora inconciliabili, insegna a scoprire i valori per cui le loro tradizioni e i loro doni dello Spirito Santo fanno « essere di più » anche noi.

Ma anche nel farci leggere la storia l'ecumenismo aiuta la nostra comunità a « essere di più »: quando ci ammonisce che è necessario soffrire tutto, e sopportare tanto pur di non arrivare a fratture che sovente, nate da banalità, diventano gravi e non si sa come potranno rimarginarsi; e quando ridesta il sospetto verso gli interessi politici, economici e personalistici che possono sempre inquinare ogni comunità cristiana.

Essi hanno provocato spesso, come la storia insegna, fratture irrimediabili, solo apparentemente motivati da valori di fede.

E la « Nota » offre un aiuto per il faticoso risalire di questa corrente di fratture, richiamando gli esemplari « gesti e segni impegnativi » ( I,1 ) che ci precedono e facendoci puntualmente interpellati dal contesto « socioreligioso » italiano ( I,2 ).

« Essere di più » nella missione

L'ecumenismo che è dimensione di comunione nella Chiesa deve essere, di conseguenza, dimensione della sua missione.

Vi sono delle mete come la « nuova evangelizzazione » e problemi come il secolarismo che richiedono non tanto ai cristiani di « fare quadrato » quanto di « essere di più » insieme: nello scambio dei valori condivisi ( che sono poi quelli di fondo ) nella testimonianza che diventa più suadente e perciò più efficace quando è fraterna.

La condizione di Chiesa di grande maggioranza in Italia non ci esonera da questa preoccupazione ecumenica che la nota richiama alla responsabilità dei cattolici « il solo fatto di essere maggioranza ( al di là del problema della secolarizzazione che mette in crisi la rilevanza e la effettiva incidenza della cristianità sulla realtà umana ) comporta maggiore responsabilità nel dare l'esempio e nel precedere altri, quando si tratta della causa di Dio e della causa dell'uomo » ( I ).

Direi inoltre che la preoccupazione ecumenica deve far capire come ogni gesto o parola, anche all'interno delle singole comunità, possa assumere il valore della missione o decadere nello scandalo, a seconda che sia caratterizzata o no dalla carità e dalla libertà dei figli di Dio.

Perché lo stesso modo con cui, in una comunità ecclesiale, ci si tratta, ci si parla, ci si comunica, ci si ammonisce, il modo con cui si esercita un ministero, può essere per il fratello di altra confessione motivo di riavvicinamento o di ulteriore presa di distanza.

Perciò la « Nota » dedica un paragrafo allo « stile del dialogo all'interno della comunità cristiana » ( III,1 ) e precisa: « per essere credibili all'esterno nel proporre un rapporto dialogico bisogna che brilli all'interno della nostra vita la esemplarità di uno stile di dialogo ».

Dovremmo davvero sempre vederci e ascoltarci fra noi con gli occhi e con l'orecchio di chi è lontano, per vederci e ascoltarci « di più » e fraternamente.

A maggior ragione si comprende come l'annuncio missionario di ogni Chiesa sia « più ascoltato » quando ci presentiamo come « una sola cosa »; e sia invece scandalosamente inefficace quando è disturbato dal passato e dal presente delle nostre divisioni.

« Essere di più » nei doni del Signore

Il III capitolo, che raccoglie gli « orientamenti pastorali », ci invita a contemplare i tanti doni che il Signore offre alla sua Chiesa; ma ci fa anche consapevoli che molti li portiamo senza conoscerli; spesso li difendiamo senza amarli veramente nella loro fecondità.

L'ecumenismo invece può farli « più doni » quando per proporli agli altri fratelli ce li fa scoprire; quando li difendiamo dimostrando soprattutto quanti nelle nostre comunità siano capaci di generare santità.

È davvero un seminatore di « essere di più » l'ecumenismo:

- nel dono della verità eterna e infinita per cui di fronte a essa « ogni conoscente deve rassegnarsi a riconoscere le limitatezze del proprio campo di vista nello stesso istante in cui si sente tentato di criticare l'angustia delle prospettive altrui » dal momento che spesso « tutti i singoli punti di vista che hanno parte a questa unica verità è possibile confrontarli fra loro, ordinarli verso l'unità mai veramente raggiungibile » ( Balthasar, La verità del mondo ).

A queste preoccupazioni sulla verità si ispirano le raccomandazioni della « Nota » sullo stile ecumenico della catechesi e della predicazione e l'esigenza di corsi ecumenici a diversi livelli ( III,2 );

- nel dono della liturgia, quando per prepararci all'incontro con i fratelli di diversa confessione ci dovremmo sentire impegnati a quelle essenzialità che il concilio Vaticano II suggerisce e a quella serena purificazione che conserva dignitosamente le nostre tradizioni popolari.

« Una importante crescita nell'ecumenismo è quella di accogliere e di attuare pienamente nelle nostre comunità la riforma promessa dal concilio »( III,2 );

- nella parola di Dio, quando il rapporto ecumenico offre il confortante esempio di tanti fratelli che più facilmente si sono incontrati in essa.

Non solo, li fa collaborare con le altre confessioni per offrire, comprensibile e nelle esemplari traduzioni interconfessionali, la parola di Dio a tanti popoli che la invocano.

La Nota documenta: « una iniziativa di elevato valore ecumenico è stata la traduzione interconfessionale ( detta anche "in lingua corrente" ) della Bibbia, cui si è legato il rilancio della diffusione del libro, a testimonianza concreta dell'unità fondamentale che già stringe tra loro i cristiani e le Chiese, vale a dire l'unità intorno e sotto la parola di Dio »( I,2 );

- nell'impegno di carità, giustizia e pace per l'uomo; cioè, nella « testimonianza comune di servizio all'uomo » ( III,4 ); perché i cristiani diventano « più presenti » e « più efficaci » quando, nonostante le tante fratture, sanno di dover fare insieme tutto ciò che non sono costretti a fare separatamente;

- infine nella speranza.

Chi vive la dimensione ecumenica di una Chiesa, infatti è « storicamente di più » perchè in un certo senso, ha già superato le tante divisioni e anticipa nello spirito e nel clima ecclesiale quella unità che un giorno sarà visibile per dono dello Spirito Santo.

« Perciò le nostre comunità si dovranno esercitare sempre di più nel mettere insieme le forze, perchè la testimonianza al mondo risplenda veramente come segno e dono di un Cristo indiviso » ( III,4 ).

Come ogni strumento o criterio pastorale, anche questa « nota » non vuole essere risolutiva e si augura di non essere inutile.

L'accompagnamento con un augurio modesto ma importante: ci aiuti e aiuti ogni comunità a « essere più Chiesa ».

Roma, 2 febbraio, Festa della Presentazione del Signore

+ Alberto Ablondi Vescovo di Livorno
Presidente del Segretariato per l'ecumenismo e il dialogo

Lo Spirito Santo, che è forza di « giovinezza e di rinnovamento » perenne della Chiesa ( LG 4 ) perché suo principio di « vita, unità e moto » ( LG 7 ), è operante in un modo tutto particolare nel movimento ecumenico.

Lo riconosce a più riprese il Vaticano II ( cf LG 15; UR 1; UR 4; UR 24; GS 92 ); lo ribadisce il magistero postconciliare.

Giovanni Paolo II afferma: « La ricerca dell'unità e la preoccupazione ecumenica sono una dimensione necessaria di tutta la vita della Chiesa … La Chiesa cattolica è impegnata nel movimento ecumenico con una decisione irrevocabile …

Per me, Vescovo di Roma, ciò costituisce una delle priorità pastorali.

Questo movimento è suscitato dallo Spirito santo ».1

Il nuovo Codice di diritto canonico dà impressione normativa alle direttive conciliari.2

Siamo chiamati, allora, a obbedire allo Spirito e alla Chiesa, anzitutto noi cattolici italiani.

E lo facciamo con la gratitudine e la gioia di chi è consapevole che l'ecumenismo è vocazione a una sempre maggiore fedeltà al Vangelo e a una sempre più decisa testimonianza missionaria di servizio all'uomo.

La responsabilità, che è di tutti, e non solo dei pastori ( UR 5 ), tocca direttamente la riconciliazione dei cristiani e delle Chiese; e quindi dà risalto alla nota dell'unità della Chiesa; ma, alla fine, riguarda il bene dell'umanità intera in quanto l'unità dei credenti in Cristo contribuisce alla pace del mondo.

Anche recentemente il Papa ha rivolto alla Chiesa italiana parole di incoraggiamento e di stimolo in questa direzione.3

Siamo convinti che la nostra situazione presenta urgenze e motivi specifici per una pastorale ecumenica.

Vorremmo verificarlo; per tornare alla sorgente ispiratrice della dottrina conciliare, e formulare, poi, orientamenti per le scelte pastorali opportune, secondo le indicazioni del nuovo direttorio del Segretariato pontificio per l'unità dei cristiani.

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1 Giovanni Paolo II, Discorso alla Curia Romana, 28 giugno 1985.
2 Cf C.I.C., can 755.
3 Cf Giovanni Paolo II, Discorso agli incaricati diocesani per l'ecumenismo:
« La ricerca dell'unità è una priorità pastorale», 26 giugno 1987