Le Aggregazioni Laicali nella Chiesa Presentazione Sono lieto di consegnare alle comunità ecclesiali che sono in Italia e, in essa, in modo particolare alle aggregazioni dei fedeli laici - associazioni, movimenti e gruppi - la Nota pastorale della Commissione Episcopale per il laicato Le aggregazioni laicali nella Chiesa. Lo faccio a nome della Conferenza Episcopale Italiana, come ulteriore segno della sollecitudine con cui i Vescovi guardano alle diverse forme di partecipazione dei fedeli laici alla vita e alla missione della Chiesa nel nostro Paese. Come Vescovi siamo infatti ben consapevoli che anche attraverso l'azione delle aggregazioni laicali le nostre comunità potranno impegnarsi più efficacemente nella "nuova evangelizzazione", per penetrare nel cuore dell'umanità e condurla a un incontro sempre nuovo con la persona e il messaggio del Signore Gesù. Constatiamo con fiducia come in tali aggregazioni crescano la volontà e lo sforzo di tradurre in realtà operante quell' "indole secolare" che è "propria e peculiare'' dei laici ( cf. Lumen gentium, 31 ), contro il rischio di una caratterizzazione troppo intraecclesiale del loro impegno. Ma siamo anche fermamente convinti che tale impegno, perché sia veramente fruttuoso, perché riesca, cioè, a trasformare il mondo con il fermento del Vangelo, non solo non deve snaturarsi, adeguandosi alle logiche e ai valori del mondo, ma deve rimanere radicato nel senso della fede cristiana e dell'appartenenza alla Chiesa, essere animato da una forte tensione alla fondamentale votazione di ogni cristiano alla santità, sostenuto da una salda e convinta comunione ecclesiale. In questa prospettiva vi affidiamo la Nota, certi dell'accoglienza sincera da parte di tutti e dell'impegno generoso di tradurre nella vita e nello stile di ogni aggregazione le indicazioni pastorali che in essa sono contenute. Roma, 29 aprile 1993 Festa di Santa Caterina da Siena, Patrona d'Italia Camillo Card. Ruini Vicario Generale di Sua Santità per la Diocesi di Roma Presidente della Conferenza Episcopale Italiana Introduzione L'impegno pastorale della Chiesa che è in Italia, fin dagli anni '80, è stato caratterizzato dallo sforzo di rendere sempre più visibile e trasparente nelle nostre comunità il dono soprannaturale della comunione ecclesiale, che le edifica e le anima, come riflesso della Comunione trinitaria. Con gli orientamenti pastorali per gli anni '90, Evangelizzazione e testimonianza della carità, esso ha avuto un ulteriore impulso e più profonde motivazioni. Se il Vangelo della carità, infatti, è al centro della "nuova evangelizzazione", la sua testimonianza ne costituisce una condizione ineludibile di credibilità e di efficacia. All'interno della comunità cristiana la prima testimonianza della carità è data dalla "comunione": è questo il nome ecclesiale della carità. Si tratta di un "grande dono dello Spirito", che tutte le realtà ecclesiali devono accogliere con gratitudine e responsabilmente valorizzare per l'incessante costruzione della casa comune. Un compito specifico, a tale riguardo, hanno le aggregazioni dei fedeli laici. Da quelle più antiche a quelle più recenti, nella loro molteplicità e varietà, esse sono segni "della ricchezza e della vers. atilità delle risorse che lo Spirito del Signore Gesù alimenta nel tessuto ecclesiale" ( Christifideles laici, 31 ). La fedeltà al medesimo Spirito esige, di conseguenza, che tutte convergano nella comunione ecclesiale: in essa trovano la loro origine, la principale ragione d'essere e la più autentica finalità; ad essa devono offrire il proprio contributo nel cuore di ogni Chiesa particolare e nella necessaria apertura alla Chiesa universale, per essere fermento di Cristo nel mondo e rifare il tessuto cristiano del nostro Paese, bisognoso oggi, come non mai, di un supplemento d'anima. È un'esigenza, questa, che i Vescovi italiani hanno messo costantemente in luce nei principali documenti dell'ultimo decennio: essi non se ne sono nascosti mai le difficoltà, ma sempre hanno manifestato fiducia nella volontà e nella capacità delle aggregazioni laicali di essere un segno di comunione e di unità, "perchè il mondo creda" ( Gv 17,20 ). Rinsaldare la comunione per rendere più fruttuosa la missione fu l'intento principale della Nota pastorale Criteri di ecclesialità dei gruppi, movimenti e associazioni, pubblicata dalla Commissione Episcopale per il Laicato agli inizi degli anni '80: un intento ampiamente ribadito nel documento Comunione e comunità, ripreso nella nota La Chiesa in Italia dopo Loreto, riproposto in Comunione e comunità missionaria e rimotivato in Comunione, Comunità e Disciplina ecclesiale. Nell'ultimo documento pastorale Evangelizzazione e testimonianza della carità, si riconosce che le aggregazioni laicali ( "portano un contributo originale alla vita e alla missione della Chiesa del nostro tempo"; ma anche per loro si precisa che ogni sforzo "resterebbe vano se non convergesse nell'impegno di edificare insieme la Chiesa e di cooperare alla missione": e si auspica una partecipazione sempre più concorde alla pastorale organica e unitaria, sotto la guida del Vescovo. È questa la finalità anche della presente Nota pastorale. Essa non è un rifacimento o un aggiornamento di quella precedente. La suppone certamente e, per diversi aspetti tuttora validi, ad essa rimanda. Ma va oltre, perchè ne integra e ne sviluppa i contenuti, nel quadro più vasto della nuova stagione aggregativa dei fedeli laici, alla luce del nuovo Codice di Diritto Canonico e della Esortazione Apostolica di Giovanni Paolo II Chrisfifideles laici. Nella prima parte si richiamano i principi ecclesiologici, che fondano e regolano il diritto di aggregazione dei fedeli nella Chiesa, come mistero di comunione e di missione, e il servizio dei Pastori per il necessario discernimento e riconoscimento della ecclesialità delle aggregazioni in base ai criteri indicati nella Christifideles laici. Nella seconda si enuclea la normativa del nuovo Codice di Diritto Canonico, riguardante le associazioni dei fedeli, per il giusto orientamento di tutti, Pastori e fedeli, nella convinzione che la nuova codificazione canonica è l'interpretazione più autorevole e quindi più sicura dell'ecclesiologia conciliare, l'ecclesiologia di comunione, nella quale si collocano il diritto e la libertà aggregativa dei fedeli laici. Nella terza si offrono alcune indicazioni pastorali. Si parte dal doveroso coinvolgimento di tutte le aggregazioni laicali nella "nuova evangelizzazione" soprattutto nei campi propri dei fedeli laici, per sottolinearne tre condizioni: la partecipazione nella comunione alla missione e alla pastorale della Chiesa particolare; l'urgenza che esse siano sempre più scuole di formazione permanente e integrale ( umana, spirituale, dottrinale e culturale ) e la necessità della collaborazione affettiva ed effettiva fra le realtà aggregative nella reciproca stima e nel vicendevole scambio di doni. Fondamentale, in questa prospettiva, è il ministero dei Pastori, del quale si delineano i tratti essenziali. Ma a tale servizio dell'autorità deve corrispondere l'impegno convinto e responsabile di tutte le aggregazioni. Ad esse, nella conclusione, si rinnova la fiducia dell'episcopato, come espressione delle attese e della speranza di tutte le Comunità ecclesiali che sono in Italia. + Salvatore De Giorgi Arcivescovo emerito di Taranto Presidente della Commissione Episcopale per il laicato Premessa 1. - Una nuova stagione aggregativa La presenza di molteplici forme aggregative dei fedeli laici segna positivamente la fase attuale della vita della Chiesa. Se sempre nella sua storia "l'aggregarsi dei fedeli ha rappresentato in qualche modo una linea costante, come testimoniano sino ad oggi le varie confraternite, i terzi ordini e i diversi sodalizi, esso ha però ricevuto uno speciale impulso nei tempi moderni". Anche per la Chiesa in Italia possiamo parlare di "una nuova stagione aggregativa l dei fedeli laici". A queste aggregazioni noi Vescovi guardiamo con, attenzione, con speranza e fiducia. Sono, infatti, significative modalità di vita cristiana e luoghi di formazione, dove i fedeli laici ricevono aiuto per meglio conoscere la loro dignità battesimale e per partecipare attivamente alla vita e alla missione della Chiesa. Nella varietà dei carismi, dei metodi e dei campi di azione, i fedeli laici trovano ulteriori occasioni per incontrarsi e vivere la loro appartenenza alla Chiesa, maturare nella vita di fede ed essere testimoni della vita e della risurrezione del Signore Gesù davanti al mondo. Con la presente Nota, in comunione con il Santo Padre Giovanni Paolo II, intendiamo riaffermare la ragione ecclesiologica delle aggregazioni laicali e il loro diritto di presenza nella Chiesa, favorire e rinsaldare il dialogo tra loro e quello di ciascuna con le altre realtà ecclesiali, accompagnare la necessaria opera di discernimento con la guida autorevole e con l'incoraggiamento. In particolare, mentre riprendiamo i contenuti della Nota pastorale del 22 maggio 1981 sui Criteri di ecclesialita dei gruppi, movimenti e associazioni, intendiamo rispondere al bisogno di svilupparne i contenuti e gli orientamenti alla luce del Codice di Diritto Canonico del 1983, dell'Esortazione apostolica Christifideles laici di Giovanni Paolo II e dei successivi documenti della Conferenza Episcopale Italiana, in particolare del documento Evangelizzazione e testimonianza della carità. La Nota vuole pure rispondere alle istanze presenti oggi nella vita della Chiesa, chiamata ad una "nuova evangelizzazione", come anche alle esigenze di una convinta e salda testimonianza di comunione e unità ecclesiale: sono, queste, dimensioni essenziali, oggi particolarmente urgenti, nella delicata fase che il nostro Paese sta attraversando. 2. - La varietà delle realtà aggregative e loro denominazioni È vasta la tipologia delle molteplici forme aggregative. La stessa terminologia, con la quale sono identificate, è abbastanza varia e non sempre è intesa alla stesso modo. L'Esortazione Christifideles laici parla di "associazioni, gruppi, comunità e movimenti". Questi e altri nomi che potrebbero essere impiegati lasciano intendere quanto il fenomeno aggregativo sia ampio e differenziato. Allo scopo di orientare in tanta diversità, la Nota pastorale del 1981 aveva offerto alcune indicazioni di massima, le quali, pur nei limiti della loro provvisorietà funzionale, sono valide ancora oggi. Le richiamiamo sinteticamente. Col nome di associazioni si indicano le aggregazioni che hanno una struttura organica ed istituzionalmente caratterizzata quanto alla composizione degli organi direttivi e all' adesione dei membri. Il nome di movimenti è attribuito a quelle realtà aggregative nelle quali l'elemento unificante non è tanto una struttura istituzionale quanto l'adesione « vitale » ad alcune idee-forza e ad uno spirito comune. Sono denominati gruppi le aggregazioni di vario tipo che sono caratterizzate da una certa spontaneità di adesione, da ampia libertà di auto-configurazione e dalle dimensioni alquanto ridotte, che permettono una maggiore omogeneità tra gli aderenti. In un campo nel quale ben raramente si danno realtà rigide e fisse, non sempre i termini di associazione, movimento e gruppo corrispondono alla figura sostanziale che designano. Per questo, in rapporto alle diverse realtà aggregative dei fedeli laici, la presente Nota preferisce usare il termine generico di aggregazione. In ogni caso, la molteplicità delle aggregazioni di fedeli laici, come pure la varietà delle forme, dei metodi e dei campi operativi, trovano il loro momento di convergenza nel loro scopo di "partecipare responsabilmente alla missione della Chiesa di portare il Vangelo di Cristo come fonte di speranza per l'uomo e di rinnovamento per la società". 3. - Le organizzazioni di ispirazione cristiana Particolare fisionomia assumono le associazioni ecclesiali di animazione cristiana delle realtà temporali, il cui impegno specifico è la pastorale sociale. Distinte da queste sono le "organizzazioni di ispirazione cristiana", nelle quali i fedeli laici, interpretando le diverse situazioni culturali, professionali, sociali e politiche, agiscono in nome proprio, come cittadini, guidati dalla coscienza cristiana. Alla luce e con la forza della fede, essi operano nelle realtà temporali sotto la propria responsabilità personale o collettiva, per farle crescere secondo le prospettive di un autentico umanesimo plenario. Queste realtà associative sono strumenti concreti per una efficace azione dei cristiani nel mondo, anche se, come ha ricordato il Concilio, questa loro azione è distinta da quella che i cristiani compiono in nome della Chiesa in comunione con i loro pastori. Se l'autorità pastorale della Chiesa non assume una diretta responsabilità, nel senso che "non spetta ai pastori della Chiesa intervenire direttamente nella costruzione politica e nell'organizzazione della vita sociale. Questo compito rientra nella vocazione dei laici, che agiscono di propria iniziativa con i loro concittadini", tuttavia i Pastori riconoscono il ruolo decisivo di una simile presenza organizzata nel sociale. Infatti l'operare dei laici "non può mai essere svincolato [ … ], sul piano dottrinale e morale, dal riferimento al messaggio del Vangelo, dal riferimento, in concreto, alla dottrina sociale della Chiesa. Le attività dei laici nelle realtà temporali non possono prescindere da questo riferimento negli obiettivi che perseguono e nemmeno nei mezzi, nei metodi, nello stile da essi adottati". Parte I - Principi ecclesiologici 4. - Le forme associative dell'apostolato dei fedeli laici hanno un significato pieno solo nel mistero della Chiesa comunione e missione. Ad esso, perciò, sono relativi il diritto e la libertà di aggregazione. 5. - La Chiesa, mistero di comunione e di missione Il termine "comunione" richiama alla mente la preghiera di Gesu per i credenti "perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato" ( Gv 17,21-22 ), e suggerisce l'esistenza di una certa similitudine tra l'unità delle Persone divine e quella dei figli di Dio nella verità e nella carità. "In questa comunione fraterna il Signore Gesu indica il riflesso meraviglioso e la misteriosa partecipazione all'intima vita d'amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo". La comunione è una grazia, un grande dono dello Spirito, da accogliere con fede e con gioia; ma è pure un compito da assolvere con un forte senso di responsabilità: è un appello a stabilire rapporti di donazione reciproca; un richiamo a riconoscere e ad accogliere le differenze come ricchezza e come spazi per la complementarità; una esortazione pressante a subordinare ogni cosa alla carità, quale carisma più grande ( cf. 1 Cor 13,13 ). La comunione, come intima unione degli uomini con Dio e degli uomini tra di loro, non risulta da un generico sentimento, bensì dalla nostra unione in Cristo. Vinta la morte con la sua morte e risurrezione, Gesu ci trasforma in creature nuove, e, "comunicando il suo Spirito, costituisce misticamente come suo corpo i suoi fratelli, chiamati da tutte le genti". La Chiesa è il popolo di Dio costituito per una comunione di vita, di carità e di verità. In quanto esprime la natura sacramentale della Chiesa, la comunione ecclesiale è invisibile e visibile, organica e gerarchica, perché è comunione nel Corpo di Cristo, un tutto vivente "che comprende tutti gli elementi interni ( come i doni dello Spirito Santo, le virtù della fede, della speranza e della carità ) ed esterni ( come la professione della fede, i sacramenti e il ministero gerarchico ) indivisibilmente uniti e mediante i quali il popolo di Dio è edificato e animato". In questa comunione tutte le diversità - di vocazioni, di condizioni di vita, di ministeri, di carismi, di responsabilità - si accolgono e si realizzano, si integrano e si completano per la crescita verso la comunione perfetta. La comunione, infine, "non è una realtà ripiegata su se stessa bensì permanentemente aperta alla dinamica missionaria ed ecumenica, perché inviata al mondo ad annunciare, testimoniare, attualizzare ed espandere il mistero di comunione che la costituisce; a raccogliere tutti e tutto in Cristo; ad essere per tutti « sacramento inseparabile di unità »". La comunione è sempre missionaria, così come la missione è per la comunione. D'altra parte la partecipazione alla vita della Chiesa universale, alla sua comunione e missione si realizza sempre nella Chiesa particolare. La comunione, poi, è autentica quando si traduce in partecipazione attiva e corresponsabilità a tutta la vita della Chiesa, con una disponibilità che arriva anche al "sovvenire alle necessità della Chiesa", comprese quelle di carattere economico. 6. - La Chiesa particolare nel suo legarne con la Chiesa universale Questo mistero di comunione e di missione, che si manifesta pienamente nella Chiesa universale, è veramente presente nelle Chiese particolari "nelle quali e a partire dalle quali - come ha ricordato il Concilio Vaticano II - esiste la sola e unica Chiesa cattolica". È del tutto urgente, pertanto, che i "fedeli laici abbiano una visione chiara e precisa della Chiesa particolare nel suo originale legame con la Chiesa universale. La Chiesa particolare non nasce da una specie di frammentazione della Chiesa universale, né la Chiesa universale viene costituita dalla semplice somma delle Chiese particolari; ma un vivo, essenziale e costante vincolo le unisce tra loro, in quanto la Chiesa universale esiste e si manifesta nelle Chiese particolari", che a loro volta sono "formate a immagine della Chiesa universale", "nella quale e dalla quale" esse nascono ed "hanno la loro ecclesialita". Il Romano Pontefice, successore di Pietro, è il perpetuo e visibile principio e fondamento dell'unità dei Vescovi e di tutti i fedeli. Il Vescovo, a sua volta, è principio visibile e fondamento di unità nella Chiesa particolare, che egli raduna e guida nello Spirito Santo mediante la Parola, i Sacramenti e il servizio dell'autorità. Tutti, pertanto, nella Chiesa particolare, "devono aderire al Vescovo come la Chiesa a Gesu Cristo e come Gesu Cristo al Padre, affinché tutte le cose siano d'accordo nell'unità e crescano per la gloria di Dio ( cf. 2 Cor 4,15 )". Ciò vale analogamente anche per le aggregazioni: perché siano autenticamente ecclesiali. 7. - Infine, "la comunione ecclesiale, pur avendo sempre una dimensione universale, trova la sua espressione più immediata e visibile nella parrocchia: essa è l'ultima localizzazione della Chiesa, è in un certo senso la Chiesa stessa che vive in mezzo alle case dei suoi figli e delle sue figlie". La partecipazione delle aggregazioni alla vita della parrocchia è motivata dal fatto che questa è una realtà teologica, perchè essa è una comunità eucaristica. "Ciò significa - leggiamo nell'Esortazione Christifideles laici - che essa è una comunità idonea a celebrare l'Eucaristia, nella quale stanno la radice viva del suo edificarsi e il vincolo sacramentale del suo essere in piena comunione con tutta la Chiesa. Tale idoneità si radica nel fatto che la parrocchia è una comunità di fede e una comunità organica, ossia costituita dai ministri ordinati e dagli altri cristiani, nella quale il parroco - che rappresenta il Vescovo diocesano - è il vincolo gerarchico con tutta la Chiesa particolare". Va pertanto riscoperto, nella fede, il vero volto della parrocchia, ossia il mistero stesso della Chiesa, presente ed operante in essa come "famiglia di Dio", "fraternità animata dallo spirito di unità", "casa di famiglia, fraterna ed accogliente": essa è la "comunità di fedeli". 8. - Il diritto di aggregazione dei fedeli laici È soprattutto questa ragione ecclesiologica che giustifica e motiva il diritto di aggregazione proprio dei fedeli laici: è un diritto che si connette con la loro libertà associativa. Tale diritto trova il suo primo fondamento nella natura sociale della persona umana; viene poi riconosciuto nella Chiesa in forza della condizione battesimale dei fedeli: " mediante il Battesimo l'uomo è incorporato alla Chiesa di Cristo e in essa è costituito persona, con i doveri e i diritti che ai cristiani, tenuta presente la loro condizione, sono propri, in quanto sono nella comunione ecclesiastica …". Dal Battesimo scaturisce il diritto-dovere di dedicare le proprie energie al fine di condurre una vita santa, di promuovere la crescita della Chiesa, di essere testimoni vivi del Vangelo. Scaturiscono pure il diritto di seguire un proprio metodo di vita spirituale conforme alla dottrina della Chiesa e il diritto di scegliere una realtà aggregativa, quale forma per vivere la propria partecipazione alla comunione e alla missione della Chiesa. 9. - Come ha ricordato il Concilio Vaticano II, l'apostolato associato "corrisponde felicemente alle esigenze umane e cristiane dei fedeli e al tempo stesso si mostra come segno della comunione e dell'unità della Chiesa in Cristo che disse: « Dove sono due o tre riuniti in mio nome, io sono in mezzo a loro » ( Mt 18,20 )". Anteriormente, però, alla possibilità di operare apostolicamente in forme aggregative, ogni fedele laico è sempre chiamato ed obbligato ad esercitare l'apostolato personale, il quale è assolutamente necessario, insostituibile, e, in talune circostanze, l'unico adatto e possibile. Per tutti i fedeli laici questa è prima e normale forma di apostolato e la condizione per ogni altra: permette una irradiazione capillare, costante e particolarmente incisiva del Vangelo, ed ha in sé grandi ricchezze, che devono essere scoperte per una intensificazione del dinamismo missionario di ogni cristiano. Pertanto, l'esigenza di valorizzare e di promuovere l'apostolato associato dei fedeli laici non può essere realizzata dimenticando o, peggio ancora, misconoscendo il valore dell'apostolato personale. 10. - La libertà aggregativa dei fedeli laici è da considerare secondo la dinamica del Battesimo, che dona alla libertà nello Spirito, per la quale, svincolati da interessi egoistici, i cristiani sono, mediante la carità, al servizio gli uni degli altri ( cf. Gal 5,13-14 ). La libertà dei figli di Dio è connotata da un intrinseco significato e da una essenziale destinazione ecclesiali. Essa nasce nella Chiesa, si esprime in essa e vive per la sua edificazione. Per questo, tale libertà "dev'essere sempre esercitata nella comunione della Chiesa: in tal senso il diritto dei fedeli laici ad aggregarsi è essenzialmente relativo alla vita di comunione e alla missione della Chiesa stessa". In questa linea già il decreto Apostolicam actuositatem affermava che "salva la dovuta relazione con l'autorità ecclesiastica, i laici hanno il diritto di creare associazioni e guidare e dare il proprio nome a quelle già esistenti". Ciò rimanda alla dinamica della comunione, la quale collega la libertà associativa dei fedeli col ministero dei Pastori di custodire, trasmettere e insegnare la verità, diffondere la santità di Cristo, edificare e guidare l'unità della Chiesa. 11. - Il senso della "ecclesialità" Tutte le aggregazioni dei fedeli laici, pertanto, devono guardare al mistero della Chiesa per tracciare e ritrovare i propri autentici connotati. Avendo nella Chiesa di Cristo il luogo proprio di nascita, di crescita e di azione, esse devono esprimerne le note più caratteristiche. Tutte le realtà aggregative sono chiamate a riflettere in se stesse, come in uno specchio, il mistero di quell'amore di Cristo da cui la Chiesa è nata e nasce di continuo. Dalla risposta a questa vocazione deriva la verità del loro essere realtà autenticamente ecclesiali. 12. - Come è stato già affermato in un contesto diverso ma analogo, "la qualifica « ecclesiale » non è mai da dare per scontata. Non è un'etichetta; non è un titolo acquisito; non è una garanzia preventiva di autenticità". "Ecclesialità", infatti, è termine esigente: significa sapere di appartenere alla Chiesa e, piu ancora, sapere di "essere Chiesa" ed avere il "senso della Chiesa". Per ogni aggregazione dei fedeli l'ecclesialità è data dal suo riferimento alla vita concreta della Chiesa; compete ad essa in quanto e per quanto ciascuna è espressione della Chiesa di Cristo, vive di essa, in essa e per essa. 13. - Sapere di "essere Chiesa", poi, è ben diverso dal ritenere di "essere la Chiesa". Il mistero della Chiesa, infatti, è qualcosa di ben più grande dei singoli cristiani e di ogni aggregazione. Esso è talmente ricco da esprimersi in forme molteplici e diverse senza che alcuna di queste, e neppure tutte insieme, possano esaurirlo. È assolutamente da evitare l'errore di chi "assolutizza la propria esperienza, favorendo in tal modo, da una parte, una lettura in chiave riduttiva del messaggio cristiano, e, dall'altra, il rifiuto di un sano pluralismo di forme associative". 14. - Una aggregazione è ecclesiale, anzitutto, perché alcuni membri del popolo di Dio liberamente vi aderiscono e vi si impegnano in forza della loro comune partecipazione al sacerdozio di Cristo, ricevuta col Battesimo. È ecclesiale, inoltre, perché non è mai ridotta a ragioni formali, funzionali o efficientiste, ma si costituisce ultimamente in forza delle sollecitazioni dello Spirito di Dio che attira e aiuta i fedeli a vivere con più consapevolezza e responsabilità il loro Battesimo. È ecclesiale, infine, perché deriva da un dono che è rivolto ai singoli fedeli ma per il "bene comune" della Chiesa, arricchita di doni gerarchici e carismatici con i quali l'unico Spirito la costituisce e la rinnova. 15. - I criteri di ecclesialità In questo contesto sono da leggersi i criteri di discernimento e di riconoscimento delle aggregazioni, detti pure "criteri di ecclesialita". L'opportunità di una loro determinazione, in ordine a sicuri criteri di giudizio e di comportamento, si fece sentire nel Sinodo dei Vescovi del 1987. Giovanni Paolo II ne ha trattato ampiamente nell'Esortazione apostolica post-sinodale Christifideles laici. 16. - Ci riferiamo a questa Esortazione, soprattutto per illustrare la profonda coerenza dei criteri di ecclesialità con la dottrina sulla Chiesa come mistero di comunione missionaria: in realtà, sono da considerarsi non come criteri, per così dire, "esterni" alla ecclesialità delle aggregazioni, ma "interni", perché è proprio nella loro attuazione che la ecclesialità di ciascuna si rende concretamente visibile. Nella prospettiva della Chiesa quale mistero di comunione missionaria da cui sono dedotti, i criteri di ecclesialità favoriscono la libertà associativa dei fedeli, garantiscono e sostengono la vita di comunione nella Chiesa e la partecipazione alla sua missione. Questi criteri, assunti nella loro singolarità ma anche nella loro unità e reciproca complementarità, valgono sia per i fedeli che per i Pastori. Per i fedeli, come orientamento per costituire ed attuare una aggregazione che sia sempre, quanto ai fini, alla struttura e all'attività "a immagine della Chiesa". Per i Pastori, per l'esercizio del loro ministero, che è quello di "accompagnare l'opera di discernimento con la guida e soprattutto con l'incoraggiamento per una crescita delle aggregazioni dei fedeli laici nella comunione e nella missione della Chiesa". 17. - Cinque sono i criteri indicati nell'Esortazione Christifideles laici. 1) "Il primato dato alla vocazione di ogni cristiano alla santità, manifestata « nei frutti di grazia che lo Spirito produce nei fedeli » come crescita verso la pienezza della vita cristiana e la perfezione della carità". Da ciò deriva che ogni aggregazione, mentre favorisce nei suoi membri l'unità tra la vita e la fede, deve essere essa stessa strumento di santità nella Chiesa. 2) "La responsabilità di confessare la fede cattolica, accogliendo e proclamando la verità su Cristo, sulla Chiesa e sull'uomo in obbedienza al Magistero della Chiesa, che autenticamente la interpreta". Ne scaturisce per ogni aggregazione l'impegno a essere luogo di annuncio della fede e di educazione ad essa nel suo integrale contenuto. 3) "La testimonianza di una comunione salda e convinta, in relazione filiale con il Papa, perpetuo e visibile centro dell'unità della Chiesa universale, e con il Vescovo « principio visibile e fondamento dell'unità » della Chiesa particolare". Tale comunione "è chiamata ad esprimersi nella leale disponibilità ad accogliere i loro insegnamenti dottrinali e orientamenti pastorali". La comunione ecclesiale esige pure il riconoscimento della legittima pluralità delle forme aggregative e la disponibilità alla loro reciproca collaborazione. 4) "La conformità e la partecipazione al fine apostolico della Chiesa, ossia l'evangelizzazione, la santificazione degli uomini e la formazione cristiana della loro coscienza, in modo che riescano a permeare di spirito evangelico le varie comunità e i vari ambienti". Da ciò prende avvio quello slancio missionario che rende una realtà aggregativa sempre più soggetto di una "nuova evangelizzazione". 5) "L'impegno di una presenza nella società umana che, alla luce della dottrina sociale della Chiesa, si ponga a servizio della dignità integrale dell'uomo". A questo criterio è collegato il dovere, proprio in particolare delle aggregazioni laicali, di diventare "correnti vive di partecipazione e di solidarietà per costruire condizioni più giuste e fraterne all'interno della società". 18. - I criteri di ecclesialità e la ragione ecclesiologica Come si vede, questi cinque criteri, nella loro singolarità e unità, fanno riferimento alla Chiesa quale mistero di comunione missionaria. Dall'essere la Chiesa mistero deriva il primo criterio: il primato da riconoscere alla vocazione alla santità. Questa affonda le sue radici nel sacramento del Battesimo e nella sua realizzazione si rivela in pienezza la dignità di ogni cristiano. Dall'essere la Chiesa mistero di comunione derivano gli altri due criteri, che riguardano la responsabilità di confessare la fede cattolica e di testimoniare una comunione salda e convinta in relazione filiale con il Papa e con il Vescovo. Un modello di vita di comunione nella Chiesa ci è offerto dalla prima comunità, quella di Gerusalemme, nella quale i credenti "erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere" ( At 2,42 ). Dall'essere la Chiesa mistero di comunione missionaria derivano il quarto e il quinto criterio circa la conformità e la partecipazione al fine apostolico della Chiesa e l'impegno di una presenza nella società umana. 19. - Questi cinque criteri di ecclesialità sono tutti essenziali e necessari. Nulla impedisce, però, che altri se ne aggiungano, di carattere più particolare, in più esplicita corrispondenza alle situazioni concrete. È pure possibile che, in rapporto alla specifica tipologia di una determinata aggregazione, alcuni criteri siano evidenziati in modo particolare. I cinque criteri di ecclesialità, tuttavia, valgono nel loro insieme per qualsiasi forma di aggregazione, qualunque siano il loro legame giuridico con l'autorità ecclesiastica e la responsabilità che questa assume nei loro riguardi. 20. - Vari tipi di rapporto con la Gerarchia. L'Azione Cattolica L'apostolato dei laici, infatti, ammette - come dice il Concilio - "vari tipi di rapporto con la Gerarchia secondo le diverse forme e oggetti dell'apostolato stesso", e "l'autorità ecclesiastica, per le esigenze del bene comune della Chiesa, fra le associazioni e iniziative apostoliche aventi un fine immediatamente spirituale, può inoltre scegliere in modo particolare e promuoverne alcune per le quali assume una speciale responsabilita". È questo il caso dei "vari movimenti e associazioni di Azione Cattolica, in cui i laici si associano liberamente in forma organizzata e stabile, sotto la spinta dello Spirito Santo, nella comunione con il Vescovo e con i sacerdoti, per poter servire, nel modo proprio della loro vocazione, con un particolare metodo, all'incremento di tutta la comunità cristiana, ai progetti pastorali e all'animazione evangelica di tutti gli ambiti di vita, con fedeltà e operosita". Il Concilio Vaticano II, che ne ha delineato le note caratteristiche, , ha annoverato l'Azione Cattolica "tra i vari tipi di ministero", che sono "necessari" per lo sviluppo della comunità cristiana, e che perciò "tutti debbono diligentemente promuovere e coltivare". Essa, infatti, è chiamata a realizzare "una singolare forma di ministerialità laicale", fondata su "una vocazione speciale" e sul "particolare carisma" di diretta collaborazione con la Gerarchia, della quale "accoglie con aperta disponibilità la guida" e alla quale "offre con responsabile iniziativa il proprio organico e sistematico contributo per l'unica pastorale della Chiesa", "a servizio dell'intera comunità cristiana e del Paese". A motivo di "questa collaborazione dei laici con l'apostolato gerarchico della Chiesa, essa ha un posto non storicamente contingente, ma teologicamente motivato nella struttura ecclesiale". Per tali ragioni e per la consolidata presenza apostolica dell'Azione Cattolica Italiana nel nostro Paese col suo ricco patrimonio ecclesiastico e culturale, i Vescovi italiani ne riaffermano la singolare validità e ne sostengono con speciale sollecitudine l'impegno, rinnovando l'esortazione che sacerdoti e laici armonizzino le loro vedute circa l'Azione Cattolica a queste prospettive, superando pregiudizi e disattenzioni, e confidando che una più efficace adesione alle medesime prospettive gioverà alla stessa Azione Cattolica per realizzare il ministero che la qualifica. 21. - La verifica nei frutti I criteri di ecclesialità trovano tutti la loro verifica nei frutti concreti che, accompagnando la vita e l'opera delle singole aggregazioni, devono mostrarsi con sempre maggiore evidenza e devono intendersi alla luce del complesso armonico di verità e di carità proprio di un'esistenza cristiana. L'Esortazione Christifideles laici indica i seguenti frutti: - il gusto rinnovato per la preghiera, la contemplazione, la vita liturgica e sacramentale; - l'animazione per il fiorire di vocazioni al matrimonio cristiano, al sacerdozio ministeriale, al diaconato permanente, ai ministeri istituiti, alla vita consacrata; - la disponibilità a partecipare ai programmi e alle attività della Chiesa a livello sia locale sia nazionale o internazionale; - l'impegno catechetico e la capacità pedagogica nel formare i cristiani; - l'impulso a una presenza cristiana nei diversi ambienti della vita sociale e la creazione e animazione di opere caritative, culturali e spirituali; - lo spirito di distacco e di povertà evangelica per una più generosa carità verso tutti; - la conversione alla vita cristiana o il ritorno alla comunione di battezzati « lontani ». Parte II - Normativa canonica 22. - Le associazioni dei fedeli nel Codice di Diritto Canonico La fecondità del magistero del Concilio Vaticano II, e in particolare le sue affermazioni circa la libertà associativa nella Chiesa, non potevano non avere il loro riflesso nella nuova codificazione canonica, che si configura come un grande sforzo di tradurre l'ecclesiologia conciliare in linguaggio canonistico. Nel nuovo Codice ha trovato piena accoglienza il diritto per tutti i fedeli di associarsi e di tenere riunioni per finalità ecclesiali: "I fedeli hanno il diritto di fondare e dirigere liberamente associazioni che si propongano un fine di carità o di pietà, oppure associazioni che si propongano l'incremento della vocazione cristiana nel mondo; hanno anche il diritto di tenere riunioni per il raggiungimento comune di tali finalità" ( can. 215 ). Operare nella Chiesa in forma associata è, prima che un diritto, un elemento costitutivo della partecipazione dei fedeli alla missione della Chiesa. Si tratta di una esigenza cristiana, che corrisponde al progetto di Dio per la sua Chiesa. Il Codice di Diritto Canonico non si limita ad enunciare un principio, ma ne regola l'esercizio mediante norme opportune, che propongono una tipologia definita e precisa. Queste norme, mentre riconoscono la libertà che spetta ai gruppi associati, li sollecitano a tener conto dell'indole ecclesiale del loro operare, che deve realizzarsi sempre nella comunione della Chiesa. Nello spirito del documento pastorale Comunione, comunità e disciplina ecclesiale è necessario che tali norme siano ben conosciute, studiate e fedelmente applicate anche nei riguardi delle forme di partecipazione aggregativa alla vita e alla missione della Chiesa. In questo modo si dà anche prova di volere accogliere seriamente le disposizioni conciliari, senza comode enfatizzazioni o pericolose riduzioni. 23. - Istituzione e carisma Si potrà osservare che il fenomeno associativo nella vita della Chiesa presenta un significato che va oltre un profilo puramente sociale e giuridico: è da comprendersi come il frutto di una particolare azione dello Spirito; per questo si suole parlare in termini di "carisma". Al riguardo l'Esortazione Christifideles laici afferma: "Ai nostri tempi non manca la fioritura di diversi carismi tra i fedeli laici, uomini e donne. Sono dati alla persona singola, ma possono anche essere condivisi da altri e in tal modo vengono continuati nel tempo come una preziosa e viva eredità, che genera una particolare affinità spirituale tra le persone". In linea di principio non può esserci opposizione tra istituzione e carisma. La Chiesa è un'unica e complessa realtà, inscindibilmente gerarchica e carismatica, visibile e spirituale. Proprio perchè nella Chiesa la comunione non può mai essere dissociata dal sacramento, l'invisibilità e la visibilità non sono nella Chiesa due realtà giustapposte o semplicemente accostate tra loro, bensì interiori l'una all'altra e tali da esigersi reciprocamente. Nella vita della Chiesa le due realtà, istituzionale e carismatica, si incontrano e si fondono. Non si può, in nome di un presunto carisma, contestare e "superare" la Chiesa istituzione; mentre è proprio del servizio pastorale della autorità nella Chiesa discernere e favorire e non spegnere eventuali carismi. Se, da una parte, gli autentici carismi arricchiscono e rinnovano la vita della Chiesa, dall'altra, i Pastori non possono rinunciare a svolgere la loro missione di guida, di verifica e di edificazione. Di più, il discernimento dei carismi è talmente necessario, che nessuno di essi dispensa dal riferimento e dalla sottomissione ai Pastori della Chiesa. Alle norme canoniche relative alle associazioni dei fedeli ( cf. cann. 298-329 ) si deve applicare ciò che Giovanni Paolo II ha detto per l'intero Codice, e cioè che esse non hanno lo scopo "di sostituire la fede, la grazia, i carismi e soprattutto la carità dei fedeli", ma, al contrario, quello "di creare tale ordine nella società ecclesiale che; assegnando il primato all'amore, alla grazia e al carisma, rende più agevole contemporaneamente il loro organico sviluppo nella vita sia della società ecclesiale, sia anche delle singole persone che ad essa appartengono". 24. - Tipologia delle associazioni dei fedeli La nuova normativa canonica relativa alle associazioni dei fedeli distingue, riguardo alle persone, tra associazioni di chierici, associazioni di laici, ed associazioni di chierici e laici insieme. In questa Nota si fa riferimento soprattutto alle associazioni laicali. Riguardo al modo di costituzione, alle finalità e al rapporto che si instaura tra l'associazione e l'autorità ecclesiastica, il Codice opera una distinzione tra associazioni private di fedeli senza specifica rilevanza giuridica nell'ordinamento canonico della Chiesa; associazioni private di fedeli in vario modo riconosciute dall'autorità ecclesiastica con o senza personalità giuridica; associazioni pubbliche di fedeli. 25. - Le associazioni private "di fatto" La costituzione delle associazioni private rappresenta un'autentica novità della codificazione canonica attuale. Essa si pone come naturale conseguenza del diritto e della libertà associativa dei fedeli. Nascendo non per un atto dell'autorità ma per un atto di fondazione dei fedeli e quale frutto del loro accordo, queste associazioni esistono, come si suole dire, "di fatto" e legittimamente nella Chiesa. Esse hanno il diritto di chiedere particolari autenticazioni e autorizzazioni. Ma se, non avvertendone l'esigenza, non chiedono per la loro iniziativa una specifica rilevanza giuridica nell'ordinamento canonico, esse hanno pur sempre il dovere di vivere la comunione nella Chiesa; e su di esse il Vescovo ha sempre il diritto-dovere di esercitare la cura pastorale, perché sia conservata l'integrità della fede e dei costumi, e la vigilanza, perché non si insinuino abusi nella disciplina ecclesiastica ( cf. can. 305 ). Di qui il concreto impegno dei responsabili delle associazioni a presentarsi al Vescovo della diocesi dove operano e a offrirgli gli elementi necessari perchè possa esercitare, anche nei loro riguardi, il suo ministero. Si deve inoltre ricordare che nessuna associazione privata può assumere il nome di "cattolica" senza avere il consenso della competente autorità ecclesiastica ( cf. can. 300 ). 26. - Le associazioni private riconosciute dall'autorità Associazioni private sono chiamate dal Codice tutte quelle associazioni che vengono costituite liberamente dai fedeli per fini spirituali e apostolici derivanti dalla loro condizione battesimale e dall'esercizio del loro sacerdozio comune, e che nei loro riguardi l'autorità ecclesiastica, su loro libera richiesta, opera un provvedimento idoneo a riconoscere la loro rilevanza giuridica. Il primo atto in tal senso è la presa visione degli Statuti, mediante la quale l'autorità ecclesiastica, conoscendo l'associazione nella sua concreta realtà, ne verifica la conformità al Diritto Canonico e ne riconosce anche giuridicamente l'ecclesialità. Lo stesso Codice prevede che un'associazione privata possa essere lodata o raccomandata dall'autorità ecclesiastica. In tal modo essa riceve, per così dire, una accresciuta credibilità ecclesiastica di fronte ai soci. Anche gli altri fedeli ricevono assicurazione circa la significatività ecclesiale e l'utilità pastorale di una associazione ( cf. can. 298,2 ). Questi atti, però, pur essendo di alto valore ecclesiale, non mutano la natura delle singole associazioni: il loro agire non impegna che la responsabilità delle associazioni stesse. Ciò nonostante, esse rimangono soggette alla vigilanza dell'autorità ecclesiastica ( cf. can. 305 ), alla quale "spetta ancora, nel rispetto dell'autonornia propria delle associazioni private, vigilare e fare in modo che si eviti la dispersione delle forze e ordinare al bene comune l'esercizio del loro apostolato" ( can. 323,2 ). 27. - Il Codice prevede pure che un'associazione privata di fedeli, per decreto formale dell'autorità ecclesiastica competente, possa acquistare personalità giuridica, ossia diventare in pienezza soggetto di diritti e di doveri ( cf. can. 322,1 ). La presenza nella Chiesa di associazioni private di fedeli con personalità giuridica è anch'essa nuova rispetto alla codificazione anteriore, ed è molto significativa perchè dice la volontà di promuovere le realtà aggregative attraverso una pluralità di moduli che risultano di grande vantaggio per la comunione ecclesiale. In quest'ultimo caso l'attenzione della Chiesa si manifesta giuridicamente mediante la approvazione degli Statuti, previo il necessario discernimento ( cf. can. 322,2 ). 28. - Le associazioni pubbliche Le associazioni pubbliche sono quelle costituite ed erette dalla competente autorità ecclesiastica, per la particolare importanza delle finalità che perseguono. L'associazione pubblica, con lo stesso decreto con cui viene eretta, è costituita in persona giuridica pubblica e riceve dall'autorità ecclesiastica, per quanto sia necessaria, la missione di realizzare i fini che si propone di conseguire in nome della Chiesa. Agisce quindi in nome della Chiesa, ossia in favore di scopi ed utilizzando mezzi che impegnano in modo immediato la responsabilità dell'autorità ecclesiastica per il bene pubblico della Chiesa. Per tale motivo alla autorità ecclesiastica competono sulle associazioni pubbliche poteri di intervento e di vigilanza più ampi di quelli previsti per le associazioni private ( cf. cann. 315-319 ): esse, infatti, possono intraprendere spontaneamente iniziative rispondenti alla loro propria natura, ma sotto la superiore direzione dell'autorità ecclesiale. Questa superiore direzione non comporta l'esercizio di un diretto governo dell'associazione, ma quello del dovere-diritto di promozione e di indirizzo. 29. - Condizioni per il riconoscimento Per avere una rilevanza giuridica, ossia una collocazione nell'ordinamento canonico, è necessario che ogni realtà aggregativa faccia conoscere in modo preciso la sua esistenza all'autorità competente, perché questa possa esaminarne la natura e le finalità, accertarne e certificarne l'autenticità cristiana, valutarne l'opportunità del riconoscimento. Per riconoscimento si intende "un'approvazione esplicita della competente autorità ecclesiastica". A norma del can. 312,1 del Codice di Diritto Canonico, l'autorità competente é la Santa Sede per le associazioni universali e internazionali; la Conferenza episcopale nell'ambito del suo territorio per le associazioni operanti in tutta una nazione; il Vescovo diocesano nell'ambito del suo territorio per le associazioni diocesane. Nell'Esortazione Christifideles laici Giovanni Paolo II indica come "oltremodo opportuno che alcune nuove associazioni e alcuni nuovi movimenti, per la loro diffusione spesso nazionale o anche internazionale, abbiano a ricevere un riconoscimento ufficiale". 30. - Condizione per il riconoscimento ufficiale delle associazioni private è il previo esame degli Statuti da parte dell'autorità compente ( cfr. can. 299,3 ). Per l'erezione delle associazioni pubbliche e per l'attribuzione della personalità giuridica a quelle private se ne richiede l'approvazione ( cfr. cann. 314, 322,2 ). A prescindere dal dettaglio del loro contenuto e dalla loro forma, variabili a seconda delle caratteristiche di ciascuna associazione, la presenza degli Statuti corrisponde a molteplici esigenze. Conformemente alla volontà della Chiesa, che è quella di offrire alle aggregazioni ecclesiali un sostegno reale, la loro richiesta apre lo spazio per una stabilità e chiarezza di identità che, pur nel mutamento dei membri che inizialmente le hanno costituite e composte, permette loro di permanere nel tempo. Poiché gli Statuti costituiscono l'elemento stabile che organizza la vita di una realtà aggregativa, i primi a riceverne un beneficio sono gli stessi aderenti, i quali possono così vedere ulteriormente rinsaldata la loro unione. Gli Statuti, inoltre, servono a fare conoscere alla comunità cristiana i tratti fondamentali di una associazione, i suoi fini e la sua interna organizzazione. Infine, permettono di precisare le varie modalità di rapporto tra l'associazione stessa e l'autorità ecclesiastica. Parte III - Indicazioni pastorali 31. - Dopo avere richiamato i principi ecclesiologici e la normativa canonica delle realtà aggregative, aggiungiamo ora, allo scopo di promuoverne la presenza e l'azione, alcune indicazioni di indole più esplicitamente pastorale. La prospettiva è quella della "nuova evangelizzazione", di cui ripetutamente Giovanni Paolo II richiama l'indilazionabile urgenza. Anche la Conferenza Episcopale Italiana, negli orientamenti pastorali per gli anni '90, ne ricorda con forza la necessità. 32. - Aggregazioni laicali e "nuova evangelizzazione "Tutti i cristiani sono e devono sentirsi coinvolti in questa missione. Non soltanto quelli che comunemente ne sono ritenuti, per così dire, i soggetti classici, ossia il Papa e i Vescovi con gli altri ministri ordinati e i religiosi, ma anche i fedeli laici, i quali, a motivo e in forza della loro partecipazione battesimale al servizio profetico, sacerdotale e regale di Cristo, sono coinvolti a pieno titolo nella missione evangelizzatrice della Chiesa. Se poi si considera che obiettivo della "nuova evangelizzazione" è che si rifaccia il tessuto cristiano delle nostre comunità ecclesiali, come condizione per rifare il tessuto cristiano della società umana, si vede immediatamente quale singolare congenialità esiste tra l'impegno per la "nuova evangelizzazione" e quello proprio dei fedeli laici. Essi in particolare, che hanno ricevuto da Dio il mondo come "luogo" della loro vocazione nella Chiesa, svolgono compiti non delegabili nella "nuova evangelizzazione", alla quale tutti i fedeli sono chiamati. Nel servizio missionario, che l'intera Chiesa deve rendere agli uomini, i fedeli laici hanno una modalità "peculiare" di partecipazione, che li distingue in ragione della loro "indole secolare". In conformità alla loro specifica vocazione di fedeli laici, "il campo proprio della loro attività evangelizzatrice è il mondo vasto e complicato della politica, della realtà sociale, dell'economia; così pure della cultura, delle scienze e delle arti, della vita internazionale, degli strumenti della comunicazione sociale; ed anche di altre realtà particolarmente aperte all'evangelizzazione, quali l'amore, la famiglia, l'educazione dei bambini e degli adolescenti, il lavoro professionale, la sofferenza. Più ci saranno laici penetrati di spirito evangelico, responsabili di queste realtà ed esplicitamente impegnati in esse, competenti nel promuoverle e consapevoli di dovere sviluppare tutta la loro capacità cristiana spesso tenuta nascosta e soffocata, tanto più queste realtà, senza nulla perdere né sacrificare del loro coefficiente umano, ma manifestando una dimensione trascendente spesso sconosciuta, si troveranno al servizio dell'edificazione del Regno di Dio, e quindi della salvezza in Gesù Cristo". Mediante l'impegno di laici preparati e consapevoli delle proprie responsabilità occorre "annunciare in modo vivo e credibile contenuti e stili di vita evangelici al mondo giovanile, spesso frammentato e interiormente svuotato; ricostruire il tessuto della comunità cristiana attraverso l'evangelizzazione delle famiglie, chiamate a divenire le prime evangelizzatrici all'interno della parrocchia; innervare la realtà sociale, civile ed economica dei valori della coerenza, della giustizia e della carità cristiana. 33. - Se ciò vale per i singoli laici, vale, a maggior ragione, per le aggregazioni laicali. Soprattutto in un contesto secolarizzato, complesso e pluralista, com'è quello italiano, l'incidenza culturale, sorgente e stimolo ma anche frutto e segno di ogni altra trasformazione dell'ambiente e della società, può realizzarsi solo con l'opera non tanto dei singoli, quanto di "soggetti sociali", quali sono le aggregazioni. Esse sono, perciò, soggetti indispensabili per la "nuova evangelizzazione" e, come tali, devono aprirsi sempre più generosamente alla missione: tanto più che anche nel nostro Paese si fanno sempre più evidenti i tentativi di emarginare la fede e i valori cristiani da ogni manifestazione della vita pubblica. "I grandi valori morali e antropologici che scaturiscono dalla fede cristiana, devono essere vissuti anzitutto nella propria coscienza e nel comportamento personale, ma anche espressi nella cultura e, attraverso la libera formazione del consenso, nelle strutture, leggi e istituzioni". Per questo è necessaria più che mai l'azione convergente e unitaria di tutte le aggregazioni laicali. All'impegno della "nuova evangelizzazione" sono chiamate a dare un contributo tipico e insostituibile le donne, mettendo in opera i doni particolari, connessi con la "vocazione" e con il "genio" che sono loro propri. Ricordiamo, in proposito, la loro presenza attiva e numerosa in tutte le aggregazioni laicali: e non poche ne sono state fondatrici. D'altra parte, è certo che la presenza coordinata degli uomini e delle donne rende più completa, armonica e ricca la partecipazione dei fedeli laici alla missione salvifica della Chiesa. Lo slancio missionario è un'esigenza insopprimibile per ogni cristiano che vive il mistero della Chiesa. Questo vale anche per le realtà aggregative, le quali, come è stato detto a proposito dei criteri di ecclesialità, si fanno riconoscere in particolare per la loro conformità e partecipazione al fine apostolico della Chiesa. Come tutta la Chiesa e ogni cristiano, così anche le aggregazioni dei fedeli laici sono costituite dal Signore Gesù perché vadano e portino frutto duraturo ( cf. Gv 15,16 ). In particolare esse sono chiamate a fare proprie le tre scelte pastorali, che i Vescovi italiani hanno proposto come "vie privilegiate attraverso le quali il Vangelo della carità può farsi storia in mezzo alla nostra gente": un'organica, intelligente e coraggiosa pastorale giovanile; il servizio a quanti sono spiritualmente e materialmente poveri nel contesto di una cultura della solidarietà e dell'integrale promozione umana; una rinnovata e responsabile presenza nel sociale e nel politico. Per questo le aggregazioni sono chiamate a partecipare attivamente alle "scuole di formazione sociopolitica" e alle "Settimane sociali dei cattolici italiani", alle "Giornate mondiali della Gioventù" e alle iniziative promosse dalla "Caritas". 34. - Comunione e missione delle aggregazioni laicali nella Chiesa particolare La sfida della "nuova evangelizzazione" richiede come primo impegno quello della comunione nella Chiesa particolare. L'assolutizzare le proprie esperienze, il chiudersi in forrne autosufficienti e discriminanti, il ritenersi come unica interpretazione o realizzazione autentica della Chiesa, lo stabilire cammini paralleli non convergenti, sono atteggiamenti contrari alla comunione e ostacolano la missione. Poiché il mistero della Chiesa è presente nelle Chiese particolari, queste sono per tutte le aggregazioni il luogo primo e immediato dove normalmente vivere la comunione e assolvere il compito di evangelizzazione "con un respiro sempre più cattolico". La loro partecipazione alla missione della Chiesa, infatti, è rivelata ed è garantita dal loro essere un "segno" visibile nel più ampio contesto della comunità cristiana. È necessario, perciò, che le aggregazioni laicali "si mettano sempre più a servizio della comunità, se ne sentano parte viva e ricerchino in ogni modo l'unità, anche pastorale, con la Chiesa particolare e con la parrocchia". In concreto questo comporta che si impegnino a convergere nelle scelte pastorali della Chiesa in Italia e della propria Chiesa particolare, al cui piano pastorale offrono il contributo della loro esperienza con la peculiarità del proprio stile comunitario. La pastorale diocesana, infatti, è essenzialmente organica e unitaria: si elabora e si attua attorno al Vescovo e "sotto la sua guida" con "un'azione concorde di tutti, perché "sia resa sempre più manifesta l'unità della Diocesi". 35. - All'interno e come cellule della Chiesa particolare vi sono le parrocchie, nelle quali si incontrano i fedeli, uomini e donne, di età differenti, di cultura e di condizione sociale diverse. Sono allora da considerarsi da tutti come esempio visibile dell'apostolato comunitario, casa comune e spazio nel quale tutte le differenze umane e culturali si fondono e sono inserite nell'universalità della Chiesa. Anche se talvolta bisognose di profondo rinnovamento, le parrocchie conservano nella diocesi un posto e un ruolo insostituibili, per cui non solo i singoli fedeli, ma anche le singole aggregazioni devono essere convinte del particolare significato che ha l'impegno apostolico nella parrocchia. Sempre attuali, al riguardo, sono le indicazioni contenute nel documento pastorale Comunione e comunità. La partecipazione alla vita della parrocchia ha il suo momento più alto e significativo nella celebrazione della Eucaristia, soprattutto nel Giorno del Signore. Accogliamo, pertanto, come rivolto anche a noi, questo invito di Giovanni Paolo II: "Visti i tanti spunti positivi che i nuovi movimenti e le nuove comunità introducono nella vita ecclesiale, vi prego di fare attenzione affinché questi spunti si ritrovino nella celebrazione domenicale dell'Eucaristia con il Popolo di Dio. La Messa domenicale, in quanto festa del Popolo di Dio, è fondamentale per la Chiesa e deve riunire i diversi gruppi che formano il Popolo di Dio. Inoltre, vista la crescente carenza di personale, sarebbe incomprensibile che gruppi o raggruppamenti di qualsiasi genere chiedessero una particolare celebrazione domenicale dell'Eucaristia". 36. - Per parte loro le Chiese particolari, ed in esse le parrocchie, sono chiamate a riconoscere il valore delle nuove esperienze di vita cristiana, ad accoglierle, a promuoverne la crescita in spirito di comunione, ad aprire loro gli spazi necessari ad esprimere i rispettivi itinerari educativi e metodologie, a favorire, incoraggiare e sostenere la loro partecipazione secondo il loro diritto. Tuttavia, sempre più frequentemente, i problemi da affrontare e le risorse disponibili richiedono un superamento dei confini della parrocchia. Diventano allora opportune la collaborazione tra parrocchie vicine, soprattutto in città, e la costituzione di aggregazioni laicali interparrocchiali, i cui membri dovranno comunque sentirsi coinvolti nella vita religiosa e liturgica della propria parrocchia. Le diocesi e le parrocchie, d'altra parte, non possono considerare il loro rapporto con le aggregazioni dei fedeli prescindendo dalla dimensione sopradiocesana e anche internazionale che è propria di molte di esse. Non mancheranno, dunque, di riferirsi al discernimento e all'intervento della Santa Sede circa le aggregazioni internazionali di fedeli. 37. - La formazione integrale e permanente delle aggregazioni laicali Perché possano vivere il loro slancio missionario, è necessario che le realtà aggregative siano scuole di formazione. Ogni aggregazione deve essere luogo di annuncio e di proposta della fede, scuola di educazione al suo contenuto integrale. Lo scopo formativo dell'aggregazione è di condurre i propri membri a "personalizzare" la fede ed a viverla coerentemente, giungendo ad una sempre più chiara consapevolezza della propria esaltante ed esigente dignità cristiana; di sostenere la loro vita di comunione; di aiutarli ad essere fedeli e generosi ministri della "nuova evangelizzazione". In quanto integrale, la formazione deve aiutare ciascuno a maturare la sintesi organica di tutta la propria vita. Tale unità di vita è, ad un tempo, espressione dell'unità dell'essere e condizione per l'efficace adempimento della missione. In quanto permanente, la formazione deve estendersi a tutte le età e a tutte le varie situazioni e condizioni dell'esistenza, in modo da far scoprire e vivere, senza sosta alcuna ed anzi in continua crescita, le ricchezze della fede. Così le realtà aggregative, ciascuna secondo i propri metodi, avranno la possibilità di "integrare, concretizzare e specificare la formazione che i loro membri ricevono da altre persone e comunità" ed essere conseguentemente valido strumento di una presenza efficace di animazione cristiana del mondo. Un impegno particolare va rivolto alla formazione dei formatori, ossia dei dirigenti e dei responsabili a ogni livello: è esigenza primaria e dovere ineludibile di ogni aggregazione. 38. -Formazione umana Nel contesto della formazione integrale e unitaria dei fedeli laici e in vista della loro azione apostolica e missionaria, è fondamentale la formazione alla crescita nei valori umani. Giovanni Paolo II l'ha richiamata, ribadendo l'esortazione conciliare: i laici "facciano pure gran conto della competenza professionale, del senso della famiglia e del senso civico e di quelle virtù che riguardano i rapporti sociali, cioè la probità, lo spirito di giustizia, la sincerità, la cortesia, la fortezza d'animo, senza le quali non ci può essere neanche la vita cristiana". 39. - Formazione spirituale Anima di tutta la formazione è senza dubbio quella spirituale. Essa mira alla pienezza della vita cristiana e ha come termine, sempre nuovo, Gesu stesso, come dice l'Apostolo: "finché non sia formato Cristo in voi" ( Gal 4,19 ). Sotto questo aspetto la formazione si propone di toccare il cuore di ognuno e di trasformarlo mediante un processo continuo di conversione e di configurazione a Cristo. Le diverse aggregazioni, proponendosi di contribuire efficacemente alla vitalità della Chiesa, ricordino che "i santi e le sante sono sempre stati fonte e origine di rinnovamento nelle più difficili circostanze in tutta la storia della Chiesa. Oggi abbiamo grandissimo bisogno di santi, che dobbiamo implorare da Dio con assiduità". Abbiano pure presente che la benedizione del Signore non è da ricercarsi tanto nel maggiore o minore numero degli aderenti, quanto piuttosto nella santità della loro vita e nella conformazione di ciascuno a Cristo crocifisso e risorto. 40. - L'insopprimibile esigenza della santità è stata riproposta con grande vigore, ancora una volta, dall'Esortazione Christifideles laici: "La vita secondo lo Spirito, il cui frutto è la santificazione, suscita ed esige da tutti e da ciascun battezzato la sequela e l'imitazione di Gesu Cristo, nell'accoglienza delle sue beatitudini, nell'ascolto e nella meditazione della parola di Dio, nella consapevole e attiva partecipazione alla vita liturgica e sacramentale della Chiesa, nella preghiera individuale, familiare e comunitaria, nella fame e nella sete di giustizia, nella pratica del comandamento dell'amore in tutte le circostanze della vita e nel servizio ai fratelli, specialmente se piccoli, poveri e sofferenti" Da qui la necessità di valorizzare in ogni aggregazione la "lectio divina", la direzione spirituale e i "momenti forti dello spirito" ( esercizi, ritiri, giornate di spiritualità ) per la continua revisione di vita, di vivere la centralità dell'Eucaristia e di favorire il ricorso frequente al sacramento della Riconciliazione. In particolare la formazione deve specificamente mirare ad una autentica spiritualità laicale. Infatti, "la vocazione dei fedeli laici alla santità comporta che la vita secondo lo Spirito si esprima in modo peculiare nel loro inserimento nelle realtà temporali e nella loro partecipazione alle attività terrene". Il mondo è "l'ambito e il mezzo della vocazione cristiana dei fedeli laici", della loro novità di vita, della loro collocazione nell'atto creativo e redentivo di Dio. 41. - Formazione dottrinale La responsabilità nel confessare la fede e l'impegno apostolico richiedono la salda e cordiale adesione all'insegnamento della Chiesa circa la fede da credere e da applicare nella vita, come pure la realizzazione di limpidi e precisi metodi formativi per l'educazione alla fede nel suo integrale contenuto. Di qui l'urgenza di una formazione dottrinale, richiesta sia dalla fede, la quale per sua natura fa appello all'intelligenza, sia dal dovere di offrire a tutti le ragioni della propria speranza ( cf. 1 Pt 3,15 ). In questo contesto è importante e necessaria una catechesi sistematica, nella quale la fede è assunta e spiegata nella sua integralità e secondo la Tradizione viva e il Magistero della Chiesa. 42. - Punto di riferimento provvidenziale per la catechesi è ora il Catechismo della Chiesa Cattolica. Le diverse realtà aggregative lo accolgano cordialmente e lo valorizzino come dono prezioso e autorevole, "strumento valido e fecondo di ulteriori approfondimenti conoscitivi e di un autentico rinnovamento spirituale e morale" Indispensabile è pure il riferimento ai Catechismi emanati dalla Conferenza Episcopale Italiana come "libri della fede" per tutti: essi rispondono alle esigenze di conoscenza e di vita dei destinatari nelle loro diverse fasce di età, in modo che questi siano gradatamente condotti a raggiungere una personalità matura; sono inoltre "strumento di comunione pastorale" e "stimolo di una sempre rinnovata missione evangelizzatrice". Di grande utilità, infine, è la partecipazione delle aggregazioni agli Istituti di scienze religiose e alle Scuole di formazione teologica, esistenti nelle Diocesi. 43. - Formazione culturale La "nuova evangelizzazione" è chiamata ad orientarsi verso gli "areopaghi" del mondo moderno, come il riconoscimento e la promozione della dignità della persona umana, il rispetto dei suoi naturali diritti tra cui quelli inviolabili alla vita e alla libertà religiosa e di coscienza; il valore unico e insostituibile della famiglia, fondata sul matrimonio; la giustizia e la solidarietà; la libertà di educazione; il servizio per la pace, il volontariato e la salvaguardia del creato. Le aggregazioni laicali e le organizzazioni di laici cristiani sono particolarmente qualificate per questo impegno formativo, in quanto costituiscono per la Chiesa come degli avamposti nel mondo della scuola e della cultura, della scienza, della politica, della economia e del lavoro. Sono così tracciate le frontiere per quella testimonianza della carità che i Vescovi italiani hanno proposto come scelta pastorale per gli anni '90. Ed è anche ribadita l'esigenza di una adeguata formazione culturale, che deve riservare un'attenzione privilegiata alla dottrina sociale della Chiesa. 44. - Collaborazione e scambio di doni tra le realtà aggregative Perché possano partecipare in modo incisivo ed efficace alla "nuova evangelizzazione", alle condizioni della comunione all'interno della Chiesa particolare e dell'impegno di formazione le aggregazioni laicali devono aggiungere una terza condizione: una sempre più stretta comunione tra le diverse realtà aggregative, superando, mediante il reciproco scambio dei doni, ogni forma di antagonismo e di rivalità. Nessun carisma perdura quando è assente la comunione dei propri doni. Ogni carisma, infatti, è elargito da quell'unico Spirito di Cristo, che costruisce l'unità nella pluriformità e conduce la pluriformità all'unità ( cf. 1 Cor 12,4-11 ). Avere stima le une delle altre e riconoscere come grazia la loro pluralità e perciò stesso la loro complementarità è un imperativo morale per le aggregazioni ecclesiali in forza della "vita secondo lo Spirito". Le aggregazioni affini per scopi e finalità non manchino di cooperare tra loro per un'azione pastorale più efficace. Tutte vedano nel ministero del Successore di Pietro e del Vescovo la garanzia e la forza per una comunione, sia al loro interno che tra di loro. 45. - Importante organismo per favorire la comunione e realizzare lo scambio dei doni, oltre il Consiglio Pastorale, è certamente la Consulta delle aggregazioni laicali a livello nazionale, regionale e diocesano. È questo il luogo ove raggiungere non semplicemente un'intesa generica, bensì una feconda collaborazione, destinata a manifestarsi in un autentico coordinamento. Nella Consulta i responsabili e i rappresentanti delle realtà aggregative stabiliscono rapporti di reciproca conoscenza, vivono momenti di preghiera, di incontro, di comunicazione di esperienze, di studio e di progettazione pastorale, di comune impegno su punti determinati e qualificanti: così ogni aggregazione può crescere nel senso della fraternità cristiana e del servizio reciproco responsabile e ordinato. Per tale ragione le aggregazioni, che ottengono il riconoscimento, devono far parte della Consulta. 46. - Il ministero dei Pastori Discernere e riconoscere nelle realtà aggregative il segno del soffio dello Spirito che arricchisce la Chiesa con doni sempre nuovi, è compito che spetta anzitutto ai Pastori. La prima responsabilità è dei Vescovi, ai quali è affidato il ministero del discernimento circa la genuina natura e l'uso ordinato dei carismi, come testimonia l'apostolo Paolo, che così scrive ai cristiani di Corinto: "Chi ritiene di essere profeta o dotato di doni dello Spirito, deve riconoscere che quanto scrivo è comando del Signore; se qualcuno non lo riconosce, neppure lui è riconosciuto" ( 1 Cor 14,37-38 ). Ciò significa non soltanto valutare e giudicare, ma anche accompagnare in vista di un consapevole e fattivo inserimento nell'insieme dell'attività formativa e missionaria della comunità. E d' altra parte i "pastori della Chiesa, sia pure di fronte a possibili e comprensibili difficoltà di alcune forme aggregative e all'imporsi di nuove forme, non possono rinunciare al servizio della loro autorità, non solo per il bene della Chiesa, ma anche per il bene delle stesse aggregazioni laicali". Il discernimento ha come oggetto la vita della realtà aggregativa in quanto tale e la sua capacità di apertura, disponibilità e partecipazione alla vita della Chiesa particolare, intesa anche nella sua sollecitudine per tutte le altre Chiese e sempre nella reciproca compenetrazione tra Chiesa universale e Chiesa particolare. Il clima nel quale il discernimento si deve realizzare è quello della guida autorevole, del dialogo maturo e responsabile e dell'incoraggiamento per una crescita delle aggregazioni dei fedeli laici nella comunione e nella missione della Chiesa. Potrebbe accadere tuttavia, che in una aggregazione venga ad appannarsi o ad oscurarsi la fedeltà ai valori ecclesiali. In tal caso il Vescovo ha il dovere di vigilanza e di ammonizione. Nel caso poi che addirittura, dovesse venir meno qualche elemento irrinunciabile di comunione ecclesiale, il Vescovo dovrà pronunciare una chiara parola di denuncia o di richiamo, che metta in guardia la generalità dei fedeli e stimoli gli interessati a un sincero e fattivo ripensamento; e sino a che non saranno nuovamente assicurati i criteri di ecclesialità, si dovrà prendere atto che tale aggregazione non può essere ritenuta una vera associazione ecclesiale e perde conseguentemente il suo statuto di legittimità e di libertà nella comunità cristiana". 47. - Associato al ministero del Vescovo è quello dei Presbiteri. Anche ad essi, in quanto necessari collaboratori del Vescovo e formanti con lui, che ne è il capo, un unico Presbiterio, competono la scoperta di carismi, ministeri, uffici, vocazioni e forme di vita; il giudizio circa la loro autenticità, da offrire al Vescovo ed alla autorità che li ha nominati; l'accoglienza cordiale e senza pregiudizi; la promozione e il coordinamento in vista di riportare tutto e tutti alla unità nella verità e nella carità. In realtà la cura pastorale verso le aggregazioni laicali, nell'ambito sia diocesano che sopradiocesano, si esprime prevalentemente attraverso la loro opera. Il ministero dei Presbiteri nelle realtà aggregative, quali assistenti o consulenti ecclesiastici, è di essere artefici di comunione, educatori nella fede, testimoni di Dio, apostoli di Gesù Cristo, ministri dell'Eucaristia e della vita sacramentale, guide e maestri spirituali. I Presbiteri siano attenti alla modalità propria del loro specifico servizio all'interno delle associazioni di fedeli. In quanto partecipano alla missione del Vescovo nei riguardi di una determinata aggregazione, la loro presenza e il loro ministero derivano dal Vescovo e non sono affatto legittimati dalla aggregazione stessa: diversamente verrebbe trasformato in delega un ministero che, invece, per sua natura è dono di Cristo alla Chiesa, destinato al bene di tutta la comunità. 48. - Abbiano sempre a cuore di custodire e di promuovere, insieme col valore della comunione ecclesiale, anche quello della autentica libertà aggregativa dei fedeli, rispettandone le rispettive tipologie e favorendone la stabilità. Operando poi al servizio di associazioni o di movimenti laicali, siano attenti e rispettosi della identità dei fedeli laici e della loro indole secolare. Siano disposti non soltanto ad aiutare il loro inserimento nelle diverse strutture di partecipazione, ma pure a favorire, per la loro parte, l'unità in seno alle aggregazioni. Siano in tutto artefici di unità, adoperandosi perché si sviluppi e si conservi un dialogo abituale e fiducioso tra i responsabili delle realtà aggregative ed i Vescovi, aiutando i responsabili della pastorale a meglio conoscerle e ad apprezzarle. 49. - A loro volta le aggregazioni desiderino ed accolgano effettivamente e di buon grado la presenza del Presbitero per ciò che egli è e per il suo ministero. Siano consapevoli che, situate anch'esse "nel quadro complessivo delle relazioni Chiesa-mondo, devono sostenere la testimonianza individuale dei propri membri con il loro vivo legame all'evento salvifico e alla sua permanente celebrazione. La loro esistenza e, più ancora, la realizzazione dei loro fini di pendono, quindi, dalla presenza di colui che ha la missione ufficiale di attuare, con le parole e con gli atti, la salvezza per mezzo di Cristo". 50. - Un impegno per tutti "Tutti, pastori e fedeli, siamo obbligati a favorire e ad alimentare di continuo vincoli e rapporti fraterni di stima, di cordialità, di collaborazione tra le varie forme aggregative dei laici. Solo così la ricchezza dei doni e dei carismi, che il Signore ci offre, può portare il suo fecondo e ordinato contributo all'edificazione della casa comune: « Per la solidale edificazione della casa comune è necessario, inoltre, che sia deposto ogni spirito di antagonismo e di contesa, e che si gareggi piuttosto nello stimarsi a vicenda ( cf. Rm 12,10 ), nel prevenirsi reciprocamente nell'affetto e nella volontà di collaborazione, con la pazienza, la lungimiranza, la disponibilità al sacrificio che ciò potrà talora comportare»" Nell'accoglienza delle aggregazioni laicali è giusto tener conto della loro collocazione ecclesiale e canonica. Per questo motivo il Concilio Vaticano II, dopo aver affermato che "tutte le associazioni di apostolato devono essere giustamente stimate", raccomanda ai sacerdoti, ai religiosi ed ai laici di prendere in massima considerazione quelle associazioni che "la Gerarchia secondo le necessità dei tempi e dei luoghi ha lodato o raccomandato o ha deciso di istituire come più urgenti". Tali indicazioni, valide ancora oggi, vanno rilette alla luce della normativa canonica, che distingue tra associazioni private "di fatto", associazioni private riconosciute e associazioni pubbliche. 51. - Nel nostro Paese l'associazionismo cattolico ha una storia che inizia già nel secolo scorso e che ancora oggi è fiorente attraverso realtà aggregative di più antica data. La loro vitale permanenza a distanza di tempo è essa stessa un "frutto spirituale" e la "controprova" della autenticità dei loro dinamismi spirituali. L'accoglienza grata e disponibile delle nuove forme aggregative di apostolato non può essere alternativa o esclusiva di quelle altre più antiche, che pure hanno superato la prova del tempo ed hanno nel bagaglio delle proprie esperienze una lunga, positiva ed ancora vitale tradizione di vita associativa. Le une e le altre, invece, siano sempre ritenute come effettivi doni dello Spirito alla Chiesa, che offrono ai fedeli preziose occasioni di educazione alla fede e di crescita cristiana ed ecclesiale. Conclusione 52. - Questa Nota pastorale, come già la precedente del 1981, è stata desiderata ed intesa come gesto e strumento di servizio alla comunione nella verità e nella carità delle nostre comunità ecclesiali per favorire l'armonia e la collaborazione al bene comune della Chiesa. La Nota, animata da un amore fatto di vigilanza, di rispetto, di stima, di apertura, di comprensione, è consegnata ai fedeli laici, in primo luogo a quanti aderiscono alle varie forme di apostolato associato. È consegnata, soprattutto, a quanti nelle varie aggregazioni sono impegnati, a diverso titolo, come presidenti, animatori, dirigenti, assistenti o consulenti ecclesiastici: a tutti costoro diciamo la nostra gratitudine per il loro amore fedele e generoso alla Chiesa. La Nota, infine, vuole essere portatrice di una speranza: che il mistero della Chiesa, mistero di comunione e di missione, trovi una più splendida testimonianza nella vita e nell'impegno spirituale e missionario dei movimenti, comunità, gruppi e associazioni laicali della Chiesa in Italia. È una speranza che affidiamo alla Vergine santissima, Madre di Cristo e della Chiesa, Regina degli Apostoli, con la stessa fiducia con cui il Santo Padre le ha affidato la fecondità spirituale dei frutti del Sinodo dei Vescovi del 1987, nell'appello-preghiera che conclude l'Esortazione Christifideles laici. Maria, che insieme agli Apostoli in preghiera nel Cenacolo è stata segno e modello di comunione della Chiesa nascente ( cf. At 1,14 ) lo sia anche per tutte le aggregazioni laicali della Chiesa in Italia, perché la loro vita di comunione ecclesiale diventi "un segno per il mondo e una forza attrattiva che conduce a credere in Cristo".