Linee comuni per la vita dei nostri seminari Presentazione C'è una preoccupazione costante nella storia della Chiesa, e in particolare della Chiesa italiana, accentuatasi soprattutto dopo il Concilio Vaticano II: quella della formazione seminaristica. Più volte l'Episcopato mondiale ha dichiarato la convinzione che lo stesso rinnovamento conciliare sarebbe dipeso, in gran parte, dalla qualità dei futuri presbiteri. Di qui la sollecitazione del Magistero in tale direzione, soprattutto a partire dall'emanazione del decretoOptatam totius. In tempi recenti la spinta per una più puntuale azione formativa nei nostri seminari è venuta dalla promulgazione del nuovo Codice di diritto canonico e dalla esortazione post-sinodale Pastoris dabo vobis. Due esigenze pertanto hanno motivato la Commissione episcopale per il clero a farsi carico del problema educativo dei seminari: da una parte quella di preparare la revisione di Orientamenti e norme - La formazione dei presbiteri nella Chiesa italiana, documento formalmente già scaduto; dall'altra, la significativa metamorfosi verificatasi nelle comunità seminaristiche in questo ventennio di fine secolo, che in qualche modo rispecchiano le mutate condizioni culturali del mondo giovanile. I passi giudicati inutili dalla Commissione, confortata dalle attese degli stessi rettori dei seminari d'Italia, sono stati sostanzialmente due: in questo preciso momento sembra opportuno elaborare alcune "linee comuni per la vita dei nostri seminari" e prevedere, successivamente, la riedizione di Orientamenti e norme, sollecitati in questo, sia dal Consiglio Permanente della C.E.I. sia dalla Congregazione per l'educazione cattolica. Il presente intervento della Commissione tiene dunque conto degli apporti degli educatori dei nostri seminari, coinvolti nella riflessione a livello di ogni regione conciliare. L'impostazione e il genere letterario del documento vanno nella linea dell'approfondimento di alcune "esigenze" particolarmente vive nelle nostre comunità seminaristiche e che interpretano le attese avvertite dagli educatori per questo momento storico delle nostre Chiese particolari. Lo spirito che anima il documento, con preoccupazione prevalentemente pedagogica, è quello di accompagnare tutti coloro che a diverso titolo sono chiamati dai loro vescovi a svolgere il delicato ministero educativo accanto ai futuri presbiteri: per sollecitare un sapiente approfondimento, una coraggiosa sperimentazione e un'opportuna verifica nella linea di alcuni orientamenti comuni. Si nutre la speranza che mentre le comunità seminaristiche vanno testimoniando il loro proposito di darsi un più preciso progetto educativo per donare alla Chiesa del futuro presbiteri capaci di farsi evangelicamente carico delle sfide della storia, le nostre comunità cristiane crescano nella affettuosa attenzione ai nostri seminari e soprattutto garantiscano, attraverso una sapiente e corale azione pastorale, il crescere di nuove vocazioni al ministero presbiterale. Roma, 25 aprile 1999 Quarta domenica di Pasqua La Commissione Episcopale per il Clero Introduzione La questione formativa e il suo orizzonte 1. - Dentro l'orizzonte di un vivo interesse Sono numerosi e qualificati i segnali nella Chiesa che attestano una crescita di interesse, di riflessione e di azione nell'assumere, dal Concilio Vaticano II a oggi, la questione cruciale delle vocazioni al presbiterato: del loro sorgere come dono e mistero, del loro numero, dell'incisività della loro formazione, della loro perseveranza. La rassegna analitica dei documenti magisteriali maggiori, dei sinodi diocesani, degli interventi pastorali dei singoli vescovi, delle trattazioni teologiche, dei convegni nazionali e regionali, dell'assiduo lavoro di adeguamento compiuto nei seminari testimonia che l'argomento è stato mantenuto ben vivo e presente nella coscienza ecclesiale italiana. L'"oggetto" della formazione del prete non è davvero sconosciuto nelle sue linee fondamentali e attuali. Riconsiderando soprattutto il dettato della Pastores dabo vobis, lo facciamo senz'altro nostro: « La vocazione sacerdotale è un dono di Dio, che costituisce certamente un grande bene per colui che ne è il primo destinatario. Ma è anche un dono per l'intera Chiesa, un bene per la sua vita e per la sua missione. La Chiesa, dunque, è chiamata a custodire questo dono, a stimarlo e ad amarlo: essa è responsabile della nascita e della maturazione delle vocazioni sacerdotali ». Perciò, nostre sono anche la riconoscenza e la preghiera dell'apostolo Paolo: « Noi rendiamo continuamente grazie a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, nelle nostre preghiere per voi, per le notizie ricevute della vostra fede in Cristo Gesù, e della carità che avete verso tutti i santi, in vista della speranza che vi attende nei cieli. Di questa speranza voi avete già udito l'annunzio dalla parola di verità del Vangelo che è giunto a voi, come pure in tutto il mondo fruttifica e si sviluppa [ … ]. Perciò anche noi, da quando abbiamo saputo questo, non cessiamo di pregare per voi, e di chiedere che abbiate una conoscenza piena della sua volontà con ogni sapienza e intelligenza spirituale, perché possiate comportarvi in maniera degna del Signore, per piacergli in tutto, portando frutto in ogni opera buona e crescendo nella conoscenza di Dio; rafforzandovi con ogni energia secondo la potenza della sua gloria, per poter essere forti e pazienti in tutto; ringraziando con gioia il Padre che ci ha messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce » ( Col 1,3-6.9-12 ). 2. - Ai seminari e a tutte le comunità cristiane Sono destinatarie di questa nota anzitutto e più direttamente le comunità del seminario, per la loro specifica competenza. Ma ci rivolgiamo anche alle nostre Chiese locali nel loro insieme: al presbiterio di ciascuna di esse, alle parrocchie, a tutte le persone attente che, grazie alla loro specifica vocazione cristiana, assumono volentieri il compito di trasmettere la fede, di educare, e di contribuire al rinvigorimento della pastorale. I tempi sono maturi perché tutti, secondo il dono ricevuto, condividano la responsabilità di quanto una Chiesa può e deve fare per desiderare e preparare ministri idonei e sufficienti per l'annuncio del Vangelo e la cura della comunità cristiana. Servire le vocazioni è un grande atto di amore, richiede intelligenza, rinnova la gioia della fecondità ecclesiale. Se le nostre comunità sono chiamate, in ogni campo, a ricomprendere la dimensione formativa della crescita cristiana, devono anche approfondire la conoscenza di ciò che comporta oggi la formazione del prete. L'alunno, che si affida all'iter formativo del seminario, deve avere la certezza che il progetto che lo riguarda appartiene davvero allo spirito della sua Chiesa. 3. - Il riferimento sostanziale all'evangelizzazione, alla carità pastorale, al presbiterio L'esperienza maturata in questi decenni riguardo alla formazione dei presbiteri ha avuto la grazia di potersi riferire ad alcune idee guida luminose: innanzitutto il tema dell'evangelizzazione, nel quale è stato riconosciuto il primo dovere della Chiesa alla fine di questo millennio; il tema della carità pastorale, quale indicatore della spiritualità del prete e della sua formazione personale; il tema del presbiterio, inteso come dimensione previa dell'agire pastorale e come testimonianza di comunione, oltre al rapporto sempre attuale ed essenziale con l'Eucaristia. Quanto più si è accolta l'implicazione pastorale e pedagogica espressa da questi temi e da questi termini, tanto più se ne è percepita la fecondità per tutta la comunità cristiana. Concretamente: perché l'obiettivo della carità pastorale non si svuoti del suo senso più proprio e più suggestivo, riducendosi a una disponibilità, generosa o più spesso stanca, alla gestione corrente degli affari ecclesiastici e delle tensioni che essi generano, è necessario che l'obiettivo dell'evangelizzazione sia custodito dall'intera Chiesa in tutta la sua forza e nell'originalità che continuamente può attingere dal Vangelo e dal comando missionario di Gesù. L'impegno che ci sta dinanzi è quello di saper proporre l'esistenza di Gesù come possibile esistenza compiuta e felice per tutti gli uomini: « Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena » ( Gv 15,11 ). Ciò richiede senz'altro un aggiornamento dei linguaggi, tali da consentire un'effettiva trasmissione del Vangelo agli uomini del nostro tempo, ma anche di affrontare un compito più radicale: mostrare come il Vangelo sappia rendersi visibile dentro forme di vita che hanno accolto in sé il dono della salvezza. La vera urgenza pastorale contemporanea sta sul fronte di questa concretezza: questo è vero per tutti i battezzati; questo è vero, per la parte loro propria, per i pastori. « Nell'esercizio della sua missione profetica, la Chiesa sente incombente e irrinunciabile il compito di annunciare l'evangelo e di testimoniare il senso cristiano della vocazione, potremmo dire "l'evangelo della vocazione". Avverte, anche in questo campo, l'urgenza delle parole dell'apostolo "Guai a me se non evangelizzassi!" ( 1 Cor 9,16 ). Tale ammonimento risuona innanzitutto per noi pastori e riguarda, insieme con noi, tutti gli educatori nella Chiesa. La predicazione e la catechesi devono sempre manifestare la loro intrinseca dimensione vocazionale: la parola di Dio illumina i credenti a valutare la vita come risposta alla chiamata di Dio e li accompagna ad accogliere nella fede il dono della vocazione personale ». 4. - Le molte attese nei confronti dell'opera formativa dei seminari Molte attese si sono concentrate sui seminari e sulla qualità della vita che vi si conduce: nel pensiero comune, infatti, essi sono tenuti ad attrezzarsi per affrontare la sfida di una formazione affidabile anche nelle circostanze attuali, perché questa è la ragione della loro esistenza e questo è il compito specifico loro affidato. Intanto riconosciamo un dato problematico, che tocca non superficialmente la natura stessa del seminario tradizionale: il progressivo attenuarsi in molti seminari di una sufficiente e plausibile consistenza comunitaria. Alcuni parametri non possono in alcun modo essere sottovalutati: il numero degli alunni, l'effettiva presenza di sufficienti figure educative, il respiro della proposta formativa, le condizioni abitative proporzionate, la possibilità di frequentare studi seriamente organizzati e di collegarsi con significative esperienze ecclesiali, che rappresentino una qualificata introduzione alla mentalità pastorale. È evidente che le singole Chiese locali, le quali comprensibilmente aspirano ad assumersi direttamente il compito della formazione dei propri sacerdoti, sono chiamate a compiere un discernimento delicato circa le reali possibilità di garantire la qualità e la continuità dei contesti formativi. Esse devono considerare lucidamente le situazioni di fatto e disporsi a qualche coraggiosa decisione. Le Conferenze Episcopali Regionali non tardino a promuovere un'analisi esauriente di questa problematica, che interseca più di un settore della loro azione comune: si pensi, ad esempio, alla domanda di teologia e di accompagnamento spirituale che sorge in tutti i campi della formazione. Essa riguarda sia i ministri ordinati, presbiteri e diaconi permanenti, sia i laici impegnati. A tal riguardo sono da sviluppare con nuova sensibilità le intuizioni e le esperienze che hanno condotto, anche in tempi recenti, alla creazione di seminari e di istituti di teologia regionali, se si vuole approdare a qualche scelta profetica di fraterna cooperazione in un campo tanto rilevante. 5. - La qualità dei formatori e il lavoro d'équipe L'attenzione si è rivolta costantemente e con la massima autorevolezza al tema della preparazione degli educatori che operano nei seminari. La Pastores dabo vobis ne ha ribadito l'istanza, privilegiando il profilo collegiale, ecclesiale e spirituale dei formatori: « Il compito della formazione dei candidati al sacerdozio certamente esige non solo una qualche preparazione speciale dei formatori che sia veramente tecnica, pedagogica, spirituale, umana e teologica, ma anche lo spirito di comunione e di collaborazione nell'unità per sviluppare il programma, così che sempre sia salvata l'unità nell'azione pastorale del seminario sotto la guida del rettore. Il gruppo dei formatori dia testimonianza di una vita veramente evangelica e di totale dedizione al Signore. È opportuno che goda di una qualche stabilità e abbia residenza abituale nella comunità del seminario. Sia intimamente congiunto con il vescovo, quale primo responsabile della formazione dei sacerdoti ». Ricordiamo che, nella medesima linea, la Congregazione per l'educazione cattolica ha dato ampio risalto al tema col suo intervento Direttive sulla preparazione degli educatori nei seminari ( 1993 ). Il consenso su questa istanza è risultato unanime ed ha suscitato molteplici iniziative, vivaci ed apprezzate, sia a livello nazionale sia a livello locale. Per parte nostra riconosciamo particolarmente promettente la scelta di avvalersi di cammini sistematici, con proposte di alto profilo, rispetto a pur interessanti interventi occasionali. Le diocesi prevedano con sufficiente lungimiranza solidi itinerari di preparazione degli educatori. Segnaliamo inoltre il valore rigenerante di un abituale esercizio d'aggiornamento all'interno di ogni équipe educativa seminaristica. A questo proposito potrebbero essere individuati e offerti alcuni percorsi e alcune iniziative specifiche sia a livello regionale, sia a livello nazionale. Non ci nascondiamo, infine, che occorre contrastare la tendenza, sempre più facile in tempi di penuria e di affanno, a ricambi troppo frequenti e frettolosi nelle équipes di formazione. 6. - Il volto nuovo della ministerialità e i riflessi sulla vita e il ministero del presbitero Si pensi, ancora, ai riflessi che ricadono sulla formazione seminaristica dalla crescente presenza di diaconi permanenti e dall'istanza di trasformazione che la ripresa di questo ministero tiene alta nell'orizzonte delle nostre Chiese: un'istanza che implicherà salti di qualità nella conduzione pastorale delle comunità. Anche l'incremento di nuove e motivate responsabilità di laici, uomini e donne, e persino di interi nuclei familiari, che attingono dal loro Battesimo energie di gratuita dedizione a forme qualificate di servizio, offre ai presbiteri e ai seminaristi stimoli non trascurabili a ripensare con maggior rigore la propria figura ministeriale e ad assumere con animo più grande e insieme più umile la propria specifica missione. Tanto più quando le nuove testimonianze laicali godono di autorevolezza largamente riconosciuta e affondano le loro radici in una non comune sensibilità umana, teologale ed ecclesiale. 7. - La formazione dei presbiteri nella Chiesa italiana - Orientamenti e norme per i seminari: il cammino continua I seminari italiani, dal canto loro, non si sono mai sottratti alla sfida formativa. Essi hanno ascoltato numerose ed autorevoli indicazioni: ciascuno proporzionatamente alle proprie risorse e al tono della rispettiva collaborazione diocesana o interdiocesana o regionale, valorizzando le proprie tradizioni e aprendosi alle diverse esperienze maturate un po' ovunque, mantenendo come riferimento La formazione dei presbiteri nella Chiesa italiana - Orientamenti e norme per i seminari ( 1980 e 1989 aggiornato al 2006 ). Il disegno teologico e spirituale di questo documento e i suoi suggerimenti strutturali conservano, per unanime giudizio, la loro validità. I seminari riconoscono di averne ricavato stimolo per affrontare meglio non solo il "che cosa", ma anche il "come" della formazione del prete. Il profilo dell'evoluzione pedagogica che ne è scaturita è ben noto al loro interno e verificato nei loro frequenti scambi; ma forse non è stato sufficientemente percepito presso le nostre comunità ecclesiali, le cui attese circa la formazione dei preti si mantengono piuttosto astratte, quando non addirittura in bilico tra un immaginario ormai superato e la illusoria attesa che il seminario da solo riesca a far fronte a tutte le esigenze formative necessarie a generare presbiteri capaci di essere all'altezza delle sfide dei nostri tempi. Sembra sfuggire la percezione che anche le comunità seminaristiche rispecchiano lo stato effettivo della vita cristiana e delle condizioni familiari e giovanili della società attuale, come pure il grado di vitalità pastorale delle nostre Chiese, nella loro ricchezza ma anche nelle loro povertà. Per questo sentiamo il dovere di ricordare a tutti i membri del popolo di Dio che è ingenua, e alla fine infeconda, un'enfasi che demandasse alla sola istituzione seminaristica l'onere di suscitare un sostanzioso flusso vocazionale, di impartire una solida formazione umana e spirituale, di fornire un compiuto bagaglio esperienziale, tale da assicurare un riuscito approdo del giovane prete al complesso e intricato contesto dell'odierna relazione e attività pastorale. « Poiché la formazione dei candidati al sacerdozio appartiene alla pastorale vocazionale della Chiesa, si deve dire che è la Chiesa come tale il soggetto comunitario che ha la grazia e la responsabilità di accompagnare quanti il Signore chiama a divenire suoi ministri nel sacerdozio. In tal senso proprio la lettura del mistero della Chiesa ci aiuta a precisare meglio il posto e il compito che i suoi diversi membri, sia come singoli sia come membri di un corpo, hanno nella formazione dei candidati al presbiterato ». 8. - Obiettivi e struttura del presente documento È sembrato utile, dunque, presentare una riflessione aggiornata in ordine alla vita e alla formazione nei seminari, quasi uno strumento propedeutico o di accompagnamento alla revisione del documento La formazione dei presbiteri nella Chiesa italiana. Orientamenti e norme per i seminari. Si è tentato di tracciare una sorta di inventario dei problemi emergenti che potrà costituire un interessante orizzonte di riferimento. Intanto vogliamo riaffermare con forza che il filo conduttore di tutta l'azione formativa nei seminari è l'educazione della fede di un credente che è chiamato a farsi carico dei cammini di fede dei fratelli. La figura spirituale del prete ha qui la sua grazia, attinge qui le sue dinamiche, sviluppa da questa radice le sue qualità umane e cristiane: la Pastores dabo vobis ne traccia una validissima sintesi. Sullo sfondo di questa visione, le pagine che seguono si limitano ad individuare alcune precise esigenze che, con crescente frequenza, sono avvertite come sintomatiche dai nostri seminari. Di esse si ragiona in vista di alcuni orientamenti. L'ordine in cui le presentiamo riflette le istanze e i momenti più caratteristici dell'iter formativo canonicamente previsto per i seminari. Il primo capitolo L'esigenza di favorire nella persona le condizioni per una vera e fruttuosa formazione, cerca di cogliere, per la prima volta in forma organica, la natura di questa esigenza, la sua corretta lettura e qualche criterio per un prudente utilizzo delle competenze psicopedagogiche. La novità dell'argomento e la sua delicatezza spiegano l'ampiezza con cui se ne tratta. Secondo le più recenti indicazioni del Magistero su questa materia, tentiamo di illustrare sia il nesso tra il primato della vita spirituale e l'apporto delle scienze umane, sia gli aspetti di maturità umana implicati nel ministero presbiterale. Il secondo capitolo L'esigenza propedeutica: tra percorsi tradizionali e nuove risposte, affronta numerosi problemi che si riferiscono alle condizioni per preparare un promettente percorso formativo nel seminario teologico. Il terzo capitolo L'esigenza di un progetto di formazione per ogni seminario: aspetti fondamentali, offre alcune utili considerazioni a proposito della natura, della utilità e della genesi del progetto formativo del seminario. Se ne mettono in luce l'intento pedagogico-spirituale, la rigorosa implicazione ecclesiale, il valore ispirativo per una vera e propria regola di vita comunitaria. Esso dev'essere pensato a servizio dei contenuti teologici e dei richiami spirituali del più recente Magistero, alla cui ricchezza qui semplicemente si rimanda: ogni seminario adotterà il metodo più proficuo per la loro trascrizione nella concreta vicenda formativa. Il quarto capitolo L'esigenza formativa di dare spessore esistenziale alla figura teologica del presbitero, si addentra in una delle problematiche più acutamente sentite: quella del tono effettivo dell'azione formativa e della sua assimilazione. La maturazione da promuovere è quella che sa sostenere la qualità relazionale richiesta dal ministero odierno. Il quinto capitolo L'esigenza formativa di elaborare e trasmettere la proposta teologica per il pastore d'oggi, non mira a indicare un nuovo piano di studi, ma vuole incoraggiare lo sforzo di ripensare una proposta teologica sempre più adatta alla vocazione e alla vita spirituale dei candidati al presbiterato. Il sesto capitolo L'esigenza formativa di preparare l'approdo alle dirette responsabilità di ministero, traccia qualche suggerimento circa i tempi e i modi per un graduale e guidato ingresso nel ministero. Chiarito che non si intende sminuire il valore insostituibile della stagione seminaristica, ci si chiede se non sia giunto il momento di immaginare un tratto non propriamente seminaristico della formazione, prima dell'ordinazione. Un aggiornamento di tale portata è un'operazione impegnativa. Essa potrebbe forse essere incoraggiata da qualche sperimentazione "esemplare" sulla linea dei suggerimenti qui espressi: tale sperimentazione, condotta col rigore di un solido progetto e diffusa attraverso documentate comunicazioni, sarebbe di stimolo per tutti i seminari italiani. Capitolo I L'esigenza di favorire nella persona le condizioni per una vera e fruttosa formazione 9. - Vocazione: psicologia e grazia La storia di ogni vocazione è un dialogo « tra l'amore di Dio che chiama e la libertà dell'uomo che nell'amore risponde a Dio ». In questo dialogo intimo e misterioso, in cui grazia e libertà si intrecciano, « se non si può attentare all'iniziativa assolutamente gratuita di Dio che chiama, neppure si può attentare all'estrema serietà con la quale l'uomo è sfidato nella sua libertà ». La chiamata al sacerdozio costituisce certamente una sfida che mette alla prova l'umanità del chiamato ed esige una sapiente e puntuale cura per la sua formazione umana, senza la quale « l'intera formazione sacerdotale sarebbe priva del suo necessario fondamento ». Nella consapevolezza della serietà estrema di questa sfida Paolo VI diceva: « Una vita così totalmente e delicatamente impegnata nell'intimo e all'esterno, come quella del sacerdote celibe, esclude … soggetti di insufficiente equilibrio psico-fisico e morale, né si deve pretendere che la grazia supplisca in ciò la natura ». Nella prospettiva dell'assoluto primato della grazia nella vocazione, anche l'apporto della psicologia può cooperare all'opera della grazia, non solo per escludere i casi di « insufficiente equilibrio psico-fisico », ma soprattutto per rimuovere dal "terreno", ( Cf. Mc 4,1-20 ) che è l'umanità del credente che diventa prete, gli ostacoli alla crescita vocazionale o per allentare e sciogliere le resistenze alla piena fruttuosità della formazione, nell'umile consapevolezza che solo "Dio fa crescere". ( Cf. Mc 4,26-29; 1 Cor 3,5-9 ) 10. - Né pura oggettività né pura soggettività Oggi si può disegnare un quadro coerente dei segni indicatori di una sufficiente maturità psicologica richiesta normalmente nel ministero del presbitero. Due estremi sono da evitare. Quello della pura oggettività: sarebbe infatti una presunzione spiegare la persona umana come risultato passivo di alcune cause individuate sul terreno psicologico. E poi quello della pura soggettività: non si può infatti tener conto solo delle intenzioni e delle idealità dichiarate dalla persona, trascurando i condizionamenti oggettivi. La disposizione reale della persona, rispetto alla prova di maturità che la sua missione comporta, è una scoperta che richiede un delicato e a volte complesso procedimento di interpretazione e di discernimento. La riuscita di ciò, in ogni caso, sarà il frutto di un'intesa profonda tra l'educatore e il giovane in formazione: al primo non dovrà mancare una sostanziale competenza nell'interpretare i segni presenti nelle manifestazioni quotidiane della vita; al secondo non dovrà mancare una sostanziale disposizione alla fiducia e all'apertura sincera. Ogni percorso educativo accade nell'incontro di queste premesse spirituali. 11. - Il punto di partenza da dichiarare: quale autonomia? Tale percorso può dirsi corretto solo se avviene all'interno di una lucida visione della natura umana. Fortunatamente oggi si sta superando la presunzione che le scienze umane possano fare a meno di una visione integrale dell'uomo. Esse ammettono sempre più frequentemente di poter procedere all'interpretazione dell'esperienza umana solo a partire da una visione d'insieme dell'umano. Qui si colloca la questione importante delle effettive ragioni spirituali, distinte da altre motivazioni, che guidano l'andamento delle scelte per la vita. Il rapporto tra psicologia e spiritualità, entrambe coinvolte nel discernimento, può essere avviato a una serena impostazione se si considerano questi due fatti: il primo è che nell'avvicinarsi alla persona la competenza psicologica non può fingere di non avere una precisa base antropologica; il secondo è che nel campo delle proposte e delle esperienze spirituali non si può prescindere da una realistica visione della natura umana, conforme alle analisi delle scienze umane. 12. - I segni rimandano all'intero Tutto quello che appare come segno di maturità e di crescita o come segno di immaturità o di patologia rimanda sempre ad altro: a quell'insieme complesso di motivazioni che stanno all'origine dell'operare della persona nella sua misteriosa interezza. I singoli segni, in se stessi, attendono di essere decifrati. Un buon discernimento non può fermarsi ad essi, isolandoli dal contesto della personalità. Ognuno di essi può esser meglio compreso se si cerca di collocarlo nel quadro psicologico più dinamico, nel quale risiedono le vere motivazioni delle scelte e dell'agire umano: motivazioni che, spesso, non sono note al soggetto stesso nelle loro radici profonde. La medesima logica vale anche per i segni o sintomi di tipo sessuale, che possono riflettere motivazioni o bisogni del soggetto molto diversi tra loro. 13. - Gli orizzonti del desiderio umano e le "lotte" per la crescita In campo educativo non si può prescindere dalle motivazioni per cui una persona agisce: un'azione in sé positiva può diventare anche cattiva se l'intenzione che la motiva è di segno opposto. L'azione umana, infatti, può essere motivata sia dagli ideali che entrano a costituire l'orizzonte dei desideri ( ciò che la persona vuole diventare ), sia dai bisogni o tendenze che provengono dalla natura e dall'esperienza personale ( ciò che la persona è in realtà ). La tensione che ne consegue può diventare anche lotta o conflitto tra i due livelli di motivazioni. Di ciò, sia il soggetto che l'educatore devono tener conto. Tradizionalmente è sempre stata riservata un'attenzione pedagogica e anche spirituale e morale a due possibili tipi di tensione o lotta che la persona deve affrontare nel realizzare i suoi ideali. A un primo livello si colloca la tensione o lotta spirituale che il soggetto avverte nel momento in cui cerca di realizzare dei buoni ideali, pur essendo consapevole delle spinte o tendenze opposte presenti in lui come, del resto, in ogni creatura umana. Ad esempio, il chiamato al sacerdozio può avvertire, insieme al desiderio di seguire il Signore nel dono totale di sé, la tendenza a tenersi qualcosa per sé. È l'area della libertà in cui la persona qualifica anche la sua vita morale come esercizio della virtù, in quanto accetta la lotta e le dà significato per seguire l'ideale, contrastando al tempo stesso le tendenze contrarie o di peccato. A un altro livello, si è tradizionalmente considerato il caso in cui il soggetto deve fronteggiare una lotta impegnata non tanto nello sforzo di realizzare degli ideali, ma piuttosto di mantenere la propria salute psichica minacciata da esperienze che hanno condizionato o addirittura impedito il formarsi di una struttura psichica normale. La persona in questo caso si concentra quasi esclusivamente sulla difesa di sé, in quanto avverte continue minacce alla propria integrità. Si tratta di casi di patologia più o meno grave e manifesta, in cui l'attuazione degli ideali che costituiscono il mondo dei desideri è compromessa ( in misura proporzionale al grado di disturbo del soggetto ). Non è raro che gli ideali religiosi e vocazionali possano fare da copertura anche a patologie o insufficienze psichiche, che devono essere riconosciute e attentamente valutate. Ma è pure necessario considerare, alla luce della psicologia moderna, un terzo livello di tensione o di lotta, che riguarda il normale sviluppo della persona fino alla sua maturità. Si tratta di una tensione tra il mondo degli ideali, che il soggetto coscientemente sceglie, e il mondo dei bisogni, di cui il soggetto non è sempre consapevole. Mentre nel caso della lotta spirituale la scelta tra desiderio e bisogno si svolge in sufficiente consapevolezza e libertà, nell'ipotesi che stiamo considerando il soggetto è ben cosciente dei suoi ideali, ma non ha coscienza di alcune tendenze che sono presenti nel suo dinamismo psichico e che si oppongono all'armonica attuazione delle buone intenzioni. Ad esempio, un chiamato al sacerdozio condivide consapevolmente la scelta del celibato per il Regno, ma non si accorge di aver conservato nella sua realtà psichica una forte dipendenza affettiva, che col tempo può mettere a rischio la fedeltà al suo impegno. La sua scelta rimane illusoria, in quanto, non potendo dominare la tendenza opposta che non conosce, finisce con l'essere condizionato nella realizzazione dell'ideale desiderato. Questi sono i livelli in cui si svolgono le lotte per la realizzazione dei desideri umani. È necessario riconoscerne la diversità, anche se in un certo grado possono darsi contemporaneamente nella stessa persona. Così l'ansia può esprimere l'intenzione di realizzare la propria missione a favore del regno di Dio ( lotta spirituale ), oppure essere conseguenza di una avvertita minaccia alla propria identità personale ( lotta per la salute psichica ), oppure esprimere un inconsapevole senso di insicurezza di fronte a responsabilità che minacciano la stima di sé ( lotta psichica inconscia ). A questi tre livelli si riferiscono anche le parole di Giovanni Paolo II quando descrive la vulnerabilità umana della persona chiamata alla vita eterna: « L'uomo dunque porta in sé il germe della vita eterna e la vocazione a far propri i valori trascendenti; egli, però, resta interiormente vulnerabile e drammaticamente esposto al rischio di fallire la propria vocazione, a causa di resistenze e difficoltà che egli incontra nel suo cammino esistenziale sia a livello conscio, ove è chiamata in causa la responsabilità morale, sia a livello subconscio, e ciò sia nella vita psichica ordinaria, che in quella segnata da lievi o moderate psicopatologie, che non influiscono sostanzialmente sulla libertà della persona di tendere agli ideali trascendenti, responsabilmente scelti ». 14. - Una certa maturità non è ovvia L'azione formativa non può dunque ignorare, a proposito delle vulnerabilità, i contributi delle scienze umane, assunti nell'orizzonte di un'antropologia cristiana. La maturità umana e psicologica non si incontra con facilità e comunemente, soprattutto quando i soggetti sono tenuti a confrontarsi con i valori propri della vocazione cristiana e del ministero, non fermandosi a semplici forme di gratificazione di sé. Anche quando siano state escluse forme gravi di psicopatologia, buona parte delle persone impegnate in una scelta vocazionale e ministeriale, pur essendo fondamentalmente "normali", manifestano segni di immaturità per quanto riguarda i conflitti di secondo livello, incontrando fragilità e resistenze, che tendono ad influire fortemente sull'efficacia del ministero e sulla perseveranza. Pertanto il discernimento ecclesiale, che è quello che ci compete, si dovrà far carico anche di eventuali aree di vulnerabilità, bisognose di un cammino di crescita e di integrazione, così che si raggiungano i livelli della chiarezza spirituale e quelli di una maturità umana migliorata e irrobustita. Tale cammino, per esser veritiero, dovrà coinvolgere anche quelle motivazioni ancora in ombra, e di fatto condizionanti, che fanno tutt'uno con la persona e non sono prerogativa dei soli casi di rilevanza patologica. Perciò è raccomandabile tutto ciò che contribuisce a creare le condizioni in cui la persona può: - allargare l'area della consapevolezza, che consenta una più profonda conoscenza di sé; - allargare l'area della libertà e della responsabilità, così che i modi di pensare, amare e agire, vissuti passivamente e forse compulsivamente, vengano attivamente e liberamente assunti e interiorizzati; - purificare le motivazioni: la dedizione, l'offerta, il sacrificio di sé favoriscono la vocazione quando riescono a trasformare i conflitti prevalentemente psicologici in lotta consapevole, libera e alla fine motivata dalla carità. Se non tutti avranno bisogno di una consulenza psicologica specifica, tutti però avranno bisogno di educatori in grado di stare al loro fianco, in modo assiduo e non occasionale, attenti ad interpretare anche le resistenze e le inconsistenze, le cui radici sono spesso inconsce. 15. - Individuare i problemi al loro livello proprio A questo proposito indichiamo alcuni problemi che l'educatore si trova ad affrontare più frequentemente con i seminaristi giovani e giovani-adulti: - problemi di psicopatologia ( latente o manifesta, più o meno grave ), cioè derivanti da disturbi o sintomi psichici; - problemi di sviluppo: sono manifestazioni e fragilità legate a un ritardo o a una messa tra parentesi di problematiche evolutive, come nel caso di un persistente prolungamento dell'adolescenza, con la presenza di sintomi simili a quelli psicopatologici, ma isolati e infrequenti o con la presenza di atti impulsivi, e con difficoltà e incertezze nell'area dell'identificazione sessuale; - problemi di inconsistenza e integrazione vocazionale: essi denotano difficoltà molto comuni, per lo più legate alla presenza di bisogni inconsci, che risultano prevalenti e assorbono le energie del giovane, così da trattenerlo dentro un orizzonte di ricerca di gratificazione di sé, impedendogli di muoversi secondo dinamiche di donazione di sé motivate dalla carità; - problemi di carattere spirituale, riguardanti l'area dei valori, la modalità concreta di viverli o addirittura la visione chiara del cammino vocazionale personale. Si valutino accuratamente anche i dubbi che la persona avverte circa la propria vocazione: essi potrebbero nascondere non solo un problema spirituale, ma anche una domanda di aiuto più profonda da ascoltare ed accogliere. 16. - Patologie rilevanti che possono pregiudicare un fruttuoso cammino seminaristico Sono da considerare, inoltre, alcuni segni o sintomi che possono essere indicativi di qualche patologia grave, presenti anche in persone fornite di un buon modo di presentarsi e, sotto alcuni aspetti creative e intellettualmente capaci. Si tratta di segni o sintomi che indicano una fragilità strutturale importante e diffusa della persona, e che si possono ben distinguere da alcune difficoltà limitate a qualche area specifica. Non rappresentano forme psicotiche manifeste, la cui evidenza è clamorosa, ma segnalano disturbi della personalità, che come tali tendono a ostacolare anche considerevolmente rapporti interpersonali normali e produttivi. Alcune scuole molto attendibili forniscono a questo proposito qualche importante esemplificazione: - perdurante instabilità della vita: è il caso di una persona costantemente incerta nelle scelte, negli impegni, nel lavoro, negli ideali, nelle relazioni; - incapacità di intuire i sentimenti degli altri e i loro problemi; mancanza di senso di colpa, in presenza almeno di alcune azioni morali oggettivamente gravi e lesive dell'altro; - azioni impulsive di carattere aggressivo o sessuale senza alcun controllo, passività e mancanza quasi assoluta di iniziativa, molta difficoltà alla concentrazione e alla riflessione per una certa durata; - onnipotenza e grandiosità con sopravvalutazione delle proprie responsabilità e competenze, e sottovalutazione della situazione reale e delle reazioni degli altri nelle relazioni sociali; - esaltazione irrealistica o critica totale, unilaterali e frequenti, di persone e situazioni, passando dal "tutto bene" al "tutto male" nei riguardi della stessa persona, con conseguenti relazioni parziali, incapaci di tenere insieme aspetti positivi e negativi di una persona o situazione. La presenza relativamente regolare e frequente di alcuni di questi segni o sintomi chiede di essere presa in seria considerazione, in quanto può pregiudicare un fruttuoso cammino seminaristico. In questo caso anche un accompagnamento clinico è da proporre senz'altro alla persona prima di qualsiasi scelta importante, soprattutto a partire dal primo biennio. 17. - Segni o sintomi di lievi patologie che possono e devono essere trattate Ci sono poi dei segni o sintomi di disturbi psicologici più lievi e moderati, che si manifestano nell'irrigidimento o nel funzionamento improprio dei normali processi di adattamento della persona ( modi di sentire, di pensare, di agire ). Alcune caratteristiche di questo stile che potremmo definire difensivo e che riguarda forse solo settori parziali della persona e non la sua struttura, possono essere così descritte: - evitare le scelte, apparendo rigidi e bisognosi di essere sempre rassicurati da norme esteriori; - essere spinti dal passato, con comportamenti conservatori finalizzati alla assicurazione di una vacillante identità; - deformare considerevolmente aspetti non marginali delle esigenze che la realtà pone; - avere un pensiero schematico, poco attento alla realtà e tendente a includere elementi soggettivi estranei alla situazione; - affidarsi al presupposto che deve essere possibile rimuovere e cancellare, quasi magicamente, sentimenti disturbanti; - cercare e concedersi gratificazioni col sotterfugio e bugie infantili. La presenza di questi o analoghi sintomi, benché non possa essere considerata sempre allarmante, può indicare situazioni trattabili che richiedono però un intervento specifico a livello psicologico, soprattutto quando tali sintomi sono percepiti dal soggetto con sofferenza. Opportunamente affrontati, questi disagi non precludono il cammino seminaristico. Il candidato dovrà verificare nel dialogo con i formatori i segni di un effettivo cambiamento nel tempo, comprovato dal confronto con le esigenze e i compiti concreti della vita: preghiera, lavoro, relazioni. La valutazione dev'essere compiuta prima della definitiva decisione. Il buon livello di queste attenzioni costituisce un vero contesto di crescita e determina un clima di fiducia e di rispetto. 18. - Criteri promettenti di crescita La saggezza che viene dall'esperienza educativa menziona anche alcuni segni o sintomi indicativi di una crescita umana e che sono interpretabili come processi di adattamento che favoriscono la maturità: - il comportamento esprime chiaramente la scelta di valore, attraverso un modo di operare flessibile, orientato allo scopo, capace di affrontare in termini realistici la difficoltà e il conflitto; - l'operare della persona tende al futuro, ma sa al tempo stesso tener conto delle esigenze presenti e delle passate esperienze; - l'individuo riesce abitualmente a orientarsi in mezzo alle richieste realistiche della situazione presente; - il pensiero sa integrare elementi consci e preconsci mediante la riflessione, l'esame di coscienza o la meditazione, assunti come strumenti di confronto e di conversione personale; - ha la capacità di integrare l'esperienza di emozioni e affetti, anche disturbanti, potendoli sentire e accettare, senza per questo seguirne gli inviti; - il soggetto è capace di diverse forme di soddisfazione affettiva, cioè di provare e manifestare gioia, ma in modo aperto, orientato, ordinato e controllato. 19. - Una pedagogia adeguata « L'educatore deve essere in grado di non illudersi e di non illudere sulla presunta consistenza e maturità dell'alunno. Per questo non basta il "buon senso", ma occorre uno sguardo attento e affinato da una buona conoscenza delle scienze umane per andare al di là delle apparenze e del livello superficiale delle motivazioni e dei comportamenti, e aiutare l'alunno a conoscersi in profondità, ad accettarsi con serenità, a correggersi e a maturare partendo dalle radici reali, non illusorie, e dal "cuore" stesso della sua persona ». Occorre dunque superare ogni approccio pedagogico parziale. È senz'altro insufficiente una pedagogia solo soggettiva - in quanto fondata sul "bisogno" del soggetto - che lascia fare, permissiva, che crede nell'importanza e nel valore della soddisfazione di ogni bisogno per lo sviluppo del soggetto; ma che poi rischia di abbandonarlo a se stesso, proprio nel momento in cui si richiede una presenza e un esigente confronto. Altrettanto inadeguata è una pedagogia solo oggettiva, ossia poco attenta alla singolarità di ogni soggetto: una volta individuato uno scopo e formulata una legge si pretende di condurvi passivamente tutte le persone, richiedendo le trasformazioni e gli adattamenti necessari, senza badare al rischio di porre esigenze che potrebbero risultare piuttosto estrinseche, e perciò sopportate anziché interiorizzate. Auspicabile, invece, è l'intervento pedagogico fondato sull'attenzione sia al soggetto sia alla meta da raggiungere, una pedagogia dell'"interpretazione", che sa riconoscere il tratto simbolico, ma anche ambiguo delle domande umane. Esse, infatti, mentre esprimono problemi specifici, possono sottendere ragioni più profonde e radicali e, in ultima analisi, quella tipica inquietudine che manifesta l'inesauribilità del mistero umano. In questo caso l'educatore non si trova semplicemente o lontano o vicino, ma accoglie e sostiene, e insieme sfida e confronta, perché sa interpretare le richieste e aprire a domande più profonde, che favoriscono la formazione spirituale, la quale « costituisce il cuore che unifica e vivifica » la vita del prete. 20. - La dimensione psicologica nella formazione Le implicazioni, per quanto riguarda l'apporto della psicologia per la formazione al ministero ordinato, sono consequenziali a ciò che è stato precedentemente esposto. - Vi è un'interdipendenza tra crescita umana e spirituale, continuamente sottolineata anche nei documenti magisteriali. La prevalenza di immaturità riconoscibili nel secondo livello di lotta ( quello della immaturità psichica ) raccomanda una competenza e un'attenzione ordinaria degli educatori anche a livello psicologico. D'altra parte è certo che in ogni relazione educativa i processi psicologici entrano comunque in gioco. A fare la differenza è l'esserne più o meno consapevoli e il tenerne in debito conto. - Il discernimento vocazionale, tuttavia, non è compito di un eventuale consulente, ma spetta sempre e unicamente agli educatori, ciascuno per la propria parte. La valutazione psicologica può offrire più chiarezza sulla presenza o la mancanza di potenzialità umane necessarie per la risposta a una vocazione, come il ministero ordinato, che ha un suo profilo preciso di responsabilità a servizio del popolo di Dio, nella forma della presidenza. - L'esclusione della patologia grave rimane un compito importante, ma non sufficiente. La funzione della psicologia nella formazione non è semplicemente selettiva, ma piuttosto pedagogica, preventiva, integrativa. L'apporto della psicologia è da scoprire in prospettiva di crescita e può effettivamente favorire il cammino riparativo e/o di consolidamento vocazionale anche a coloro che, senza questo aiuto, sarebbero fortemente ostacolati. 21. - Il corretto inserimento dell'apporto psicopedagogico nell'itinerario formativo L'utilizzo della consulenza di tipo psicopedagogico deve tenere presenti tre aspetti essenziali, da considerare in effettiva interazione, se non si vogliono fraintendere: - il diritto di ogni persona, e quindi anche del seminarista, a difendere la propria intimità; - la responsabilità che egli stesso ha di offrire la sua « personale convinta e cordiale collaborazione » all'azione degli educatori; - le condizioni di libertà che consentono un corretto intervento di consulenza psicologica. Perciò, sia per attuare i principi esposti, sia per favorire la fruttuosità della consulenza psicopedagogica, sembra opportuno che questa non venga mai imposta, ma semmai proposta a tutti all'inizio del cammino di formazione. Certamente tocca al formatore valutare su quali motivazioni sia fondato l'eventuale rifiuto ad accogliere la proposta di consulenza psicopedagogica. Saranno comunque decisivi il modo e le motivazioni con cui gli educatori del seminario proporranno questa possibilità di consulenza in relazione alla crescita vocazionale. Anche la comunicazione degli eventuali esiti della valutazione o dell'accompagnamento dovrà avvenire rispettando i due principi sopra dichiarati. Quindi, o sarà l'interessato a comunicare ai suoi educatori quello che ritiene utile trasmettere, o darà la possibilità a uno o più educatori, meglio se in forma scritta, di confrontarsi con il consulente. Anche in questo caso occorre sempre ricordare quanto sia decisivo per una proficua relazione educativa stabilire rapporti di fiducia e garantire quindi una relativa autonomia della consulenza. Non sembra raccomandabile chiedere sistematicamente una valutazione scritta al consulente da allegare alla scheda personale del seminarista, se non in casi davvero particolari. 22. - Verso la realizzazione di un'autentica vita spirituale « La stessa formazione umana, se sviluppata nel contesto di un'antropologia che accoglie l'intera verità dell'uomo, si apre e si completa nella formazione spirituale. Ogni uomo, creato da Dio e redento dal sangue di Cristo, è chiamato ad essere rigenerato "dall'acqua e dallo Spirito" ( cf. Gv 3,5 ) e a divenire "figlio nel Figlio". Sta in questo disegno efficace di Dio il fondamento della dimensione costitutivamente religiosa dell'essere umano, peraltro intuita e riconosciuta dalla semplice ragione: l'uomo è aperto al trascendente, all'assoluto; possiede un cuore che è inquieto fino a che non riposa nel Signore. [ … ] E come per ogni fedele la formazione spirituale deve dirsi centrale e unificante in rapporto al suo "essere cristiano" e al suo "vivere da cristiano", ossia da creatura nuova in Cristo che cammina nello Spirito, così per ogni presbitero la formazione spirituale costituisce il cuore che unifica e vivifica il suo "essere" prete e il suo "fare" il prete». Questo testo della Pastores dabo vobis è particolarmente illuminante e capace di fare intuire il nesso profondo e il reciproco rapporto tra la realtà psicologica e la vita spirituale. Potremmo dire che tutto quanto abbiamo cercato di esporre in questo capitolo risulterebbe presuntuoso se pretendesse di offrire risposte immediate e risolutive a tutti i singoli problemi della persona in formazione: abbiamo inteso piuttosto offrire alcune indicazioni importanti e che riteniamo necessarie a impostare un serio itinerario di discernimento, capace di individuare le ferite e i conflitti interiori per aprirli all'incontro col mistero pasquale di Cristo. Spesso si sente dire che bisogna guarire la psiche, liberarsi dalla propria storia personale prima di cominciare a costruire la vita spirituale: come se soltanto una persona in perfetta forma psichica potesse crescere spiritualmente. In realtà questa separazione dello psicologico e dello spirituale, o la loro confusione, scaturisce da una visione che non riesce a integrare il dolore e la sofferenza e a concepire che nell'incontro con l'Amore di Dio rivelato in Cristo e nell'esperienza di esso, il limite può diventare il veicolo: ossia, anche una sofferenza psichica, un disturbo della struttura personale, un fallimento può diventare ricordo di Dio, comunicazione di Dio, partecipazione alla sua Pasqua. Non basta, dunque, prendere coscienza delle proprie strutture e ferite psichiche ( è necessario, ma non è ancor questo che salva! ): occorre simultaneamente impegnare la persona nella sua totalità per introdurla nella comunione profonda con Gesù Cristo, buon Pastore, nella sottomissione di tutta la vita allo Spirito, in un atteggiamento filiale nei confronti del Padre e in un attaccamento fiducioso alla Chiesa. Tale integrale coinvolgimento con il mistero dell'Amore di Dio, che diventa consegna di sé all'Altro, costituisce il punto di profonda convergenza e di unità fra psiche e spirito: laddove, grazie ad una raggiunta consapevolezza ( docibilità ) e ad una libera adesione ( docilità ), la sofferenza e la morte di Cristo trovano la forza e il potere di scendere e di visitare le zone più recondite e tenebrose dell'animo umano e di porvi il germe della risurrezione. A questo proposito, l'autenticità dell'esperienza spirituale trova nella tradizione cristiana una grande ricchezza di riferimenti. Ma vorremmo indicare qui alcuni criteri che, se assunti congiuntamente, possono orientare a comprendere se un'esperienza religiosa è condotta in modo valido, nell'alveo della realtà e non in quello dell'illusione. - L'esperienza spirituale è "cristiforme": cioè fa sì che l'amore umano possa incarnare in linguaggi e in forme concrete la santa umanità di Gesù, immagine visibile del Dio invisibile. È il caso di un amore che non chiede il contraccambio, che sa accettare il servizio in condizioni dimesse e difficili, apparentemente poco fruttuose, che giunge al sacrificio senza lamento. - L'esperienza spirituale è "trasformante": aiuta la persona a conseguire una trasformazione dell'oggetto del desiderio. Ad esempio, quando il seminarista, da un semplice bisogno di appartenenza a un gruppo o di identificazione con alcune espressioni del ministero sacerdotale, comincia effettivamente a sintonizzarsi con il modo di pensare, di agire, di sentire di Gesù; o dalla ricerca di un ruolo in comunità, a cui aspira per non rimanere isolato, approda a scegliere i tempi di solitudine con il Signore come sorgente e condizione di libertà e di discernimento. - L'esperienza spirituale è "sintesi attiva": ossia tutti i dati dell'esperienza vengono raccolti e rispettati nella loro propria tensione e diversità. Così avviene, ad esempio, quando il seminarista impara a vivere l'Eucaristia, celebrandola nella liturgia, ma anche nell'offerta del proprio lavoro; a mantenersi fedelmente alla presenza del Signore anche nel tempo dell'aridità; a separarsi dal padre, dalla madre e dagli amici, e nello stesso tempo ad amarli e a crescere nell'intensità dell'amicizia secondo l'orizzonte evangelico, e magari rischiare di perderla per la fedeltà al Vangelo stesso. - L'esperienza spirituale è "consistente": in grado, cioè, di condurre l'immediato e il quotidiano a un solido fondamento di stabilità. Ad esempio: all'immediato entusiasmo per una scelta grande come quella del sacerdozio segue un lungo e paziente periodo di appropriazione e di prova, dove si può quotidianamente realizzare nei modi meno appariscenti e più concreti il morire per vivere ( vedi il magistero della "piccola via" di Santa Teresa di Gesù Bambino ); ad una adesione immediata e di forte intensità emotiva segue una decisione maturata nell'affidamento consapevole e pacato della fede. Concludiamo questo capitolo con le parole di papa Giovanni Paolo II che nella Pastores dabo vobis ci aiuta a cogliere il cuore e il senso profondo della formazione spirituale in vista del presbiterato: « è l'evento del Figlio di Dio che si fa uomo e dà a quanti l'accolgono il "potere di diventare figli di Dio" ( Gv 1,12 ), è l'annuncio, anzi il dono di un'alleanza personale di amore e di vita di Dio con l'uomo. Solo se i futuri sacerdoti, attraverso un'adeguata formazione spirituale, avranno fatto conoscenza profonda ed esperienza crescente di questo "mistero", potranno comunicare agli altri tale sorprendente e beatificante annuncio ( cf. 1 Gv 1,1-4 ) ». Capitolo II L'esigenza propedeutica: Tra percorsi tradizionali e nuove risposte 23. - Le nuove condizioni dell'esigenza propedeutica « La finalità e la configurazione educativa specifica del seminario maggiore esigono che i candidati al sacerdozio vi entrino con una qualche preparazione previa. Una simile preparazione non poneva problemi particolari, almeno sino a qualche decennio fa, allorquando i candidati al sacerdozio provenivano abitualmente dai seminari minori e la vita cristiana delle comunità ecclesiali offriva facilmente a tutti, indistintamente, una discreta istruzione ed educazione cristiana. La situazione è in molte parti cambiata. Si dà una forte discrepanza tra lo stile di vita e la preparazione di base dei ragazzi, degli adolescenti e dei giovani, anche se cristiani e talvolta impegnati nella vita della Chiesa, da un lato, e dall'altro lo stile di vita del seminario e le sue esigenze formative. In questo contesto, in comunione con i padri sinodali, chiedo che vi sia un periodo adeguato di preparazione che preceda la formazione del seminario ». Così si esprime Giovanni Paolo II nella Pastores dabo vobis. Collochiamo sotto il nome di "esigenza propedeutica" un ampio intreccio di condizioni obiettive, che si presentano alla coscienza e al vaglio delle nostre Chiese ogniqualvolta si tratti di ammettere un giovane a iniziare un cammino nel seminario teologico ( o maggiore ). Le domande sono: su quali premesse un giovane può compiere una scelta preliminare, che pur non avendo ancora la consistenza per dirsi definitiva, già contiene un orientamento e una tensione positiva verso il suo compimento? Con quali attenzioni un giovane può sentirsi accolto e valorizzato, anche per la grazia che già opera in lui? La problematica può essere compresa nella sua attualità e nella sua rilevanza, se si pone attenzione ai tre dati seguenti. Il primo è costituito dalla natura del momento e del progetto educativo del seminario maggiore. La coerenza interna delle sue proposte e lo stile di vita richiedono nei soggetti, fin dall'inizio, disposizioni minime e chiare per risultare una via promettente e percorribile. La gradualità del cammino non dispensa da un livello di partenza accertato. Il confronto con l'ammissione alla frequenza di un corso universitario, anche se in parte legittimo, non è però sufficiente a rendere ragione di ciò che la formazione seminaristica ha di specifico nel suo insieme. La relazione comunitaria, il suo modello spirituale, il declinarsi armonico di relazioni ecclesiali, di istanze culturali, di atteggiamenti personali nella vicenda quotidiana della vita in seminario, non sono attenuabili o rimandabili a piacere, con soluzioni troppo superficiali. Il secondo dato da considerare è la tradizionale funzione propedeutica dei seminari minori. Essi un tempo svolgevano questo compito in misura pressoché generalizzata ed esclusiva. Oggi, dove ancora sussistono, ne continuano il prezioso richiamo, anche attraverso i più recenti accompagnamenti vocazionali dell'età evolutiva di cui si sono fatti promotori. I seminari minori si sono trasformati pedagogicamente e, se da un lato hanno originato nuovi modelli di vita comune, fanno pure memoria della necessità di immaginare e offrire nuovi percorsi di iniziazione a un fruttuoso seminario teologico. Per quanto ci si sforzi di non lasciar cadere nelle nostre Chiese la possibilità del "minore" fin dalla prima adolescenza, essa, però, risponde solo limitatamente alle attuali esigenze propedeutiche di giovani che, per la condizione culturale in cui si trovano, tendono a differire nel tempo gli orientamenti della vita e le forme pratiche che li realizzano. Tuttavia, al valore propedeutico del seminario minore verrà riservata più avanti qualche puntuale attenzione. Il terzo e ultimo dato è rappresentato dal fatto che il vissuto giovanile è oggi talmente diversificato, discontinuo e confuso – pur nelle ricchezze spirituali che lo contraddistinguono – che anche le intuizioni e le domande più profonde, che alludono a una seria intenzione vocazionale, abbisognano di decantazione, di integrazione, di chiarificazione, così che la persona possa effettivamente consegnarsi a un serio ed impegnativo itinerario di formazione. L'esperienza constata come di volta in volta emergano problemi circa la preghiera, la conoscenza di sé, l'ordine negli affetti, il possesso a livello catechistico dei principali dati della fede, la condizione culturale idonea allo studio filosofico e teologico, la qualità della relazione ecclesiale. Di tali problemi occorre farsi carico prima che si avvii la formazione nel seminario maggiore. A questo scopo, si dovrà pensare a una stretta collaborazione tra l'équipe formativa del seminario maggiore e quella del seminario minore o quella che accompagna altri percorsi formativi. La diversità, la complessità e la frammentazione dei contesti di vita richiedono oggi tempi più lunghi e un maggior lavoro educativo per essere adeguatamente interpretati e diventare punti di partenza per un cammino di maturazione umana e vocazionale: così si spiega la novità di questa istanza "propedeutica". 24. - Lo specifico valore propedeutico del seminario minore Si può dire che l'ininterrotta proposta del seminario minore da parte della Chiesa italiana, oltre ad essere un fedele ascolto dell'insegnamento conciliare, si radica nella convinzione che una siffatta comunità contribuisca « al discernimento vocazionale degli adolescenti e dei giovani, offrendo loro al contempo una formazione integrale e coerente, basata sull'intimità con Cristo. In tal modo, coloro che sono chiamati si preparano a rispondere con gioia e generosità al dono della vocazione ». Pertanto va superata la diffusa contraddizione pratica che si verifica nelle nostre Chiese. Da una parte il seminario minore costituisce, secondo il magistero, una via privilegiata per il discernimento vocazionale; dall'altra, per i presbiteri e soprattutto per le famiglie, diventa sempre più scontato che una scelta vocazionale debba essere presa in considerazione oltre l'adolescenza, ritenendo superata l'esperienza del seminario minore e ignorando il carattere fortemente progettuale della preadolescenza e dell'adolescenza. Il seminario minore, variamente strutturato nelle diocesi che ne dispongono, è ancora percepito come riferimento per la pastorale vocazionale della preadolescenza e dell'adolescenza. Le trasformazioni pedagogiche avvenute sono in grado di mostrarne la plausibilità ai principali soggetti pastorali: famiglie, parrocchie, oratori. Il seminario minore, a tutt'oggi, ha la possibilità di far cogliere non in astratto, ma attraverso l'esistenza di singolari comunità di vita, la relazione stretta che intercorre tra i cammini personalizzati della fede e la domanda vocazionale che attraversa l'esperienza credente. La Chiesa, dunque, intende mettere a disposizione, anche per l'età della crescita, il seminario minore in cui è possibile considerare armonicamente l'eventuale chiamata a un'esistenza presbiterale; lo offre come una comunità attenta a non compiere forzature di sorta, non isolata rispetto agli apporti dei naturali soggetti educativi; anzi capace di rendere familiari il significato evangelico e il valore relazionale tipico della figura del prete rispetto a tutte le altre figure della comunità cristiana. 25. - Il seminario minore integra l'opera della famiglia e della parrocchia Il seminario minore può essere quindi un'espressione particolarmente qualificata della pastorale, della sua costitutiva dimensione vocazionale, che si esprime nella convinta e generosa sequela di Gesù Cristo, e della sua cura di far scoprire il mistero della Chiesa come riflesso dell'amore trinitario e come anelito a fare della famiglia umana la famiglia di Dio. La funzione "pastorale" del seminario minore è quella di tenere alta la memoria della vita cristiana come chiamata alla santità, al servizio, alla testimonianza, alla sequela, alla scoperta del proprio stato di vita, integrando e non sostituendo l'opera della famiglia, della scuola e della parrocchia nei loro compiti educativi propri. L'efficacia della comunità educativa del seminario minore dipende dalla presenza di una équipe formativa stabile, equilibrata e preparata ad affrontare i problemi dell'adolescenza, creando un contesto sereno e familiare, dotato di autorevolezza e di scioltezza adatte all'età dei ragazzi. Gli educatori non sostituiscono le figure dei genitori, anzi, ne aiuteranno presso i ragazzi la più profonda riscoperta e favoriranno una più intensa relazione fra loro nell'ascolto attento e riconoscente dei disegni di Dio. Tutto ciò si traduce in uno stile di coinvolgimento effettivo delle famiglie nella vicenda educativa e nei momenti più importanti della vita del seminario. La qualità che queste relazioni sanno raggiungere è una testimonianza a favore della ricerca vocazionale e della sua buona impostazione. 26. - Il seminario minore e la sua attenzione pedagogica L'azione pedagogica mirerà a bilanciare con sapienza e duttilità i diversi obiettivi che costituiscono il corpo della formazione umana, culturale e spirituale di un ragazzo. Per quanto possibile, l'impegno scolastico dovrà essere vivificato da una spiccata sensibilità umanistica e sostenere con onestà il confronto con le domande di senso che attraversano l'attuale momento storico. L'esperienza scolastica più costruttiva non vive, infatti, separata dalle altre espressioni di ricerca e di comunione nell'ambito della fede: la formazione cristiana, la liturgia, la fraternità nella vita comune, la passione per la vita della Chiesa. La ricchezza della proposta dovrà, dunque, comporsi rispettosamente con la responsabilità personale dei ragazzi, sia riguardo ai tempi e all'impegno delle iniziative comuni, sia in ordine alle necessarie attività sportive e di svago e a sufficienti occasioni per una buona vita di relazione con le comunità d'origine, indispensabili per il corretto sviluppo di questa età. 27. - Altri possibili percorsi vocazionali Altre forme di comunità vocazionali sono da tempo previste o attuate, soprattutto laddove le condizioni sociologiche rendono impervio l'immediato accesso a una vita comunitaria stabile e piena. In questi anni diversi tentativi hanno interpretato coraggiosamente tale bisogno: scuole o centri vocazionali, campi estivi e incontri periodici lungo l'anno, dotati di un progetto, di un accompagnamento e di un coordinamento ben pensati. Tutti questi itinerari si sono rivelati tanto più efficaci quanto più si è curato il loro riferimento con la comunità del seminario. Analogo coordinamento si deve esercitare da parte dei seminari regionali nei confronti di attività di accompagnamento vocazionale nel periodo dell'adolescenza e nell'ambito della scuola media superiore nelle singole diocesi, affinché corrispondano più puntualmente alle loro finalità propedeutiche. 28. - L'esigenza propedeutica e gli itinerari giovanili verso il seminario maggiore L'esigenza propedeutica va sempre interpretata con cordialità, con realismo e con duttilità. Numerose infatti, e di diversa natura, sono le domande di preparazione prossima che si riscontrano nei giovani in ricerca vocazionale. D'altra parte, un seminario veramente accogliente si riconosce anche dalla qualità e dalla responsabilità delle proposte che sa suggerire e sostenere anche in ordine alle nuove sfide e provocazioni. A questo proposito, gli obiettivi pedagogici essenziali che motivano l'introduzione di itinerari propedeutici ci sembrano chiari: la messa a punto delle condizioni di maturità umana per abbracciare consapevolmente una formazione di spiccata impronta oblativa; una considerazione approfondita della figura presbiterale, secondo l'attuale sentire ecclesiale; un'introduzione alle espressioni più caratteristiche che manifestano e alimentano un'autentica vita cristiana, al di là di un emotivo e vago impulso religioso; un ordinato accompagnamento di direzione spirituale; una base culturale sufficiente per affrontare lo studio teologico. E tutto questo rivolto, infine, ad aiutare i giovani orientati al seminario a immergersi, e in modo globale, nel mistero di Cristo, quale orizzonte essenziale e imprescindibile di ogni autentico itinerario vocazionale. 29. - Un possibile itinerario propedeutico L'itinerario propedeutico dovrebbe essere guidato e animato da educatori specificamente formati allo scopo, in modo da garantire un cammino ben armonizzato tra spazi comunitari e spazi personali, evitando ogni forma di approssimazione e di improvvisazione. L'ampiezza e la durata dell'itinerario propedeutico dipendono dal riscontro il più possibile obiettivo della storia personale dei giovani, delle loro esperienze spirituali ed ecclesiali, degli studi compiuti. Un aspetto non secondario concerne anche la sua modellazione comunitaria e la sua sede. La vita in comunità dovrà necessariamente tener conto dell'estensione degli adempimenti propedeutici, degli obblighi scolastici o civili dei giovani che intraprendono il cammino, dell'opportunità che si attui subito o si rimandi il distacco da eventuali impegni di lavoro o da responsabilità familiari. Per quanto riguarda la sede, pur nella considerazione delle diverse possibilità, si ritiene in ogni caso necessario un luogo specifico di convergenza che garantisca la possibilità di tempi sufficienti per la condivisione, il confronto quotidiano, un regolare sviluppo della preghiera, della vita spirituale e della preparazione culturale. L'introduzione, comunque, di un anno propedeutico rappresenta un riferimento interessante e una prima scelta "esemplare" a fronte di esigenze tanto complesse. Questa scelta, per le ragioni sopra ricordate, dovrà restare aperta a forme graduali e diversificate, in un clima di ragionevole e costante sperimentazione. Per realizzarla adeguatamente occorrerà, in molti casi, un concorso ordinato di forze e di risorse da parte delle singole Chiese, con spirito di convinta collaborazione. 30. - La ricerca di una sapiente fusione: vetera et nova L'anno propedeutico potrà ben corrispondere ai suoi obiettivi, se cercherà di mantenere tra loro dinamicamente collegati questi nuclei: - La matura esperienza di fede: è questo il punto di raccordo tra un cammino di fede vissuto in una comunità cristiana o in un gruppo ecclesiale e l'approdo nel contesto comunitario del seminario. Ciò chiede attenzione ai contenuti essenziali dell'esperienza cristiana e una loro verifica: l'ascolto della Parola di Dio, l'attitudine alla preghiera personale e liturgica, la buona conoscenza del catechismo della Chiesa cattolica, la disposizione a un vissuto relazionale aperto agli altri nel servizio e nella carità. Per questo, la consegna che il giovane fa di sé nell'esperienza della sequela e in un contesto sufficientemente disciplinato quale è un anno propedeutico, presuppone già un adeguato discernimento, soprattutto da parte del sacerdote che opera nella comunità cristiana. L'anno propedeutico non è un tempo di generica ricerca del progetto vocazionale, ma già una verifica dei segni oggettivi di un effettivo orientamento al sacerdozio. Per questo i parroci, in modo particolare, hanno la responsabilità di esercitare in prima persona validi criteri di discernimento vocazionale, ed è necessario che si sentano coinvolti ed impegnati a collaborare con gli educatori del seminario per servire proficuamente il progetto di Dio nei candidati al ministero. A tale scopo, già prima dell'anno propedeutico, va instaurata una positiva collaborazione tra i sacerdoti delle parrocchie e gli educatori del seminario per un sapiente accompagnamento dei giovani. - La convocazione comunitaria: essa rappresenta la condizione per introdursi alla preghiera liturgica e personale, per meglio conoscersi, in virtù delle molteplici relazioni quotidiane, e per assimilare i presupposti obiettivi di un reale affidamento di sé all'opera dello Spirito e alla pedagogia della Chiesa. Il suo punto di forza è il seguente: un cammino spirituale che, intrapreso insieme, consente di sperimentare come siano possibili un buon incontro e una profonda condivisione delle rispettive risorse, per arrivare, in pacatezza e collaborazione, a una esperienza di vita significativa e aperta al Vangelo. In questo clima, inoltre, il vissuto della società, che segna profondamente questi giovani, per quanto desiderosi di dedicarsi alla sequela radicale di Cristo, viene meglio letto, interpretato e purificato nella mente e nel cuore. - La relazione ecclesiale: essa comprenderà sia il riferimento con i presbiteri che il vescovo indicherà autorevolmente per il discernimento e per l'impostazione della preparazione personale all'ingresso nel seminario maggiore, sia una sapiente partecipazione alle iniziative diocesane più importanti ( specialmente quelle offerte ai giovani ), sia un adeguato inserimento settimanale presso qualche comunità cristiana. Il legame, peraltro, con le comunità che hanno generato alla fede resta fondamentale, per avviare una buona circolarità educativa col seminario. - La proposta culturale: essendo diverse le provenienze e molto differenziati i dati di esperienza, essa dovrà variamente articolarsi nelle aree della riflessione filosofica e della problematica culturale emergente, della conoscenza elementare della lingua latina e greca in vista dell'approccio ai testi fondamentali del lavoro teologico, dell'esercitazione a tener viva o a incrementare la conoscenza della lingua italiana e l'uso delle lingue straniere. La decisione di cessare eventuali studi universitari molto avanzati dev'essere valutata senza ombra di leggerezza, tenendo conto di tutti gli elementi in gioco nella storia della persona. Non c'è dubbio che l'insieme di queste attenzioni pone problemi inediti agli impegni della diocesi e del seminario, ma offre anche stimoli rinnovatori alla premura apostolica dell'una e alla tradizionale sapienza educativa dell'altro. Si tratta di individuare forme di accompagnamento, modalità di proposta culturale, tempi di contatto personale e tempi di vita comune, che sappiano farsi carico, da una parte, dei diversi contesti di provenienza dei giovani, dall'altra del loro desiderio di approdare motivatamente alla formazione vera e propria; e ciò attraverso il recupero di indispensabili attitudini, quali il fornirsi di una regola di vita o l'aprirsi alla curiosità intellettuale capace di cogliere il significato delle scelte della fede e della dedizione apostolica nell'attuale momento storico. 31. - Casi di vocazioni in età adulta Per quanto questo argomento non attenga in modo diretto alla questione propedeutica, viene ritenuto opportuno di collocare alla fine di questo capitolo il problema di alcuni percorsi particolari di preparazione al presbiterato per vocazioni adulte. Un tempo erano casi eccezionali e tali erano anche i percorsi, per lo più seguiti direttamente dai vescovi interessati. Oggi divengono meno rari e si connotano in maniera molto variegata, ponendo al discernimento e alla formazione problemi inediti e complessi. Si può dire che essi costituiscono uno dei segnali più clamorosi della trasformazione sociale ed ecclesiale in atto: positivamente, se si considera che esperienze mature e provate possono evolversi verso coraggiose prospettive vocazionali, un tempo più difficilmente immaginabili; negativamente, se si considera che taluni di questi casi possono mettere in luce indecisioni di lungo corso e assetti personali piuttosto deboli e restii a profili consistenti di responsabilità. Già su questo fronte il discernimento dovrà quindi essere accurato. Sarà significativo che la domanda del candidato sia sostenuta apertamente da testimonianze buone e attendibili. Soprattutto rivestono una grande importanza la stima e la presentazione positiva che possono ricavarsi presso le comunità d'origine. Quanto alla formazione, due sono le questioni più rilevanti: la necessità di un adeguato percorso teologico e di un idoneo contesto per l'acquisizione dello stile spirituale e della dimensione pastorale-comunitaria richiesti dal ministero e dall'inserimento in un presbiterio. Quanto alla prima questione, si possono dare oggi, con una certa frequenza, casi di adulti che già hanno compiuto studi teologici, anche nella forma accademica: basterà allora proporre qualche approfondimento, soprattutto nella direzione di una maggiore riflessione pastorale; oppure, se i soggetti vi sono predisposti, si potrà addirittura proporre un percorso di specializzazione. Se, invece, pur in presenza di una buona formazione professionale e culturale, non vi sono stati studi di indirizzo teologico, non si potrà fare a meno di elaborare, con l'approvazione del vescovo, un piano di studi personalizzato, ma sostanzioso, avvalendosi delle disponibilità istituzionali presenti in diocesi o nel territorio: un tutor nominato ad hoc ne potrebbe curare l'adempimento. Quanto alla seconda questione, occorrerà proporre al candidato una possibile destinazione ministeriale, e collocarlo in un contesto pastorale in cui sia formato alla vita spirituale e ad una certa disciplina, o regola di vita, e introdotto gradualmente e fraternamente alla vita presbiterale, nonché all'esercizio di quelle forme di ministero più adatte alla persona. Tutto questo finalizzato all'individuazione di un itinerario che potrà affiancare efficacemente la vera e propria formazione seminaristica, pur senza sostituirla del tutto. Parimenti, infatti, sarà necessario predisporre, con una certa regolarità, qualche tempo di contatto con la vita del seminario, per una sufficiente condivisione del candidato con la formazione e con lo spirito diocesano che ne permea la proposta e per una fraterna conoscenza di coloro con i quali riceverà l'imposizione delle mani per l'ordinazione. Il vescovo indicherà con la massima chiarezza chi si dovrà assumere la responsabilità ultima del discernimento. Capitolo III L'esigenza di un progetto di formazione per ogni seminario: Aspetti fondamentali 32. - Un aggiornato profilo e criteri adeguati per la formazione L'orizzonte della fede ecclesiale e i più attendibili risultati dell'elaborazione teologica circa la figura del presbitero e il suo ministero sono l'imprescindibile riferimento per la formazione attuale nei seminari. Essi ne costituiscono l'aggiornato profilo e ne offrono gli adeguati criteri. Occorre però declinarli in una prospettiva dinamica, perché tutti i soggetti implicati nell'originale e delicata avventura educativa comprendano la propria parte, l'ordinata cooperazione, l'effettiva convergenza dei singoli e diversificati apporti: l'itinerario pedagogico, infatti, richiede linguaggi, tempi e interazioni capaci di evolvere verso il consapevole raggiungimento di quella forma di vita cristiana che si esprime nel servizio presbiterale. La presente non è certamente una stagione che consenta adempimenti formali o mappe troppo generiche. « I contenuti e le forme dell'opera educativa esigono che il seminario abbia una sua precisa programmazione, un programma di vita cioè che si caratterizzi, sia per la sua organicità-unità, sia per la sua sintonia o corrispondenza con l'unico fine che giustifica l'esistenza del seminario: la preparazione dei futuri presbiteri. [ … ] E perché la programmazione sia veramente adatta ed efficace occorre che le grandi linee programmatiche si traducano più concretamente in dettaglio, mediante alcune norme particolari destinate ad ordinare la vita comunitaria, stabilendo alcuni strumenti e alcuni ritmi temporali precisi ». Il ministero presbiterale non può immaginarsi al di fuori della cura per l'annuncio della Parola, per la celebrazione dei sacramenti, per la diaconia della carità, per l'esercizio della comunione: per ognuno di questi campi s'intravede il rimando evangelico. La pedagogia del seminario non può, d'altra parte, limitarsi a enunciarli e a richiamarli. Deve mostrare, anzitutto, le loro reciproche implicazioni e la loro profonda unità, e poi come se ne imprime nella vita l'atteggiamento, il comportamento, la mentalità corrispondente. Fidandosi dello Spirito che li suggerisce, urgendone e guidandone l'esperienza, la formazione insegna concretamente il come e il quando; determina i soggetti che sono incaricati di proporne l'esercizio e le necessarie verifiche; non si lascia condurre a strattoni da improvvise sollecitazioni emotive, perdendo le misure dell'insieme. Con uno sguardo profondo e lungimirante, capace di coniugare le necessità della stagione formativa con le prevedibili condizioni in cui una Chiesa è chiamata ad offrire la propria testimonianza, la pedagogia seminaristica visiterà tutti i suoi ambiti specifici, con la volontà di valorizzare gli spunti meno casuali e più promettenti. 33. - Il progetto educativo del seminario: un progetto dinamico ed ecclesialmente connotato È necessario che ogni seminario accolga la fatica di una seria programmazione, mediante la formulazione di un progetto educativo, il quale non può accontentarsi di soli richiami ideali e morali, la cui necessità è comunque imprescindibile. Esso mostra agli educatori e agli alunni come incarnarsi insieme nell'evento educativo, che è sempre contemporaneamente una grazia e un esercizio della libertà, un ininterrotto raccordo tra la misteriosa singolarità del soggetto e della sua storia e l'oggettiva esperienza ecclesiale accolta come espressione dello Spirito, un singolare modo di essere discepoli insieme, pur nell'asimmetrico dispiegarsi della responsabilità. Il progetto vive di chiarezza e di scioltezza. Per tutti il primato della grazia è fuori discussione, e mai abbastanza evidenziato e sottolineato. Da lì si procede insieme, nell'insegnamento e nella disciplina, nella carità e nell'esercizio dell'intelligenza, nella lettura della storia e dei contesti vitali e nell'accurata conoscenza di sé, per cercare di corrispondere alla dinamica profonda della fede. Un progetto educativo è vitale quando predispone a un habitus di sincera ricerca e di matura partecipazione al cammino comune e quando sostiene il seminario nel costituirsi ogni giorno come effettiva comunità educante. È convinzione comune che prima delle istituzioni ci sono le persone che educano, ed è vero: ma non a caso o in qualsiasi modo, e nemmeno appellandosi semplicemente al proprio zelo. Occorre una chiara proposta spirituale, che dia forza e impronta al loro educare, che sia riconducibile al mandato ricevuto e alla sua obiettiva fisionomia ecclesiale. Tale mandato e le corrispondenti ragioni ecclesiali, illuminate dallo spirito del Vangelo, sono quanto un aggiornato progetto educativo cerca efficacemente di interpretare. Qui sta il suo valore di vera e propria regola di vita per ciascuno di coloro che costituiscono la comunità del seminario. Per questo motivo esso non può rappresentare un semplice adempimento formale, ma domanda di diventare quotidiana memoria, sorgente di preghiera, regolare spunto di comunicazione formativa e stimolo per l'ulteriore ricerca e per periodiche verifiche. È evidente, inoltre, che per sua natura il progetto educativo della comunità del seminario riflette tutta la ricchezza della relazione ecclesiale, al di fuori della quale l'esperienza che vi si conduce diverrebbe astratta e asfittica. Ma pure ecclesialmente connotato dovrà risultare il suo stesso procedimento di stesura il quale, per attestarsi con la dovuta concretezza e autorevolezza, dovrà attraversare, quasi per cerchi concentrici, i luoghi più significativi del discernimento diocesano: il consiglio presbiterale, il consiglio pastorale, la comunità educante del seminario. Anche sotto questo aspetto il progetto educativo del seminario non può ridursi ad essere un prontuario per gli addetti ai lavori, ma domanda di essere conosciuto e custodito come un patrimonio di tutta la comunità ecclesiale, almeno presso coloro che sono più sensibili e attivi nella promozione della vita spirituale e delle vocazioni cristiane. 34. - I diversi contesti pedagogici Va preso atto che nella Chiesa italiana le comunità seminaristiche assumono configurazioni diverse: dai seminari diocesani con scuola interna, ai piccoli gruppi che inviano ogni giorno gli alunni nelle facoltà o negli istituti teologici regionali o interdiocesani, ai seminari regionali o interdiocesani. È facile rilevare l'oggettiva diversità delle condizioni che possono stimolare o svigorire i contesti educativi quotidiani. Nelle comunità caratterizzate da un numero consistente di presenze è più favorita la circolazione di idee e di esperienze ed è più articolata la proposta formativa, ma rischia di risultare più anonima la relazione interpersonale, così da esigere interventi più accuratamente personalizzati. Nei piccoli gruppi, se è favorita la reciproca conoscenza, può risultare più povero il tessuto normale della vita comunitaria, sia a livello spirituale che culturale. Pertanto i contesti pedagogici richiedono oculatezza perché la condizione numerica non indebolisca la proposta educativa e non la renda generica. Spetta agli educatori percepire l'incidenza dei fattori oggettivi nella vita comunitaria e introdurre i più opportuni correttivi. 35. - Il linguaggio spirituale Non si trascuri il fatto che il progetto educativo sarà tanto più incisivo e gradito quanto più la sua impostazione possederà la freschezza e la chiarezza di un'autentica offerta spirituale. Solo la diuturna dimestichezza con i linguaggi della Bibbia, della grande tradizione cristiana e della teologia spirituale potrà felicemente sostenere un'impresa tanto esigente quanto necessaria, e garantirla dal rischio di inutili luoghi comuni o di retoriche di facile consumo. Questo orizzonte, che rende accessibile la vera comprensione delle possibilità che si dischiudono nella sequela del Signore, deve collocarsi sicuramente al centro di una formazione cristiana e presbiterale. Il linguaggio, l'ottica e l'assetto spirituale, infatti, sapranno far posto a molte attenzioni e competenze, che potranno condurre la persona verso positivi sviluppi delle capacità relazionali contenute nella vocazione accolta. Ed è così che un progetto educativo sarà capace di generare e di promuovere nel cammino di formazione le vere dinamiche della fede: quelle che potranno far fronte ai travagli di domani, alle mutazioni e alle molteplici richieste del ministero. 36. - Richiamo e strumento di unità Il progetto, nel momento in cui è affidato all'intera compagine degli educatori previsti dalla normativa ecclesiale e ai singoli alunni, illumina ed edifica l'unità profonda dei diversi apporti e dei diversi momenti del cammino formativo, in quanto contiene la chiave per mostrare come ogni intervento educativo converge a dar corpo ad un'umanità vera, nella quale lo Spirito di Gesù viene ad abitare pensieri, sentimenti, giudizi e azioni. Il suo disegno rigoroso e sapiente aiuta a poco a poco a smascherare e ad evitare dualismi, fratture e giustapposizioni precarie nell'assetto della personalità e nella condotta di vita. Il mancato raggiungimento di questa sintesi, infatti, è la causa delle più frequenti e più rilevanti involuzioni nella vita e nel ministero del prete. I contenuti del progetto educativo domandano continuamente a tutti di riflettere sulla qualità delle relazioni che essi intendono suscitare e alle quali rimandano come al luogo privilegiato in cui si può verificare la validità della formazione. La felice attuazione delle relazioni che i seminaristi riusciranno a sviluppare tra di loro, con gli educatori, con il presbiterio, con le comunità parrocchiali, con i giovani e gli adulti impegnati sul versante della laicità, è sicuramente il frutto che alla fine permetterà di riconoscere la bontà dell'albero. 37. - I ritmi di vita del seminario Da più parti si fa notare che i ritmi di vita della comunità seminaristica vengono facilmente disturbati da altre esigenze pur ritenute importanti. La stessa distinzione logistica tra seminari e centri di studio teologici, oppure l'eccessiva dilatazione dei tempi occupati dalle esperienze pastorali corrono il rischio di erodere, se non vanificare la qualità della vita comunitaria dei seminari, intesi soprattutto come luogo di riflessione, di studio, di preghiera, di fraternità e di verifica. Non va dimenticato che sovente sono proprio la scuola e le immediate esigenze poste dal servizio pastorale a coinvolgere di più psicologicamente i giovani, con la facile conseguenza di lasciare in secondo piano la formazione spirituale rispetto alle preoccupazioni di studio o alle incombenze pratiche ed organizzative delle attività parrocchiali. Ciò non favorisce la salvaguardia della specificità del tempo irripetibile del curricolo seminaristico, e tantomeno consente di maturare quell'unità di vita che è assolutamente necessaria perché ci sia una vera maturità umana e spirituale. Di qui l'importanza decisiva di impostare con equilibrio e di rispettare i tempi della formazione con particolare attenzione al fine-settimana del sabato e della domenica. I seminaristi in parrocchia non vanno ritenuti come dei vice-parroci, ma piuttosto in condizione di apprendistato, bisognosi di sapiente e fraterno accompagnamento da parte dei sacerdoti. Così va prevista una certa differenza tra il primo biennio e il quadriennio teologico. Nella prima fase il tempo dato alle attività pastorali va sapientemente limitato, al fine di consentire una effettiva presenza dei seminaristi nei contesti educativi del seminario, con spazi di vera appartenenza comunitaria dedicati allo studio, alla preghiera, al silenzio e alla verifica comunitaria e personale. Tra l'altro sembra ormai maturata la convinzione che il ritmo di vita del seminario non può essere identificato con quello scolastico. Se il seminario costituisce una comunità di fede e di vita, non si riesce a comprendere, ad esempio, la sua latitanza negli appuntamenti più importanti dell'anno liturgico. Occorre ripensare anche al lungo periodo delle vacanze estive che, pur salvaguardando il riposo e una certa permanenza in famiglia, non si riduca ad un tempo di sospensione del tutto autogestito, bensì mantenga la tonalità dell'impegno nello studio e nella preghiera, e della disponibilità alla partecipazione ad alcune esperienze o ad alcuni servizi che favoriscano la continuità della formazione spirituale, pastorale e missionaria. Sarebbe comunque auspicabile che anche la programmazione delle vacanze fosse oggetto del dialogo e di un confronto serio tra ogni seminarista e i propri educatori onde individuare le opportune scelte. 38. - La sintesi personale Non è facile per i giovani del nostro tempo, e pertanto anche per gli alunni del seminario, comporre in unità i diversi elementi della formazione e soprattutto far crescere le motivazioni che stanno alla radice di una scelta esigente qual è quella del ministero presbiterale. Non è scontato riuscire ad armonizzare le componenti del progetto educativo: da quella spirituale, a quella culturale e pastorale, così come non è immediato condurre i valori umani a fondersi compiutamente con quelli spirituali. Ancora: non è semplice assumere totalmente la tipicità dell'esperienza del seminario, la quale, più che in passato, trova difficile coniugare insieme le molteplici appartenenze effettive ed affettive dei seminaristi, in particolare quella alla vita della comunità del seminario e quella alla realtà delle parrocchie o degli ambiti di carità in cui sono chiamati ad esercitare un certo tirocinio pastorale. Tuttavia lo scopo del progetto sta proprio nel tentativo di rendere possibile una motivata e profonda "sintesi educativa" nel candidato al ministero, sia sul piano dell'immagine concreta e credibile del presbitero, sia sul piano delle motivazioni e delle risorse necessarie per servire questa Chiesa, in questo tempo e in questa cultura. Tale meta dev'essere esplicita nella coscienza dei seminaristi, ma anche in quella di tutti gli educatori, perché siano pedagogicamente efficaci nel perseguirla. Tocca soprattutto al rettore e al padre spirituale, secondo i rispettivi ambiti, il compito di promuovere tale prospettiva e di verificarla durante tutto l'iter seminaristico. Una mancata unità di intenti può pregiudicare molto seriamente il ministero e provocare gravi disagi soprattutto nei primi anni di vita presbiterale. Capitolo IV L'esigenza formativa di dare spessore esistenziale alla figura teologica del Presbitero 39. - Le ragioni di eventuali astrattezze La questione proposta è molto delicata, in quanto sembra presupporre elaborazioni o interiorizzazioni della figura teologica del presbitero povere di spessore esistenziale. L'esperienza conferma che in una certa misura tale rischio non è ipotetico. Le profonde trasformazioni in atto e le fatiche degli assestamenti possono creare qualche oscillazione dell'immagine del prete: sia nella valutazione delle singole persone, sia nella vita delle comunità, sia riguardo all'interpretazione che il prete stesso dà ai propri compiti. Talvolta si possono anche incontrare forme di attaccamento a ruoli troppo astrattamente intesi, che sembrano rispondere ad esigenze personali e di tipo compensativo, piuttosto che al desiderio di incontrare e di servire le persone nelle loro concrete situazioni, per annunciarvi la forza, la gioia e la novità del Vangelo. Un'accurata riflessione teologica e pastorale è in grado di mettere allo scoperto le ragioni di tali fenomeni, che riflettono una concezione prevalentemente o sacrale o sociologica del ministero. Il candidato se ne potrà avvalere per rivedere con pacato discernimento qual è l'immagine profonda di ministero che egli reca con sé e talvolta seleziona nei variegati contesti ecclesiali che conosce. 40. - La grazia del sacramento dell'Ordine Sembra importante, dunque, riscoprire nella loro integrità tutti i compiti ai quali il sacramento dell'Ordine destina l'ordinato e di non esitare a ricuperarne il valore sacramentale. In tal modo essi avranno una radice e un'anima. Ne consegue che il momento della formazione è chiamato a coinvolgere il candidato in un intenso allenamento a scoprire e a vivere correttamente la logica del sacramento cristiano. Esso è sempre segno e strumento di grazia, e la grazia consiste in una vita nuova. Sarebbe restrittivo pensare al sacramento dell'Ordine come solamente funzionale alla celebrazione di altri sacramenti o a compiti di responsabilità nella vita ecclesiale. È importante che anche il sacramento dell'Ordine sia compreso come destinato, anzitutto, a un'esistenza nuova, che costituirà come la sorgente e l'orizzonte del ministero. Così, mentre il presbitero si santifica attraverso il ministero, è pur vero che la grazia del sacramento e la santità della vita daranno forza, spessore ed efficacia al ministero stesso: « Grazie a questa consacrazione operata dallo Spirito nell'effusione sacramentale dell'Ordine, la vita spirituale del sacerdote viene improntata, plasmata, connotata da quegli atteggiamenti e comportamenti che sono propri di Gesù Cristo capo e pastore della Chiesa e che si compendiano nella sua carità pastorale ». In questo senso il Nuovo Testamento destina gli episcopi e i presbiteri alla predicazione, alla custodia del messaggio apostolico, alla cura e alla guida della comunità dei credenti perché resti unita e fedele al Vangelo, celebrando la memoria eucaristica del Signore. 41. - La tensione tra il momento della formazione e il momento del ministero esercitato All'interno di una corretta visione teologica del ministero ordinato si staglia oggi, con tonalità pressanti, l'esigenza di preparare i giovani ad assumerne l'esercizio con umiltà, lucidità, solidità relazionale, in aperta fraternità presbiterale. In questa prospettiva si colloca tutta la complessa problematica dell'equilibrio della vita nell'impatto col ministero. Le mutate condizioni dei tempi, sia dal punto di vista sociale come ecclesiale, e il loro imprevedibile movimento interrogano fortemente la vita del presbitero e con punte problematiche tali da richiedere discernimenti inediti e gravi da parte di tutti i soggetti ecclesiali. Un ministero presbiterale che oggi voglia porsi a servizio della missione della Chiesa è più che mai interpellato da una realtà multiforme e complessa, non di rado frammentata, che contiene e talora esplicita forti interrogativi di senso e delinea attese diversificate sul piano etico e religioso. Il vissuto ne è ormai ovunque ampiamente segnato. Sotto questo profilo, sul piano ministeriale, si sono evidentemente attenuate le strutture di ruolo e hanno perso espressività alcuni di quei canali che sono stati la forza di un'epoca storica, in cui il cristianesimo era profondamente inserito nella cultura e nei costumi sociali: epoca, peraltro, che non è stata esente da ambiguità e che, in ogni caso, è alle nostre spalle. Taluni esperti suggeriscono che una delle chiavi interpretative della presente condizione è quella della differenziazione sociale: l'uomo di oggi vive una pluralità di esperienze, di collocazioni, di condizioni di vita, che rischiano di renderlo continuamente pendolare tra diverse appartenenze. Tendono infatti a prevalere la refrattarietà a scelte definitive, l'esposizione a diverse esperienze senza porsi il problema della loro congruenza, la reversibilità delle scelte, le motivazioni fondate su esigenze personali piuttosto che su criteri oggettivi. 42. - Le sfide culturali del ministero Il giovane prete che esce dal seminario si trova pertanto esposto all'impatto con questo contesto, che mette a dura prova il suo personale equilibrio. Si tratta per lui di imparare a portare, nell'esercizio concreto del ministero, il novum e il semper del Vangelo dentro i tratti salienti del sistema culturale della società contemporanea. Possiamo evocarne alcuni molto caratteristici: - la provvisorietà, ovvero l'enfasi sul "qui ed ora", senza ancoraggi nel passato e senza proiezioni verso il futuro. Le scelte attinenti a sfere rilevanti della vita, una volta considerate irreversibili, tendono sempre più a essere considerate reversibili; - la complessità, che si esprime nella molteplicità delle appartenenze e dei riferimenti sia sul piano esistenziale, sia nella vita sociale; - l'esplosione della soggettività, come affermazione piuttosto ambigua del ruolo del soggetto, legata all'incremento delle possibilità di scelta per un numero crescente di individui: scelte inerenti a risorse materiali, a beni relazionali, a modelli di comportamento, a orientamenti di valore; - il disincanto, come esito negativo del processo di emancipazione dell'uomo, che conduce, grazie al progresso scientifico e tecnologico, a una visione del mondo senza stupore, con la conseguente perdita del primato di Dio e del fascino della vita. Questi tratti problematici e faticosi del nostro sistema culturale, abbastanza disarticolato rispetto ad un recente passato, non debbono tuttavia indurci nella tentazione di disconoscere i suoi aspetti positivi. Fra questi: lo studio e lo sviluppo delle scienze, il senso della solidarietà, anche internazionale, la promozione della donna, la coscienza sempre più viva della responsabilità degli esperti nell'aiutare e proteggere la vita, la volontà di rendere più felici le condizioni di vita per tutti gli uomini, specialmente per coloro che soffrono per la privazione della responsabilità personale o per la povertà materiale e culturale. L'esigenza, dunque, di un nuovo radicamento del Vangelo, che faccia i conti con l'attuale orizzonte di vita e di senso, di domanda e di bisogno, è a tutto campo. I punti di riferimento mutano considerevolmente e, non essendo neppure facilmente codificabili, richiedono notevoli sforzi e capacità a chi deve interpretare il movimento della vita e delle situazioni delle persone. È questo, di fatto, il percorso di chi deve inserirsi oggi nel ministero. E per la stessa ragione si rendono sempre più necessarie solide motivazioni e struttura personale consistente: un obiettivo per il quale quello del seminario è un tempo prezioso ma non sufficiente, e rimanda all'accoglienza e all'accompagnamento successivi. Una spiccata coscienza di comunione, un atteggiamento abituale al dialogo, al discernimento comunitario e alla partecipazione sono richiesti alle nostre Chiese, che dovranno imboccare strade adeguate per dare prosecuzione alla formazione umana, ministeriale e spirituale dei giovani preti avviata dal seminario. I percorsi così individuati risulteranno sicuramente vantaggiosi anche per l'intero presbiterio, costituendo un vero e proprio itinerario di formazione permanente. 43. - Sottolineature pedagogiche nel momento della formazione Gli elementi qui presentati propongono alcune accentuazioni pedagogiche imprescindibili per l'azione formativa. Su di esse si intende richiamare l'attenzione non solo dei formatori dei seminari, ma anche di tutti gli operatori pastorali delle nostre Chiese: una comune consapevolezza dell'identità del ministero presbiterale e delle espressioni che lo caratterizzano troverà le migliori risposte alle istanze poste dai tempi attuali. Le attenzioni pedagogiche prioritarie potrebbero essere così indicate: - promuovere una vera disposizione alla ricerca, come attitudine e struttura portante della vita presbiterale: una ricerca che, senza schivare gli interrogativi di oggi, non si stanchi di farsi discepola della verità rivelata e si industri di creare canali nuovi di espressività e di annuncio, salvaguardando la sconvolgente novità che il fatto cristiano introduce nella storia; - presentare una figura presbiterale che non si caratterizzi solo per l'apprendimento teorico e pratico di ruoli e funzioni, ma che sappia incarnare ed esprimere il proprio patrimonio conoscitivo in una vera passione di vita apostolica. Il presbitero acquista così una migliore consapevolezza circa il fatto di essere messo in gioco radicalmente nel ministero come persona, senza ruoli e riferimenti pratici troppo difensivi ed esclusivi, ma con una profonda coscienza della propria missione nella sapiente duttilità che le situazioni complesse domandano; - favorire la capacità di raggiungere il significato dei singoli gesti e delle occupazioni in cui si articola il ministero, anche nella sua imprevedibilità. Ciò richiede una limpida coscienza di sé, e insieme la capacità di tradurla in azioni e parole, imparando a riconoscere per la propria personalità la ricchezza di significato che è contenuta anche nei più piccoli rivoli in cui spesso è chiamato ad esprimersi oggi il ministero; - motivare una positiva capacità relazionale. L'identità del presbitero è connotata essenzialmente in senso relazionale: inserito sacramentalmente nel presbiterio, in comunione con il vescovo, il prete è l'uomo al servizio di tutti. Particolare attenzione pedagogica va prestata perché il candidato al presbiterato sappia scoprire e comprendere la comunione con i presbiteri nella forma irrinunciabile della fraternità sacerdotale, come prima testimonianza da rendere al popolo di Dio e come forma privilegiata dell'annuncio del Vangelo al mondo. I seminaristi vanno aiutati ad esprimere una trasparente capacità di relazione accogliente ed oblativa, senza chiusure o pregiudizi, per inserirsi poi nel presbiterio con cuore aperto e disponibile. L'appartenenza fraterna al presbiterio dev'essere significativa e tale da costituire un effettivo aiuto alla vita spirituale e pastorale del prete. Di qui la necessità di evitare un rischio oggi assai ricorrente: l'isolamento, a motivo di una complessità culturale che potrebbe intimorire il giovane prete, spingendolo a chiudersi nel piccolo gruppo, pago delle gratificazioni che gli può garantire. La relazione a cui va educato il futuro presbitero è quella capace di dedizione, dialogo e di iniziativa, anche là dove sono probabili gli esiti del fallimento e della delusione; - educare alla coltivazione dell'unità interiore della persona. È un problema centrale. La realtà complessa di oggi comporta il rischio della dispersione, con appannamenti dovuti a stanchezza e a improvvise eclissi di senso. Per resistere alla tentazione della fuga o della chiusura, già nella formazione, come nel campo dell'azione ministeriale, occorre diventare capaci di riunificare la propria esistenza. La grazia di Dio e la risposta della libertà lo consentono. Le categorie paoline della "ricapitolazione in Cristo" e della "riconciliazione in Lui di tutte le cose" ( Cf. Ef 1,10;Col 1,20 ) si presentano come particolarmente promettenti per affrontare consapevolmente il ministero ordinato, attraversando le sfide di un tempo come il nostro. A questo proposito rimane fondamentale anche la dinamica della carità pastorale, che « costituisce il principio interiore e dinamico capace di unificare le molteplici e diverse attività del sacerdote ». - interpretare decisamente il ministero come luogo autentico di una compiuta esistenza presbiterale: qui si attua tutta intera la valenza della dedicazione personale, realmente votata al servizio e alla cura di persone e situazioni concrete, alimentando tutte le virtù che vi sono implicate. In un'esistenza donata può sorgere un futuro di nuove generose risposte a Dio, che non cessa di interpellare l'uomo nella storia. Ricerca, passione di vita e passione apostolica, intelligenza dei significati, capacità relazionale, unità della persona, esistenza presbiterale: qui possono convergere le attenzioni pedagogiche che conferiscono spessore alla figura del prete. Attorno ad esse vogliamo incoraggiare l'impegno degli educatori dei seminari, ma anche promuoverne una più diffusa coscienza, attraverso tutte le forme dell'impegno ecclesiale e secondo la responsabilità di ciascuno. 44. - Mistero, comunione e carità pastorale "in persona Christi" Le attenzioni pedagogiche, che tendono a dare consistenza alla figura presbiterale ed al suo vissuto, pongono anche il problema dei tratti teologici da privilegiare, considerando la situazione attuale e le condizioni di vita del presbitero. Anche a lui, infatti, si pone il problema della maturità della fede personale e della sua capacità di dare forma e sapore alla vita dell'uomo postmoderno. Ci sono comportamenti e atteggiamenti, o almeno rischi, nella vita del prete da cui occorre prendere la distanza. Alludiamo alla: concezione del prete come funzionario e coordinatore di servizi sempre più dilatati sul piano sociale; alla dispersione tra tante cose da fare e da inseguire; allo slittamento verso una posizione troppo orizzontale del suo rapporto con i fedeli laici; alla tentazione della fretta e dell'ansia. Nella carenza di un quadro culturale sicuro di riferimento questi ulteriori rischi possono costituire un serio pericolo di disagio e di crisi. Alla luce di queste considerazioni ci pare importante che nella linea educativa, durante e dopo il seminario, si lavori ispirandosi a spunti teologici che oggi sono particolarmente espressivi e capaci di delineare una figura presbiterale armonica, consapevole e serena. Nelle mani del prete è posto il mistero che ci è stato fatto conoscere per rivelazione: ( Cf. Ef 3,3 ) è naturale perciò che si raccomandi come prospettiva educativa una « conoscenza profonda » e una « esperienza crescente di questo "mistero" ». L'esistenza presbiterale si configura attorno all'essere "uomo del mistero", da cui promanano passione di ricerca e fascino di conoscenza e di esperienza. La stessa dimensione sacramentale, sulla quale poggiano la vita ed il servizio presbiterale, trova in questa categoria biblica il suo significato più pieno e più stimolante. Il mistero ha la sua radice nella Trinità, e quindi assume il volto della comunione e della relazione. Dalla contemplazione e dall'esperienza del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, si originano le più genuine capacità di relazione e di comunione con l'umano, sia all'interno della Chiesa, sia verso tante situazioni che invocano salvezza o gridano bisogno e che, con tinte oggi particolarmente forti, irrompono nella vita del prete. A lui è chiesto di sostenere esistenzialmente, come vero padre del suo popolo, ma anche come suo vero figlio, l'annuncio generante dell'infinito dono di amore e di comunione, di misericordia e di compassione, che è appunto il mistero di Dio rivelato in Gesù Cristo. Nella gratuità e nella reciprocità, divenute abituale stile di vita mediante la contemplazione di questo stesso mistero, il ministero presbiterale potrà manifestare la sua massima efficacia. La complessità dei rapporti umani, la crescente invadenza di una concezione utilitaristica della vita, l'emergere di forme nuove di potere tanto simili ai modelli di sviluppo in atto, spingono a riscoprire il fascino della gratuità di Dio, della sua prossimità all'uomo nel bisogno e nel dramma, che il presbitero annuncia condividendo la salvezza che si è fatta vicina. È certamente questa l'esperienza che meglio conduce a consegnare la figura presbiterale ai percorsi della nuova evangelizzazione. Non c'è dubbio che oggi la Chiesa sta vivendo una nuova sfida in ordine all'annuncio del Vangelo, che obbliga il presbitero a individuare un primato del ministero della Parola. Il prete, pertanto, non si può pensare soltanto come custode della comunità ( il curato ), ma anche come guida per la sua missione nel mondo, di cui l'evangelizzazione è il cuore. Il ministero della Parola, dunque, non è destinato ad esercitarsi esclusivamente nel campo recintato della comunità cristiana, ma a testimoniare che la parola di Dio si fa prossima anche a coloro che non sono o non si sentono più parte della Chiesa, aiutandoli a scoprire che il Vangelo di Gesù non solo non toglie nulla alla libertà e alla originalità dell'uomo, bensì rende possibile il cammino di liberazione e di umanizzazione dell'uomo stesso. È così che il prete e la sua comunità si affacciano insieme sul mondo obbedendo al comando del Signore. ( Cf.Mt 28,16-20 ) Rimane vero, tuttavia, che lo sforzo dell'evangelizzazione e « le fatiche apostoliche sono ordinate a che tutti, diventati figli di Dio mediante la fede e il Battesimo, si riuniscano in assemblea, lodino Dio nella Chiesa, partecipino al sacrificio e mangino la cena del Signore ». La centralità della Eucaristia continua a caratterizzare senza dubbio il ministero del presbitero come servizio svolto in persona Christi, ossia come continua assimilazione al mistero posto nelle sue mani che è la persona stessa di Gesù Cristo, in una liberante esperienza della sua grazia, così da riviverne i modi e i sentimenti. Nel mistero del Signore, infatti, il dono gratuito si fa volto, vicinanza effettiva: l'esercizio del ministero, sul piano esistenziale, non può discostarsi da questa congiunzione di dono e di evento. Così l'Eucaristia, pane spezzato e lievito di comunione, suggerisce al presbitero le modalità essenziali del suo servizio: il prete è l'uomo dell'amicizia e della riconciliazione, capace di ascoltare e di dedicarsi ai fratelli senza riserve, di ricomporre pazientemente i dissidi e le divisioni, di aprire l'animo a tutti, e magari anche la propria casa, in spirito di carità, cominciando dagli ultimi. È questo il contesto che può indicare al presbitero una rinnovata espressione del sacramento della Riconciliazione, inteso come straordinaria opportunità di incontro e di comunicazione profonda con il vissuto delle persone, come esperienza della potenza di Dio che si esprime propriamente nella sua misericordia, come luogo di guarigione, come possibilità concreta di accompagnamento e orientamento spirituale, come spazio privilegiato di ricostruzione del tessuto che sta a fondamento della stessa convivenza umana. È evidente che tutto questo esige la capacità di individuare luoghi concreti e nuovi, ed anche nuove modalità che possano restituire a questo sacramento tutta la sua formidabile efficacia ed incidenza pastorale. La presidenza, inoltre, che il presbitero esercita nella celebrazione eucaristica indica la sua speciale configurazione alla persona di Cristo capo e pastore della Chiesa, intesa come sua ripresentazione sacramentale. Cristo « è "capo" nel senso nuovo e originale dell'essere servo [ … ]. L'autorità di Gesù Cristo capo coincide dunque con il suo servizio, con il suo dono, con la sua dedizione totale, umile e amorosa nei riguardi della Chiesa. E questo in perfetta obbedienza al Padre: egli è l'unico vero servo sofferente del Signore, insieme sacerdote e vittima. Da questo preciso tipo di autorità, ossia dal servizio verso la Chiesa viene animata e vivificata l'esistenza spirituale di ogni sacerdote, proprio come esigenza della sua configurazione a Gesù Cristo capo e servo della Chiesa. Così sant'Agostino ammoniva un vescovo nel giorno della sua ordinazione: "Chi è capo del popolo deve per prima cosa rendersi conto che egli è il servo di molti. E non disdegni di esserlo, ripeto, non disdegni di essere il servo di molti, poiché non disdegnò di farsi nostro servo il Signore dei signori" ». Questa è la grande lezione che i presbiteri devono offrire quale segno di contraddizione a tutti coloro che credono di potersi affermare con il potere, con l'arroganza o con la violenza, spadroneggiando su cose e persone. L'autorità presbiterale dovrà dunque essere scevra da ogni presunzione, da ogni smania di protagonismo e da ogni desiderio di "spadroneggiare sul gregge". ( Cf. 1 Pt 5,1-4 ) A questo si riferisce la carità pastorale, che il Concilio Vaticano II e il Magistero più recente propongono come categoria espressiva dell'esistenza presbiterale e che proprio nella celebrazione eucaristica trova la sua prima e principale sorgente. In essa si attua la felice fusione della figura teologica del ministro ordinato e dell'esercizio concreto del ministero. Lì vi dimorano compiutamente insieme l'essere e l'agire. In questo modo i presbiteri potranno essere "modello" del gregge loro affidato e consentire ad ogni battezzato di poter esprimere ed esercitare nei confronti del mondo intero quel sacerdozio comune che si fa servizio alla pienezza della vita dell'uomo e alla sua liberazione integrale. 45. - La carità pastorale sa stare di fronte alle povertà e ne illumina la lettura L'assimilazione del cuore e dell'agire di Gesù è il criterio unificante di tutta la formazione seminaristica e dell'esistenza presbiterale, come del resto è il motivo ispiratore dell'intera azione ecclesiale. Tutto vi converge e tutto riparte da lì, in una inarrestabile fioritura di segni che sono il ripresentarsi della stessa carità di Gesù: « Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi » ( Lc 4,21 ). Il prete, come uomo di relazione a servizio della missione della comunità cristiana, oltre ad esprimere nella sua vita e nei suoi gesti concreti la carità pastorale, intesa come dono totale di sé nell'amore e nel servizio alla Chiesa e al mondo, non può mancare di essere il promotore della diaconia della carità, nel senso di saper riconoscere e promuovere non solo iniziative, ma anche vere e specifiche vocazioni in questa prospettiva, a cominciare da quelle orientate al diaconato permanente. Il presbitero avrà a cuore che nella comunità cristiana non venga mai meno questa testimonianza della carità, che connota in un modo tutto particolare la qualità di vita evangelica che vi si conduce, nonché un serio discernimento in ordine alle nuove povertà e a quelle di sempre. Non occorre che tutti diventino specialisti di questo o quel servizio di carità, che spesso richiede carismi e competenze particolari, ma tutti devono riuscire a sintonizzarsi con questa dimensione della testimonianza ecclesiale che più di ogni altra offre credibilità alla novità del Vangelo. 46. - Fratelli nel presbiterio al servizio della Chiesa in missione Lo spessore esistenziale del presbitero si esprime infine e molto concretamente nella fraternità presbiterale, al servizio di una Chiesa aperta al mondo. Pertanto la formazione seminaristica dovrà educare alla comunione fraterna oltre le facili sintonie affettive con i presbiteri della stessa età o delle stesse appartenenze. La comunione e l'amicizia tra i presbiteri, mentre sostengono e mantengono aperta ed equilibrata la scelta e la condizione del celibato, sono anche il fondamento indispensabile a qualunque collaborazione pastorale posta a servizio di una Chiesa in missione, oltre il gruppo o la stessa parrocchia. Questo sta a indicare ulteriormente un tratto caratteristico di tutta la Chiesa e del ministero presbiterale in particolare, ossia come la comunione e la missione siano termini e dinamiche assolutamente correlative. Si diventa infatti presbiteri per servire la propria Chiesa particolare, in una serena docilità allo Spirito Santo e al proprio vescovo, in profonda collaborazione con gli altri presbiteri ( unum presbyterium ), ma con la concreta disponibilità ad esser mandati ad esercitare il proprio ministero ovunque sia richiesto, anche oltre i confini della propria diocesi e del proprio paese. Se la missionarietà, infatti, è una proprietà essenziale della Chiesa, lo è soprattutto per il prete chiamato ad esercitare il ministero in una comunità di natura sua missionaria e ad essere educatore alla mondialità. Su queste due dimensioni della formazione – comunione e missione – va fatta seria verifica durante tutto il curricolo seminaristico. Una insufficiente capacità relazionale e una carente passione apostolica costituiscono una seria contro-indicazione vocazionale. Non basta dunque una generica crescita nella fede, bensì occorre che nel candidato al futuro ministero siano motivate e mature l'attitudine alla comunione a partire dall'appartenenza ad un presbiterio, e la decisione di dedicarsi alla comunicazione del Vangelo. La missione, e pertanto l'essere per il Regno, costituisce il punto di sintesi di tutta la formazione a cui deve approdare il cammino educativo del seminario, e dunque l'espressione più compiuta della carità pastorale. Capitolo V L'esigenza formativa di elaborare e trasmettere la proposta teologica per il Pastore d'oggi 47. - Un compito di sempre L'esigenza di elaborare e offrire una riflessione teologica è stata, è e sarà una dimensione imprescindibile della vita e della missione della Chiesa. Essa ha un suo proprio statuto spirituale. « L'impegno teologico esige uno sforzo spirituale di rettitudine e di santificazione ». Se l'esigenza non è nuova, siamo chiamati a rispondervi in novità di spirito, nel solco della viva e autentica tradizione della Chiesa, così come la grande esperienza del Concilio Vaticano II ha cercato di fare e ci ha insegnato a fare. « Il servizio alla dottrina, che implica la ricerca credente dell'intelligenza della fede e cioè la teologia, è pertanto un'esigenza alla quale la Chiesa non può rinunciare ». 48. - La riflessione teologica e le sue diverse dimensioni Grandi sono la portata e il significato di questa continua impresa, che si consegna ai nostri giorni e ci rende disponibile la conoscenza della salvezza, chiamando i credenti con i loro pastori ad appropriarsene e a comunicarla a loro volta, secondo i carismi ricevuti. « In ogni epoca la teologia è importante perché la Chiesa possa rispondere al disegno di Dio [ … ]. In tempi di grandi mutamenti spirituali e culturali essa è ancora più importante, ma è anche esposta a rischi, dovendosi sforzare di "rimanere" nella verità ( cf. Gv 8,31 ) e tener conto nel medesimo tempo dei nuovi problemi che si pongono allo spirito umano ». È abbastanza comunemente acquisito che la riflessione teologica, ossia l'esperienza conoscitiva del depositum fidei, che si estende ininterrotta lungo il cammino e la tradizione della Chiesa, è avvenuta e si è trasmessa grazie a tre dimensioni o coordinate fondamentali: - la celebrazione dei misteri cristiani, nella fedeltà alla relazione con Dio, nell'inaudita familiarità con cui egli stesso ce l'ha donata: è la dimensione liturgico-simbolica. In essa il popolo di Dio dimora e mantiene alta la tensione del desiderio, nutrendo la propria vita e riconoscendovi la sorgente delle propria crescita spirituale; - la consapevolezza della storia, come luogo privilegiato della rivelazione di Dio, attraverso la quale si comprende il senso delle rotture e della continuità, si mantiene la memoria del vissuto e si scorge l'attrazione verso un compimento: è la dimensione storica della coscienza credente; - il riferimento all'orizzonte concettuale grazie al quale si raggiunge la dimensione dell'essenza, dove si afferra ciò che permane e non va soggetto a variazione: è la dimensione del pensiero concettuale, con il quale la Chiesa affronta il compito di proporre le grandi verità della fede. Di fatto i pensieri e le sintesi teologiche si differenziano o divergono per come sono accentuate o si compongono tra loro queste dimensioni. La conoscenza di come si siano sviluppati e intrecciati nella storia i percorsi della celebrazione liturgica, dell'agire pastorale e della riflessione teologica, che hanno costituito l'eredità giunta fino a noi, possiede oggi una strumentazione particolarmente affinata. Imparare a servirsene richiede un cammino paziente e accurato, sostenuto da una responsabile passione pastorale. L'insieme dei movimenti teologici recenti – prima, durante e dopo il Concilio Vaticano II – ha implicato, più o meno consapevolmente, una rivalutazione dell'importanza di tutte le dimensioni conoscitive sopra ricordate, integrandole profondamente e ottenendo così una maggiore vitalità del pensiero teologico, senza impoverimento del suo vigore veritativo. I presbiteri, dunque, devono essere ben preparati e la formazione che li deve condurre verso l'esercizio del ministero pastorale deve saper sviluppare anche un serio esercizio dell'intelligenza pastorale. È urgente che i giovani in formazione siano guidati a cogliere subito la pertinenza pastorale di ciò che viene loro insegnato e che richiede la fatica di una diuturna applicazione di studio. 49. - Un interesse permanente La formazione dei preti, anche sotto il profilo dello studio della teologia, è un compito mai ultimato: essa abbraccia in un medesimo disegno la formazione in seminario e la formazione permanente. La Chiesa, infatti, non cessa di svilupparsi, di essere messa di fronte a nuovi aspetti teorici e pratici della fede e della vita. Riprese, riletture, progetti fanno parte integrante del ministero sacerdotale. Fa problema il fatto che, una volta nel ministero, molti preti si disamorano della lettura e dello studio. Questa carenza non può non avere qualche legame con il problema della "partenza" dei giovani preti: forse essi non si sentono più in contatto reale con la vita della società né con quella della Chiesa in ordine alla sua incarnazione nel mondo. Essi corrono così il rischio di non sentirsi in grado né di continuare sulla linea formativa precedente né di assumerne un'altra. Lo sforzo oggi più necessario è senz'altro quello rivolto a mettere in primo piano gli elementi fondamentali della Rivelazione: proprio di fronte ad essi è posto il giovane prete, sia quando cerca di approfondire il significato della sua sequela, sia quando esercita la sua missione, per vivere e operare secondo lo spirito del Vangelo. Non è difficile indicare qualche nucleo significativo per questo orientamento. 50. - Il nucleo dell'introduzione a una visione d'insieme Accade spesso, soprattutto alle nuove generazioni, non allenate alla fatica liberante del pensiero, che il numero ingente di discipline da studiare fin dall'inizio dei corsi curricolari procuri allo studente disagio e disorientamento, acuiti dalla percezione di una loro fredda distanza da quel mondo simbolico, specialmente biblico, che il più delle volte è all'origine della vocazione presbiterale dei giovani. Né li aiuta la frammentazione delle analisi e delle specializzazioni con cui si presentano le diverse discipline, quasi in competizione tra loro. Per questo motivo è raccomandabile che come avvio al sapere teologico vi sia un'introduzione ampia e saporosa al mistero di Cristo, « il quale compenetra tutta la storia del genere umano, agisce continuamente nella Chiesa e opera principalmente attraverso il ministero sacerdotale ». Un tale corso adempie alla funzione di una visione sintetica e orientativa della teologia intera ed è come una forma anticipata e stimolante del lavoro che si affronterà nel cantiere degli anni della formazione. Questa introduzione dovrà pure costituire la necessaria premessa affinché, durante tutto il tempo della formazione si generi quella necessaria e feconda osmosi tra la vita spirituale e la ricerca dell'intelligenza del dato rivelato, ottenendo così una visione integrale e unitaria: « Formazione intellettuale teologica e vita spirituale, in particolare vita di preghiera, s'incontrano e si rafforzano a vicenda, senza nulla togliere né alla serietà della ricerca né al sapore spirituale della preghiera. San Bonaventura ci avverte. "Nessuno creda che gli basti la lettura senza l'unzione, la speculazione senza la devozione, la ricerca senza lo stupore, l'osservazione senza l'esultanza, l'attività senza la pietà, la scienza senza la carità, l'intelligenza senza l'umiltà, lo studio senza la grazia divina, l'indagine senza la sapienza dell'ispirazione divina" ». La profonda integrazione di questi aspetti della formazione sarà volta ad evitare il rischio sia di uno spiritualismo emozionale sia di un intellettualismo disincarnato. 51. - Il nucleo della formazione biblica Una introduzione alla Bibbia e alla sua lettura dev'essere solidamente sviluppata. Domande apparentemente elementari come: che cos'è la Bibbia, perché un libro, quale rapporto tra la Parola ( orale ) e il Libro ( scritto ), che cosa s'intende per ispirazione, in realtà aprono percorsi molto esigenti e irrinunciabili. E tra questi, la sollecitazione che la Bibbia ottiene in vista di un serio confronto con i libri delle altre religioni. Si deve essere introdotti inoltre a un'ampia riflessione sul compito inesauribile dell'interpretazione e sulla diversità dei metodi. Diversità lungo la storia: patristica, medioevo, età moderna. Diversità nei metodi attuali: storico-critico, retorico, strutturale, narrativo. La lectio divina, sempre più concordemente ricordata come privilegiato e multiforme esercizio di assimilazione della Parola di Dio e di discernimento ecclesiale, deve essere presentata con la massima accuratezza teologica. Solo grazie a una lucida angolatura di appropriato accostamento al testo biblico si può raggiungere una solida disposizione a comprendere la natura di quel Libro che tutti i cristiani e il prete stesso hanno nelle proprie mani e i modi con cui leggerlo: in altre parole, a trovarsi a proprio agio con la Bibbia e a mantenersi aperti alla sua continua lettura. 52. - Il nucleo della formazione liturgica Il seminarista ha diritto a una preparazione adeguata, per sé e per gli altri, al celebrare liturgico, che è fonte e culmine del suo ministero di domani. Non può mancare una teologia liturgica che sappia rispondere ad alcuni interrogativi essenziali: perché la Rivelazione passa attraverso i segni/simboli; qual è la relazione essenziale che intercorre tra la liturgia e la fede e tra la liturgia, la vita cristiana e la missione. Similmente non può mancare un'antropologia della liturgia: corrispondenza tra il desiderio umano e l'uso dei simboli; specificità dei simboli cristiani e forza di significazione umana della liturgia, con attenzione alle altre simboliche che cercano di interpretare l'esistenza. Su questo sfondo sarà importante l'apporto della storia della liturgia, quanto ai riti e alla loro interpretazione. A partire da qui si può meglio analizzare e comprendere l'iniziazione cristiana e la prefigurazione degli atti liturgici ulteriori, sacramentali e non sacramentali. Infine, si sarà più disposti a curare un'iniziazione concreta alla pratica del celebrare e del presiedere, che tenga conto anche della capacità e dei gesti. Spesso, infatti, i preti celebrano in modo inadeguato, sia perché non sono entrati nella vitale comprensione del mistero liturgico, sia perché non si trovano a proprio agio con i segni e con la propria gestualità. 53. - La riflessione sistematica Attorno al perno di una buona introduzione alla storia della teologia, la sistematica articolerà il linguaggio della rivelazione biblica e la sua accoglienza storica nella fede celebrata della Chiesa ( Scrittura e liturgia ), cioè il senso della verità di Dio comunicata in Gesù per l'uomo. La teologia sistematica si proporrà di dire il senso del mistero della salvezza ( mediante una corretta ermeneutica della dottrina della fede, e in essa del dogma e del suo carattere vincolante ) dentro una riflessione antropologico-fondamentale che favorisca una lettura alla luce della fede dei molti frammenti di verità dispersi nella cultura contemporanea. 54. - Il nucleo della spiritualità e della mistica cristiana Accade sovente, come già si è accennato, che nella formazione seminaristica si generi una sorta di schizofrenia tra gli studi teologici e la vita spirituale. La componente culturale non sembra fondare e animare una vita secondo lo Spirito. Talora la spiritualità si alimenta a sorgenti devozionali, scarsamente bibliche e poco in sintonia con il sentire della Chiesa. Di qui una sorta di vita spirituale asfittica e debole, e uno studio sopportato e scarsamente finalizzato a nutrire la vita e il ministero pastorale. Per questo si rendono necessarie una solida teologia spirituale e una seria iniziazione alla mistica cristiana, come dono a cui lo Spirito chiama ogni figlio di Dio e come aspetto costitutivo dell'esperienza di fede. I preti, talvolta, o si defilano dinanzi a questo tratto della vita cristiana, perché ne hanno paura, oppure si lasciano condurre senza sufficiente discernimento nella scia di movimenti o persone più o meno misticheggianti, o verso fenomeni di presunte apparizioni o simili. 55. - Il nucleo delle "relazioni" nel corpo ecclesiale I contesti pastorali odierni domandano in forma inedita una buona iniziazione teorica e pratica del prete alle "relazioni" nella vita della Chiesa. Di fatto si tratta di sviluppare una buona teologia dei diversi carismi, con particolare attenzione al laicato e alla vita religiosa. Quanto ai laici, occorre prendere sul serio ciò che dice il Concilio Vaticano II circa la responsabilità loro propria nella vita del mondo. Occorre dunque formare i preti a considerarli capaci di individuare, non senza l'aiuto dei pastori, e di formulare adatte risposte cristiane alle domande etiche che sono poste dai diversi ambienti di vita: quello della famiglia ( con le relative questioni di morale sessuale ), dell'educazione e dell'arte, della vita sociale, politica ed economica. È giusto che il presbitero sviluppi una seria capacità di ascolto e si lasci istruire dai laici ancor prima di offrire loro indicazioni, in vista di una condivisa ricerca della volontà del Signore su di essi. Inoltre, per quel che concerne il carisma dei laici nella vita ecclesiale, occorre superare il concetto improprio di "collaborazione dei laici al ministero del prete", per attenersi piuttosto a quello di "collaborazione dei preti e dei laici nell'unica missione della Chiesa". Il cambiamento di impostazione, più ecclesialmente corretta, può avviare la Chiesa a forme più autentiche di corresponsabilità. Quanto alla vita religiosa, al suo carisma proprio, alla sua storia, alle sue forme attuali, bisogna riconoscere che circolano, e non solo nei seminari, presentazioni assai lacunose. Eppure i futuri preti incontreranno costantemente nella vita della Chiesa numerose persone con questa specifica vocazione e dovranno essere anche capaci di promuoverla. Occorre, pertanto, una più adeguata conoscenza del mistero della Chiesa, come comunione di carismi diversi da riconoscere, promuovere e coltivare per una nuova vitalità delle comunità cristiane. 56. - Il nucleo della formazione all'accompagnamento spirituale Il prete non è il solo a esercitare il carisma dell'accompagnamento spirituale, e non tutti i preti lo possiedono nel medesimo grado. Tuttavia è indispensabile che ne sia data una formazione di base: almeno una conoscenza teorica e pratica dei criteri fondamentali di discernimento che corrono lungo la storia della Chiesa, dai Padri del deserto, agli Esercizi di Sant'Ignazio, fino ai tempi più recenti. Il prete non può essere sprovvisto di una buona sensibilità all'accompagnamento spirituale. Deve maturare nella sua competenza una certa prontezza a riconoscere le molteplici forme della santità cristiana, anche nelle sue espressioni popolari. 57. - Il nucleo della formazione all'ecumenismo e al dialogo interreligioso Si consideri che il prete si troverà a contatto con persone di buona volontà che cercano altrove, rispetto a Cristo e alla Chiesa, un cammino di vita spirituale e di salvezza. Una conoscenza approfondita del decreto conciliare Unitatis redintegratio, delle dichiarazioni Nostra aetate eDignitatis humanæ, della lettera enciclica di Giovanno Paolo II Ut unum sint, dei loro fondamenti e delle loro conseguenze teologiche, è oggi più urgente di ieri. Valgono in questo ambito le considerazioni che abbiamo svolto a proposito dell'iniziazione al testo biblico e alla mistica cristiana. Uno degli espliciti intendimenti del Direttorio per l'applicazione dei principi e delle norme sull'ecumenismo riguarda esattamente la formazione ecumenica nei seminari e nelle facoltà di teologia. 58. - Il nucleo della teologia pastorale La pastorale viene considerata dai seminaristi come esperienza vissuta nel giorno del Signore in una comunità parrocchiale, e già in seminario non manca la fatica di coniugare in modo equilibrato lo studio con il vissuto nel servizio pastorale: con il facile esito di considerare accademiche le discipline teologiche e di scadere nell'empirismo o nel pragmatismo pastorale. In realtà la pastorale va considerata come dimensione trasversale e operativa del sapere teologico e va esplicitata in una riflessione capace di motivare l'azione della Chiesa sia nei suoi aspetti strutturali di parola, liturgia e carità, sia nelle diverse forme del suo essere ed operare per il Regno attraverso la cura della comunità credente, attraverso la nuova evangelizzazione e attraverso la missio ad gentes. 59. - Una comune coscienza educativa Tutto ciò richiede una chiara consapevolezza in chi è chiamato dal vescovo al ministero della docenza: la coscienza di essere educatore. Agli alunni deve arrivare un messaggio trasparente da parte dei docenti: che il professore non è solo esperto nelle sue discipline da proporre e da difendere gelosamente da possibili interferenze, ma è un testimone della fede, sapientemente attento alla persona dell'alunno, capace di significare una "fraternità educante" in vera sintonia con gli altri colleghi, con il rettore e il vescovo. Anche il docente deve favorire il discernimento nell'ambito del sapere che trasmette, per aiutare a cogliere le questioni più importanti ed essenziali. Allora la gioiosa fatica del percorso teologico si aprirà senz'altro all'esperienza di Dio e sarà capace di maturare nei candidati al presbiterato una viva passione per il Regno nella chiara consapevolezza che ogni presbitero è « ripresentazione sacramentale di Gesù Cristo capo e pastore ». Questo, d'altra parte, richiede una qualche forma di confronto tra gli educatori delle comunità seminaristiche e i responsabili delle facoltà teologiche. I docenti delle scuole teologiche non possono ritenersi estranei rispetto alla formazione dei loro alunni che sono candidati al futuro ministero: anch'essi sono dei formatori. Il confronto con gli educatori dei seminari sui contenuti da trasmettere e sulle valutazioni complessive da esprimere nei confronti degli alunni è quanto mai necessario per evitare quella sorta di distanza tra formazione spirituale, formazione pastorale e studi accademici; ma soprattutto per favorire quella sintesi personale, condizione assolutamente necessaria per il costituirsi di personalità motivate e mature. Capitolo VI L'esigenza formativa di preparare l'approdo alle dirette responsabilità di ministero 60. - I passaggi verso una scelta definitiva Uno sguardo attento all'intero svolgimento del percorso formativo permette ai candidati al ministero di riconoscervi il disegno di una consegna progressiva di sé alla vita del presbiterio diocesano, maturando così il profilo spirituale della propria vocazione. Si tratta di una progressione che, anche attraverso i riti e le implicazioni giuridiche del conferimento dei ministeri e dell'incardinazione, coinvolge profondamente il modo d'essere della persona. La personalità dei candidati, infatti, nei propri orizzonti culturali e affettivi, nell'attitudine relazionale e nei discernimenti quotidiani, nella gestione del proprio tempo e nella configurazione dei propri interessi e delle proprie comunicazioni, si plasma secondo un modello di vita che è quello della comunione presbiterale. La pedagogia ha obiettivamente la possibilità, in quest'arco di trasformazioni, di sottolinearne con adeguata presa simbolica i passaggi. A mano a mano che il cammino avanza, i segni visibili dell'effettiva maturazione presbiterale della propria vita esprimono e custodiscono il significato della scelta compiuta. 61. - La delicata stagione del passaggio alle responsabilità pastorali La formazione, per quanto possa essere accurata e provvista di un attento discernimento, condotto nell'ascolto anche degli apporti esterni al seminario, non può in alcun modo anticipare la prova di responsabilità che solo l'assunzione del ministero e delle sue condizioni di vita consente di affrontare. Nessun accorgimento pedagogico sarà mai in grado di attenuare la portata di questo passaggio. Certo, saranno garanzie promettenti le testimonianze fornite dai candidati dinanzi agli impegni e alle fatiche quotidiane del tempo della formazione e della relazione comunitaria: la laboriosità, la lealtà, la buona indole, la propensione a leggere senza distorsioni e senza fughe in avanti le circostanze e le richieste del proprio cammino. Sarà decisiva la controprova di una fede nitida e paziente nell'assumere gli atteggiamenti del dialogo e nel saper soffrire le contrarietà e i tempi lunghi della maturazione delle persone e dell'evoluzione dei contesti. Né sarà superfluo un discreto esercizio di sdrammatizzazione dinanzi all'esperienza fluttuante del mare aperto della vita pastorale. Ma c'è un apprendimento dell'uso del proprio tempo e dell'investimento delle proprie energie, della cura della propria persona e della propria abitazione, della gestione dei luoghi, dei beni e degli strumenti, della programmazione lungimirante e della decisione tempestiva, che avviene solo nel vivo del ministero. Ci sono ritorni impensati alle radici della propria vocazione e al già vissuto della fede, che possono contare su aiuti pronti, saggi e cordiali; ma vi sono dei momenti in cui è necessario attraversare qualche passaggio di solitudine profonda, in cui, come nel deserto, si rinnova un'alleanza e si converte la vita. Tutto questo non è prefigurabile nel momento della prima formazione. Non sarà poco se, grazie al cammino compiuto, si potrà contare sulla fiducia dei passaggi già superati, sulle risorse apprese come vere e rivelatrici dell'agire di Dio nella vita dei suoi figli. Ci si potrà affidare ai giorni a venire, se si è confortati dalla lealtà del periodo in cui ci si è dedicati alla prima formazione e si è imparato a consegnarsi fiduciosamente: « Dio non ci ha dato uno Spirito di timidezza, ma di forza, di amore e di saggezza. Non vergognarti dunque della testimonianza da rendere al Signore nostro, né di me, che sono in carcere per lui; ma soffri anche tu insieme con me per il Vangelo, aiutato dalla forza di Dio » ( 2 Tm 1,7-8 ). 62. - Forme di preparazione al passaggio Nelle circostanze attuali è tuttavia prudente pensare a un progetto di esercitazioni pastorali non approssimative e vaghe. Esse siano tali da poter abbinare progressivamente l'aspetto dell'acquisizione di qualche abilità e attitudine ad entrare nei contesti della vita e delle attività pastorali più comuni e quello, forse più rilevante, dell'apprendere i modi spirituali e lo stile di discernimento con cui un pastore si pone nella sua comunità come guida servizievole, autorevole e umile insieme. L'appartenenza sempre più decisa del seminarista alla dimensione del presbiterio diocesano e alla sua legge di comunione e fraternità suggerirà qualche forma e alcuni tempi di dimora presso sacerdoti sperimentati e accoglienti, nel dialogo e nella preghiera, nella confidenza e nella lettura comune degli impegni da affrontare. La varietà delle situazioni, l'elasticità nell'attuazione dei progetti, la percezione del significato testimoniale dell'agire solidale, pensando e pregando insieme, educheranno persuasivamente al superamento di estemporanei protagonismi e di aridi individualismi. A questo proposito è importante prevedere una più stretta e verificata collaborazione educativa con parroci disposti a seguire questo delicato passaggio dal seminario al graduale inserimento pastorale. Allo scopo, possono essere individuate alcune "parrocchie laboratorio", particolarmente significative e idonee per la ricchezza di presenze e progettualità pastorali, in cui il futuro presbitero viene fraternamente avviato, nella collaborazione con i laici, a un inserimento parrocchiale attento alla complessità culturale e pastorale. 63. - Un congruo apprendistato nella pratica amministrativa Una difficoltà non irrilevante nel passaggio dal seminario al ministero pastorale attivo è costituita dall'impegno concreto di gestire la propria vita in modo autonomo e di guidare una comunità. L'imperizia e soprattutto il mancato rodaggio a questo riguardo possono causare seri disagi, soprattutto nei primi anni di ministero, e talora anche comportamenti impropri che possono tornare a danno anche dello stesso servizio pastorale. Il presbitero non è solo un animatore di un gruppo, ma guida di una comunità, la quale non è solo fatta di persone, ma anche di beni e di opere da amministrare. Di qui la necessità di un'adeguata conoscenza delle norme canoniche e di un congruo avvio all'esercizio della pratica amministrativa nella gestione di una comunità o di un ente ecclesiastico. « Il sacerdote deve offrire anche la testimonianza di una totale "trasparenza" nella amministrazione dei beni della comunità stessa ». Ciò significa rispetto della comunità: nella destinazione dei beni, nella disponibilità a rendere conto, e soprattutto nel coinvolgimento dei laici competenti; senza dimenticare che quando si cede all'individualismo, all'approssimazione o alla confusione spunta inevitabilmente l'ombra del sospetto e viene compromessa la stessa efficacia del ministero pastorale. 64. - La formazione alla cura dei beni culturali Pur senza diventare specialisti, i futuri presbiteri devono acquisire sufficienti capacità per la cura e l'amministrazione dei beni culturali storico-artistici delle nostre comunità, sia pure con l'aiuto di persone competenti. Si tratta infatti di un patrimonio di importanza vitale, sia perché in larga misura continua a svolgere il suo servizio in attività fondamentali per la vita delle comunità cristiane, sia perché ne testimonia la storia religiosa e culturale di fronte alla società civile. Per diventare utente e amministratore responsabile del patrimonio culturale il presbitero va formato a operare nel rispetto delle leggi canoniche e civili vigenti, a ricercare la collaborazione degli organismi diocesani incaricati dal vescovo ( ufficio e commissione per i beni culturali, archivio, biblioteca e museo diocesano ) e a valorizzare la competenza di studiosi, professionisti e imprese veramente preparate. La cura responsabile dei beni culturali comprende la conoscenza di tale patrimonio, l'aggiornata e completa inventariazione, l'attenta e costante manutenzione, la tutela e la valorizzazione. Il patrimonio culturale infatti non è solo un tesoro da conservare gelosamente, ma una risorsa a vantaggio dell'azione evangelizzatrice pastorale della comunità. 65. - L'opportunità dell'anno diaconale Lo spirito con cui si era pensato al carattere singolare dell'anno diaconale, ancora seminaristico ma già avviato a sostenere qualche impatto significativo e qualche ritmo esigente in contesti aperti di ministero, mirava appunto a promuovere un progressivo inserimento nella logica di responsabilità e di partecipazione, nella quale si svolge ogni forma di vita presbiterale. Risulta che l'attuazione dell'anno diaconale ha incontrato da più parti molte difficoltà. Certo, non si vede perché ci si dovrebbe arrendere senza aver tentato di aggiustare correttamente la rotta: in tempi che segnalano la ripresa del ministero diaconale permanente sarebbe difficile ipotizzare un approdo al presbiterato senza un esercizio conveniente dell'ordine diaconale. Piuttosto ci sembra importante caratterizzare bene e dare spessore spirituale e ministeriale all'anno diaconale, prestando attenzione ad esperienze sapientemente animate dalla diaconia della carità. I giovani diaconi vanno aiutati a cogliere il nesso strutturale tra Parola, Eucaristia e carità, come attitudine al servizio, come attenzione privilegiata agli ultimi sempre presenti nei contesti concreti del territorio. L'anno diaconale non va inteso come una sorta di anticipo della destinazione presbiterale. Anche se il tempo destinato all'esperienza pastorale si è fatto più consistente rispetto a quello normale dei seminaristi, il diacono ha bisogno ancora di sapiente accompagnamento, di seria formazione e di puntuale verifica del suo servizio pastorale. 66. - Un tirocinio pastorale prima dell'ordinazione diaconale? È opportuno guardare con attenzione all'esperienza di alcune Chiese particolari nelle quali è previsto un tempo di sosta prima dell'accesso al diaconato, fuori dal contesto seminaristico, presso una parrocchia o in qualche comunità presbiterale, per un'esperienza forte di responsabilità più diretta. Potrebbe essere un tempo di decantazione pacata e realistica, in condizioni meno istituzionalmente protette, tale da favorire una preparazione più personalizzata e provata alla consegna di sé nel sacramento dell'Ordine. Le Chiese locali possono certo valutare i vantaggi d'una tale configurazione del percorso conclusivo della formazione e la possibilità di offrire contesti e accompagnamenti idonei allo scopo che si vuole perseguire. Una sperimentazione non casuale, ma adeguatamente pensata e sostenuta, soprattutto per quel che riguarda i riferimenti e le responsabilità di ammissione all'Ordine sacro, potrebbe fornire qualche utile indicazione alla ricerca di tutti. 67. - La prima destinazione La prima destinazione del prete appena ordinato è da sottoporre a un discernimento particolarmente accurato e va preparata con metodo attento e leale. Il coinvolgimento del rettore del seminario non può essere puramente formale. L'individuazione di una comunità, che possa proporsi come stimolante accompagnatrice dell'inizio di un ministero, è un obiettivo da perseguire con ogni sforzo. Essa può essere anche molto impegnativa, purché la rischiarino condizioni di trasparenza evangelica e sia capace di sviluppare un articolato progetto pastorale. La qualità del presbitero o dei presbiteri ai quali è da affidare un giovane prete può essere riconosciuta in base ad alcuni tratti, quali: spirito di accoglienza, franchezza e apertura di mente e di cuore, lungimirante disponibilità a promuovere il discernimento comune e all'incoraggiamento paterno. Pertanto più che una parrocchia ideale è necessario assicurare al giovane presbitero la disponibilità di un sacerdote capace di fraterna collaborazione e di un serio e sereno accompagnamento. 68. - Formazione permanente C'è una costante di cui rendere consapevole il futuro candidato al ministero presbiterale: che il curricolo del seminario non va inteso come percorso compiuto, ma prepara ad un ministero sempre aperto all'urgenza di rinnovamento, di conversione, di attenzione avveduta ai mutamenti culturali e sociali per incarnare efficacemente l'annuncio evangelico. Ciò richiede anche attenzione al passaggio dal seminario ai primi anni del ministero per un agevole e pieno inserimento nel presbiterio al servizio della Chiesa. La stessa formazione permanente mira a tener viva la coscienza di un ministero presbiterale sollecitato costantemente ad affrontare con motivazioni evangelicamente robuste le sfide dei tempi. Conclusione 69. - La consapevolezza dinanzi alla prova vocazionale di oggi Proprio la fede in questa inesausta potenza del Vangelo dispone noi e le nostre Chiese a interrogarci per interpretare bene ciò che sta accadendo. Infatti, non sono pochi né leggeri i segnali che attestano che anche la Chiesa italiana, insieme con l'intero Occidente, si affaccia a una seria prova vocazionale, che non le consente oggi di guardare all'avvenire senza preoccupazioni e senza domande profonde per quel che concerne un sufficiente e armonico ricambio di preti nelle sue parrocchie e un più nitido profilo della loro figura spirituale e pastorale. Questa è una sofferenza da assumere, nel solco della speranza e vincendo la tentazione della sfiducia. A nulla servono l'idealizzazione e il rimpianto del passato. L'agitazione ansiosa o la rassegnazione amara non sono atteggiamenti suggeriti dallo Spirito, del quale invece Gesù ha detto: « Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta, ma avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e mi sarete testimoni » ( At 1,7-8 ). L'attenuarsi del desiderio di ripresentare la gratuità del Vangelo e il conseguente rarefarsi delle risposte ministeriali nella Chiesa sono sintomi di un malessere che il dono dello Spirito, coralmente invocato, certamente può guarire. Ma non sarebbe carità pastorale limitarci a invocare lo Spirito e ad assumere con fortezza d'animo questo tempo della pazienza. Lo Spirito stesso ci impegna a ogni tentativo per comprendere il fenomeno con appassionata sincerità. Lo sfondo per questa analisi è la cultura corrente, che il Vangelo, come sempre, ci chiede di sfidare senza timore. Impressionante è la descrizione dell'"uomo senza vocazione" nel recente documento Nuove vocazioni per una nuova Europa: « Una cultura pluralista e complessa tende a generare dei giovani con un'identità incompiuta e debole, con la conseguente indecisione cronica di fronte alla scelta vocazionale. Molti giovani non hanno neppure la "grammatica elementare" dell'esistenza, sono dei nomadi: circolano senza fermarsi a livello geografico, affettivo, culturale, religioso, essi "tentano"! In mezzo alla grande quantità e diversità delle informazioni, ma con povertà di formazione, appaiono dispersi, con poche referenze e pochi referenti. Per questo hanno paura del loro avvenire, hanno ansia davanti a impegni definitivi e si interrogano circa il loro essere. Se da una parte cercano autonomia e indipendenza ad ogni costo, dall'altra, come rifugio, tendono a essere molto dipendenti dall'ambiente socioculturale e a cercare la gratificazione immediata dei sensi: di ciò che "mi va", di ciò che "mi fa sentire bene" in un mondo affettivo fatto su misura ». Ma è sufficiente puntare il dito su queste condizioni culturali? Alcuni interrogativi ci si impongono precisamente su ciò che accade ( o non accade ) nelle comunità cristiane. La diminuzione della risposta nella Chiesa al bisogno di ministero, pur acutamente percepito, che cosa segnala? Forse è diminuita la testimonianza di forme di vita animate da uno stile evangelico; o forse questa testimonianza è accolta soprattutto come "bene di consumo", come risposta gradita al bisogno di rassicurazione con cui la fede è vissuta, senza che questa rassicurazione si trasformi in responsabile disponibilità a rilanciare a propria volta questa testimonianza. È debole la qualità del segnale offerto, o la sua forza comunicativa, o la recettività a esso, o tutte queste cose insieme? In altre parole: forse le forme che la proposta generosa del Vangelo assume non sono sufficientemente solide per poter fungere da paradigma per una vita credente adulta, eventualmente nel ministero. O manca la capacità di far percepire il segnale che proviene da forme mature di vita cristiana, e che chiedono di essere assunte e al tempo stesso verificate? Sembra di essere frenati da una crisi di autorevolezza, nel senso etimologico e decisivo di crisi di fecondità spirituale, non solo dei pastori ma dell'intera Chiesa. Se è così, la crisi consiglierebbe anzitutto una vigilanza sulla propria responsabile maturità, ed eventualmente una rigorosa ripresa di essa da parte di quanti vivono una vocazione cristiana nella forma della dedizione definitiva. E chiede una rinnovata invocazione dello Spirito, autore di ogni fecondità nella Chiesa. Questa preghiera, unendosi a quella di Gesù, permette di proporre, senza arroganza ma con autorevole fermezza, ai più giovani, o a chi, in qualunque età si trovi, non abbia ancora assunto la forma di decisione corrispondente alla propria vocazione, l'esigenza di un'autentica conversione. Attraverso di essa una fede che non venga meno può imparare a operare nella carità pastorale, prendendo la forma di un ministero che confermi i fratelli: « Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli » ( Lc 22,31-32 ). 70. - Necessità di una fruttuosa interazione tra seminario e Chiesa locale per un'efficace formazione Si dovrebbe convenire che il miglioramento, verso il quale i seminari si sono incamminati con riconoscibili sforzi, non può certo consistere in un'interminabile proliferazione di corsi, di insegnamenti, di esercitazioni nelle più svariate competenze. Non si possono prolungare all'infinito i tempi della preparazione. Non è difficile immaginare, invece, quanto beneficamente può influire sulla formazione la passione con cui un presbiterio e una Chiesa cercano di mostrare come riescano a fondersi la figura ideale del prete e le condizioni effettive del suo ministero e della sua vita. I tratti di riforma della vita della Chiesa hanno in se stessi grande ricaduta formativa. Lo stile più evangelico della pastorale, le forme di corresponsabilità e di collaborazione praticate sul campo, il vigore apostolico della dedizione e la fraternità, l'equilibrio tra i presupposti contemplativi della vita spirituale e l'operosità nel lavoro pastorale affrontato insieme sono un apporto di esemplarità e di incoraggiamento nella stessa vita del seminario. La riforma della vita del prete, del resto, non avviene isolatamente e in modo quasi corporativo, ma è vicenda che lo Spirito plasma all'interno del rinnovamento della vita cristiana delle comunità: essa dipende da ciò che la gente impara a chiedere primariamente al ministero del prete, da come i pastori sanno riconoscere i diversi carismi e le responsabilità di ciascuno per la crescita comune, da come tutti sappiamo ascoltare schiettamente le domande che consentono alla fede di farsi adulta, e cerchiamo di irradiare scelte significative di libertà evangelica, anche in condizioni di minoranza sociale e culturale. La qualità della conversazione che abitualmente intercorre tra presbiteri e seminaristi è sintomatico riflesso del tono spirituale e della maturità pastorale con cui si interpreta la corresponsabilità formativa in un presbiterio. Non solo lo spessore degli argomenti e dei ragionamenti, ma anche la semplicità nell'incoraggiare, nel consigliare o nel correggere i seminaristi nel vivo della relazione quotidiana sono messaggi di grande incidenza educativa. 71. - Incoraggiamento e appello La nostra parola, proprio mentre cerca di illuminare alcuni tratti della formazione seminaristica, desidera levarsi come un sentito incoraggiamento a tutti i sacerdoti che rispondono alla chiamata del ministero e ne sanno desiderare e propiziare la continuità nella fioritura di nuove vocazioni. Queste pagine sono un segnale di stima sia ai seminaristi che hanno accolto la voce dello Spirito, sia agli educatori che si dedicano con passione e paternità all'accompagnamento dei giovani. Esse sono anche un appello alle famiglie, ai ragazzi e ai giovani che hanno a cuore il destino dell'uomo e della società e vogliono disporsi a cercare la volontà del Signore, mettendosi in gioco con apertura di cuore e affidandosi alle risorse di una intelligente e leale relazione formativa. La Chiesa si onora di poter offrire percorsi di meditata esperienza, di cui abbiamo mostrato la ricca tensione spirituale e l'elevato impegno di aggiornamento. A Maria, sempre vicina dove si deve rianimare la fiducia, affidiamo le intenzioni e l'opera di coloro che si prodigano per le vocazioni sacerdotali. La Madre di Gesù, che « fu il modello di quell'amore materno, del quale devono essere animati tutti quelli che nella missione apostolica della Chiesa cooperano alla rigenerazione degli uomini », interceda per una più vigorosa e limpida spinta evangelizzatrice in coloro che saranno preti oltre la soglia del terzo millennio della redenzione.