Chiesa/Denzin/Denzin.txt 676 Adeodato II: Professione di fede del XI Sinodo di Toledo Professione di fede 1 La Trinità divina 36 L'incarnazione 57 La redenzione 59 La sorte dell'uomo dopo la morte XI sinodo di Toledo ( iniziato il 7 nov. 675 ) - Adeodato II Questa professione di fede, attribuita nel passato ad Eusebio di Vercelli, secondo J. Madoz è stata elaborata dal sinodo stesso, a cui servirono come fonte principale i simboli del 4° e 6° sinodo di Toledo ( 633 e 638 ). La Trinità divina 1 Professiamo e crediamo che la santa ed ineffabile Trinità, il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo, secondo la sua natura è un solo Dio di una sola sostanza, di una sola natura, anche di una sola maestà e forza. 2 E professiamo che il Padre non ( è ) generato, non creato, ma ingenerato. Egli infatti non prende origine da nessuno, egli dal quale ebbe sia il Figlio la nascita come lo Spirito Santo il procedere. Egli è dunque la fonte e l'origine dell'intera divinità. 3 Egli è anche il Padre della sua essenza, il quale generò dalla sua ineffabile sostanza il Figlio [ Egli stesso il Padre, cioè la sua ineffabile sostanza, generò ineffabilmente il Figlio della sua sostanza ] e tuttavia non generò altro che ciò che egli stesso è: Dio Dio, luce luce; da lui è perciò "ogni paternità in cielo e sulla terra" ( Ef 3,15 ). 4 Professiamo anche che il Figlio, nato dalla sostanza del Padre senza inizio prima dei secoli, non fu tuttavia creato: poiché né il Padre esistette mai senza il Figlio, né il Figlio senza il Padre. 5 E però non come il Figlio dal Padre, così il Padre dal Figlio, poiché non il Padre dal Figlio, ma il Figlio ricevette dal Padre la generazione. Il Figlio è dunque Dio dal Padre, il Padre invece Dio, ma non dal Figlio; ( egli è ) infatti Padre del Figlio, non Dio dal Figlio: questi invece è Figlio del Padre e Dio dal Padre. Tuttavia il Figlio è eguale in tutto a Dio Padre; giacché né la sua nascita prese inizio in un determinato momento, né cessò. 6 Questi crediamo essere anche di una sola sostanza con il Padre; perciò viene detto anche "al Padre", cioè della stessa sostanza con il Padre; significa infatti "uno", "sostanza", ciò che congiunto significa "una sola sostanza". Il Figlio infatti, dobbiamo credere, non fu generato né dal nulla né da un'altra qualsiasi sostanza, ma dal grembo del Padre, cioè dalla sua sostanza. 7 Eterno ( è ) dunque il Padre, eterno anche il Figlio. Se sempre però fu Padre, ebbe sempre il Figlio a cui era Padre: e perciò professiamo il Figlio nato dal Padre senza inizio. 8 Infatti non chiamiamo il medesimo Figlio di Dio per il motivo che fu generato dal Padre come "parte di una natura disezionata", bensì affermiamo che il Padre perfetto ha generato senza diminuzione e senza disezionamento un Figlio perfetto, poiché solo alla divinità spetta di non avere un Figlio diseguale. 9 Questo Figlio è anche Figlio per natura, non per adozione, egli, che Dio Padre, dobbiamo credere, generò non per volontà, né per necessità; giacché in Dio né c'è una qualche necessità, né la volontà previene la sapienza. 10 Crediamo anche che lo Spirito Santo, che è la terza persona nella Trinità, è uno e medesimo Dio con Dio il Padre e il Figlio, di una sola sostanza, anche di una sola natura: tuttavia non è generato, né creato, ma procede da ambedue ed è Spirito di ambedue. 11 Questo Spirito Santo non è neppure, crediamo, né non generato, né generato, affinché non appaia che se lo diciamo non generato, parliamo di due Padri, e se lo diciamo generato, annunciamo due Figli; tuttavia egli viene chiamato non solo Spirito del Padre, né solo del Figlio, ma insieme del Padre e del Figlio. 12 Non procede infatti dal Padre nel Figlio, né procede dal Figlio per santificare la creazione, ma si mostra che egli è proceduto da ambedue; giacché viene riconosciuto come carità o santità di ambedue. 13 Questo Spirito Santo dunque, crediamo, fu mandato da ambedue, come il Figlio [ dal Padre ]; ma non viene ritenuto inferiore al Padre e al Figlio, così come il Figlio testimonia di essere inferiore al Padre e allo Spirito Santo a motivo della carne assunta. 14 Questa è la presentazione della santa Trinità: essa non deve essere detta e creduta triplice, ma Trinità. Non può essere giusto dire che nell'unico Dio è la Trinità, ma che l'unico Dio è la Trinità. 15 Per il nome delle persone però, che esprime una relazione, il Padre è in riferimento al Figlio, il Figlio al Padre e lo Spirito Santo ad ambedue: sebbene in vista della loro relazione vengano chiamate tre persone, tuttavia esse sono, crediamo, una sola natura o sostanza. 16 E come tre persone non predichiamo tre sostanze, bensì una sostanza, ma tre persone. 17 Ciò che infatti è il "Padre", non lo è in relazione a se stesso, ma al Figlio; e ciò che è il "Figlio", non lo è in relazione a sé, ma al Padre; similmente anche lo Spirito Santo non è in relazione a sé, ma al Padre e al Figlio, essendo chiamato Spirito del Padre e del Figlio. 18 Parimenti quando diciamo "Dio", ciò viene detto non in relazione a qual cosa, come il Padre al Figlio o il Figlio al Padre o lo Spirito Santo al Padre e al Figlio, ma "Dio" viene detto in modo particolare in relazione a se stesso. 19 Infatti se veniamo interrogati sulle singole persone, dobbiamo professarle come Dio. Perciò il Padre viene detto singolarmente Dio, il Figlio Dio, lo Spirito Santo Dio: e tuttavia non ci sono tre dei, ma un solo Dio. 20 Parimenti viene singolarmente detto onnipotente il Padre, onnipotente il Figlio, onnipotente lo Spirito Santo: e tuttavia non ci sono tre onnipotenti, ma un solo onnipotente, come si parla di una sola luce e di un solo principio. 21 Dunque secondo la nostra professione di fede sia ogni persona è singolarmente perfetto Dio, sia tutte e tre le persone un solo Dio: esse hanno l'unica, indivisa e eguale divinità, maestà o potestà, che non è ne diminuita nelle singole, ne aumentata nelle tre ( insieme ); poiché non ha di meno quando ogni persona viene chiamata singolarmente Dio, e non di più quando tutte e tre le persone vengono annunciate come un solo Dio. 22 Questa santa Trinità, che è l'unico e vero Dio, non si sottrae dunque al numero, né è soggetta al numero. Nella relazione delle persone infatti si riconosce il numero; nella sostanza della divinità non si comprende che cosa venga enumerato. Perciò solo nel fatto di essere in riferimento l'una all'altra, mostrano un numero; e nel fatto di essere in relazione a se stesse, fanno a meno del numero. 23 Infatti a questa santa Trinità conviene un solo nome così naturale, che esso per tre persone non possa essere usato al plurale. Perciò crediamo anche quel detto nelle Sacre Scritture: "Grande è il nostro Dio e grande la sua potenza, e per la sua sapienza non c'è numero" ( Sal 147,5 ). 24 Non potremo dire però che avendo detto che queste tre persone sono un solo Dio, il Padre sia il medesimo che il Figlio o il Figlio il medesimo che il Padre o che chi è lo Spirito Santo sia il Padre o il Figlio. 25 Poiché il Padre non è il medesimo che il Figlio, né il Figlio il medesimo che il Padre, né lo Spirito Santo il medesimo che il Padre o il Figlio; tuttavia il Padre è la realtà medesima del Figlio, il Figlio la medesima realtà del Padre, il Padre e il Figlio la medesima realtà dello Spirito Santo, cioè di natura un unico Dio. 26 Infatti dicendo che il Padre non è il medesimo del Figlio, ciò si riferisce alla distinzione delle persone. Dicendo invece che il Padre è la medesima realtà del Figlio, il Figlio la medesima realtà del Padre e lo Spirito Santo la medesima realtà del Padre e del Figlio, ciò si riferisce evidentemente alla natura, in virtù della quale è Dio, o alla sostanza, giacché quanto alla sostanza sono una sola realtà: distinguiamo infatti le persone, non separiamo la divinità. 27 Riconosciamo dunque la Trinità nella distinzione delle persone, professiamo l'unità a motivo della natura o della sostanza. Queste tre dunque sono una sola realtà, cioè quanto alla natura, non quanto alle persone. 28 Tuttavia queste tre persone non si devono stimare come separabili, giacché, crediamo, nessuna è mai esistita o ha operato qualcosa prima delle altre, nessuna dopo le altre, nessuna senza le altre. 29 Infatti sono trovate inseparabili sia in ciò che sono che in ciò che fanno: giacché tra il Padre che genera, e il Figlio che fu generato, e lo Spirito Santo che procede ( da loro ), non c'è stato, crediamo, nessun intervallo di tempo, per cui il genitore ha preceduto il generato oppure il generato mancava al genitore oppure lo Spirito Santo procedente dal Padre e dal Figlio apparve più tardi. 30 Perciò questa Trinità viene da noi detta e creduta inseparabile e inconfusa. Si parla dunque di queste tre persone, secondo la dottrina degli antenati, affinché esse vengano riconosciute, non affinché vengano separate. 31 Infatti se facciamo attenzione a ciò che la Scrittura santa dice della Sapienza: "E lo splendore della luce eterna" ( Sap 7,26 ), come constatiamo che lo splendore è inseparabilmente inerente alla luce, così professiamo che il Figlio non può essere separato dal Padre. 32 Come dunque non confondiamo queste tre persone di una sola e inseparabile natura, così diciamo che non sono affatto separabili. 33 In verità la Trinità stessa si è degnata di mostrarci ciò in maniera tanto chiara, che anche in questi nomi, con i quali secondo il suo volere le persone vengono riconosciute singolarmente, non permette che l'una venga compresa senza l'altra: infatti né il Padre viene riconosciuto senza il Figlio, né si trova il Figlio senza il Padre. 34 Invero la relazione stessa ( espressa ) dal nome delle persone vieta di separare le persone: infatti anche se non le nomina contemporaneamente, contemporaneamente vi allude. Nessuno poi può udire uno di questi nomi, senza essere costretto a comprendere insieme anche l'altro. 35 Sebbene dunque queste tre siano una realtà sola, e la sola realtà tre, tuttavia rimane ad ogni singola persona la sua peculiarità. Il Padre infatti ha l'eternità senza nascita, il Figlio l'eternità con la nascita, lo Spirito Santo poi il procedere senza nascita con l'eternità. L'incarnazione 36 Crediamo che di queste tre persone solo la persona del Figlio ha assunto per la liberazione del genere umano un vero uomo senza peccato dalla santa e immacolata Vergine Maria, dalla quale fu generato in un nuovo ordine e in una nuova nascita; in un ordine nuovo, giacché l'invisibile nella sua divinità si mostra visibile nella carne; fu generato poi in una nuova nascita, giacché l'intatta verginità non conosceva contatto alcuno con un uomo e ( gli ) mise a disposizione la materia della carne fecondata mediante lo Spirito Santo. 37 Questo parto della Vergine non può né essere compreso dalla ragione, né essere esemplificato in qualcosa; poiché se potesse venire compreso dalla ragione, non sarebbe meraviglioso, se potesse venire esemplificato in qualcosa, non sarebbe singolare ( Agostino, lettera 137, c.2, n.8 ).4 38 Tuttavia non si deve credere per il motivo che Maria concepì adombrata dallo stesso Spirito Santo, che appunto lo Spirito Santo sia il Padre del Figlio, affinché non appaia che asseriamo due padri del Figlio, ciò che è persino un delitto che venga detto. 39 In questa mirabile concezione, nella quale la Sapienza si costruì una casa ( Pr 9,1 ), "il Verbo si è fatto carne e ha abitato tra di noi" ( Gv 1,14 ). Tuttavia il Verbo non fu trasformato e mutato in carne così che colui che volle essere uomo, cessasse di essere Dio, ma il Verbo si fece carne in modo che ivi non solo ci sia il Verbo di Dio e la carne dell'uomo, ma anche l'anima razionale dell'uomo; e tutto ciò deve essere detto sia Dio a motivo di Dio che uomo a motivo dell'uomo. 40 Crediamo che in questo Figlio di Dio ci siano due nature, l'una della divinità, l'altra dell'umanità, che la persona di Cristo unì in sé in modo che mai potrà essere separata né la divinità dall'umanità, né l'umanità dalla divinità. 41 Onde l'unico Cristo è nell'unità della persona perfetto Dio e perfetto uomo; tuttavia non per questo, per aver detto che nel Figlio sono due nature, affermeremo che in lui ci sono due persone, affinché non sembri accedere alla Trinità - sia ben lontano! - una quarta persona. 42 Dio il Verbo non ha assunto la persona di un uomo, bensì la natura e nell'eterna persona della divinità ha accolto la sostanza temporale della carne. 43 Parimenti diciamo che se anche crediamo che il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo sono di una sola sostanza, tuttavia la Vergine Maria non ha generato l'unità di questa Trinità, ma solo il Figlio, che solo ha assunto la nostra natura nell'unità della sua persona. 44 L'incarnazione di questo Figlio di Dio, dobbiamo ancora credere, l'ha operata l'intera Trinità, giacché le opere della Trinità sono inseparabili. Tuttavia solo il Figlio nella singolarità della persona, non nell'unità della natura divina, ha preso la forma del servo ( Fil 2,7 ), in ciò che è proprio del Figlio, non in ciò che è comune alla Trinità; 45 questa forma gli fu unita nell'unità della persona, cioè in modo che il Figlio di Dio e il figlio dell'uomo sia l'unico Cristo. Parimenti il medesimo Cristo in queste due nature è costituito di tre sostanze: di quella del Verbo, ciò che si deve riportare all'essenza di Dio solo, di quella del corpo e di quella dell'anima, ciò che fa parte dell'uomo vero. 46 Egli ha in sé dunque la doppia sostanza della sua divinità e della nostra umanità. 47 Tuttavia egli in quanto uscì da Dio Padre senza inizio, è solo nato; infatti viene compreso né come fatto, né come predestinato; in quanto però è nato dalla Vergine, è sia nato che fatto che predestinato, così dobbiamo credere. 48 Tuttavia ambedue le nascite sono in lui mirabili, giacché egli fu sia generato dal Padre prima dei tempi senza madre, sia generato alla fine dei secoli dalla madre senza padre; tuttavia egli ha creato, in quanto Dio, Maria, e in quanto uomo, fu creato da Maria; egli stesso è sia padre come figlio della madre Maria. 49 Parimenti per il fatto di essere Dio, è eguale al Padre; per il fatto di essere uomo, è inferiore al Padre. 50 Parimenti dobbiamo credere che egli è maggiore e inferiore a se stesso: nella forma di Dio infatti anche il Figlio stesso a motivo dell'umanità assunta, in paragone alla quale la divinità è maggiore, è maggiore di se stesso; nella forma del servo, cioè nell'umanità, che viene accolta come inferiore alla divinità, è inferiore a se stesso. 51 Infatti come mediante la carne assunta viene accolto come non solo inferiore al Padre, ma ( anche ) a se stesso, così nella divinità, mediante la quale è eguale al Padre, è sia egli stesso che il Padre maggiore dell'uomo, che solo la persona del Figlio ha assunto. 52 Parimenti alla domanda se il Figlio possa essere pure eguale e minore dello Spirito Santo, così come egli, secondo la nostra fede, ora è eguale e ora inferiore al Padre, risponderemo: nella forma di Dio egli è eguale al Padre e allo Spirito Santo, nella forma del servo è minore del Padre e dello Spirito Santo: giacché né lo Spirito Santo, né Dio Padre, bensì solo la persona del Figlio ha assunto la carne, per via della quale crediamo che sia minore delle altre due persone. 53 Parimenti, secondo la nostra fede, questo Figlio è inseparabilmente distinto da Dio Padre e dallo Spirito Santo in base alla persona, dall'uomo assunto in base alla natura. Parimenti egli esiste con l'uomo nella persona, con il Padre e lo Spirito Santo nella natura o sostanza della divinità. 54 Tuttavia, dobbiamo credere, il Figlio fu mandato non solo dal Padre, ma ( anche ) dallo Spirito Santo; poiché egli stesso dice mediante i profeti: "E ora mi ha mandato il Signore e il suo Spirito" ( Is 48,16 ). 55 Fu mandato, così accettiamo, anche da se stesso; poiché non solo la volontà, ma ( anche ) l'operare dell'intera Trinità è, come riconosciamo, inseparabile. 56 Questi infatti, che è chiamato unigenito prima dei tempi, divenne nel tempo primogenito: unigenito a motivo della sostanza della divinità, primogenito a motivo della natura della carne assunta. La redenzione 57 In questa forma dell'uomo assunto, così la nostra fede, fu concepito secondo la verità dei Vangeli senza peccato, nacque senza peccato e morì senza peccato, egli che solo per noi "divenne peccato" ( 2 Cor 5,21 ), cioè sacrificio per i nostri peccati. 58 E tuttavia, senza che la sua divinità sia stata toccata, sostenne la stessa passione per i nostri delitti, fu condannato a morte e accolse in croce la vera morte della carne; e il terzo giorno, risvegliatesi di sua propria virtù, risuscitò dal sepolcro. La sorte dell'uomo dopo la morte 59 Professiamo che secondo questo esempio del nostro Capo avverrà la vera risurrezione della carne di tutti i morti. 60 Crediamo che non risusciteremo in una carne aerea o in un'altra qualsiasi - come qualcuno fantastica -, ma in quella nella quale viviamo, sussistiamo e ci muoviamo. 61 Dopo aver realizzato l'esempio di questa santa risurrezione, il nostro Signore e Salvatore mediante l'ascensione riprese il trono del Padre, dal quale nella sua divinità mai si era allontanato. 62 Là egli siede alla destra del Padre e viene aspettato alla fine dei tempi come giudice di tutti i viventi e i morti. 63 Di là verrà con tutti i santi per tenere il giudizio e assegnare ad ognuno il debito del suo salario per ciò che di bene o di male ha fatto nel corpo ( 2 Cor 5,10 ). 64 Crediamo che la santa chiesa cattolica, che egli ha acquistato a prezzo del suo sangue, regnerà con lui in perpetuo. 65 Stando nel suo grembo, crediamo e professiamo un solo battesimo per la remissione di tutti i peccati. 66 In questa fede crediamo veracemente la risurrezione dei morti e aspettiamo il gaudio del tempo futuro. 67 Solo per questo dobbiamo pregare e questo dobbiamo richiedere: che il Figlio, allorché dopo aver compiuto e terminato il giudizio consegnerà il regno a Dio Padre ( 1 Cor 15,24 ), ci faccia partecipare al suo regno, acciocché mediante questa fede, con la quale gli siamo uniti, regniamo con lui senza fine. 68 Questa è l'esposizione della nostra professione di fede, mediante la quale viene annientata la dottrina di tutti gli eretici, mediante la quale i cuori dei fedeli vengono mondati, mediante la quale si giunge anche gloriosamente a Dio. 12-4-1059 Niccolò II: Bolla In nomine Domini sull'elezione del Sommo Pontefice Bolla "In nomine Domini" Sull'elezione del Sommo Pontefice - Niccolò II Nel nome del Signore Iddio Gesù Cristo, nostro Salvatore, nell'anno 1059 dalla sua incarnazione, nel mese di aprile, nella dodicesima Indizione, alla presenza dei Santi Evangeli, sotto la presidenza del reverendissimo e beatissimo Papa apostolico, Niccolò, nella patriarcale basilica Lateranense, chiamata basilica di Costantino con anche tutti i reverendissimi arcivescovi, vescovi, abati e venerabili presbiteri e diaconi, il medesimo venerabile Pontefice, decretando con autorità apostolica riguardo all'elezione del Pontefice, disse: "Le Eminenze vostre conoscono, dilettissimi Vescovi e confratelli ( né è sfuggito ai membri di grado più basso ) quante avversità abbia sopportato questa Sede Apostolica cui per volontà divina io servo, dalla morte di Stefano nostro predecessore di beata memoria, a quanti colpi e battiture sia stata sottoposta per opera dei trafficanti simoniaci; a tal punto, che la colonna del Dio vivente così scrollata sembra quasi vacillare e che la sede del Sommo Pontefice è costretta dalle tempeste ad inabissarsi in profondità di naufragio. E perciò, se piace ai miei confratelli, con l'aiuto di Dio dobbiamo saggiamente affrontare le eventualità future e provvedere per il futuro alla costituzione ecclesiastica, si che i mali risorgendo ( non sia mai ) non prevalgano. Dunque, appoggiandoci sull'autorità dei nostri predecessori e degli altri Santi Padri, e stabiliamo: che, quando il Pontefice di questa universale Chiesa Romana muore, prima i cardinali vescovi decidano tra loro con la più diligente considerazione poi chiamino i cardinali chierici; e allo stesso modo si associno poi il resto del clero e il popolo, per consentire alla nuova elezione; affinché il tristo morbo della venalità non abbia qualche occasione di infiltrarsi siano i religiosi a condurre l'elezione del futuro Pontefice e tutti gli altri li seguano. E certo quest'ordine di elezione viene valutato giusto e legittimo, se, osservate le regole e le azioni dei vari Padri, si richiama quella nota frase del nostro beato predecessore Leone: "Nessuna ragione permette" disse "che si considerino tra i Vescovi coloro che non furono eletti dai chierici, né richiesti dal popolo, né consacrati dai vescovi comprovinciali con l'approvazione del metropolita". Poiché la Sede Apostolica è al di sopra di tutte le chiese in tutta la terra, e non può quindi avere su di sé un metropolita, non c'è dubbio che i cardinali vescovi abbiano funzione di metropolita, portando il sacerdote eletto al sommo della dignità apostolica. Lo eleggano dal seno della chiesa di Roma, se è trovato degno, altrimenti lo si prenda da un'altra Chiesa. Salvo restando il debito onore e la reverenza verso il nostro diletto figlio Enrico che è ora chiamato re e che si spera sarà con l'aiuto di Dio il futuro imperatore, come gli abbiamo concesso, e verso i successori di lui che personalmente chiederanno questo privilegio a questa Sede Apostolica. Che se la perversità di uomini empi ed iniqui prevarrà tanto, da rendere impossibile nell'Urbe un'elezione incorrotta, genuina e libera, i cardinali vescovi con i chierici e con i laici cattolici, sia pur pochi, abbiano il potere di eleggere il Pontefice della Sede Apostolica, dove stimino più opportuno. Se, terminata completamente l'elezione una guerra o un qualunque tentativo di uomini per malizia si opponga a che l'eletto prenda possesso della Sede Apostolica secondo la consuetudine, ciò nonostante l'eletto abbia l'autorità di reggere come Pontefice la Santa Chiesa Romana, disponendo di tutte le sue prerogative, come sappiamo fece prima della sua consacrazione il beato Gregorio. Ma se qualcuno, contrariamente a questo nostro decreto promulgato in sinodo, verrà eletto o considerato o insediato in trono attraverso la rivolta, la temerarietà o qualunque altro mezzo, sia da tutti creduto e considerato non Papa ma Satana non apostolo, ma apostata e con perpetua scomunica per autorità divina e dei santi apostoli Pietro e Paolo, insieme con i suoi istigatori, partigiani e seguaci, venga scacciato e respinto dalle porte della santa cristianità di Dio, come Anticristo, nemico e distruttore di tutta la Cristianità. E non gli si dia alcuna udienza riguardo a ciò ma in perpetuo sia privato della dignità ecclesiastica di qualunque grado essa sia stata. Con la stessa sentenza sia punito chiunque sarà dalla sua parte o gli renderà qualsiasi omaggio, come a un Pontefice, o presumerà di difenderlo. E chi temerariamente si opporrà a questo nostro decreto e nella sua presunzione tenterà di confondere e turbare la Chiesa Romana contro questo statuto, sia condannato a perpetuo anatema e scomunica e sia considerato tra gli empi che non risorgeranno nel Giudizio; senta contro di sé l'ira dell'Onnipotente, del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, e in questa vita e in quella futura esperimenti il furore dei santi apostoli Pietro e Paolo, la cui Chiesa egli presunse sconvolgere; la sua casa sita deserta e nessuno abiti nelle sue tende; i suoi Figli siano orfani e sua moglie vedova; venga scacciato nello spavento lui e i suoi figli e mendichino e siano respinti dalle loro case; l'usuraio si impadronisca della sua sostanza e stranieri approfittino dei frutto delle sue fatiche; tutta la terra combatta contro di lui e gli elementi gli siano avversi e i meriti di tutti i santi defunti lo confondano e mostrino aperta vendetta su di lui in questa vita. La grazia di Dio Onnipotente protegge coloro che osserveranno questo decreto e per l'autorità dei santi apostoli Pietro e Paolo li assolva da ogni peccato. Io, Niccolò, vescovo della Santa Chiesa Cattolica Apostolica Romana, ho firmato questo decreto da noi promulgato come sopra si legge. Bonifacio, per grazia di Dio vescovo di Albano, ho firmato. Umberto, vescovo della Santa Chiesa di Silva Candida, ho firmato. Pietro, vescovo di Ostia, ho firmato, ed altri vescovi, in numero di settantasei, unitamente al presbiteri e diaconi, hanno firmato". Dato nella Basilica Lateranese, 12 aprile 1059 1075 san Gregorio VII: Bolla Dictatus papae sui diritti della Santa Sede Bolla "Dictatus Papae" Sui diritti della Santa Sede - san Gregorio VII 1) Che la Chiesa Romana è fondata da Dio solo. 2) Che soltanto il Pontefice Romano è a buon diritto chiamato universale. 3) Che Egli solo può deporre o ristabilire i Vescovi. 4) Che un suo messo, anche se inferiore di grado, in concilio è al di sopra di tutti i vescovi, e può pronunziare sentenza di deposizione contro di loro. 5) Che il Papa può deporre gli assenti. 6) Che non dobbiamo aver comunione o rimanere nella stessa casa con coloro che sono stati scomunicati da lui. 7) Che a lui solo è lecito promulgare nuove leggi in rapporto alle necessità del tempo, fare nuove congregazioni rendere abbazia una canonica e viceversa, dividere un episcopato ricco e unire quelli poveri. 8) Che lui solo può usare le insegne imperiali. 9) Che tutti i principi devono baciare i piedi soltanto al Papa. 10) Che il suo nome deve esser recitato in chiesa. 11) Che il suo titolo è unico al mondo. 12) Che gli è lecito deporre l'imperatore. 13) Che gli è lecito, secondo la necessità, spostare i vescovi di sede in sede. 14) Che ha il potere di ordinare un chierico da qualsiasi chiesa, per il luogo che voglia. 15) Che colui che è stato ordinato da lui può essere a capo di un'altra chiesa, ma non sottoposto, e che da nessun vescovo può ottenere un grado superiore. 16) Che nessun sinodo può esser chiamato generale, se non comandato da lui. 17) Che nessun articolo o libro può esser chiamato canonico senza la sua autorizzazione. 18) Che nessuno deve revocare la sua parola e che egli solo lo può fare. 19) Che nessuno lo può giudicare. 20) Che nessuno osi condannare chi si appella alla Santa Sede. 21) Che le cause di maggior importanza di qualsiasi chiesa, debbono esser rimesse al suo giudizio. 22) Che la Chiesa Romana non errò e non errerà mai e ciò secondo la testimonianza delle Sacre Scritture. 23) Che il Pontefice Romano, se ordinato dopo elezione canonica, è indubitabilmente santificato dai meriti del beato Pietro; ce lo testimonia sant'Ennodio, vescovo di Pavia, col consenso di molti Santi Padri, come è scritto nei decreti del beato Simmaco papa. 24) Che ai subordinati è lecito fare accuse dietro suo ordine e permesso. 25) Che può deporre e ristabilire i vescovi anche senza riunione sinodale. 26) Che non dev'essere considerato cattolico chi non è d'accordo con la Chiesa Romana. 27) Che il Pontefice può sciogliere i sudditi dalla fedeltà verso gli iniqui. 1081 san Gregorio VII: Bolla Per grazia della divina misericordia in occasione dell'erezione della Chiesa di Mileto a Vescovado Bolla "Per grazia della divina misericordia" Al diletto figlio in Cristo Arnolfo Vescovo di Mileto, e ai suoi successori in occasione dell'erezione della Chiesa di Mileto a Vescovado - san Gregorio VII Per grazia della divina misericordia, a tal fine abbiamo assunto la curia della Chiesa universale e portiamo la sollecitudine del governo Apostolico, perché con attenta benevolenza assecondiamo le giuste aspirazioni dei supplicanti, e siano munite di perpetua stabilità, con la sanzione di un nostro decreto, quelle cose che giustamente si desidera siano corroborate con l'autorità Apostolica. Pertanto, giacché la chiesa di Bivona, purtroppo deserta di abitanti per punizione dei peccati, già sede vescovile e ora, per la sua desolazione sembrava sconveniente e abbastanza inopportuno che godesse del titolo vescovile, e ora a richiesta del nostro figlio Ruggiero, glorioso Conte, e per consiglio di uomini religiosi, abbiamo concesso che si facesse il trasferimento della sede da quella alla chiesa di Mileto, e abbiamo consacrato te, costituendoti Vescovo per grazia di Dio, aggiungendo pure, a maggior decoro della tua chiesa, che, come tu sei stato consacrato a noi, cosi i tuoi successori dovessero essere sempre ordinati dal Romano Pontefice. A perpetua stabilità di questa chiesa Miletese, e a confermare in essa la dignità di sede episcopale, stabiliamo dunque che essa sia libera in futuro dalla giurisdizione di quella chiesa di Bivona, a cui finora fu soggetta; e abbiamo voluto e deliberato che tutte le competenze che a quella erano dovute nell'ordinamento ecclesiastico, o per onere o per diritto, fossero conservate in perpetuo, assegnandole a questa virtù del presente privilegio. Inoltre, a petizione della tua fraternità che le competenze del tuo Vescovato di nuova costituzione fossero garantite con presidio della protezione Apostolica dalle temerarie molestie di chiunque, con la nostra Apostolica autorità, comandiamo e proibiamo che nessun re o imperatore, o Vescovo alcuno di qualsiasi titolo o pretesto, osi ridurre, sottrarre o applicare a suo beneficio, o concedere ad altri, per qualsiasi motivo a scusa della sua avarizia, alcunché di quanto è pervenuto alla detta venerabile sede dei brani appartenenti a quella precedente chiesa, o di quelli che sono stati donati successivamente dal predetto figlio Ruggero, o da qualsiasi altra persona di propria iniziativa, o per grazia di Dio saranno concessi in futuro; ma vogliamo che tutto quello che comunque perverrà o capiterà di venir donato, tanto da te quanto da coloro che succederanno nel tuo ufficio e al tuo posto, sia posseduto perennemente integro e senza alcuna molestia, per servire a vantaggio e ad uso di coloro al cui sostentamento e rimunerazione è stato in qualsiasi maniera concesso. Se alcuno, re, sacerdote, chierico, giudice, o persona secolare, pur conoscendo il tenore di questa nostra costituzione, avrà tentato con temerario ardire andare contro di essa, ammonito una prima, una seconda e una terza volta con congrue dilazioni, se non si sarà ritratto e non avrà soddisfatto alla predetta chiesa, sia privato della sua carica, onore e dignità, e sappia che diventa reo di giudizio divino per il reato perpetrato, e se non avrà restituito ciò che avrà mal tolto, e non avrà espiato con congrua penitenza quanto illecitamente operato, sia separato dal santissimo corpo e sangue del Signore nostro Gesù Cristo, e sia soggetto all'inesorabile vendetta nell'eterno giudizio. A tutti quelli, invece, che rispetteranno la giustizia verso la detta sede, la pace del Signore nostro Gesù Cristo, e godano il frutto della buona azione di questa vita, e trovino il premio della pace eterna presso l'inesorabile giudice. La tua misericordia, o Signore, al di sopra di tutte le tue opere. Dato presso il Laterano; il giorno 4 febbraio, per mano di Pietro Cardinale Prete di S.R.C. e Bibliotecario, anno ottavo del Signor ( nostro ) Gregorio VII Papa, indizione terza. 27-11-1095 Urbano II: Popolo dei Franchi Discorso sulla crociata "Popolo dei Franchi" Discorso sulla crociata - Urbano II Popolo dei Franchi, popolo d'oltre i monti, popolo come riluce in molte delle vostre azioni eletto ed amato da Dio, distinto da tutte le nazioni sia per il sito del vostro paese che per l'osservanza della fede cattolica e per l'onore prestato alla Santa Chiesa, a voi si rivolge il nostro discorso e la nostra esortazione. Vogliamo che voi sappiate quale lugubre motivo ci abbia condotto nelle vostre terre; quale necessità vostra e di tutti i fedeli ci abbia qui, attratti. Da Gerusalemme e da Costantinopoli é pervenuta e più d'una volta è giunta a noi una dolorosa notizia: i Persiani, gente tanto diversa da noi, popolo affatto alieno da Dio, stirpe dal cuore incostante e il cui spirito non fu fedele al Signore, ha invaso le terre di quei cristiani, le ha devastate col ferro, con la rapina e col fuoco e ne ha in parte condotti prigionieri gli abitanti nel proprio paese, parte ne ha uccisi con miserevole strage, e le chiese di Dio o ha distrutte dalle fondamenta o ha adibite al culto della propria religione. Abbattono gli altari dopo averli sconciamente profanati, circoncidono i cristiani e il sangue della circoncisione o spargono sopra gli altari o gettano nelle vasche battesimali; e a quelli che vogliono condannare a una morte vergognosa perforano l'ombelico, strappano i genitali, li legano a un palo e, percuotendoli con sferze, li conducono in giro, sinché, con le viscere strappate, cadono a terra prostrati. Altri fanno bersaglio alle frecce dopo averli legati ad un palo; altri, fattogli piegare il collo, assalgono con le spade e provano a troncare loro la testa con un sol colpo. Che dire della nefanda violenza recata alle donne, della quale peggio è parlare che tacere? Il regno dei Greci è stato da loro già tanto gravemente colpito e alienato dalle sue consuetudini, che non può essere attraversato con un viaggio di due mesi. A chi dunque incombe l'onere di trarne vendetta e di riconquistarlo, se non a voi cui più che a tutte le altre genti Dio concesse insigne gloria nelle armi, grandezza d'animo, agilità nelle membra, potenza d'umiliare sino in fondo coloro che vi resistono? Vi muovano e incitino ali animi vostri ad azioni le gesta dei vostri antenati, la probità e la grandezza del vostro re Carlo Magno e di Ludovico suo figlio e degli altri vostri sovrani che distrussero i regni dei pagani e ad essi allargarono i confini della Chiesa. Soprattutto vi sproni il Santo Sepolcro del Signore Salvatore nostro, ch'è in mano d'una gente immonda, e i luoghi santi, che ora sono da essa vergognosamente posseduti e irriverentemente insozzati dalla sua immondezza. O soldati fortissimi, figli di padri invitti, non siate degeneri, ma ricordatevi del valore dei vostri predecessori; e se vi trattiene il dolce affetto dei figli, del genitori e delle consorti, riandate a ciò che dice il Signore nel Vangelo " chi il padre e la madre più di me, non è degno di me. Chiunque lascerà il padre o la madre o la moglie o i figli o i campi per amore del mio nome riceverà cento volte tanto e possederà la vini eterna". Non vi trattenga il pensiero di alcuna proprietà, nessuna cura delle cose domestiche, ché questa terra che voi abitate, serrata d'ogni parte dal mare o da gioghi montani, è fatta angusta dalla vostra moltitudine, né è esuberante di ricchezza e appena somministra di che vivere a chi la coltiva. Perciò vi offendete e vi osteggiate a vicenda, vi fate guerra e tanto spesso vi uccidete tra voi. Cessino dunque i vostri odi intestini, tacciano le contese, si plachino le guerre e si acquieti ogni dissenso ed ogni inimicizia. Prendete la via del santo Sepolcro, strappate quella terra a quella gente scellerata e sottomettetela a voi: essa da Dio fu data in possessione ai figli di Israele; come dice la Scrittura, in essa scorrono latte e miele. Gerusalemme è l'ombelico del mondo, terra ferace sopra tutte quasi un altro paradiso di delizie; il Redentore del genere umano la rese illustre con la sua venuta, la onorò con la sua dimora, la consacrò con la sua passione, la redense con la sua morte, la fece insigne con la sua sepoltura. E proprio questa regale città posta al centro del mondo, è ora tenuta in soggezione dai propri nemici e dagli infedeli, è fatta serva del rito pagano. Essa alza il suo lamento e anela ad essere liberata e non cessa d'implorare che voi andiate in suo soccorso. Da voi più che da ogni altro essa esige aiuto poiché a voi è stata concessa da Dio sopra tutte le stirpi la gloria delle armi. Intraprendete dunque questo cammino in remissione dei vostri peccati, sicuri dell'immarcescibile gloria del regno dei cieli. 0 fratelli amatissimi, oggi in noi si è manifestato quanto il Signore dice nel Vangelo: Dove due o tre saranno radunati nel mio nome, ivi io sarò in mezzo a loro. Se il Signore Iddio non avesse ispirato i vostri pensieri, la vostra voce non sarebbe stata unanime; quantunque essa abbia risuonato con timbro diverso, unica fu tuttavia la sua origine: Dio che l'ha suscitata, Dio che l'ha ispirata nei vostri cuori. Sia dunque questa vostra voce il vostro grido di guerra, dal momento che essa viene da Dio. Quando andrete all'assalto dei bellicosi nemici, sia questo l'unanime grido di tutti i soldati di Dio: "Dio lo vuole! Dio lo vuole!" E noi non invitiamo ad intraprendere questo cammino i vecchi o quelli che noti sono idonei a portare le armi; né le mogli si muovano senza i mariti o senza i fratelli o senza i legittimi testimoni: tutti costoro sono più un impedimento che un aiuto, più un peso che un vantaggio. I ricchi sovvengano i poveri e conducano a proprie spese con loro uomini pronti a combattere. Ai sacerdoti e ai chierici di qualunque ordine non sia lecito partire licenza dei loro vescovi, perché questo viaggio sarebbe inutile per loro senza questo consenso; e neppure ai laici sia permesso partire senza la benedizione del loro sacerdote. Chiunque vorrà compiere questo santo pellegrinaggio e ne avrà fatto promessa a Dio e a lui si sarà consacrato come vittima vivente santa e accettevole porti sul suo petto il segno della croce del Signore; chi poi, pago dei suo voto, vorrà ritornarsene, ponga alle sue terga; sarà così adempiuto il precetto che il Signore dà nel Vangelo: "Chi non porta la sua croce e non viene dietro di me non è degno di me". Clermont, 27 novembre 1095 5-7-1098 Urbano II: Bolla legaziale Quia propter Quia propter Bolla legaziale - Urbano II Urbano Vescovo, servo dei servi di Dio, al carissimo figlio Ruggiero, conte di Calabria e di Sicilia, salute e apostolica benedizione. Poiché il favore della suprema maestà ti ha esaltato con molti trionfi e onori per la tua prudenza, e poiché con la tua industria hai moltissimo dilatato la chiesa nei territori dei Saraceni, e ti sei sempre dimostrato in molti modi devoto alla santa Sede Apostolica, Noi ti abbiamo assunto come speciale e carissimo figlio della medesima universale Madre Chiesa. Pertanto, confidando moltissimo nella tua rettitudine e saggezza, come abbiamo promesso verbalmente, così confermiamo con la solennità del presente documento che, per tutto il tempo della tua vita, del tuo figlio Simone, o di altro tuo legittimo erede, non stabiliremo nessun legato della Romana Chiesa nel territorio del vostro dominio senza vostra volontà o consiglio; anzi vogliamo che siano operate per vostra cura, in luogo del legato, quelle cose che dovremo operare per mezzo del legato, quando vi affideremo nostre commissioni "a latere", per il bene cioè delle chiese che stanno sotto i vostri domini, ad onore del Beato Pietro e della sua santa Sede Apostolica, alla quale fino ad oggi hai devotamente sovvenuto nelle sue difficoltà. Se poi si celebrerà un Concilio ti darò mandato di inviare a me quanti e quali vescovi ed abbati del tuo Stato vorrai, e di ritenere gli altri a servizio e custodia delle chiese. Il Signore onnipotente diriga i tuoi atti a suo beneplacito, e, assolto dai peccati, ti conduca alla vita eterna. Dato a Salerno, per mano di Giovanni, Cardinale Diacono di Santa Romana Chiesa, il 5 luglio ( 1098 ), settima edizione, anno 10 del nostro Pontificato. 30-10-1198 Innocenzo III: Sicut universitatis conditor. Lettera sui due poteri, del Papa e dell'Imperatore, di cui il secondo deriva dal primo Sicut universitatis conditor Lettera di Innocenzo III Lettera sui due poteri, del Papa e dell'Imperatore, di cui il secondo deriva dal primo. Come Dio, creatore dell'universo, ha creato due grandi luci nel firmamento del cielo, la più grande per presiedere al giorno e la più piccola per presiedere alla notte, così egli ha stabilito nel firmamento della Chiesa universale, espressa dal nome di cielo, due grandi dignità: la maggiore a presiedere ( per così dire ) ai giorni cioè alle anime, e la minore a presiedere alle notti cioè ai corpi. Esse sono l'autorità pontificia e il potere regio. Così, come la luna riceve la sua luce dal sole e per tale ragione è inferiore a lui per quantità e qualità, dimensione ed e effetti, similmente il potere regio deriva dall'autorità papale lo splendore della propria dignità e quanto più e con essa a contatto, di tanto maggior luce si adorna, e quanto più ne è distante tanta meno acquista in splendore. Ambedue questi poteri hanno avuto collocata la sede del loro primato in Italia, il qual paese quindi ottenne la precedenza su ogni altro per divina disposizione. E perciò, se pure noi dobbiamo estendere l'attenzione della nostra provvidenza a tutte le province, tuttavia dobbiamo con particolare e paterna sollecitudine provvedere all'Italia, dove furono poste le fondamenta della religione cristiana e dove l'eccellenza del sacerdozio e della dignità si esalta con la supremazia della Santa Sede… Data in Laterano il terzo giorno prima delle calende di novembre, 30 ottobre 1198. 3-1201 Innocenzo III: Venerabilem fratrem. Al vescovo di Palestrina, a sostegno della causa del re Ottone e contro il partito del duca Filippo di Hoenstaufen Venerabilem fratrem Decreto - Innocenzo III Al vescovo di Palestrina, a sostegno della causa del re Ottone e contro il partito del duca Filippo di Hoenstaufen. Noi abbiamo benignamente ricevuto il nostro venerabile fratello, l'arcivescovo di Salisburgo, e il nostro amatissimo figlio, l'abate di Salisburgo, e il nobile margravio dell'Est, che alcuni principi hanno mandato come inviati alla Santa Sede, e abbiamo deciso di concedere loro benevola udienza. Noi leggemmo con molta attenzione la lettera inviataci per loro mezzo da essi principi e considerammo ogni cosa in essa contenuta. Tra le altre notammo che i suddetti principi fanno soprattutto obbiezione e che il nostro venerabile fratello il vescovo di Palestrina e legato della Santa Sede agisca come elettore e come giudice; considerandosi elettore, egli portava la falce in una messe non sua, e, interferendo nell'elezione, avviliva la dignità degli elettori; e agendo come giudice, è chiaro che errava, poiché una delle parti era assente, non essendo stata convocata, e pertanto non poteva essere giudicata in contumacia. Proprio come noi ( che dobbiamo giustizia a particolari persone secondo il servizio connesso con l'apostolico uffizio ) non vogliamo che la nostra giustizia sia usurpata da altri, così non desideriamo avocare a noi stessi i diritti dei principi. E perciò riconosciamo, come è nostro dovere, i privilegi e il potere di quei principi, cui è risaputo che spetta per diritto ed antica tradizione eleggere un re, che sarà poi promosso alla dignità di imperatore; tanto più, che questo diritto e privilegio è stato ad essi conferito dalla Santa Sede, che ha trasmesso l'Impero Romano dai Greci ai Germani nella persona di Carlomagno. Ma d'altra parte, i principi devono riconoscere, ed attualmente essi lo riconoscono, che il diritto e l'autorità di giudicare la persona eletta come re ( e che deve essere innalzato alla dignità di imperatore ) spetta a noi che l'ungiamo, lo consacriamo e lo incoroniamo. Infatti è regola generale che l'esame della persona tocchi di diritto a colui cui spetta l'imposizione delle mani. Forse, quindi, se i principi non solo con voti divisi, ma anche all'unanimità, eleggessero re un sacrilego od uno scomunicato, un tiranno od un idiota, un eretico e un pagano, noi dovremmo ungere, consacrare ed incoronare un tale uomo? Certamente no! Ed appare ovvio dalla legge e dai precedenti che, se in una elezione i voti dei principi sono divisi, noi possiamo favorire con la dovuta ponderazione e dopo un'attesa adeguata una delle due parti, e tanta più quando ci si richiedono funzione, la consacrazione e l'incoronazione; ed è spesso accaduto che ambedue le parti ce le abbiano richieste. Dunque, se i principi, anche dopo essere stati preavvisati e garantiti di una proroga, non possono o non vogliono accordarsi, forse la Santa Sede non dovrà avere un avvocato e un difensore e la loro colpa dovrà risultare a suo danno? Poiché noi non possiamo per alcuna ragione recedere dalle nostre intenzioni e anzi vi teniamo fermamente fede, e poiché tu stesso ci hai spesso suggerito nella tua lettera di non sostenere affatto quel duca ( ossia Filippo di Hoenstaufen ) noi ora ammoniamo la tua nobiltà e con questa apostolica lettera ti ingiungiamo ( considerando che tu confidi nel nostro favore e noi speriamo nella tua devozione ) di abbandonare completamente la causa del predetto duca Filippo ad onta di qualsiasi promessa tu possa avergli fatto per il regno; poiché egli non può ottenere la dignità imperiale, essendo stato respinto, tali promesse hanno perso il loro valore. Ma invece patteggia apertamente e di atto per il re Ottone, che noi intendiamo chiamare ( con l'aiuto di Dio ) alla corona imperiale; se aderirai alla sua causa, seguendo il nostro consiglio, tu meriterai in particolare modo e tra i primi di ottenere il suo favore e la sua benevolenza, e in ciò avrai, per l'amore che portiamo alla tua nobiltà, il nostro pieno appoggio. Data in Laterano, marzo 1201 29-11-1223 Onorio III: Bolla Solet annuere sulla approvazione della Regola dei frati minori Solet annuere Bolla - Onorio III Approvazione della Regola dei frati minori I Nel Nome del Signore incomincia la vita dei Frati Minori II Di coloro che vogliono intraprendere questa vita e come devono essere ricevuti III Del divino ufficio e del digiuno e come i frati debbono andare per il mondo IV Che i frati non ricevano denari V Del modo di lavorare VI Che i frati di niente si approprino e del chiedere l'elemosina e dei frati infermi VII Della penitenza da imporsi ai frati che peccano VIII Della elezione del Ministro generale di questa fraternità e del Capitolo di Pentecoste IX Dei predicatori X Dell'ammonizione e della correzione dei frati XI Che i frati non entrino nei monasteri delle monache XII Di coloro che vanno tra i saraceni e tra gli altri infedeli Onorio, vescovo, servo dei servi di Dio, ai diletti figli, frate Francesco e agli altri frati dell'ordine dei frati minori, salute e apostolica benedizione. La Sede Apostolica suole accondiscendere ai pii voti e accordare benevolo favore agli onesti desideri dei richiedenti. Pertanto, diletti figli nel Signore, noi, accogliendo le vostre pie suppliche, vi confermiamo con l'autorità apostolica, la Regola del vostro Ordine, approvata dal nostro predecessore papa Innocenzo, di buona memoria e qui trascritta, e l'avvaloriamo con il patrocinio del presente scritto. La Regola è questa: Capitolo I - Nel Nome del Signore incomincia la vita dei Frati Minori La Regola e vita dei frati minori è questa, cioè osservare il santo Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo, vivendo in obbedienza, senza nulla di proprio e in castità. Frate Francesco promette obbedienza e reverenza al signor papa Onorio e ai suoi successori canonicamente eletti e alla Chiesa romana. E gli altri frati siano tenuti a obbedire a frate Francesco e ai suoi successori. Capitolo II - Di coloro che vogliono intraprendere questa vita e come devono essere ricevuti Se alcuni vorranno intraprendere questa vita e verranno dai nostri frati, questi li mandino dai loro ministri provinciali, ai quali soltanto e non ad altri sia concesso di ammettere i frati. I ministri, poi, diligentemente li esaminino intorno alla fede cattolica e ai sacramenti della Chiesa. E se credono tutte queste cose e le vogliono fedelmente professare e osservare fermamente fino alla fine; e non hanno mogli o, qualora le abbiano, esse siano già entrate in monastero o abbiano dato loro il permesso con l'autorizzazione del vescovo diocesano, dopo aver fatto voto di castità; e le mogli siano di tale età che non possa nascere su di loro alcun sospetto; dicano ad essi la parola del santo Vangelo ( Mt 19,21 ), che "vadano e vendano tutto quello che posseggono e procurino di darlo ai poveri". Se non potranno farlo, basta ad essi la buona volontà. E badino i frati e i loro ministri di non essere solleciti delle loro cose temporali, affinché dispongano delle loro cose liberamente, secondo l'ispirazione del Signore. Se tuttavia fosse loro chiesto un consiglio i ministri abbiano la facoltà di mandarli da persone timorate di Dio, perché con il loro consiglio i beni vengano elargiti ai poveri. Poi concedano loro i panni della prova cioè due tonache senza cappuccio e il cingolo e i pantaloni e il capperone fino al cingolo a meno che qualche volta ai ministri non sembri diversamente secondo Dio. Terminato, poi, l'anno della prova, siano ricevuti all'obbedienza, promettendo di osservare sempre questa vita e Regola. E in nessun modo sarà loro lecito di uscire da questa Religione, secondo il decreto del signor Papa; poiché, come dice il Vangelo, "nessuno che mette la mano all'aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio" ( Lc 9,62 ). E coloro che hanno già promesso obbedienza, abbiano una tonaca con il cappuccio e un'altra senza, coloro che la vorranno avere. E coloro che sono costretti da necessità possano portare calzature. E tutti i frati si vestano di abiti vili e possano rattopparli con sacco e altre pezze con la benedizione di Dio. Li ammonisco, però, e li esorto a non disprezzare e a non giudicare gli uomini che vedono vestiti di abiti molli e colorati ed usare cibi e bevande delicate, ma piuttosto ciascuno giudichi e disprezzi se stesso. Capitolo III - Del divino ufficio e del digiuno e come i frati debbono andare per il mondo I chierici recitino il divino ufficio, secondo il rito della santa Chiesa romana, eccetto il salterio, e perciò potranno avere i breviari. l laici, invece, dicano ventiquattro Pater noster per il mattutino, cinque per le lodi; per prima, terza, sesta, nona, per ciascuna di queste ore, sette; per il Vespro dodici; per compieta sette; e preghino per i defunti. E digiunino dalla festa di Tutti i Santi fino alla Natività del Signore. La santa Quaresima, invece, che incomincia dall'Epifania e dura ininterrottamente per quaranta giorni, quella che il Signore consacrò con il suo santo digiuno, coloro che volontariamente la digiunano siano benedetti dal Signore, e coloro che non vogliono non vi siano obbligati. Ma l'altra, fino alla Resurrezione del Signore, la digiunino. Negli altri tempi non siano tenuti a digiunare, se non il venerdì. Ma in caso di manifesta necessità i frati non siano tenuti al digiuno corporale. Consiglio invece, ammonisco ed esorto i miei frati nel Signore Gesù Cristo che, quando vanno per il mondo, non litighino ed evitino le dispute di parole ( 2 Tm 2,14 ), e non giudichino gli altri; ma siano miti, pacifici e modesti, mansueti e umili, parlando onestamente con tutti, così come conviene. E non debbano cavalcare se non siano costretti da evidente necessità o infermità. In qualunque casa entreranno dicano, prima di tutto: Pace a questa casa ( Lc 10,5 ); e, secondo il santo Vangelo, è loro lecito mangiare di tutti i cibi che saranno loro presentati ( Lc 10,8 ). Capitolo IV - Che i frati non ricevano denari Comando fermamente a tutti i frati che in nessun modo ricevano denari o pecunia, direttamente o per interposta persona. Tuttavia, i ministri e i custodi, ed essi soltanto, per mezzo di amici spirituali, si prendano sollecita cura per le necessità dei malati e per vestire gli altri frati, secondo i luoghi e i tempi e i paesi freddi, così come sembrerà convenire alla necessità, salvo sempre il principio, come è stato detto, che non ricevano denari o pecunia. Capitolo V - Del modo di lavorare Quei frati ai quali il Signore ha concesso la grazia di lavorare, lavorino con fedeltà e con devozione così che, allontanato l'ozio, nemico dell'anima, non spengano lo spirito della santa orazione e devozione, al quale devono servire tutte le altre cose temporali. Come ricompensa del lavoro ricevano le cose necessarie al corpo, per sé e per i loro fratelli, eccetto denari o pecunia, e questo umilmente, come conviene a servi di Dio e a seguaci della santissima povertà. Capitolo VI - Che i frati di niente si approprino e del chiedere l'elemosina e dei frati infermi I frati non si approprino di nulla, né casa, né luogo, né alcuna altra cosa. E come pellegrini e forestieri ( 1 Pt 2,11 ) in questo mondo, servendo al Signore in povertà ed umiltà, vadano per l'elemosina con fiducia. Né devono vergognarsi, perché il Signore si è fatto povero per noi in questo mondo ( 2 Cor 8,9 ). Questa è la sublimità dell'altissima povertà quella che ha costituito voi, fratelli miei carissimi, eredi e re del regno dei cieli, vi ha fatto poveri di cose e ricchi di virtù. ( Gc 2,5 ). Questa sia la vostra parte di eredità, quella che conduce fino alla terra dei viventi. ( Sal 142,6 ). E, aderendo totalmente a questa povertà, fratelli carissimi, non vogliate possedere niente altro in perpetuo sotto il cielo, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo. E ovunque sono e si incontreranno i frati, si mostrino familiari tra loro reciprocamente. E ciascuno manifesti con fiducia all'altro le sue necessità, poiché se la madre nutre e ama il suo figlio carnale ( 1 Tm 2,7 ), quanto più premurosamente uno deve amare e nutrire il suo fratello spirituale? E se uno di essi cadrà malato, gli altri frati lo devono servire come vorrebbero essere serviti essi stessi. Capitolo VII - Della penitenza da imporsi ai frati che peccano Se dei frati, per istigazione del nemico, avranno mortalmente peccato, per quei peccati per i quali sarà stato ordinato tra i frati di ricorrere ai soli ministri provinciali, i predetti frati siano tenuti a ricorrere ad essi, quanto prima potranno senza indugio. I ministri, poi, se sono sacerdoti, loro stessi impongano con misericordia ad essi la penitenza; se invece non sono sacerdoti, la facciano imporre da altri sacerdoti dell'Ordine, così come sembrerà ad essi più opportuno, secondo Dio. E devono guardarsi dall'adirarsi e turbarsi per il peccato di qualcuno, perché l'ira ed il turbamento impediscono la carità in sé e negli altri. Capitolo VIII - Della elezione del Ministro generale di questa fraternità e del Capitolo di Pentecoste Tutti i frati siano tenuti ad avere sempre uno dei frati di quest'Ordine come ministro generale e servo di tutta la fraternità e a lui devono fermamente obbedire. Alla sua morte, l'elezione del successore sia fatta dai ministri provinciali e dai custodi nel Capitolo di Pentecoste, al quale i ministri provinciali siano tenuti sempre ad intervenire, dovunque sarà stabilito dal ministro generale; e questo, una volta ogni tre anni o entro un termine maggiore o minore, così come dal predetto ministro sarà ordinato. E se talora ai ministri provinciali ed ai custodi all'unanimità sembrasse che detto ministro non fosse idoneo al servizio e alla comune utilità dei frati, i predetti frati ai quali è commessa l'elezione, siano tenuti, nel nome del Signore, ad eleggersi un altro come loro custode. Dopo il Capitolo di Pentecoste, i singoli ministri e custodi possano, se vogliono e lo credono opportuno, convocare, nello stesso anno, nei loro territori, una volta i loro frati a capitolo. Capitolo IX - Dei predicatori I frati non predichino nella diocesi di alcun vescovo qualora dallo stesso vescovo sia stato loro proibito. E nessun frate osi affatto predicare al popolo, se prima non sia stato esaminato ed approvato dal ministro generale di questa fraternità e non abbia ricevuto dal medesimo l'ufficio della predicazione. Ammonisco anche ed esorto gli stessi frati che nella loro predicazione le loro parole siano ponderate e caste a utilità e a edificazione del popolo, annunciando ai fedeli i vizi e le virtù, la pena e la gloria con brevità di discorso poiché il Signore sulla terra parlò con parole brevi. Capitolo X - Dell'ammonizione e della correzione dei frati I frati, che sono ministri e servi degli altri frati, visitino ed ammoniscano i loro frati e li correggano con umiltà e carità, non comandando ad essi niente che sia contro alla loro anima e alla nostra Regola. I frati, poi, che sono sudditi, si ricordino che per Dio hanno rinnegato la propria volontà. Perciò comando loro fermamente di obbedire ai loro ministri in tutte quelle cose che promisero al Signore di osservare e non sono contrarie all'anima e alla nostra Regola. E dovunque vi siano dei frati che si rendono conto e riconoscano di non poter osservare spiritualmente la Regola, debbano e possono ricorrere ai loro ministri. I ministri, poi, li accolgano con carità e benevolenza e li trattino con tale familiarità che quelli possano parlare e fare con essi così come parlano e fanno i padroni con i loro servi; infatti, così deve essere, che i ministri siano i servi di tutti i frati. Ammonisco, poi, ed esorto nel Signore Gesù Cristo, che si guardino i frati da ogni superbia, vana gloria, invidia, avarizia ( Lc 12,15 ), cure o preoccupazioni di questo mondo, dalla detrazione e dalla mormorazione. E coloro che non sanno di lettere, non si preoccupino di apprenderle, ma facciano attenzione che ciò che devono desiderare sopra ogni cosa è di avere lo Spirito del Signore e la sua santa operazione, di pregarlo sempre con cuore puro e di avere umiltà, pazienza nella persecuzione e nella infermità, e di amare quelli che ci perseguitano e ci riprendono e ci calunniano, poiché dice il Signore: "Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano e vi calunniano ( Mt 5,44 ). Beati quelli che sono perseguitati per la giustizia, poiché di essi e il regno dei cieli ( Mt 5,10 ). E chi persevererà fino alla fine, questi sarà salvo" ( Mt 10,22 ). Capitolo XI - Che i frati non entrino nei monasteri delle monache Comando fermamente a tutti i frati di non avere rapporti o conversazioni sospette con donne, e di non entrare in monasteri di monache, eccetto quelli ai quali è stata data dalla Sede Apostolica una speciale licenza. Né si facciano padrini di uomini o di donne affinché per questa occasione non sorga scandalo tra i frati o riguardo ai frati. Capitolo XII - Di coloro che vanno tra i saraceni e tra gli altri infedeli Quei frati che, per divina ispirazione, vorranno andare tra i Saraceni e tra gli altri infedeli, ne chiedano il permesso ai loro ministri provinciali. I ministri poi non concedano a nessuno il permesso di andarvi se non a quelli che riterranno idonei ad essere mandati. Inoltre, impongo per obbedienza ai ministri che chiedano al signor Papa uno dei cardinali della santa Chiesa romana, il quale sia governatore, protettore e correttore di questa fraternità, affinché, sempre sudditi e soggetti ai piedi della medesima santa Chiesa, stabili nella fede cattolica, osserviamo la povertà, l'umiltà e il santo Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo, che abbiamo fermamente promesso. Conferma della Regola Pertanto a nessuno, in alcun modo, sia lecito di invalidare questo scritto della nostra conferma o di opporsi ad esso con audacia e temerarietà. Se poi qualcuno presumerà di tentarlo, sappia che incorrerà nello sdegno di Dio onnipotente e dei suoi beati apostoli Pietro e Paolo. Dal Laterano, il 29 novembre 1223, anno ottavo del nostro pontificato. 17-9-1228 Gregorio IX: Bolla Privilegio della povertà a santa Chiara "Privilegio della povertà" Bolla Gregorio IX - a santa Chiara Gregorio Vescovo, servo dei servi di Dio, alle dilette figlie in Cristo Chiara e alle altre ancelle di Cristo, viventi in comune presso la chiesa di San Damiano, nella diocesi di Assisi, salute e apostolica benedizione. È noto che, volendo voi dedicarvi unicamente al Signore, avete rinunciato alla brama di beni terreni. Perciò, venduto tutto e distribuitolo ai poveri, vi proponete di non avere possessioni di sorta, seguendo in tutto le orme di colui che per noi si è fatto povero, e via e verità e vita ( Mt 19,21 ). Né, in questo proposito, vi spaventa la privazione di tante cose: perché la sinistra dello sposo celeste è sotto il vostro capo, per sorreggere la debolezza del vostro corpo, che con carità bene ordinata avete assoggettato alla legge dello spirito. E infine, colui che nutre gli uccelli del cielo e veste i gigli del campo, non vi farà mancare né il vitto né il vestito, finché nella vita eterna passerà davanti a voi e vi somministrerà se stesso, quando cioè la sua destra vi abbraccerà con gioia più grande, nella pienezza della sua visione ( Ct 2,6 ). Secondo la vostra supplica, quindi, confermiamo col beneplacito apostolico, il vostro proposito di altissima povertà, concedendovi con l'autorità della presente lettera che nessuno vi possa costringere a ricevere possessioni. Pertanto a nessuno, assolutamente, sia lecito invalidare questa scrittura della nostra concessione od opporvisi temerariamente. Se qualcuno poi presumesse di attentarlo, sappia che incorrerà nell'ira di Dio onnipotente e dei beati apostoli Pietro e Paolo. Dato a Perugia il 17 settembre, anno secondo ( 1228 ) del Nostro Pontificato. 29-9-1294 san Celestino V: Bolla della Perdonanza nella quale si concede indulgenza plenaria a tutti coloro che visiteranno la chiesa aquilana di Santa Maria di Collemaggio nel giorno della festa di san Giovanni Battista Bolla della Perdonanza Si concede indulgenza plenaria a tutti coloro che visiteranno la chiesa aquilana di Santa Maria di Collemaggio nel giorno della festa di san Giovanni Battista. Anticipazione dell'indulgenza giubilare sancita da Bonifacio VIII. 29 settembre 1294 Celestino vescovo, servo dei servi di Dio, a tutti i fedeli di Cristo che vedranno questa lettera, porge il saluto e l'apostolica benedizione. Tra le feste dei santi tanto più solennemente deve onorarsi la memoria di san Giovanni Battista in quanto egli, nascendo dal grembo di una donna sterile, fecondo di virtù, di santi doni, fonte feconda della parola degli apostoli e silenzio dei presenti, annunciò con pubblici discorsi e col segno meraviglioso del suo indice la presenza di Cristo in terra, luce del mondo immerso nelle tenebre dell'ignoranza, per la qual cosa seguì misteriosamente il suo glorioso martirio, imposto dalla visione della donna impudica. Noi, che nel giorno della Decollazione di cotesto santo, nella chiesa aquilana di Santa Maria di Collemaggio dell'ordine di san Benedetto, ricevemmo l'insegna del diadema impostoci sul capo, desideriamo che questa chiesa sia ancora più onorata e venerata con inni e canti e con le preghiere devote dei fedeli. Perciò, affinché in questa, stessa chiesa la festa della Decollazione del Battista sia elevata ci onori speciali con la devota frequenza del popolo del Signore e tanto più devotamente e assiduamente sia onorata, quanto più la semplice invocazione di coloro che si rivolgono al Signore lì trovi i gioielli della Chiesa risplendenti di doni spirituali che giovino a essi nei tabernacoli della vita eterna, tutti coloro che saranno veramente pentiti dei peccati confessati e che dai vespri della vigilia della festa fino ai vespri immediatamente seguenti la festa stessa ogni anno entreranno nella predetta chiesa, assolviamo da ogni colpa e pena che meriterebbero per i loro delitti e per tutto quel che commisero a partire dal battesimo, per la misericordia di Dio onnipotente, e confidando nell'autorità dei santi Pietro e Paolo, suoi apostoli. Dato all'Aquila, il 29 settembre del primo anno del Nostro pontificato. Celestino V 4-7-1295 Bonifacio VIII: Bolla Indulgentiarum sancti Petri de Filimini Bolla "Indulgentiarum sancti Petri de Filimini" Alla chiesa universale di Cristo, per intercessione Divina la presente lettera, Noi Ruggero di Sanseverino Arcivescovo, Attone Captanense, Strefano Oppidense, Francesco Fanense, Martorano Giacomo Treventinense, Bonifacio Parentinense, Giovanni Capodaquense, Daniele Laquedonense, Andrea Lidense, Pasquale Cassinense e Francesco Avellinese nella grazia di Dio, salutano anzitutto il vescovo nel nome del Signore, dopo di che si dispone ogni allo apostolico con la presente lettera da noi esaminata, per intercessione divina e la salvezza nel Signore, nonché per generale dovere apostolico stabiliamo dinanzi al tribunale di Cristo, rifugio del corpo di quanto portiamo sia esso un bene o se un male, di quel che quotidianamente fino all'ultimo raccolto viene dalle opere, per prevenire la vita eterna, cosicché occorre seminare nella vita terrena perché venga resa al Signore ogni nostra attività, ed affinché se ne moltiplichino i frutti e raccoglierli così in cielo. Perciò è essenziale avere la fiducia di tutti nella speranza che chi semina in parte, in parte raccoglie e chi semina nelle benedizione guadagna la benedizione della vita eterna. Or bene dunque alla chiesa del Beato Apostolo Pietro di Filimini, nella diocesi dei Marsi, desideriamo, nella fedele riverenza di Cristo, restituire a chiunque onorerà questa chiesa, con spirito di vera penitenza e vi si confesserà nella stessa festa del santo al cui nome è stata dedicata, oltre alla festa di Natale, della Pasqua, di Resurrezione e nelle quattro festività della Beata Vergine Maria, e nella domenica delle Palme, che devotamente vi si recheranno, e singolarmente a chi nei giorni di Quaresima non è mai stato nella penitenza, sia data la misericordia di Dio, purché nel rispetto di dette regole ed intenzionalmente in quei giorni, consapevolmente in ciò, vi acceda. Dato in Anagni il 4 luglio, anno primo del Nostro pontificato. Bonifacio VIII 22-2-1300 Bonifacio VIII: Antiquorum habet fide relatio Bolla di indizione del primo Giubileo Antiquorum habet fide relatio Bolla di indizione del primo Giubileo 22 febbraio 1300 Bonifacio Vescovo, servo dei servi di Dio, per la certezza dei presenti e la memoria dei futuri. C'è adesione degna di fede da parte di vecchi che a coloro, i quali accedono all'onoranda Basilica del principe degli Apostoli di Roma, sono concesse grandi missioni ed indulgenze dei peccati. Noi dunque, che secondo i doveri del nostro ufficio, ricerchiamo e procuriamo con viva soddisfazione il vantaggio dei singoli, ritenendo certe e da rispettarsi tutte queste indulgenze, queste stesse con l'autorità apostolica confermiamo, approviamo, ed anche rinnoviamo con il patrocinio di questa scrittura. E pertanto, poiché‚ i Beatissimi apostoli Pietro e Paolo più sono onorati tanto devotamente le loro Basiliche saranno affollate dai fedeli e affinché‚ gli stessi si sentano sempre più rinfrancati con un'elargizione di doni spirituali, per questo, noi accordiamo, affidandoci alla misericordia di Dio Onnipotente ed ai meriti ed alla autorità dei medesimi Apostoli, col consiglio dei nostri fratelli e nella pienezza del potere apostolico, a tutti quelli che nel presente anno mille e trecento, cominciato da poco con la festa della Natività di nostro Signore Gesù Cristo, ed in qualunque altro centesimo anno seguente accederanno alle suddette Basiliche con riverenza e veramente pentiti e confessati, ed a quelli che veramente si pentiranno in questo presente centesimo anno ed in qualunque anno centesimo avvenire, non solo pieno ed assai largo, ma anzi assai pienissimo perdono dei loro peccati. Stabiliamo che coloro i quali vogliano essere fatti partecipi di simile indulgenza da Noi concessa accedano alle suddette Basiliche, se saranno romani almeno per trenta giorni continui od intercalati ed almeno una volta al giorno; se poi saranno pellegrini o forestieri facciano allo stesso modo per quindici giorni. Ciascuno tanto più meriti e tanto più efficacemente consegna l'indulgenza se le stesse Basiliche più ampiamente e devotamente frequenterà. A nessun uomo giammai sia lecito in firmare questo pubblico atto della conferma, approvazione, innovazione, concessione e costituzione nostra, né‚ gli sia lecito con temerario ordine contraddirvi. Se poi alcun avrà avuto la presunzione di ciò, sappia che incorrerà nello sdegno di Dio Onnipotente e dei Beati Pietro e Paolo Apostoli. Dato in Roma, presso san Pietro il 22 febbraio, anno sesto del Nostro Pontificato. Bonifacio VIII 1300 Bonifacio VIII: Indulgentiarum sancti Bartolomej de Circulo Bolla sulle Indulgenze lucrabili presso la chiesa di San Bartolomeo di Cerchio nella Diocesi dei Marsi Bolla "Indulgentiarum sancti Bartolomej de Circulo" Sulle indulgenze lucrabili presso la chiesa di San Bartolomeo di Cerchio nella Diocesi dei Marsi Alla chiesa universale di Cristo per intercessione divina la presente lettera, dinanzi a noi Basilio arcivescovo Filimitano, Tommaso Etesiense, Monaldo di Civitacastellana, Giacomo Castellanense, Stefano Opitense, Nicola Di Capri, Nicola Cortibulense, Giacomo Calcedomeni, Simone Brugnatense, Angelo Nepenzino Di Valva, Giovanni Imolense, Angelo Di Sessa, Federico Valvense, Giovanni di imola, Angelo Di Sessa, Mauro di Amelia, Nicola di Vittorino, Enrico Redestense in grazia di Dio salutano il Vescovo nella grazia del Signore. A Divine lodi obbediscono le basiliche erette in titolo dei Santi, come in esse trovano dimora le orazioni in suffragio dei Beati imploranti la pace. Quanti rimangono fedeli in Cristo conseguiranno il gaudio dell'eternità e per di più a chi in terra si adopera nelle celesti mansioni di riutilizzare piccoli edifici per ivi mostrare obbedienza, il suo operato possa prepararvi l'ingresso. A chi con ardore si recherà alla chiesa di San Bartolomeo di Cerchio nella Diocesi dei Marsi e, con i dovuti onori, frequentemente vi si recherà al tempo dei lavori, gestirà in perpetuo ringraziamenti e lì intorno lamenteranno del Signore, tanto frequentemente conservando lo spirito di sacrificio, quanto avranno in loro i doni dei tesori spirituali della chiesa e nello stesso luogo ritroveranno sempre la Gerusalemme celeste in futuro. Chiunque, in vera penitenza, resa confessione nel giorno della domenica e sempre nella stessa chiesa, in occasione delle singole sottoscritte festività del Natale, della Circoncisione, dell'Epifania, della Pasqua di Resurrezione, dell'Ascensione del Signore e Pentecoste, del Natale, dell'Annunciazione, della Purificazione ed Assunzione in gloria della Beata Maria dei Beati Pietro, Paolo, Bartolomeo e degli altri Apostoli, nonché nel giorno della commemorazione di Ogni Santi, di San Nicola, di San Martino, di Sant'Agostino e dei confessori, Santo Stefano, di San Biagio, di San Lorenzo, di San Vincenzo, di San Martino, di San Michele Arcangelo, dei Santi Giovanni Battista ed Evangelista, delle Sante Caterina, Agnese, Maddalena e Lucia Vergine, di Sant'Anna ed Elisabetta e nelle ottave delle stesse festività, ogni giorno della domenica, di tutti gli anni, ed ogni giorno durante tutta la Quaresima devotamente pregando vi accederà ed a chi nelle vigilie della Beata Maria e dei Beati Giovanni Battista ed Evangelista e dei Beati Apostoli Pietro e Paolo e Bartolomeo ed in qualunque giorno del sabato, nella predetta chiesa, veglierà con riverenza, ovvero a chi nella stessa chiesa vi si recherà devotamente, cantando solennemente il Salve Regina ed a chi, nel giorno della domenica, reciterà piamente le orazioni per l'anima dei fedeli che riposano in Cristo, siccome egli è fonte di misericordia e pietà siano misericordiosamente riconosciute le indulgenze per la vita eterna. E chi provvederà alla riparazione dell'edificio all'illuminazione, agli ornamenti o ad altri servizi e manutenzioni necessari alla stessa chiesa, ovvero servirà da ausiliario nella sua cura materiale, ovvero ancora in estremo con qualunque aiuto legherà le sue disponibilità alla predetta chiesa, confidando nella misericordia ed Onnipotenza di Dio, e dei Beati Apostoli Pietro e Paolo, della Santa Vergine Maria e di tutti i Santi e singolarmente alla nostra autorità, congiuntamente rilasciamo misericordiosamente quaranta giorni di indulgenza ai penitenti, purché vi si aggiunga il consenso del Vescovo. A testimonianza di ciò facemmo apporre a questo privilegio il nostro sigillo. Dato in Roma nell'anno del Signore 1300, anno sesto del nostro pontificato. Bonifacio VIII Noi Gabriele Maccafani in relazione a quanto ritenuto dalla Sede Apostolica nella Grazia di Dio, apponiamo a questo privilegio la nostra volontà, quale Vescovo della Diocesi dei Marsi, a concedere il consenso alla stessa concessione di numero quaranta giorni su esplicita richiesta. In fede della nostra sottoscrizione apponiamo per mano nostra il sigillo. Dato in Cerchio nella casa, di Antonio Cola Pietro Ciechi di Cerchio, parroco e rettore della sunnominata chiesa di San Bartolomeo, il giorno ventiquattro marzo dell'anno del Signore 1492. Pontificato di Papa Innocenzo VIII a lode di Dio nostro santissimo Onnipotente. Vescovi sottoscrittori e componenti il Consilio pontificio in Anagni sono: Basilio Fìlimitanis Tommaso Estense, Monaldo di Civita Castellana, Giacomo Castellanense, Stefano Opitense, Nicola Di Capri, Nicolo Cortibulense Giacomo Calcedomeni, Simone Brugnatense, Angelo Nepenzino Di Valva, Giovanni Imolense, Angelo Di Sessa, Federico Valvense, Giovanni di Imola, Angelo Di Sessa, Mauro di Amelia, Nicola di Vittorino ed Enrico Redestense. 18-11-1302 Bonifacio VIII: Bolla Unam sanctam sul primato del Papa Unam sanctam Bolla sul Primato del Papa Che ci sia una ed una sola Santa Chiesa Cattolica ed Apostolica noi siamo costretti a credere ed a professare, spingendoci a ciò la nostra fede, e noi questo crediamo fermamente e con semplicità professiamo, ed anche che non ci sia salvezza e remissione dei nostri peccati fuori di lei, come lo sposo proclama nel Cantico: "Unica è la mia colomba, la mia perfetta; unica alla madre sua, senza pari per la sua genitrice", che rappresenta un corpo mistico, il cui capo è Cristo, e il capo di Cristo è Dio, e in esso c'è "un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo". Al tempo del diluvio invero una sola fu l'arca di Noè, raffigurante l'unica Chiesa; era stata costruita da un sola braccio, aveva un solo timoniere e un solo comandante, ossia Noè, e noi leggiamo che fuori di essa ogni cosa sulla terra era distrutta. Questa Chiesa noi veneriamo, e questa sola, come dice il Signore per mezzo del Profeta: "Libera, o Signore, la mia anima dalla lancia e dal furore del cane, l'unica mia". Egli pregava per l'anima, cioè per Se stesso ( per la testa e il corpo nello stesso tempo ) il quale corpo precisamente Egli chiamava la sua sola e unica Chiesa, a causa della unità di promessa di fede, sacramenti e carità della Chiesa, ossia "la veste senza cuciture" del Signore, che non fu tagliata, ma data in sorte. Perciò in questa unica e sola Chiesa ci sono un solo corpo ed una sola testa, non due, come se fosse un mostro, cioè Cristo e Pietro, vicario di Cristo e il successore di Pietro; perché il Signore disse a Pietro: "Pasci il mio gregge". "Il mio gregge" Egli disse, parlando in generale e non in particolare di questo o quel gregge; così è ben chiaro, che Egli gli affidò tutto il suo gregge. Se perciò i Greci od altri affermano di non essere stati affidati a Pietro e ai suoi successori, essi confessano di conseguenza di non essere del gregge di Cristo, perché il Signore dice in Giovanni che c'è un solo ovile, un solo e unico pastore. Noi sappiamo dalle parole del Vangelo che in questa Chiesa e nel suo potere ci sono due spade, una spirituale, cioè, ed una temporale, perché, quando gli Apostoli dissero: "Ecco qui due spade" ( che significa nella Chiesa, dato che erano gli Apostoli a parlare il Signore non rispose che erano troppe, ma che erano sufficienti ). E chi nega che la spada temporale appartenga a Pietro, ha malamente interpretato le parole del Signore, quando dice: "Rimetti la tua spada nel fodero". Quindi ambedue sono in potere della Chiesa, la spada spirituale e quella materiale; una invero deve essere impugnata per la Chiesa, l'altra dalla Chiesa; la seconda dal clero, la prima dalla mano di re o cavalieri, ma secondo il comando e la condiscendenza del clero, perché è necessario che una spada dipenda dall'altra e che l'autorità temporale sia soggetta a quella spirituale. Perché quando l'Apostolo dice: "Non c'è potere che non venga da Dio e quelli ( poteri ) che sono, sono disposti da Dio", essi non sarebbero disposti se una spada non fosse sottoposta all'altra, e, come inferiore, non fosse dall'altra ricondotta a nobilissime imprese. Poiché secondo san Dionigi è legge divina che l'inferiore sia ricondotto per l'intermedio al superiore. Dunque le cose non sono ricondotte al loro ordine alla pari immediatamente, secondo la legge dell'universo, ma le infime attraverso le intermedie e le inferiori attraverso le superiori. Ma è necessario che chiaramente affermiamo che il potere spirituale è superiore ad ogni potere terreno in dignità e nobiltà, come le cose spirituali sono superiori a quelle temporali. Il che, invero, noi possiamo chiaramente constatare con i nostri occhi dal versamento delle decime, dalla benedizione e santificazione, dal riconoscimento di tale potere e dall'esercitare il governo sopra le medesime, poiché, e la verità ne è testimonianza, il potere spirituale ha il compito di istituire il potere terreno e, se non si dimostrasse buono, di giudicarlo. Così si avvera la profezia di Geremia riguardo la Chiesa e il potere della Chiesa: "Ecco, oggi Io ti ho posto sopra le nazioni e sopra i regni" ecc. Perciò se il potere terreno erra, sarà giudicato da quello spirituale; se il potere spirituale inferiore sbaglia, sarà giudicato dal superiore; ma se erra il supremo potere spirituale, questo potrà essere giudicato solamente da Dio e non dagli uomini; del che fa testimonianza l'Apostolo: "L'uomo spirituale giudica tutte le cose; ma egli stesso non è giudicato da alcun uomo", perché questa autorità, benché data agli uomini ed esercitata dagli uomini, non è umana, ma senz'altra divina, essendo stata data a Pietro per bocca di Dio e resa inconcussa come roccia per lui ed i suoi successori, in colui che egli confessò, poiché il Signore disse allo stesso Pietro: "Qualunque cosa tu legherai…". Perciò chiunque si oppone a questo potere istituito da Dio, si oppone ai comandi di Dio, a meno che non pretenda, come i Manichei, che ci sono due principi; il che noi affermiamo falso ed eretico, poiché ( come dice Mosè non nei principi, ma "nel principio" Dio creò il cielo e la terra ). Quindi noi dichiariamo, stabiliamo, definiamo ed affermiamo che è assolutamente necessario per la salvezza di ogni creatura umana che essa sia sottomessa al Pontefice di Roma. Data in Laterano, nell'ottavo anno del nostro Pontificato, il 18 novembre 1302 Bonifacio VIII 22-3-1312 Clemente V: Vox in eccelso sulla soppressione dell'Ordine del Tempio Bolla di soppressione dell'ordine dei Templari Clemente vescovo, servo dei servi di Dio, a perpetuo ricordo dell'avvenimento. Si è udita, nell'alto, una voce di lamento, di pianto e di lutto. ( Ger 31,15 ) Poiché è venuto il tempo nel quale il Signore si lamenta per bocca del profeta: Questa casa si è trasformata per une in causa di furore e di indignazione,- e sarà tolta via dal mio cospetto per la malvagità dei suoi figli, perché essi mi provocarono all'ira, rivolgendomi le spalle, non la faccia, e collocando i loro idoli nella ( mia ) casa, nella quale è stato invocato il mio nome, per contaminarla. Costruirono alture in nome di Baal, per iniziare e consacrare i loro figli agli idoli e ai demoni. ( Ger 32,31-35 ) Hanno Peccato gravemente come nei giorni di Gabaa. ( Os 9,9 ) All'udire questa voce orrenda, e per l'orrore di tanta ignominia, - chi intese mai, infatti, una tale cosa? chi vide mai una cosa simile? - Caddi nell'udirla, mi rattristai nel vederla, il mio cuore si amareggiò, e le tenebre uni fecero rimanere stupefatto. ( Is 21,3-4 ) Infatti la voce del popolo ( sale ) dalla città, la voce ( esce ) dal tempio, ( è ) la voce del Signore che rende la mercede ai suoi nemici. ( Is 66,6 ) E il profeta è costretto ad esclamare: Da ad essi, Signore, un seno senza figli, e mammelle senza latte. ( Os 9,14 ) La loro malizia si è resa manifesta per la loro perdizione. Scacciali dalla tua casa, e si secchi la loro radice; ( Gb 18,16 ) non portino frutto; non sia più, questa casa, causa di amarezza, e spina di dolore. ( Ez 28,24 ) Non è poca, infatti, la sua infedeltà: essa che immola i suoi figli e li dà e li consacra ai demoni e non a Dio, a dèi che essi ignoravano. Quindi questa casa sarà abbandonata e oggetto di vergogna, maledetta e deserta, sconvolta, ridotta in polvere, ultimo deserto, senza vie, arido per l'ira di Dio, che ha disprezzato. Non sia abitata, ma venga ridotta in solitudine; tutti si meraviglino di essa e fischino con disprezzo sulle sue piaghe. ( Ger 50,12-13 ) Dio, infatti non ha scelto la gente per il luogo, ma il luogo per la gente. Quindi il luogo stesso del tempio partecipa dei mali del popolo: cosa che il Signore disse chiaramente a Salomone, quando questi gli edificò il tempio, e fu riempito dalla sapienza come da un fiume: Se i vostri figli si allontaneranno da me, non seguendomi e non onorandomi, ma andando dietro e onorando gli dèi degli altri, e adorandoli, li scaccerò dalla mia faccia, e li allontanerò dalla terra che diedi loro, rigetterò dal mio cospetto il tempio che resi santo col mio nome, e sarà portato di bocca in bocca, e diventerà l'esempio e la favola dei popoli. Tutti i passanti, vedendolo, si meraviglieranno, e fischieranno, e diranno: "Perché il Signore ha trattato cosi questo tempio e questa casa?" E risponderanno: "Perché si sono allontanati dal Signore, loro Dio, che li ha comprati e riscattati, ed hanno seguito Baal ed altri dèi e li hanno onorati e adorati. Per questo il Signore ha fatto si che accadesse loro questa grande disgrazia". ( 1 Re 9,6-9 ) Già dalla nostra elevazione al sommo pontificato, anche prima che ci recassimo a Lione dove abbiamo ricevuto la nostra incoronazione; e poi dopo, sia li che altrove, qualche relazione fattaci in segreto ci informava che il maestro, i priori, ed altri frati dell'ordine della milizia del Tempio di Gerusalemme, ed anche l'ordine stesso - essi che erano stati posti nelle terre d'oltremare proprio a difesa del patrimonio di Nostro Signore Gesù Cristo, e come speciali e principali difensori della fede cattolica e della Terra Santa, sembravano curare più d'ogni altro tutto ciò che riguarda la stessa Terra Santa, per cui la sacrosanta chiesa Romana, trattando gli stessi frati e l'ordine con una particolare benevolenza, li ha armati col segno della croce contro i nemici di Cristo, li ha esaltati con molti onori e li ha muniti di diverse esenzioni e privilegi; e che in molti modi ( Eb 1,1 ) erano, proprio per questo, aiutati da essa e da tutti i buoni fedeli di Cristo con moltiplicate elargizioni di beni - essi dunque contro lo stesso Signore Gesù Cristo erano caduti in una innominabile apostasia, nella scelleratezza di una vergognosa idolatria, nel peccato esecrabile dei Sodomiti e in varie altre eresie. E poiché non era verosimile e sembrava incredibile che omini tanto religiosi, i quali avevano sparso spesso il loro sangue per il nome di Cristo, e che esponevano frequentemente le loro persone ai pericoli mortali e che mostravano grandi segni di devozione sia nei divini uffici, quanto nei digiuni e in altre pratiche di devozione, fossero poi cosi incuranti della propria salvezza, da perpetrare tali enormità specie se si considera che quest'ordine ha avuto un inizio buono e santo e il favore dell'approvazione dalla sede apostolica, e che la sua regola, perché santa, degna e giusta, ha meritato di essere approvata dalla stessa sede - non volevamo prestare orecchio a queste insinuazioni e delazioni, ammaestrati dagli esempi del Signore stesso e dalle dottrine della sacra scrittura. Ma poi il nostro carissimo figlio in Cristo Filippo, illustre re dei Francesi, cui erano stati rivelati gli stessi delitti, non per febbre di avarizia - non aveva, infatti, alcuna intenzione di rivendicare o di appropriarsi dei beni dei Templari; nel suo regno, anzi, li trascurò tenendosi del tutto lontano da questo affare - ma acceso dallo zelo della vera fede, seguendo le orme illustri dei suoi progenitori, volendo istruirci ed informarci a questo riguardo, ci ha fatto pervenire per mezzo di ambasciatori o di lettere, molte e gravi informazioni. Le voci infamanti contro i Templari ed il loro ordine si facevano sempre più consistenti e persino un soldato dello stesso ordine, appartenente all'alta nobiltà, che godeva nell'ordine di non poca stima, depose dinanzi a noi, segretamente e sotto giuramento, che egli, quando fu ammesso nell'ordine, per suggerimento di chi lo ammetteva, e alla presenza di alcuni altri Templari, aveva negato Cristo ed aveva sputato sulla Croce che gli veniva mostrata da colui che lo riceveva nell'ordine. Egli disse anche di aver visto il maestro dei Templari ( che ancora vive ) ricevere nello stesso ordine d'oltremare un soldato allo stesso modo, cioè col rinnegamento di Cristo e con lo sputare sulla Croce, alla presenza di ben duecento frati dello stesso ordine, e di aver sentito che si diceva esser quello il modo normale osservato nell'ammettere i frati dello stesso ordine: cioè che, dietro suggerimento di chi riceveva o di un suo delegato a questa cerimonia, colui che veniva ammesso doveva negare Gesù Cristo, e sputare sulla Croce che gli veniva mostrata, come segno di disprezzo a Cristo crocifisso, e che sia chi ammetteva, sia chi veniva ammesso compiva altre azioni illecite e sconvenienti all'onestà cristiana, come egli stesso allora confessò dinanzi a noi. Poiché, dunque, il dovere ci spingeva a questo nostro ufficio, non abbiamo potuto fare a meno di porgere ascolto a tanti e cosi grandi clamori. Finalmente, la voce pubblica e la clamorosa denunzia del suddetto re, di duchi, conti, baroni ed altri nobili, del clero e del popolo del regno francese, che vengono alla nostra presenza proprio a questo scopo, sia personalmente che per mezzo di procuratori o di rappresentanti, ha fatto giungere alle nostre orecchie - lo diciamo con dolore - che il maestro, i priori ed altri frati di quest'ordine, e l'ordine stesso, in sé, erano coinvolti in questi ed in altri crimini, e che ciò è provato da molte confessioni, attestazioni e deposizioni dello stesso maestro, del visitatore di Francia e di molti priori e frati dell'ordine davanti a molti prelati e all'inquisitore per l'eresia - deposizioni fatte e ricevute nel regno di Francia previo interessamento dell'autorità apostolica, redatte in pubblici documenti, e mostrate a noi e ai nostri fratelli. Inoltre, questa fama e queste voci clamorose erano divenute cosi insistenti, ed avevano lasciato chiaramente capire, contro l'ordine stesso e contro i singoli membri, che la cosa non poteva ormai esser più oltre trascurata senza grave scandalo e tollerata senza imminente pericolo per la fede, noi, seguendo le orme di colui, di cui, benché indegni, facciamo le veci, qui in terra, abbiamo creduto bene dover procedere ad una inchiesta. Abbiamo, quindi, fatto venire alla nostra presenza molti priori, sacerdoti, soldati, ed altri frati di quest'ordine di non poca fama; abbiamo fatto prestar loro giuramento, li abbiamo scongiurati pressantemente per il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, invocando il divino giudizio, che in virtù di santa obbedienza - dato che si trovavano ora in luogo sicuro ed adatto, dove non c'era assolutamente nulla da temere, nonostante le confessioni fatte da essi dinanzi ad altri, per le quali noi non volevamo che ne derivasse qualche danno a coloro che le avevano fatte - dicessero sulla questione accennata la pura e semplice verità. Li abbiamo quindi interrogati su questo argomento e ne abbiamo esaminati settantadue. Ci assistevano con attenzione molti dei nostri fratelli cardinali; abbiamo fatto redigere in documento autentico le loro confessioni per mano di un notaio alla presenza nostra e dei nostri fratelli, e poi, dopo qualche giorno, le abbiamo fatte leggere alla loro presenza in Concistoro, e le abbiamo fatte esporre nella lingua volgare, a ciascuno di essi, che confermandole espressamente e spontaneamente le approvarono cosi come erano state recitate. Dopo ciò, volendo indagare personalmente su questa questione col maestro generale, con il visitatore di Francia e con i principali priori dell'ordine, ordinammo allo stesso maestro generale e al visitatore d'oltremare, e ai priori maggiori di Normandia, d'Aquitania e della provincia di Poitiers di presentarsi a noi che eravamo a Poitiers. Molti, però, erano infermi, in quel tempo, e non potevano cavalcare, né esser condotti agevolmente alla nostra presenza. Noi, allora, volendo conoscere la verità su tutto quanto e se fossero vere le loro confessioni e deposizioni, rese all'inquisitore per l'eresia nel suddetto regno di Francia, alla presenza di alcuni pubblici notai e di molte altre oneste persone, e presentate a noi e ai cardinali dallo stesso inquisitore, demmo l'incarico e ordinammo ai nostri diletti figli Berengario, allora cardinale del titolo dei SS. Nereo ed Achilleo, ora vescovo di Frascati, Stefano, cardinale del titolo di S. Ciriaco alle Terme, e Landulfo cardinale del titolo di Sant'Angelo, della cui prudenza, esperienza e fedeltà, abbiamo illimitata fiducia, perché essi col suddetto maestro generale, col visitatore e coi priori, sia contro di essi e le singole persone dell'ordine, sia contro l'ordine in quanto tale, cercassero di scoprire la verità e di farci sapere quanto avessero trovato a questo riguardo e ci riferissero e presentassero le loro confessioni e deposizioni, messe per iscritto, per mezzo di pubblico notaio, pronti a concedere allo stesso maestro, al visitatore e ai priori il beneficio dell'assoluzione dalla sentenza di scomunica, in cui avrebbero dovuto incorrere per i suddetti delitti se fossero risultati veri, qualora l'avessero chiesta umilmente e devotamente, come avrebbero dovuto. I cardinali, recandosi personalmente dal maestro generale, dal visitatore e dai priori, esposero il motivo della loro venuta. E poiché le persone di questi e degli altri Templari che si trovavano nel regno di Francia ci erano state presentate come persone che liberamente e senza timore di nessuno avrebbero manifestato pienamente e sinceramente la verità agli stessi cardinali, questi ingiunsero loro di far ciò in nome dell'autorità apostolica. Allora il maestro generale, il visitatore e i priori della Normandia, d'oltremare, d'Aquitania, della provincia di Poitiers, alla presenza dei tre cardinali, di quattro pubblici notai, e di molte altre persone degne di rispetto, prestato giuramento sui santi Evangeli, che, sull'argomento in questione avrebbero detto la pura e completa verità, alla loro presenza, uno per uno, liberamente, spontaneamente, senza alcuna costrizione o terrore, fecero la loro deposizione, e fra le altre cose confessarono di aver negato Cristo e di aver sputato sulla croce, quando furono ricevuti nell'ordine di Templari; e alcuni di essi confessarono anche di aver ricevuto molti frati nella stessa forma, esigendo, cioè, che si negasse Cristo e si sputasse sulla Croce. Alcuni di essi hanno confessato anche altri fatti orribili e vergognosi, che al presente tacciamo. Dissero anche e confessarono che quanto era contenuto nelle confessioni e deposizioni da loro fatte dinanzi all'inquisitore suddetto, era vero. Queste confessioni e deposizioni del maestro generale, del visitatore e dei priori, redatte in pubblico documento da quattro notai pubblici, alla presenza dello stesso maestro, visitatore e priori e di altre persone degne di fede, e solo dopo aver lasciato trascorrere lo spazio di alcuni giorni, furono lette agli stessi, per ordine e alla presenza dei cardinali, ed inoltre tradotte a ciascuno di essi nella propria lingua. Essi le riconobbero per proprie ed espressamente e spontaneamente le approvarono, cosi com'erano state recitate. Da queste confessioni e deposizioni, essi, in ginocchio e con le mani congiunte, umilmente, devotamente e con abbondante effusione di lacrime, chiesero ai cardinali l'assoluzione dalla scomunica, nella quale erano incorsi per i delitti predetti. I cardinali, poiché la chiesa non chiude mai il suo grembo a chi ritorna, appena il maestro, il visitatore e i priori ebbero abiurato l'eresia concessero ad essi per nostra autorità, e nella forma consueta della chiesa, il beneficio dell'assoluzione; quindi, tornando alla nostra presenza, ci presentarono le confessioni e le deposizioni del maestro, del visitatore e dei priori, redatte in pubblico documento, da persone pubbliche, com'è stato detto, e ci riferirono quello che avevano fatto coi suddetti maestro, visitatore e priori. Da queste confessioni e deposizioni trovammo che spesso il maestro, il visitatore della Terra d'oltremare e questi priori della Normandia, dell'Aquitania e della regione di Poitiers, anche se alcuni maggiormente ed altri meno, avevano mancato gravemente. E considerando che delitti cosi orrendi non avrebbero potuto né dovuto esser lasciati impuniti, senza far ingiuria a Dio onnipotente e a tutti i cattolici, chiesto consiglio ai nostri fratelli cardinali, pensammo che si dovesse fare un'inchiesta per mezzo degli ordinari locali e di altre persone fedeli e sagge, da deputarsi a ciò, sui singoli membri dello stesso ordine, e sull'ordine come tale, per mezzo di inquisitori appositamente deputati. Dopo di ciò, sia gli ordinari che quelli da noi deputati contro i singoli membri dell'ordine e gli inquisitori per l'ordine nel suo insieme hanno svolto indagini in ogni parte del mondo e le hanno infine rimesse al nostro esame. Di esse, parte furono lette con ogni diligenza ed esaminate con cura da noi in persona e dai nostri fratelli cardinali di santa romana chiesa, le altre, da molti uomini coltissimi, prudenti, fedeli, col santo timore di Dio nel cuore, zelanti della fede cattolica, e pratici, sia prelati che non prelati, presso Malaucène, nella diocesi di Vaison. Dopo ciò, giunti a Vienne, essendo già presenti moltissimi patriarchi, arcivescovi, vescovi eletti, abati, esenti e non esenti, ed altri prelati, ed inoltre procuratori di prelati assenti e di capitoli, ivi radunati per il concilio da noi convocato, Noi, dopo la prima sessione tenuta con i predetti cardinali, prelati, procuratori, in cui credemmo bene esporre loro le cause della convocazione del concilio, - poiché era difficile, anzi impossibile che i cardinali e tutti i prelati e procuratori, convenuti nel presente concilio, potessero raccogliersi alla nostra presenza per trattare sul modo di procedere riguardo al problema dei frati del predetto ordine - per nostro ordine dal numero complessivo dei prelati e dei procuratori presenti al concilio, furono scelti concordemente alcuni patriarchi, arcivescovi, vescovi, abati, esenti e non esenti, ed altri prelati e procuratori di ogni parte della cristianità, di qualsiasi lingua, nazione, regione, tra i più esperti, discreti, adatti a dare un consiglio in tale e cosi importante questione e a trattare con noi e con i suddetti cardinali un fatto cosi importante. Quindi abbiamo fatto leggere attentamente, dinanzi ai prelati e ai procuratori, per più giorni, finché essi vollero ascoltare, le attestazioni raccolte di cui abbiamo parlato, riguardanti l'inchiesta sull'ordine predetto, nella sede del concilio, cioè nella chiesa cattedrale; e in seguito queste stesse attestazioni e i riassunti che ne sono stati fatti sono state viste, lette attentamente ed esaminate da molti venerabili cardinali, dal patriarca di Aquileia, da arcivescovi e vescovi presenti al concilio, scelti e destinati a ciò da quelli che erano stati eletti del concilio con grande diligenza e sollecitudine. A questi cardinali, pertanto, patriarchi, arcivescovi, vescovi, abati, esenti e non esenti, agli altri prelati e procuratori, eletti proprio per questa questione, quando furono alla nostra presenza fu da noi rivolto il quesito in segreto, come si dovesse procedere in tale problema, tanto più che alcuni Templari si offrivano a difendere il loro ordine. Alla maggior parte dei cardinali e quasi a tutto il concilio, a quelli cioè che, come abbiamo detto, erano stati eletti dal concilio, e per questa questione rappresentano il concilio intero, insomma alla grande maggioranza, circa quattro quinti di quelli che si trovavano al concilio da ciascuna nazione, sembrò indubitato - e i prelati in questione e i procuratori diedero in tal senso il loro parere - che si dovesse concedere a quell'ordine il diritto di difesa, e che esso, sulla base di ciò che era stato provato fino a quel momento, non potesse esser condannato per quelle eresie a proposito delle quali erano state fatte le indagini contro di esso, senza offesa di Dio e oltraggio del diritto. Alcuni, invece, dicevano che quei frati non dovevano essere ammessi a difendere l'ordine, e che noi non dovevamo concedere ad essi ( tale ) facoltà. Se, infatti, dicevano, si permettesse e si concedesse la difesa dell'ordine, ne seguirebbe un pericolo per la questione stessa e non poco danno per l'aiuto alla Terra Santa. E aggiungevano molte altre ragioni. Ora, è vero che dai processi svolti contro quest'ordine, esso non può canonicamente esser dichiarato eretico con sentenza definitiva; ma lo stesso ordine, a causa di quelle eresie che gli vengono attribuite ha conseguito una pessima fama. Moltissimi suoi membri, tra cui il maestro generale, il visitatore di Francia e i priori più in vista, attraverso le loro confessioni spontanee fatte a riguardo di queste eresie sono state convinti di errori e delitti e, inoltre, le confessioni predette rendono questo ordine molto sospetto, e questa infamia e questa diffidenza lo rendono addirittura abominevole e odioso alla chiesa santa di Dio, ai suoi prelati, ai suoi re, ai principi cristiani e agli altri cattolici. Inoltre, si può verisimilmente credere che da ora in poi non si troverebbe persona disposta ad entrare in quest'ordine, e che quindi esso diverrebbe inutile alla chiesa di Dio e al proseguimento dell'impresa della Terra Santa, al cui servizio era stato destinato. Poiché dal rinvio della decisione, cioè dalla sistemazione di questa faccenda - alla cui definizione e promulgazione era stato da noi assegnato per i frati di quest'ordine un termine nel presente concilio - seguirebbe la totale perdita, distruzione e dilapidazione dei beni del Tempio, che da tempo sono stati offerti, legati, concessi dai fedeli di Cristo in aiuto della Terra Santa e per combattere i nemici della fede cristiana; considerato che secondo alcuni si deve promulgare subito la sentenza di condanna contro l'ordine dei Templari per i loro delitti, e secondo altri invece non si potrebbe sulla base dei processi già fatti contro lo stesso ordine, emettere sentenza di condanna, noi, dopo lunga e matura riflessione, avendo dinanzi agli occhi unicamente Dio e guardando solo all'utilità della Terra Santa, senza inclinare né a destra né a sinistra, abbiamo pensato bene doversi scegliere la via della decisione e della sistemazione, attraverso la quale saranno tolti gli scandali, saranno evitati i pericoli, e saranno conservati i beni in sussidio della Terra Santa. L'infamia, il sospetto, le clamorose relazioni e le altre cose già dette, tutte a sfavore dell'ordine, ed inoltre l'ammissione nascosta e clandestina dei frati dello stesso ordine, la differenza di molti di quei frati dal comune comportamento, dal modo di vivere e dai costumi degli altri cristiani, specie poi per il fatto che ammettendo nuovi membri li obbligavano a non rivelare il modo della loro ammissione, e a non uscire dall'ordine -, inducono a presumere contro di loro. Riflettendo, inoltre, che da tutto ciò è nato contro quest'ordine un grave scandalo, che difficilmente potrebbe esser messo a tacere se l'ordine continuasse ad esistere e considerando i pericoli per la fede e per le anime, e gli orribili numerosi misfatti della maggior parte dei frati dello stesso ordine e molte altre giuste ragioni e cause ci siamo dovuti risolvere alle decisioni che seguono. La maggior parte dei cardinali, e almeno quattro quinti di quelli che sono stati eletti da tutto il concilio ha ritenuto più conveniente, vantaggioso e utile per l'onore di Dio, per la conservazione della fede cristiana, per l'aiuto alla Terra Santa e per molte altre giuste ragioni che si seguisse piuttosto la via di un provvedimento della sede apostolica, sopprimendo l'ordine e assegnando i beni all'uso cui erano destinati, provvedendo anche salutarmente alle persone dello stesso ordine, che non quella del rispetto del diritto alla difesa, e della proroga di questa questione. Anche in altri casi, pur senza colpa dei frati, la chiesa romana qualche volta ha soppresso ordini di importanza assai maggiore per motivi senza paragone più modesti di quelli accennati, pertanto con amarezza e dolore, non con sentenza definitiva, ma con provvedimento apostolico, noi, con l'approvazione del santo concilio, sopprimiamo l'ordine dei Templari, la sua regola, il suo abito e il suo nome, con decreto assoluto, perenne, proibendolo per sempre, e vietando severamente che qualcuno, in seguito, entri in esso, ne assuma l'abito, lo porti, e intenda comportarsi da Templare. Se poi qualcuno facesse diversamente, incorra la sentenza di scomunica ipso facto. Quanto alle persone e agli stessi beni, li riserviamo a disposizione nostra e della sede apostolica. E ne disporremo, con la grazia divina, ad onore di Dio, ad esaltazione della fede cristiana e per il prospero stato della Terra Santa, prima della fine di questo concilio. E proibiamo assolutamente che chiunque, di qualsiasi condizione o stato esso sia, si intrometta in qualsiasi modo in ciò che riguarda tali persone o tali beni, faccia, innovi, tenti qualche cosa che porti pregiudizio, in ciò, a quanto noi, conforme a quanto abbiamo detto, ordineremo o disporremo, e stabiliamo fin da questo momento che sarà senza alcun valore e del tutto vano, se qualcuno diversamente - consapevolmente o senza saperlo - tenterà qualche cosa. Con ciò, tuttavia, non vogliamo che si deroghi ai processi fatti o da farsi circa le singole persone degli stessi Templari dai vescovi diocesani o dai concili provinciali, conforme a quanto noi abbiamo con altre disposizioni ordinato. Vienne, 22 marzo ( 1312 ), anno settimo del nostro pontificato. Sull'anima forma del corpo Aderendo fermamente al fondamento della fede cattolica, oltre il quale, al dire dell'Apostolo, nessuno può collocarne altro, ( 1 Cor 3,11 ) confessiamo apertamente con la santa madre Chiesa che l'unigenito Figlio di Dio, eternamente sussistente col Padre in tutto ciò in cui il Padre è Dio, ha assunto nel tempo, nel seno verginale ( di Maria ) le parti della nostra natura unite insieme per elevarle all'unità della sua ipostasi e della sua persona, per cui Egli, essendo in sé vero Dio, è divenuto vero uomo: l'umano corpo, cioè, passibile, e l'anima intellettiva, ossia razionale, che informa veramente il corpo per sé ed essenzialmente. E ( professiamo ) anche che in questa natura, cosi assunta, lo stesso verbo di Dio non solo volle, per la comune salvezza, essere inchiodato sulla croce e morire su di essa, ma anche emise che, già morto, il suo fianco venisse trapassato dalla lancia, perché dall'acqua e dal sangue, ( Gv 19,33-34 ) che ne fluirono, si formasse l'unica, immacolata, e vergine madre, la santa Chiesa, sposa di Cristo, come dal fianco del primo uomo addormentato fu formata, perché fosse sua sposa, Eva; ( Gen 2,20-24 ) e in tal modo alla figura del primo e vecchio Adamo, che secondo l'apostolo ( Rm 5,14 ) è figura di colui che deve venire, corrispondesse la verità nel nostro Adamo ( 1 Cor 15,45 ) cioè in Cristo. Questa, diciamo, è la verità, confermata dalla testimonianza di quell'aquila enorme che il profeta Ezechiele ( Ez 1,4-28 ) vide volare sopra gli altri animali evangelici, cioè Giovanni apostolo ed evangelista, il quale rivelando la natura e l'ordine di questo mistero, disse nel suo Vangelo: Giunti a Gesù, come lo videro già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati apri il suo fianco con la lancia, e ne uscì subito sangue ed acqua. Chi ha visto ne ha dato testimonianza e la sua testimonianza è vera; ed egli sa di dire il vero, perché voi crediate ( Gv 19,33-35 ) Noi, quindi, considerando una testimonianza cosi eccellente, e la comune sentenza dei santi padri e dei dottori con la prudenza apostolica, cui solo appartiene definire queste cose, con l'approvazione del santo concilio, dichiariamo che l'apostolo ed evangelista S. Giovanni nel narrare quanto abbiamo riferito ha rispettato il vero ordine degli avvenimenti, raccontando che uno dei soldati apri il fianco a Cristo già morto con la lancia. Inoltre, sempre con l'approvazione del santo concilio, ritroviamo come erronea e contraria alla verità della fede cattolica, ogni dottrina o tesi che asserisce temerariamente, o revoca in dubbio, che la sostanza dell'anima razionale o intellettiva non sia veramente e per sé la forma del corpo umano; e definiamo - perché sia nota a tutti la verità della pura fede e sia sbarrata la via ad ogni errore - che chiunque, in seguito, oserà asserire, difendere, o ritenere pertinacemente che l'anima razionale, cioè intellettiva, non sia la forma del corpo umano per sé ed essenzialmente, debba ritenersi come eretico. Bisogna anche che tutti ammettono fedelmente un unico battesimo che rigenera tutti i battezzati in Cristo, come vi è un solo Dio e un'unica fede. ( Ef 4,5 ) E crediamo che esso, amministrato con l'acqua nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, sia un perfetto e comune mezzo di salvezza tanto per gli adulti quanto per i bambini. Per quanto riguarda l'effetto del battesimo nei bambini, si trova che alcuni teologi hanno modi di vedere contrastanti alcuni, infatti, dicono che per effetto del battesimo ai piccoli viene rimessa la colpa, ma non viene data la grazia; altri, invece, affermano che nel battesimo viene rimessa loro la colpa e vengono infuse le virtù e la grazia santificante come abito, ma che, a causa dell'età, non ne possono usare. Noi, tenendo presente l'efficacia generale della morte di Cristo, che viene ugualmente applicata nel battesimo a tutti i battezzati, crediamo con l'approvazione del concilio, che debba scegliersi la seconda opinione, quella secondo la quale nel battesimo vengono infuse sia ai bambini che agli adulti la grazia santificante e le virtù, come più probabile, più consona e più conforme alle opinioni dei santi e dei moderni dottori di teologia. Obbligo di ricevere gli ordini sacri Per indurre a ricevere gli ordini sacri quelli che nelle cattedrale o nelle chiese collegiate secolari esercitano o eserciteranno in futuro gli uffici divini, stabiliamo che nessuno, in avvenire, possa aver voce in capitolo - anche se questa facoltà gli venisse liberamente concessa dagli altri - se non ha ricevuto almeno l'ordine del suddiaconato. Chi al presente è o sarà pacificamente in possesso di dignità, personali, uffici o prebende cui sono annessi certi ordini, nelle stesse chiese, questi, se, cessando il giusto impedimento, non avrà ricevuto tali ordini entro un anno, da allora in poi non avrà più, in nessun modo, voce nel capitolo di queste chiese, fino a che gli ordini stessi non siano stati ricevuti. Sia inoltre detratta ad essi metà delle distribuzioni che spettano a chi assiste alla recita di certe ore, nonostante qualsiasi consuetudine o statuto in contrario, rimanendo, naturalmente, in vigore le altre pene che sono stabilite nel diritto contro chi ricusa di esser promosso agli ordini sacri. Sulle Beghine Le donne che volgarmente vengono chiamate Beghine, le quali non promettono obbedienza ad alcuno, ne rinunziano ai propri beni, né professano alcuna regola approvata, non sono da considerarsi in nessun modo delle religiose, anche se indossano l'abito delle Beghine e aderiscono ad alcuni religiosi, verso i quali sono particolarmente inclinate. Ci è stato riferito che alcune di esse - quasi fuori di sé - vanno disputando e dissertando sulla santa Trinità e sulla divina essenza e introducono idee contrarie alla fede cattolica sugli articoli di fede e sui sacramenti della chiesa. Esse ingannano, inoltre, su questi argomenti molte persone semplici, traendole in vari errori, e sotto una certa apparenza di santità, fanno e commettono molte altre cose che portano pericolo per le anime; e noi, arguendo da questi fatti e da altre voci udite sulla cattiva fama che esse godono, a buon diritto le consideriamo come sospette. Quindi, con il parere favorevole del santo concilio, abbiamo creduto bene di proibire per sempre il loro stato e sopprimerlo del tutto dalla chiesa di Dio, e comandiamo espressamente a queste ed altre donne di qualsiasi genere - sotto pena di scomunica, in cui intendiamo incorrano ipso facto quelle che agiscono contrariamente - di non seguire più in nessuna maniera questo modo di vivere, forse da loro abbracciato da lungo tempo, e di non abbracciarlo ex novo. Ai religiosi, poi, cui abbiamo accennato, dai quali si dice che queste donne vengano favorite nel loro stato di beghinaggio e indotte ad abbracciarlo, proibiamo severamente sotto pena di una analoga scomunica - nella quale incorreranno per lo stesso fatto di aver agito diversamente - di ammettere in qualsiasi modo donne che o già abbiano abbracciato il predetto stato, nel modo accennato, o che intendano abbracciarlo ex novo dando loro consiglio, prestando aiuto o favore nel seguirlo o nell'abbracciarlo, senza che possano addurre contro quanto abbiamo esposto alcun privilegio. Con queste disposizioni non intendiamo certo proibire che donne piene di fede le quali, fatta o no la promessa di continenza, vivono onestamente nelle loro case, vogliano far penitenza e servire in spirito di umiltà il Dio delle virtù; ciò sia loro lecito, come il Signore le ispirerà. Sul culto cristiano Siamo scossi gravemente dalla negligenza di alcuni rettori di chiese che, mentre fa sperare nell'impunità, alimenta gravi disordini nei sudditi. Molti ministri delle chiese, rigettata la modestia propria dell'ordine clericale, mentre dovrebbero offrire a Dio il sacrificio della lode, frutto delle proprie labbra, con purezza di coscienza e devozione d'anima, usano, invece, dire o cantare le ore canoniche correndo, abbreviando, intramezzandole con discorsi estranei, e per lo più vani, profani, sconvenienti. ( Sap 5,6 ) Vanno tardi in coro, o lasciano la chiesa senza motivo sufficiente, prima della fine dell'ufficio; qualche volta portano o fanno portare uccelli; conducono con sé cani da caccia, e non conservando quasi nulla della milizia clericale, nelle vesti né nella tonsura, osano cosi, senza alcuna devozione, celebrare o assistere ai divini uffici. Alcuni, inoltre, chierici e laici, specie in certe vigilie di feste, mentre dovrebbero attendere all'orazione nelle chiese, non hanno scrupolo di fare in esse e nei cimiteri balli dissoluti, cantando canzoni e commettendo stranezze, da cui seguono poi violazioni di chiese e di cimiteri e vari fatti disonesti, e così viene spesso turbato l'ufficio ecclesiastico, con offesa della divina maestà e scandalo dei presenti. In molte chiese, inoltre, si serve il Signore con vasi sacri, vesti e paramenti sacri del tutto indecenti. Perché, dunque, questi disordini non prendano piede e non servano d'esempio ad altri, con l'approvazione del santo concilio proibiamo che si faccia tutto ciò e stabiliamo che coloro cui appartiene, e gli ordinari locali o i superiori, se si tratta di esenti, cerchino di usare ogni diligenza contro la trascuratezza, messa da parte ogni negligenza e noncuranza, circa i punti premessi da riformare, e le singole loro parti da correggere. Nelle chiese cattedrali, religiose e collegiate, nelle ore dovute si cantino devotamente i salmi, nelle altre, invece, venga celebrato degnamente e nel modo dovuto il divino ufficio diurno e notturno se intendono sfuggire all'indignazione di Dio e della sede apostolica. I renitenti siano costretti con le censure ecclesiastiche o con altri mezzi adatti, facendo si che in queste ed in altre cose di loro spettanza, relative al culto divino; alla riforma dei costumi, alla santità delle chiese e dei cimiteri, i sacri canoni, - alla cui conoscenza si applichino con uno studio diligente - vengano assolutamente osservati. Per l'insegnamento delle lingue orientali Tra i doveri che ci incombono, ci preoccupiamo continuamente di come condurre gli erranti nella via della verità e guadagnarli a Dio, con l'aiuto della sua grazia. Questo cerchiamo con vivo desiderio, i pensieri della nostra mente e uno zelo premuroso. È indubbio che per ottenere quanto desideriamo nulla sia più adatto che l'esposizione e la fedele predicazione delle sacre scritture. Ma non ignoriamo che queste verità si predicano invano se si espongono ad orecchie che non conoscono la lingua di chi parla. Imitando, quindi, l'esempio di colui, del quale, anche se indegni, facciamo le veci sulla terra, e che volle che gli apostoli, evangelizzando tutto il mondo, conoscessero ogni sorta di lingue, ( At 2,4; 1 Cor 12,30 ) desideriamo ardentemente che la santa chiesa abbondi di cattolici che conoscano le lingue, specie quelle che usano gli infedeli, cosi da sapere e potere istruire gli infedeli nelle sacre verità per aggregarli, attraverso la conoscenza della fede cristiana e l'amministrazione del battesimo, alla comunità dei cristiani. Perché, dunque, possa realizzarsi una conoscenza approfondita di queste lingue con una efficace istruzione, con l'approvazione di questo sacro concilio abbiamo disposto che dovunque venga a trovarsi la curia romana, ed inoltre negli studi di Parigi, di Oxford, di Bologna e di Salamanca, vengano istituite delle scuole per le lingue sotto indicate. In ognuno di questi luoghi vi siano dei cattolici che conoscano a sufficienza la lingua ebraica, araba e caldea, due per ciascuna lingua, che dirigano le scuole in queste università, che traducano dei libri, fedelmente, da queste lingue in latino, che le insegnino con amore agli altri, e ne trasfondano in essi con un insegnamento premuroso la conoscenza. Cosi gli allievi, sufficientemente istruiti e dotti in queste lingue, possano portare il frutto sperato, con l'aiuto di Dio, propagando la fede presso i popoli infedeli. Per gli stipendi e le spese di questi lettori presso la curia romana provveda la sede apostolica; per lo studio di Parigi, il re di Francia; per quello di Oxford, il re di Inghilterra, Scozia, Irlanda e Galles; per quello di Bologna, i prelati, i monasteri, i capitoli, i conventi, le collegiate - esenti e non esenti - e i rettori di chiese dell'Italia; per quello di Salamanca, quelli di Spagna. Ciò, imponendo ai singoli ( enti ) l'onere del contributo in proporzione delle possibilità, senza che possano, in nessun modo, essere fatti valere privilegi ed esenzioni in contrario, pur non intendendo recar loro pregiudizio riguardo ad altre cose. Sull'inquisizione Giunto alla sede apostolica il lamento di molti, che alcuni inquisitori, incaricati da essa di vigilare contro la malvagità dell'eresia, passando i limiti loro consentiti, estendono talmente i loro poteri, che ciò che è stato salutarmente destinato all'accrescimento della fede attraverso una prudente vigilanza, si risolve, invece, a danno dei fedeli, dato che sotto la scusa della pietà vengono molestati gli innocenti. Perciò, a gloria di Dio e ad aumento della fede, perché l'attività dell'inquisizione giovi quanto più l'indagine è condotta con diligenza e cautela, vogliamo che questo ufficio sia esercitato dai vescovi diocesani e dagli inquisitori incaricati dalla sede apostolica, senza alcun affetto carnale, odio, timore o attaccamento a umana utilità. Ognuno di essi potrà senza l'altro citare, arrestare, prendere e trattenere in sorveglianza e mettere in ceppi, se lo crederà opportuno di ciò rendiamo responsabile la sua coscienza - e potrà anche fare indagini contro chi riterrà necessario. Invece la condanna al carcere duro e rigoroso, adatto piuttosto a far scontare la pena, che a custodire o la decisione di sottoporre a tormenti, o l'emissione della sentenza, il vescovo e l'inquisitore potranno deciderle solo di comune accordo. Il vescovo può delegare un suo officiale, e - durante la vacanza della sede vescovile - fungerà un delegato del capitolo. Ma se il vescovo o il delegato del capitolo, durante la vacanza, non può o non vuole incontrarsi personalmente con l'inquisitore, viceversa ciò potrà avvenire per interposte persone o per iscritto. Sappiamo anche che nella custodia delle carceri per gli eretici, si sono perpetrate a lungo molte frodi, stabiliamo che ogni carcere del genere, - che del resto intendiamo che debba esser comune al vescovo e all'inquisitore, - abbia due custodi principali, discreti, attivi, fedeli, primo scelto dal vescovo, e a cui questi dovrà anche provvedere, l'altro dall'inquisitore, a cui provvederà l'inquisitore, l'uno e l'altro potrà, poi, avere sotto di sé un altro buono e fedele aiutante. Per ogni ambiente dello stesso carcere vi saranno due chiavi diverse, di cui ciascuno ne terrà una. Questi custodi, inoltre, prima di prender possesso del loro ufficio giureranno sui sacri Evangeli dinanzi al vescovo o al capitolo - durante la sede vacante - e all'inquisitore o ai loro sostituti, di usare nel custodire i carcerati affidati alla loro sorveglianza, ogni diligenza e sollecitudine. E che l'uno non dirà nulla a nessun carcerato, senza che l'altro custode lo senta anche lui. E che essi passeranno senza sottrarre nulla le razioni che i carcerati ricevono dall'amministrazione e ciò che viene loro offerto da parenti, amici, o altre persone, a meno che l'ordine del vescovo e dell'inquisitore sia diverso, e che in queste cose non commetteranno alcuna frode. Lo stesso giuramento presteranno dinanzi alle stesse persone anche gli aiutanti dei custodi, prima di iniziare il loro Ufficio. E poiché spesso i vescovi hanno carceri proprie, non comuni cioè a loro e agli inquisitori, vogliamo e comandiamo severamente che i custodi destinati dal vescovo o - durante la vacanza della sede - dal capitolo alla custodia dei carcerati per eresia e anche i loro subalterni prestino lo stesso giuramento dinanzi all'inquisitore o ai loro sostituti. Anche i notai dell'inquisizione giureranno dinanzi al vescovo e all'inquisitore o ai loro sostituti di adempiere fedelmente il loro ufficio. La stessa cosa faranno le altre persone necessarie ad eseguire questo ufficio. E poiché è altrettanto grave non fare, per sterminare tale malvagità, ciò che la sua gravità richiede quanto accollare maliziosamente tale iniquità agli innocenti, comandiamo al vescovo, all'inquisitore e a quegli altri che essi sceglieranno per tale ufficio, in virtù di santa obbedienza e sotto minaccia di eterna maledizione, di procedere contro i sospetti o gli accusati tanto discretamente e con tanta prontezza da non addossare ad alcuno, falsamente, con frode e malizia una macchia cosi grande. Se, mossi dall'odio, dal favore o dal l'amore, dal guadagno o dall'utilità temporale, emettessero, contro la giustizia e la loro coscienza, di procedere contro qualcuno, quando invece si dovrebbe agire; o se, con gli stessi intenti, addossassero a qualcuno questa colpa, oltre ad altre pene proporzionate alla qualità della loro responsabilità, il vescovo o chi è a lui superiore incorra senz'altro nella sospensione dall'ufficio per tre anni, gli altri nella scomunica. Chi fosse incorso in questa scomunica non potrà essere assolto se non dal romano pontefice, salvo che in pericolo di morte - e anche allora solo dopo previa soddisfazione - senza che in ciò possa essere invocato qualsiasi privilegio. Quanto alle altre norme stabilite dai nostri predecessori circa l'inquisizione, in quanto non contrastano col presente decreto, con l'approvazione del santo concilio vogliamo che continuino a conservare tutta la loro forza. Sui Begardi Noi che con tanto desiderio bramiamo che la fede cattolica prosperi in questi nostri tempi e che l'eretica perversità sia estirpata dai paesi fedeli abbiamo saputo, con grande dolore, che una certa setta abominevole di uomini perversi, chiamati volgarmente Begardi, e di donne rinnegate, dette Beghine, è sorta dannatamente nel regno di Alemagna per istigazione del seminatore di opere malvagie, setta che ritiene e professa con la sua dottrina sacrilega e perversa i seguenti errori. Primo, che l'uomo nella vita presente può acquistare tale grado di perfezione da divenire del tutto impeccabile, e quindi da non poter progredire più oltre nella grazia. Altrimenti - dicono - se uno potesse progredire sempre si potrebbe trovare qualcuno più perfetto di Cristo. Secondo, che quando l'uomo ha raggiunto un tale grado di perfezione non ha più bisogno né di digiunare, né di pregare, poiché allora i sensi sono soggetti perfettamente allo spirito e alla ragione, cosi che l'uomo può concedere liberamente al corpo quello che gli piace. Terzo, che quelli che si trovano in questo grado di perfezione e di libertà, non sono soggetti ad alcuna autorità umana né obbligati ad alcun precetto della chiesa, perché - dicono - dov'è lo spirito del Signore, ivi è libertà. ( 2 Cor 3,17 ) Quarto, che l'uomo può conseguire la beatitudine finale secondo ogni grado di perfezione nella vita presente, come l'otterrà nella vita beata. Quinto, che ogni natura intellettuale è beata naturalmente in sé stessa; e che l'anima non ha bisogno del lume della gloria, che la elevi a vedere Dio e a goderlo beatamente. Sesto, che esercitarsi nella virtù è proprio dell'uomo imperfetto, e che l'anima perfetta non ne ha bisogno. Settimo, che baciare una donna senza inclinazione naturale è peccato mortale; ma che l'atto carnale, se la natura vi inclina non è peccato, specie quando chi lo commette è tentato. Ottavo, che all'elevazione del Corpo di Cristo i perfetti non devono alzarsi, né mostrare alcuna riverenza, affermando che sarebbe per essi segno di imperfezione, se dalla purezza e dall'altezza della loro contemplazione discendessero tanto da meditare sul mistero o sacramento dell'eucaristia o sulla passione dell'umanità di Cristo. Dicono, inoltre, fanno e commettono alcune altre cose, sotto falsa apparenza di santità, che offendono gli occhi della divina maestà e contengono un pericolo per le anime. Ora noi, per dovere dell'ufficio che ci è stato affidato, crediamo necessario estirpare dalla chiesa cattolica questa detestabile setta e gli esecrandi suoi errori che abbiamo denunziato, perché non si propaghino più largamente e non vengano corrotte da essi le anime dei fedeli. Condanniamo pertanto, con l'approvazione del santo concilio, questa setta con i suoi errori, riprovandoli del tutto e proibendo severamente che in avvenire qualcuno possa ritenerli, approvarli o difenderli. Quelli poi che intendessero agire diversamente siano colpiti con le pene canoniche. Inoltre i vescovi e gli inquisitori per l'eresia delle regioni dove si trovano questi Begardi e queste Beghine, esercitino verso di loro diligentemente il loro ufficio, informandosi sulla loro vita, sul loro comportamento e sulle loro concezioni delle verità della fede e dei sacramenti della chiesa. E puniscano debitamente quelli che abbiano riscontrato esser colpevoli, a meno che abiurati spontaneamente i predetti errori, non si siano pentiti e non abbiano offerto la giusta soddisfazione. Sui Frati Minori Sono uscito dal Paradiso, ho detto: irrigherò il giardino delle piantagioni ( Sir 24,29 ) così dice il celeste agricoltore che, vera fonte della sapienza, Verbo di Dio, ( Sir 1,5 ) generato eternamente dal Padre e rimanendo nel Padre, ( Gv 14,10 ) ultimamente però, in questi giorni ( Eb 1,2 ) fatto carne per opera dello Spirito Santo nel seno della Vergine, ( Gv 1,14 ) è uscito, uomo, per l'opera ( Sal 104,23 ) ardua della redenzione del genere umano, presentandosi come modello della vita celeste, offrendo se stesso agli uomini. E poiché l'uomo, oppresso spesso dalle preoccupazioni della vita, allontanava la mente dalla contemplazione di questo esemplare, il vero nostro Salomone ha creato nel seno della chiesa militante, tra gli altri, un giardino della sua compiacenza, ( Ez 36,35; Gl 2,3 ) lontano dai flutti procellosi del mondo, in cui si attendesse con maggior quiete e sicurezza a contemplare e conservare queste opere esemplari di tale modello. In questo mondo entrò egli stesso per irrigarlo con le acque feconde della grazia spirituale e della dottrina. Questo giardino è la santa religione dei Frati Minori, che chiuso fermamente tutt'intorno dalle muraglie dell'osservanza regolare, contento interiormente solo di Dio, si orna abbondantemente di nuove piantagioni di figli. Venendo in questo giardino, il Figlio amato di Dio coglie la mirra della mortificante penitenza con gli aromi, ( Ct 5,1 ) che diffondono in tutti con soavissima dolcezza il profumo attraente della santità. Si tratta del modello e regola di vita celeste proposto da S. Francesco, meraviglioso confessore di Cristo, che, con la parola e con l'esempio, egli insegnò ai suoi figli ad osservare. Ma poiché i professi di questa santa regola ed i suoi zelanti devoti, come seguaci e veri figli di un tanto padre, desideravano - come dei resto desiderano ardentemente al presente - osservare senza tentennamenti in tutta la sua purezza ed integrità tale regola, accortisi che in essa vi era qualche elemento di incerta interpretazione volendo avere un chiarimento prudentemente sono ricorsi al sommo dell'apostolica dignità, perché resi certi da essa, ai cui piedi sono soggetti anche in forza della regola, potessero servire in coscienza il Signore senza alcun dubbio e con pieno amore. A queste loro pie e giuste suppliche diversi nostri predecessori, porgendo l'uno dopo l'altro l'orecchio e l'animo, chiarirono i punti della regola che sembravano dubbi, diedero alcune norme e fecero qualche concessione come sembravano richiedere la coscienza dei frati e la pura osservanza della regola. Ma poiché le coscienze timorate - che temono qualsiasi cosa che possa sviarle dalla via del Signore - sono solite temere la colpa anche dove non c'è, le coscienze dei frati non sono state del tutto quietate dai chiarimenti dati. Pertanto su alcuni punti che riguardano la loro regola e il loro stato si formano e insorgono in esse dei dubbi, giunti più volte alle nostre orecchie e sollevati in concistori pubblici e privati. Per questo motivo i frati ci hanno supplicato umilmente perché noi cercassimo di apportare ai dubbi che si sono già affacciato, o che potranno affacciarsi in futuro, il rimedio opportuno di un chiarimento della sede apostolica. Noi, quindi, il cui animo fin dalla più tenera età arse di pia devozione verso quanti hanno professato questa regola e verso l'intero ordine, ora, poi, dalla comune sollecitudine del governo pastorale che quantunque indegni, sosteniamo, siamo portati a favorirli, a farli oggetto delle nostre più dolci attenzioni e favori, tanto più ardentemente, quanto più di frequente e intensamente riflettiamo ai frutti abbondanti che dalla loro vita esemplare e dalla loro salutare dottrina vediamo continuamente derivare alla chiesa. Mossi da tali pii sentimenti, abbiamo creduto di dover porre tutta la nostra attenzione a compiere quanto ci viene chiesto e abbiamo, cosi, fatto esaminare questi dubbi da vari arcivescovi, vescovi, maestri in sacra teologia, e da altri letterati, prudenti e capaci, con ogni diligenza. Poiché all'inizio della regola si legge: "La regola e la vita dei frati Minori è questa: osservare il Vangelo del Signore Nostro Gesù Cristo, vivendo nella obbedienza, senza possedere nulla di proprio, e nella castità"; e ugualmente, poco dopo: "Terminato l'anno di probazione, siano ammessi all'obbedienza, con la promessa che osserveranno sempre questa vita e la regola"; e verso la fine della regola: "Osserviamo la povertà, l'umiltà, e il santo vangelo del nostro Signore Gesù Cristo, come abbiamo fermamente promesso"; è rimasto incerto se i frati dello stesso ordine per il fatto stesso che hanno professato la regola siano tenuti a tutti i precetti e tutti i consigli evangelici. Qualcuno, infatti, diceva essere obbligati a tutti, altri soltanto ai tre famosi, e cioè: "a vivere nella obbedienza, nella castità e senza proprietà", ed inoltre a quelle norme che nella regola sono indicate con espressioni obbligatorie. Noi, su questo punto intendiamo attenerci all'operato dei nostri predecessori e crediamo dover rispondere al dubbio proposto, - chiarendolo, però, maggiormente in qualche cosa - che, dal momento che un determinato voto deve riguardare qualcosa di certo, non si può dire che chi fa voto di osservare una regola sia tenuto, in forza di questo voto ai consigli evangelici in essa non contenuti. E che questa sia stata l'intenzione del beato Francesco, fondatore della regola, si prova da ciò: che egli incluse in essa alcuni consigli evangelici, tralasciando gli altri. Se, infatti, con quell'espressione: "La regola e la vita dei frati Minori è questa ecc." avesse avuto l'intenzione di obbligarli a tutti i consigli evangelici, sarebbe stato superfluo e vano menzionare solo alcuni nella regola e tralasciare gli altri. Poiché è nella natura del termine restrittivo di escludere quanto gli è estraneo, e di comprendere ciò che gli è proprio, noi dichiariamo e diciamo che i frati suddetti non solo sono obbligati dalla professione della loro regola all'osservanza dei tre voti in se stessi, ma anche di tutte quelle cose che conseguono dai tre voti che la regola impone. Se, infatti, quelli che promettono di osservare la regola vivendo "nella obbedienza, nella castità, e nella povertà", fossero obbligati semplicemente e nudamente solo a ciò e non anche a tutto quello che è contenuto nella regola a precisazione di questi tre punti, senza motivo e senza ragione si direbbero poi queste parole: "Prometto di osservare sempre questa regola", perché da esse non nascerebbe alcuna obbligazione. Tuttavia non è da credere che il beato Francesco volesse che i frati fossero obbligati in uguale maniera a tutto ciò che è contenuto nella regola e che precisa i tre voti o le altre cose espresse in essa. Anzi egli stesso ha distinto apertamente tra ciò la cui trasgressione è mortale in senso stretto e ciò la cui trasgressione non lo è, infatti per alcune di tali cose usa un verbo di comando o equivalente, mentre per altre si contenta di altre parole. Similmente, poiché oltre a ciò che espressamente è riferito nella regola con una parola indicante comando, esortazione o ammonizione, vi sono altre cose accompagnate da un verbo di modo imperativo, positivo o negativo, si è dubitato finora se i frati fossero tenuti a queste prescrizioni, come se esse avessero forza di precetto. E poiché ( a quanto abbiamo compreso ) questo dubbio non è diminuito, anzi è cresciuto dopo che il nostro predecessore Nicolò III, di felice memoria, ha dichiarato che gli stessi frati in forza della professione della loro regola sono tenuti a quei consigli evangelici che in essa vengono espressi a modo di comando o di proibizione, o con parole equivalenti, ed anche all'osservanza di tutte quelle norme che sono imposte loro nella regola con espressioni obbligatorie, i suddetti frati, per conservare una buona coscienza, ci hanno supplicato che ci degnassimo dichiarare quali di queste espressioni debbano considerarsi equivalenti a precetti ed obbligatorie. Noi, quindi, che amiamo le coscienze sincere, tenendo presente che nei problemi che riguardano la salvezza dell'anima per evitare gravi rimorsi di coscienza bisogna attenersi all'opinione più sicura, affermiamo che, anche se i frati non sono tenuti all'osservanza di tutte le prescrizioni per cui la regola usa verbi imperativi come di veri precetti e di quanto equivale ai precetti, tuttavia è bene che essi per l'osservanza integra e pura della regola si credano obbligati ai punti che seguono, come a norme equipollenti ai precetti. Perché poi queste norme, che possono sembrare equivalenti a precetti dal significato stesso del verbo, o almeno per la materia di cui si tratta, o anche per l'uno e per l'altro motivo, siano raccolte in compendio, dichiariamo che ciò che viene prescritto dalla regola: di non aver, cioè, più di una tunica "col cappuccio e di un'altra senza cappuccio"; cosi pure, di non portare le scarpe, e di non andare a cavallo fuori del caso di necessità; similmente, che i frati "abbiano vesti ordinarie"; che siano tenuti a digiunare il venerdì, "dalla festa di tutti i Santi fino al Natale del Signore"; che i "chierici dicano l'ufficio divino secondo l'ordine della santa chiesa romana"; che i ministri e i guardiani "abbiano molta cura per le necessità degli infermi e per rivestire i frati"; che, "se uno dei frati cade infermo, gli altri devono servirlo"; che "i frati non debbano predicare nella diocesi di un vescovo, quando fosse stato loro proibito da esso"; che "nessuno, assolutamente osi predicare al popolo, se non è stato esaminato, approvato e a ciò incaricato dal ministro generale", o dagli altri, a cui, secondo la predetta dichiarazione, compete; che "i frati che comprendessero di non poter osservare esattamente la regola, debbano e possano ricorrere ai loro Ministri"; che tutto ciò che sta nella regola a proposito dell'abito dei novizi e dei professi e del modo dell'ammissione e della professione, debba sempre intendersi secondo la regola, a meno che "non sembri, secondo Dio, doversi far diversamente" a coloro che ammettono all'ordine: tutto questo dev'essere osservato dai frati come obbligatorio. L'ordine, ugualmente, ha inteso generalmente e ritiene ab antiquo che quando si trova nella regola la parola: si osservi, questa ha forza di precetto e dev'essere osservata dai frati come tale. Poiché, però, il predetto confessore di Cristo, prescrivendo ai ministri e ai frati le modalità da osservare con quelli che sono accolti nell'ordine, dice nella regola: "Si guardino bene i frati e i loro ministri dall'esser preoccupati per le loro cose temporali, cosicché facciano liberamente di esse quello che verrà loro ispirato da Dio. I ministri, tuttavia, abbiano facoltà di mandarli da qualcuno timorato di Dio perché, secondo il loro parere, possano distribuire ai poveri i loro beni", dubitarono e dubitano molti frati se è loro lecito ricevere qualcosa dei beni di chi entra ( nel loro ordine ), se fosse loro donato; se possano indurli a donarli senza colpa alle persone e ai conventi; se i ministri stessi o i frati possano dare il loro consiglio per la distribuzione di tali cose, quando possano trovarsi altri adatti a consigliare e a cui mandare chi deve entrare. Noi, però, riflettendo attentamente che S. Francesco con quelle parole intendeva proprio allontanare completamente in modo speciale i professi della sua regola - che egli aveva fondato sulla più stretta povertà - dall'attaccamento ai beni temporali di quelli che entrano, di modo che almeno da parte degli stessi frati l'ingresso nell'ordine apparisse santo e purissimo, e non sembrasse in qualche modo che avessero l'occhio ai loro beni temporali, ma che tendessero solo a consacrarli al divino servizio, disponiamo che in futuro sia i ministri che gli altri frati debbano astenersi dall'indurli a dare ad essi e dal dar consigli circa la distribuzione dei loro beni: per questo devono esser mandati da uomini timorati di Dio di altro stato, non dai frati. Apparirà cosi a tutti che essi sono zelatori diligenti, vigilanti e perfetti della paterna istituzione, cosi salutare. Poiché, però, la regola stessa lascia libero chi entra di fare delle proprie cose quello che Dio gli ispira, non sembra illecito che essi, tenuto conto delle loro necessità e delle limitazioni della dichiarazione già fatta, possano accettare, se colui che entra volesse liberamente dare qualche cosa dei suoi beni, come elemosina, come fa con gli altri poveri. Però i frati devono essere guardinghi nell'accettare tali offerte, perché a causa della notevole quantità dei beni accettati non siano guardati con occhio sinistro. Inoltre, poiché la regola dice che "quelli che hanno promesso l'obbedienza debbano avere una tunica col cappuccio, ed un'altra senza cappuccio, se vogliono"; e similmente: che "tutti i frati abbiano vesti ordinarie" - espressioni che noi abbiamo dichiarato essere equivalenti a precetti - volendo che esse siano meglio determinate, quanto al numero delle tuniche diciamo che non è lecito usarne di più, salvo le necessità che possono sorgere dalla regola, secondo quanto chiari il nostro predecessore Nicolò. Quanto alla ordinaria qualità delle vesti, sia dell'abito che delle tuniche, crediamo che si debba intendere secondo le consuetudini, le condizioni del luogo, sia quanto al colore, sia quanto al prezzo. Non si può, infatti, stabilire un unico criterio di giudizio, in queste cose, per tutte le regioni. Affidiamo questo giudizio sulla qualità semplice della stoffa ai ministri e ai custodi o guardiani, facendoli responsabili in coscienza dell'osservanza della regola nelle loro vesti. Lasciamo ugualmente al loro giudizio di determinare per quale necessità i frati possano portare le scarpe. Dato che ai due tempi determinati dalla regola "dalla festa di tutti i Santi alla Natività del Signore", e specialmente la Quaresima, nei quali sono obbligati a digiunare, viene aggiunto nella stessa regola "negli altri tempi non siano obbligati, se non il venerdì", poiché da questo alcuni ne hanno ricavato che i frati del predetto ordine non sono tenuti ad altri digiuni, oltre questi, se non per convenienza, dichiariamo che ciò si deve intendere nel senso che essi non sono tenuti al digiuno in altri tempi, salvo i digiuni che vengono comandati dalla chiesa. Non è credibile, infatti, che l'autore della regola e chi l'ha confermata intendessero sollevarli dai digiuni, a cui per disposizione generale della chiesa sono obbligati gli altri cristiani. Inoltre, poiché il Santo, volendo sopra ogni altra cosa che i suoi frati fossero totalmente alieni dal denaro, comandò "con fermezza a tutti i frati che in nessun modo ricevessero denaro o moneta sia direttamente che per mezzo di altri", lo stesso nostro predecessore, chiarendo questo articolo determinò i casi e i modi, attenendosi ai quali non si possa e non si debba dire che i frati ricevono denaro, direttamente o per mezzo di altri, contro la regola e la purezza del loro ordine. Noi diciamo che essi sono tenuti a guardarsi dal ricorrere a chi maneggia il denaro sia pure per motivi e con modalità diverse da quelle proibite, perché non si dica a buon diritto - se facessero diversamente - che essi trasgrediscono il precetto e la regola. Quando, infatti, si proibisce qualche cosa ad uno in generale, quello che non viene concesso espressamente si intende negato. Ogni questua, quindi, di denaro, e l'accettazione di offerte in denaro nella chiesa o altrove, o colonnine o cassette destinate a ricevere il denaro di chi offre o dona, e qualsiasi altro ricorso al denaro o a chi lo ha, non concesso dalla dichiarazione predetta, tutte queste cose sono chiaramente proibite ai frati. E poiché anche il ricorso ad amici particolari viene concesso espressamente solo in due casi, secondo la regola, e cioè "per le necessità degli infermi e per poter vestire i frati"; ed il nostro predecessore, già tante volte nominato, - date le necessità della vita - ha creduto bene di estenderlo anche ad altre necessità dei frati, che per un certo tempo potessero sopravvenire ed anche accumularsi col cessare delle elemosine, sappiano i frati suddetti, che non è loro permesso ricorrere a tali amici se non per i casi determinati o per casi simili a questi, quando si trovano in cammino o altrove. E ciò sia che siano essi stessi a dare il denaro, sia che siano degli incaricati da loro, sia che siano degli inviati o depositari, o con qualsiasi altro nome vengano designati, anche se si osservassero integralmente i modi concessi dalla dichiarazione di cui abbiamo parlato. Finalmente, poiché lo stesso Santo confessore desiderava in ogni modo che quelli che professano la sua regola fossero staccati totalmente dall'affetto e dal desiderio delle cose terrene, e specialmente inesperti del denaro e del suo maneggio - come dimostra la proibizione di ricevere denaro, ripetuta più volte nella regola - bisogna che i frati, quando nei casi e nelle maniere prescritte è necessario ricorrere a quelli che hanno il denaro destinato alle loro necessità, stiano attenti con ogni diligenza e agiscano in tal modo, da mostrare a tutti di non aver nulla a che vedere, come in realtà non l'hanno, con quel denaro. Il comandare, quindi, che e come il denaro debba essere speso, chiedere il conto delle spese fatte, o richiedere in qualsiasi modo il denaro, o riporlo, o farlo riporre, tenere la cassetta del denaro o portare la sua chiave, sappiano i frati che questi e consimili atti sono per essi illeciti. Far questo, infatti, appartiene solo ai padroni, che l'hanno dato e a quelli che essi hanno destinato a ciò. Poiché, quindi, il Santo, volendo determinare la norma della povertà predetta nella sua regola, ha detto: "I frati non si approprino di nulla né della casa, né del terreno, né di qualsiasi altra cosa, ma come pellegrini forestieri, servendo il Signore, in questo mondo, nella povertà e nell'umiltà, vadano per l'elemosina con grande speranza" , alcuni nostri predecessori hanno spiegato che tale rinuncia debba intendersi sia singolarmente che in comune per cui essi hanno riservato a sé e alla chiesa romana la proprietà e il dominio di tutte le cose concesse, offerte, donate ai frati cose il cui uso, di fatto, è lecito all'ordine e ai frati stessi lasciando ad essi solo l'uso di fatto. Ora sono stati deferiti al nostro esame fatti avvenuti nell'ordine e che sembravano in contrasto col voto di povertà e con la purezza dell'ordine stesso. Cioè, per riferirci a quello che crediamo aver bisogno di rimedio: che i frati non solo sostengono di poter essere costituiti eredi, ma lo procurano; similmente, che talvolta percepiscono redditi annui in quantità cosi notevole che i conventi che li hanno possono viverci completamente; che quando nei tribunali vengono discussi i loro affari riguardanti anche cose temporali, essi sono presenti con avvocati e procuratori, e vanno personalmente a curarli; che accettano l'incarico di eseguire, ed eseguono in realtà, le ultime volontà e si intromettono talvolta nel dare disposizioni e nel fare restituzioni di interessi e di cose acquistate disonestamente; che in alcuni posti non solo hanno orti eccessivi, ma grandi vigne, da cui raccolgono erbaggi e vino da vendere; che al tempo delle messi e della vendemmia, mendicando o diversamente comprandolo, viene raccolto dai frati e riposto nelle cantine e nei granai, cosi abbondantemente grano e vino, da poter essi passare poi tranquillamente la loro vita per il resto dell'anno senza dover chiedere l'elemosina; che costruiscono o fanno costruire chiese ed altri edifici in misura eccessiva sia per la quantità, che per la singolarità della figura e della forma, e per sontuosità, cosi che sembrano non le abitazioni di poveri, ma di potenti. Hanno, inoltre, in alcuni luoghi, tanti paramenti per le loro chiese e cosi preziosi, da sorpassare le grandi chiese cattedrali. Ricevono, inoltre, senza alcuna distinzione cavalli ed armi donati loro nei funerali. La comunità dei frati, tuttavia, e specialmente i rettori dello stesso ordine affermavano che tali fatti, o almeno la maggior parte di essi, nell'ordine non avvenivano; che se si trova che qualcuno è in ciò colpevole, viene punito severamente; e che contro questi eccessi sono state già prese più volte ab antiquo disposizioni molto severe. Desiderando, quindi, provvedere alle coscienze dei frati e togliere da esse ogni dubbio, - per quanto è possibile - alle questioni proposte rispondiamo come segue. Poiché, infatti, alla autenticità della vita è essenziale che ciò che si fa esteriormente sia specchio della disposizione interiore della mente e delle abitudini, è necessario che i frati, i quali, con una rinuncia cosi grande si sono distaccati dalle cose temporali, si astengano da tutto quello che possa essere o sembrare contrario a questa rinunzia. E poiché nelle successioni passa agli eredi non solo l'uso dei beni, ma, a suo tempo, anche la proprietà, e i frati non possono acquistare nulla per sé, personalmente o per il loro ordine, dichiariamo e diciamo che, considerata la purezza del loro voto, essi sono assolutamente incapaci di tali successioni, le quali per propria natura si estendono indifferentemente al denaro ed anche ai beni mobili e immobili. Non è neppure lecito ad essi farsi lasciare e accettare il valore di queste eredità o tanta parte di esse, sotto forma di legato da potersi presumere che questo venga fatto in frode. Anzi lo proibiamo loro senza eccezione. E poiché i redditi annuali sono considerati dal diritto come immobili e ripugnano alla povertà e all'obbligo di mendicare, non c'è alcun dubbio che, considerata la loro condizione, non è lecito ai frati ricevere o avere qualsiasi reddito, come anche i possessi e il loro uso, non essendo loro concesso. Di più: le persone che tendono in modo particolare alla perfezione devono evitare non solo ciò che è ritenuto male, ma anche l'apparenza del male. Ma la frequenza dei tribunali e l'insistenza, quando si tratta di cose da volgere a loro favore inducono a credere, proprio in base a quello che appare esteriormente e da cui gli uomini giudicano, che i frati che si occupano di questi affari, cerchino qualche cosa come loro proprio. Non devono, quindi, quelli che hanno professato questo voto e questa regola immischiarsi nei tribunali e nelle cause, perché possano avere testimonianza da quelli che sono fuori, ( 1 Tm 3,7; Col 4,5; 1 Ts 4,11 ) soddisfino alla purezza del voto e si possa evitare con ciò lo scandalo del prossimo. Inoltre, poiché i frati di quest'ordine devono essere alieni non solo dal ricevere, dal possedere, dal disporre, dall'usare il denaro, ma assolutamente anche da qualsiasi maneggio di esso - come il nostro predecessore, più volte nominato, ha affermato nei chiarimenti a questa regola - e poiché i professi dell'ordine francescano per nessuna cosa temporale possono far valere in giudizio i propri diritti, non è lecito e non conviene ai frati - anzi, considerata la purezza del loro stato, devono ritenerlo piuttosto loro proibito - esporsi a esecuzioni e disposizioni, non potendo per lo più queste cose esser condotte a termine senza liti e senza maneggiare e amministrare denaro. Che, però, possano dare un consiglio in questi affari non è in contrasto col loro stato, perché con ciò non viene concessa ad essi nessuna giurisdizione circa i beni temporali, o azione in giudizio o dispensa. Quantunque non solo sia lecito, ma del tutto conforme alla ragione che i frati, i quali attendono assiduamente all'orazione e allo studio, abbiano orti e campi sufficienti al raccoglimento e alla ricreazione, ed anche, talvolta, per distrarsi corporalmente dopo questi lavori, e per avere i necessari ortaggi per sé; però avere degli orti perché vengano coltivati e se ne ricavino legittimi ed altri ortaggi da vendere, e avere delle vigne, questo è in opposizione alla regola e alla purezza dell'ordine. Secondo quanto il suddetto predecessore ha dichiarato ed anche ordinato, se fossero lasciati ai frati per legato tali beni, come per esempio un campo o una vigna da coltivare e simili, i frati dovrebbero astenersi in ogni modo dall'accettarli, perché possedere questi beni per ricavarne a suo tempo il prezzo dei frutti, si avvicina alla natura e alla forma dei proventi. Ancora, il Santo sia con gli esempi della sua vita, che con le espressioni della regola ha mostrato di volere che i suoi frati e figli, confidando nella divina provvidenza, rivolgano i propri pensieri a Dio, ( Sal 55,23; 1 Pt 5,7 ) che pasce gli uccelli del cielo, che pur non raccolgono nei granai, né seminano, né mietono. ( Mt 6,26 ) Non è quindi verosimile che volesse che avessero poi granai e dispense, mentre dovrebbero sperare di vivere con la questua d'ogni giorno. Non è, quindi, a cuor leggero che essi dovrebbero fare queste raccolte e queste conservazioni, ma solo quando fosso assai probabile, per esperienza, che essi non possano trovar in maniera diversa quanto è necessario alla vita. Lasciamo la decisione a tale riguardo ai ministri e ai custodi, sia insieme che singolarmente nel loro ufficio, col consiglio e col consenso del guardiano e di due prudenti sacerdoti del luogo e di due dei più anziani frati dell'ordine, onerando su ciò in modo particolare la loro coscienza. Inoltre, il santo ha voluto fondare i suoi frati nella più grande povertà e nella più profonda umiltà, in affetto e in effetto, - come quasi tutta la regola proclama - bisogna quindi che essi né facciano fare, né sopportino che si facciano chiese o altri edifici qualsiasi, che per il numero dei frati che l'abitano debbano considerarsi eccessivi per quantità e grandezza. Vogliamo, quindi, che dovunque, in futuro, nel loro ordine si accontentino di costruzioni semplici e modeste, affinché l'apparenza non mostri esteriormente il contrario di una povertà promessa tanto solennemente. Quantunque, inoltre, i paramenti e i vasi ecclesiastici siano destinati all'onore del nome divino, per il quale Dio stesso creò ogni cosa, Colui, tuttavia, che conosce le cose occulte, ( Dn 13,42 ) guarda principalmente all'anima di chi lo serve, non alle sue mani, né vuole che gli si serva attraverso quanto contrastasse con la condizione e lo stato dei suoi servi. Perciò devono essere loro sufficienti vasi e paramenti ecclesiastici decenti, convenienti per numero e grandezza. Ma il superfluo e l'eccessiva preziosità, e qualsiasi ricercatezza in questa come in qualunque altra cosa non possono accordarsi con la loro professione e col loro stato. Tutto ciò infatti sa di tesaurizzazione e di abbondanza e deroga apertamente, secondo il modo di giudicare umano, ad una povertà cosi grande. Vogliamo, quindi, che quanto abbiamo premesso debba esser osservato dai frati e lo comandiamo. Quanto poi alle offerte di cavalli e di armi, stabiliamo che si osservi per filo e per segno ciò che è stato definito con la dichiarazione riguardo alle elemosine in denaro. Ma da quanto abbiamo esposto è sorta tra i frati una questione, fonte di molti scrupoli; se, cioè, dalla professione della loro regola essi siano obbligati ad un uso stretto e temperato, ossia povero, delle cose: qualcuno di essi, infatti, crede e dice che, come i frati fanno col loro voto una strettissima rinunzia alla proprietà, cosi viene imposta loro una sobrietà ed una povertà massima circa l'uso; altri, invece, affermano che in forza della loro professione non sono obbligati a nessun uso povero che non sia espresso nella regola, quantunque siano tenuti all'uso moderato imposto dalla temperanza, come e più - per la convenienza - degli altri cristiani. Volendo perciò provvedere alla tranquillità di coscienza sei frati e por fine a queste contese, con questa nostra dichiarazione affermiamo che i frati Minori con la professione della loro regola sono obbligati a quegli usi poveri, indicati dalla stessa regola, e con quella obbligazione che essa contiene. Dire poi, come qualcuno afferma, che sia eretico ritenere che l'uso povero sia o non sia incluso nel voto di povertà evangelica, crediamo sia presuntuoso e temerario. Finalmente, la regola, quando stabilisce da chi e dove debba farsi l'elezione del ministro generale, non fa assolutamente alcun accenno alla elezione o costituzione dei ministri provinciali. Da ciò poteva sorgere qualche dubbio tra i frati; volendo che essi possano procedere con chiarezza e con tranquillità nel loro agire, con questa costituzione, che avrà valore perpetuo, dichiariamo, stabiliamo e comandiamo che quando si dovrà provvedere ad una provincia il ministro provinciale l'elezione di esso sia riservata al capitolo provinciale, e che questo debba farla il giorno seguente a quello in cui sia stato radunato. La conferma dell'elezione sia riservata al ministro generale. Se questa elezione fosse fatta in forma di scrutinio, e avvenisse che per la divisione dei voti si dovesse procedere a più elezioni senza un accordo, quella che sia stata fatta dalla maggioranza del capitolo numericamente considerato - senza che in ciò abbia parte alcuna il confronto o la considerazione dello zelo o del merito - nonostante qualsivoglia eccezione od opposizione della parte contraria - venga confermata o invalidata - conforme a quanto ad essi sarà sembrato opportuno secondo Dio - dal ministro generale, col consiglio dei membri scelti dell'ordine, dopo aver premesso un diligente esame. Se l'elezione fosse invalidata, torni al capitolo provinciale. Se poi il capitolo trascurasse di eleggere il ministro nel giorno predetto, la sua elezione passi liberamente al ministro generale. Se infine al suddetto ministro e al capitolo generale per motivo certo, manifesto e ragionevole sembrasse opportuno che nelle province d'oltre mare, dell'Irlanda, della Grecia, o di Roma - nelle quali finora è stato osservato un diverso modo di elezione - il ministro provinciale venga eletto dal ministro generale col consiglio di membri scelti dell'ordine, piuttosto che con l'elezione da parte del capitolo: nelle province dell'Irlanda e d'oltremare sia senz'altro osservato, per quella volta, senza inganno, amore di parte, o falsità quanto il ministro generale col consiglio dei membri prudenti suddetti avesse creduto di stabilire; nelle province Romana e Greca, invece, solo quando il ministro della provincia venisse a morire o fosse sciolto ( dal suo incarico ) al di qua del mare. Per quanto riguarda la destituzione dei ministri provinciali, vogliamo che si osservi quanto finora è stato osservato dall'ordine. Se avvenisse, inoltre, che i frati venissero a trovarsi senza il ministro generale, il vicario dell'ordine faccia quello che avrebbe dovuto fare il ministro, fino a che non si sia provveduto ad eleggere il ministro generale. Che se nei riguardi del ministro provinciale si tentasse qualche cosa di diverso ( da quanto abbiamo stabilito ), questo sarebbe ipso facto vano e inutile. 23-1-1318 Giovanni XXII: Costituzione Gloriosam Ecclesiam contro i "fraticelli" "Gloriosam Ecclesiam" Costituzione contro i "fraticelli" 23 gennaio 1318 I frati minori si erano divisi nell'interpretazione della regola di san Francesco quanto all'uso povero delle cose. I "conventuali" ammettevano proprietà comunitaria, redditi fissi e possesso di immobili, gli "spirituali" rifiutavano ciò. Alcuni degli spirituali, con l'approvazione di Celestino V, nel 1294 si erano ritirati dalle comunità fondando una propria congregazione: "i poveri eremiti", chiamati nel linguaggio popolare anche "fraticelli". L'abolizione dei decreti di Celestino V da parte di Bonifacio VIII ( 8 aprile 1295 ) li aveva privati della loro indipendenza. Essi ricusarono di riunirsi all'ordine dei frati minori, ciò che Clemente V ( Exivi de paradiso, 6 maggio 1312 ) e Giovanni XXII ( Sancta Romana Ecclesia, 30 dic. 1317 ) richiedevano. Giacché essi identificavano la loro regola e interpretazione con l'evangelo stesso, designarono Giovanni XXII, che concedeva qualche mitigazione, nemico dell'evangelo, che conseguentemente avrebbe perduto ogni potere giurisdizionale e sacerdotale. I loro errori, almeno in parte, sono desunti dalla Postilla super Apocalypsim di Pietro di Giovanni Olivi, condannata dal papa l'8 febbr. 1326. La Chiesa e i sacramenti, contro i fraticelli § 12. … I suddetti figli della temerità e dell'empietà, come dice un rapporto degno di fede, sono caduti in una tale povertà di mente, che pensano empiamente contro la luminosissima e sanitarissima verità della fede cristiana, disprezzano i venerandi sacramenti della chiesa e, spinti da un preciso impulso di cieco furore per calpestarlo più rapidamente, si scagliano contro il glorioso primato della chiesa romana, con l'intento di abbatterlo presso tutte le nazioni. […] § 14. Il primo errore dunque che erompe dalla tenebrosa officina di costoro, si immagina due chiese, una carnale, schiacciata dalle ricchezze e di ricchezze traboccante, macchiata di delitti, sulla quale asseriscono che domina il presule romano e gli altri prelati inferiori; l'altra, spirituale, pura per la semplicità, onorata per la virtù, con la veste succinta della povertà, nella quale sono accolti solo loro e i loro complici, su cui essi stessi regnano anche per il merito di una vita spirituale, se si può prestare una qualche fede alle menzogne. […] § 16. Il secondo errore di cui si macchia la coscienza dei predetti insolenti, proclama ad alta voce che i venerabili sacerdoti della chiesa e gli altri ministri sono privi della autorità di giurisdizione e di ordine, di modo che non possono né dare sentenze, né somministrare i sacramenti, né istruire e insegnare al popolo soggetto, immaginando privi di ogni potestà ecclesiastica quelli che considerano lontani dalla loro perfidia: poiché presso di loro soltanto permane ( come vaneggiano loro stessi ) sia la santità di una vita spirituale, e così anche l'autorità, e in questo seguono l'errore dei Donatisti … […] § 18. Il terzo errore di costoro si collega con l'errore dei valdesi, dato che questi e quelli affermano che non si deve giurare in nessuna situazione, insegnando che si macchiano del contagio di colpa mortale e devono sottostare alla pena, coloro ai quali fosse capitato di essere costretti a un giuramento per timore religioso. […] § 20. La quarta bestemmia di questi empi, che prorompe dalla sorgente avvelenata dei suddetti valdesi, inventa che i sacerdoti ordinati secondo il rito e in modo legittimo conforme alla norma della chiesa, gravati tuttavia di un delitto qualsiasi, non possono celebrare o conferire i sacramenti della chiesa. […] § 22. Il quinto errore a tal punto acceca le menti di questi uomini, che affermano che l'evangelo di Cristo in loro soltanto, in questo tempo, è realizzato compiutamente, e che fino ad ora ( come essi stessi vaneggiano ) era stato oscurato, o meglio del tutto estinto. […] § 24. Sono molte le altre cose che si dice che questi uomini presuntuosi vanno cianciando contro il venerabile sacramento del matrimonio, molte quelle che sul corso dei tempi e sulla fine del mondo vanno sognando, molte quelle che divulgano con infelice vanità attorno alla venuta dell'Anticristo, che affermano essere ormai presente. Tutte queste cose, poiché le riconosciamo in parte eretiche, in parte deliranti, in parte favolistiche, Noi stabiliamo che debbano essere condannate assieme ai loro autori, piuttosto che doverle incalzare o confutare con gli scritti. […] Giovanni XXII 12-11-1323 Giovanni XXII: Costituzione Cum inter nonnullos sull'errore degli Spirituali circa la povertà di Cristo Costituzione "Cum inter nonnullos" Sull'errore degli Spirituali circa la povertà di Cristo 12 novembre 1323 Errore degli Spirituali circa la povertà di Cristo Dal momento che presso non pochi maestri della scuola, capita spesso che venga messo in dubbio se si debba considerare eretico raffermare con pertinacia che il nostro Redentore e Signore Gesù Cristo e i suoi apostoli, non hanno mai posseduto nulla, né in privato e nemmeno in comune, a coloro che pensano cose diverse e anche contrarie in ordine a questo: § Noi, desiderando porre fine a questa disputa, secondo il consiglio dei Nostri fratelli, con questo editto di carattere generale, dichiariamo che una tale pertinace affermazione, da questo momento in poi, dovrà essere ritenuta erronea ed eretica, - dal momento che contraddice chiaramente la sacra Scrittura che in parecchi luoghi afferma che costoro hanno posseduto alcune cose, e dato che afferma apertamente che la stessa Sacra Scrittura, in virtù della quale soprattutto vengono dimostrati gli articoli della fede ortodossa, contiene, per quel che riguarda le cose suddette, un fermento di menzogna, e dato che, in conseguenza, per quanto la riguarda, svuotando totalmente la sua credibilità, rende la fede cattolica, togliendo via la sua argomentazione probante, dubbia e incerta -. § E così anche, per l'avvenire, ( deve essere ritenuto erroneo ed eretico ) affermare con pertinacia che al Redentore nostro sopra nominato e ai suoi Apostoli, non sia spettato in alcun modo il diritto di usare quelle cose che la Sacra Scrittura attesta che essi stessi possedevano, e che essi non abbiano avuto neppure il diritto di venderle o donarle o anche di acquistare con queste altre cose, e questo invece, in riferimento alle cose suddette, la sacra Scrittura attesta che loro stessi hanno fatto, o afferma chiaramente che avrebbero potuto fare; dal momento che una tale affermazione include in modo evidente un comportamento e azioni degli stessi, nelle cose prima dette, non conformi a verità, - poiché in ogni caso sul comportamento pratico, sulle azioni o sui fatti del nostro Redentore Figlio di Dio è cosa scellerata pensare in modo contrario alla Sacra Scrittura e ostile alla dottrina cattolica -, dichiariamo, secondo il consiglio dei Nostri fratelli, che questa stessa pertinace affermazione, dovrà essere ritenuta a buon diritto, d'ora in avanti, erronea ed eretica. Giovanni XXII 23-10-1327 Giovanni XXII: Bolla Licet iuxta doctrinam. Condanna degli errori di Marsilio da Padova sulla costituzione della Chiesa "Licet iuxta doctrinam" Bolla al vescovo di Worcester, sugli errori di Marsilio da Padova 23 ott. 1327 Questa bolla respinge gli errori di un regalismo estremo contenuti nel Defensor pacis del maestro parigino Marsilio da Padova. L'opera fu terminata nel 1324, ma pubblicata solo nel 1326. Si è incerti se Giovanni de Janduno ne sia coautore. La bolla riporta gli asserti erronei non letteralmente, ma secondo il loro senso. Vengono elencati due volte: una volta nella parte principale della bolla e un po' variati alla fine della bolla stessa. Essi vengono condannati in quest'ultima forma. Il testo qui riportato presenta perciò questa seconda forma. Per comando di Benedetto XII il Defensor pacis fu di nuovo sottoposto a un esame, che Clemente VI concluse nell'anno 1343 respingendo 240 tesi. Errori di Marsilio da Padova sulla costituzione della chiesa § Quello che si legge riguardo a Cristo nel Vangelo del beato Matteo ( Mt 17,27 ), e cioè che lui stesso pagò il tributo a Cesare quando, a quelli che chiedevano una doppia dracma, ordinò di dare uno statere preso dalla bocca del pesce, questo lui fece non per condiscendenza e per la benevolenza della sua pietà, ma costretto da necessità. § Il beato Pietro Apostolo non fu capo della chiesa più che ciascuno degli altri Apostoli, e non ebbe maggiore autorità di quella che ebbero gli altri Apostoli, e Cristo non assegnò nessun capo alla chiesa, e non fece nessuno suo vicario. § Spetta all'imperatore correggere e punire il papa, istituirlo e destituirlo. § Tutti i sacerdoti, sia il papa, sia un arcivescovo, sia un qualsiasi semplice sacerdote, hanno, in forza dell'istituzione di Cristo, uguale autorità e giurisdizione; quello poi che uno ha più di un altro, questo è secondo quanto l'Imperatore ha concesso in più o in meno, e, così come ha concesso, può anche revocare. § Il papa o anche tutta la chiesa presa nel suo insieme, non può punire con punizione costrittiva nessun uomo, scellerato quanto si voglia, salvo che l'Imperatore non ne dia loro l'autorità. [ Censura: Gli articoli suddetti ] … Noi dichiariamo, in forma di sentenza, in quanto contrari alla sacra Scrittura e nemici della fede cattolica, eretici, cioè conformi a eresia ed erronei, e così anche che i suddetti Marsilio e Giovanni sono eretici, o meglio manifesti e notori eresiarchi. Giovanni XXII 27-3-1329 Giovanni XXII: Costituzione In agro dominico. Errori di Eckhart sulla relazione di Dio col mondo e con l'uomo Costituzione "In agro dominico" Errori di Eckhart sulla relazione di Dio col mondo e con l'uomo 27 marzo 1329 In seguito a un'inchiesta condotta dapprima … per ordine… dell'arcivescovo di Colonia e infine ripresa su Nostro ordine nella curia romana, abbiamo accertato che risulta in modo evidente in forza della confessione dello stesso Eckhart che egli ha predicato, insegnato e scritto ventisei articoli, che hanno la seguente formulazione: (1) Interrogato una volta per quale ragione Dio non abbia formato il mondo prima, rispose allora, come ora, che Dio non ha potuto formare il mondo in un tempo precedente perché una cosa non può operare prima di essere; onde per cui non appena Dio fu, subito creò il mondo. (2) Ugualmente si può ammettere che il mondo esista dall'eternità. (3) Ugualmente, insieme e una volta per tutte, quando Dio fu, quando Dio generò il Figlio a sé coeterno e totalmente uguale in tutto, creò anche il mondo. (4) Ugualmente, in ogni opera, anche cattiva, cattiva dico sia della pena che della colpa, si manifesta e risplende in ugual modo la gloria di Dio. (5) Ugualmente, colui che insulta qualcuno con un insulto, con lo stesso peccato di insulto rende lode a Dio, e quanto più insulta e più gravemente pecca, tanto più rende lode a Dio. (6) Ugualmente, colui che bestemmia Dio stesso, rende lode a Dio. (7) Ugualmente, colui che chiede questa o quella cosa, chiede il male e in malo modo, perché chiede la negazione del bene e la negazione di Dio, e prega che Dio gli si neghi. (8) Coloro che non si rivolgono alle cose, né agli onori, né all'utilità, né alla devozione interna, né alla santità, né al premio, né al regno dei cieli, ma a tutte queste cose hanno rinunciato, e anche a ciò che è loro proprio, in questi uomini Dio è onorato. (9) Ho pensato ultimamente, se mai io volessi ricevere qualcosa da Dio o desiderare: io voglio riflettere molto bene su questa cosa, perché quando io fossi uno che riceve da Dio, in quel momento io sarei sotto di lui o più in basso di lui, come uno schiavo o un servo, e lui stesso come un padrone nel suo dare, e così noi non dobbiamo essere nella vita eterna. (10) Noi siamo totalmente trasformati in Dio e siamo in lui commutati; in modo simile, come nel sacramento il pane è commutato nel corpo di Cristo, così io sono commutato in lui, poiché lui stesso mi fa essere uno con se stesso, non simile. Da parte del Dio vivente, è vero che lì non c'è alcuna distinzione. (11) Tutto ciò che Dio Padre ha dato al suo unigenito Figlio nella natura umana, tutto questo ha dato a me. In questo non escludo nulla, né l'unione, né la santità, ma tutto egli ha dato a me come a lui. (12) Tutto ciò che la sacra Scrittura dice di Cristo, tutto questo si dimostra vero anche di ogni uomo buono e divino. (13) Tutto ciò che è proprio della natura divina, tutto questo è proprio dell'uomo giusto e divino; per questo motivo, quest'uomo opera tutto ciò che Dio opera, ed egli ha creato insieme a Dio il cielo e la terra, ed è colui che genera il Verbo eterno, e Dio senza un simile uomo non saprebbe fare nulla. (14) L'uomo buono deve conformare la sua volontà alla volontà divina in modo tale che lui stesso voglia ciò che Dio vuole. Poiché Dio vuole che io in un qualche modo abbia peccato, io non vorrei mai non aver commesso peccati, e questa è la vera penitenza. (15) Se un uomo avesse commesso mille peccati mortali, se un tale uomo fosse rettamente disposto, non dovrebbe volere di non averli commessi. (16) Dio non comanda propriamente un atto esteriore. (17) Un atto esteriore non è propriamente né buono né divino, e Dio propriamente non lo compie né lo produce. (18) Noi non portiamo il frutto degli atti esteriori, che non ci rendono buoni, ma degli atti interiori, che il Padre, che in noi dimora, fa e compie. (19) Dio ama le anime, non le opere all'esterno. (20) L'uomo buono è il Figlio di Dio unigenito. (21) L'uomo nobile è quel Figlio di Dio unigenito che il Padre ha generato dall'eternità. (22) Il Padre genera me come figlio suo e come il medesimo figlio. Qualsiasi cosa Dio opera, questa è uno; per questo egli mi genera come suo figlio, senza nessuna distinzione. (23) Dio è uno in tutti i modi e secondo ogni punto di vista, di modo che in lui stesso non si può trovare una qualche molteplicità, nell'intelletto o fuori dall'intelletto. Colui infatti che vede una dualità o vede una distinzione, non vede Dio; Dio infatti è uno al di fuori del numero e al di sopra del numero, né si compone nell'unità con qualcun altro. Ne segue [ ben inteso in un passo successivo ]: dunque in Dio stesso non può esserci e non può essere pensata nessuna distinzione. (24) Ogni distinzione è estranea a Dio, sia nella natura che nelle persone; lo si dimostra: perché la natura stessa è una e questo uno, e qualsiasi persona è una e questo stesso uno, ciò ( è ) la natura. (25) Quando viene detto: "Simone, mi ami tu più di costoro?" ( Gv 21,15 ), il senso è questo, cioè me più che loro, ed è senza dubbio bene, ma non è perfetto. Infatti nel primo e nel secondo, e nel più e nel meno c'è una gradazione e un ordine, nell'uno invece non c'è né gradazione né ordine. Colui dunque che ama Dio più di quanto ami il prossimo, fa senza dubbio bene, ma non ancora in modo perfetto. (26) Tutte le creature sono un puro nulla: non dico che sono un qualcosa di piccolo o un qualcosa, ma che sono un puro nulla. Inoltre fu imputato al suddetto Eckhart di aver predicato altri due articoli con queste parole: (1) C'è qualcosa nell'anima di increato e di increabile; se tutta l'anima fosse di tal genere, sarebbe increata e increabile, e questo è l'intelletto. (2) Dio non è buono, né migliore, né ottimo; ogni qual volta io chiamo Dio buono, io mi esprimo così in modo erroneo, come se chiamassi il bianco nero. [ Censura: ] … Poiché Noi… abbiamo trovato che i primi quindici articoli menzionati e anche gli altri ultimi due, sia dal tono delle loro parole che dalla connessione dei loro concetti, contengono l'errore o piuttosto la macchia dell'eresia, e abbiamo anche constatato che gli altri undici, il primo dei quali comincia "Dio non comanda" ecc. ( prop. 16 ), risuonano in modo troppo equivoco e sono fortemente temerari e sospetti di eresia, anche se con molte chiarificazioni e con molte aggiunte sono in grado di formare o di avere un senso cattolico: affinché articoli di tal fatta o meglio le cose in essi contenute non possano più oltre corrompere i cuori delle persone semplici presso cui furono predicati, … Noi … condanniamo e respingiamo chiaramente i sunnominati primi quindici articoli e gli altri ultimi due come eretici, e anche gli altri undici nominati, come risuonanti in modo equivoco, temerari e sospetti di eresia, e così anche qualsiasi libro od opuscolo dello stesso Eckahrt che contenga i sunnominati articoli o qualcuno di loro. … D'altra parte … vogliamo che sia noto, come consta dal pubblico documento in seguito elaborato, che il sunnominato Eckahrt al termine della sua vita, professando la fede cattolica, i suddetti ventisei articoli che confessò di aver predicato, e anche tutte le altre cose da lui scritte e insegnate …, cose che possono generare nelle menti dei fedeli un giudizio eretico o erroneo e nemico della vera fede, ha ritrattato e anche condannato in quanto a quel giudizio …, sottomettendo se stesso, i suoi scritti e tutte le cose dette al modo di pensare della sede apostolica e Nostro. Giovanni XXII 3-12-1334 Benedetto XII: Bolla Ne super his. Ritrattazione di Giovanni XXII sulla beatitudine dei santi Bolla "Ne super his" Ritrattazione di Giovanni XXII sulla beatitudine dei santi 3 dicembre 1334 Affinché, a proposito di quelle cose che sulle anime purificate separate dai corpi ( se cioè prima della riassunzione dei corpi esse vedano la divina essenza con quella visione che l'apostolo chiama faccia a faccia ) spesso sono state dette sia da parte Nostra, sia da non pochi altri in Nostra presenza, citando la sacra Scrittura e i detti originali dei santi o altrimenti ragionando, non accada che siano introdotte nelle orecchie dei fedeli cose diverse da quelle che da Noi sono state dette o intese, o sono ora dette e intese, ecco che Noi dichiariamo, nel contesto del presente scritto, così come segue, il Nostro pensiero che, riguardo a queste cose, noi abbiamo e abbiamo avuto in comunione con la santa chiesa cattolica. Noi confessiamo dunque e crediamo che le anime purificate separate dai corpi sono in cielo, nel regno dei cieli e in paradiso, raccolte insieme con Cristo nella comunione degli angeli e che, conforme alla condizione comune, vedono chiaramente Dio e la divina essenza faccia a faccia, per quanto lo permette lo stato e la condizione di anima separata. Se poi altre cose o in altro modo, a proposito di questa materia, in una qualsiasi circostanza da Noi fossero state dette. Noi quelle cose le abbiamo dette e affermiamo di averle dette e vogliamo che siano state dette, citando e discorrendo, secondo il modo di sentire della chiesa cattolica. Inoltre se Noi, in ordine a ciò che riguarda la fede cattolica, la sacra Scrittura o i buoni costumi, predicando, discorrendo, formulando una dottrina, insegnando o in qualsiasi altro modo, abbiamo detto altre cose, queste, se sono conformi alla fede cattolica, al modo di sentire della chiesa, alla sacra Scrittura e ai buoni costumi, Noi le approviamo. In caso contrario invece, Noi quelle cose vogliamo ritenerle come non dette e non le approviamo per nulla, ma, in quanto fossero dissonanti dalla fede cattolica, dal modo di sentire della chiesa, dalla sacra Scrittura o dai buoni costumi o da uno qualsiasi di questi. Noi le riproviamo. E ugualmente sottomettiamo al modo di sentire della chiesa e dei Nostri successori, tutte le Nostre cose dette o scritte, relative a qualsiasi argomento in ogni sua parte e in qualunque luogo e in qualunque condizione che abbiamo o abbiamo avuto finora. Benedetto XII 8-4-1374 Gregorio XI: Bolla Salvator humani generis all'arcivescovo di Riga Salvator humani generis All'arcivescovo di Riga e ai suoi suffraganei 8 aprile 1374 Lo Speculum Soxonicum ( in tedesco Sachsenspiegel ) di Eike von Repgow, scritto prima in latino ( dopo il 1221 ) è andato perduto e fu tradotto più tardi nella lingua tedesca della Germania inferiore ( tra il 1224 e il 1228 ). È considerato la collezione giuridica più significativa del medioevo tedesco. Esercitò grande influsso soprattutto nella Germania del sud ( "Specchio svevo" ). Tuttavia giacché alcuni dei suoi princìpi erano in contrasto con la dottrina cristiana, Giovanni Klenkok OESA fece pressione sul papa affinché ne disapprovasse 14 articoli. Gregorio XI acconsentì al suo desiderio con questa bolla diretta all'arcivescovo di Riga e ai suoi vescovi suffraganei della Livonia e della Prussia. Nella stessa questione si rivolse anche con la lettera del 15 ott. 1374 ( MaC 23,157-162 ) all'imperatore Carlo IV. Princìpi giuridici erronei contenuti nello "Specchio sassone" A tutti i fedeli cristiani Noi ordiniamo, mediante scritti apostolici, di non fare uso d'ora in avanti di questi scritti o di queste leggi riprovate …: (Art. 1) Qualsiasi cosa un uomo abbia fatto contrariamente alla giustizia, per quanto questo sia manifesto, egli potrà liberarsi per mezzo di un suo giuramento, e contro questo non avrà valore nessuna testimonianza. (6) Se qualcuno è stato ucciso in una rapina o in un furto, e a suo favore un parente dell'ucciso si offre per un duello, questo tale per mezzo del duello respinge ogni testimonianza, e allora la morte di quel tale non potrà più essere provata senza duello. (7) Se due persone pronunciano contemporaneamente in giudizio affermazioni contrarie, colui che abbia avuto un seguito maggiore, questi otterrà la sentenza. (8) Chiunque viene chiamato in duello secondo la norma di questo libro, questi non può rifiutare il duello, salvo che colui che così chiama sia nato in condizioni meno buone di colui che è chiamato. (9) Chiunque ha perduto il suo diritto a motivo di un furto o di una rapina, questi, se viene accusato una seconda volta di furto o di rapina, non può liberarsi con un giuramento, e ha invece la scelta del ferro rovente o dell'acqua bollente o del duello. L'ultima parte invero di questo articolo, quella che concede la scelta del ferro rovente ecc., è erronea. (12) L'erede non è tenuto a rispondere del furto o della rapina perpetrata da colui cui succede nell'eredità: questo è erroneo per lo meno nel foro della coscienza. [ Censura: gli scritti siano condannati in quanto ] falsi, temerari, iniqui e ingiusti, e in alcune parti anche eretici e scismatici, risultando contrari ai buoni costumi e pericolosi per le anime. Gregorio XI 22-5-1377 Urbano VI: Lettera Super periculosis ai vescovi di Canterbury e Londra sugli errori di John Wyclif circa il potere della Chiesa "Super periculosis" Lettera ai vescovi di Canterbury e Londra sugli errori di John Wyclif circa il potere della Chiesa 22 maggio 1377 Condanna degli errori di John Wyclif John Wyclif ( anche Wiclif, Wiclef, Wicleffo ) fu accusato nel febbraio 1377 presso il vescovo William Courtenay di Londra a motivo di diversi errori circa il potere della Chiesa. Dato che la citazione non ebbe risultato, furono mandate al papa 19 proposizioni scelte dalle sue lezioni ( all'università di Oxford ) e dai suoi scritti ( particolarmente il De civili dominio ), che furono respinte dal papa come erronee. Errori di John Wyclif sul potere nelle cose temporali 1. L'intero genere umano nella sua totalità, a eccezione di Cristo, non ha la potestà di disporre in modo assoluto che Pietro e tutta la sua discendenza possa dominare politicamente in perpetuo sul mondo. 2. Dio non può dare a nessun uomo, per sé e per i suoi eredi, il dominio civile in perpetuo. 3. Documenti dell'umanità che siano stati ritrovati in relazione a un'eredità civile perpetua, sono impossibili. 4. Chiunque si trovi a vivere in grazia in modo riconoscente e fedele, non solo ne ha il diritto, ma ha realmente tutti i doni di Dio. 5. L'uomo può dare solo come servizio, sia al figlio naturale che a quello dell'imitazione nella scuola di Cristo, tanto il dominio temporale che quello eterno. 6. Se c'è Dio, i signori temporali possono sottrarre, in modo legittimo e meritorio, alla chiesa che commette errori i beni patrimoniali. 7. Se poi ora la chiesa sia o no in tale stato, non è compito mio il discuterlo, ma lo debbono esaminare i signori temporali, e, ammesso il caso, debbono agire coraggiosamente, e, sotto pena di eterna dannazione, debbono sottrarle i suoi beni temporali. 8. Noi sappiamo che non è possibile che il vicario di Cristo, unicamente in forza delle bolle sue o di quelle poste con la volontà e il consenso suo e del suo collegio, possa rendere qualcuno capace o non capace. 9. Non è possibile scomunicare un uomo, salvo che non si sia prima e principalmente scomunicato da se stesso. 10. Nessuno è scomunicato, sospeso o punito con altre censure a suo danno, se non per ciò che riguarda Dio. 11. La maledizione o la scomunica non colpisce in modo generale, ma soltanto quando è portata contro un avversario della legge di Cristo. 12. Non c'è una testimonianza data da Cristo ai suoi discepoli della potestà di scomunicare i sudditi, particolarmente a motivo della negazione dei beni temporali, ma piuttosto il contrario. 13. I discepoli di Cristo non hanno la potestà di esigere con la forza i beni temporali per mezzo di censure. 14. Non è possibile, secondo l'assoluta potenza di Dio, che se il papa o un altro ha la pretesa di sciogliere o di legare in un modo qualsiasi, per questo stesso egli sciolga o leghi. 15. Dobbiamo credere che solo allora egli scioglie o lega, quando si conforma alla legge di Cristo. 16. Questo deve essere cattolicamente creduto: qualsiasi sacerdote ordinato nel modo dovuto ha la potestà di conferire in maniera adeguata qualsiasi sacramento, e di conseguenza di assolvere da qualsiasi peccato qualsiasi pentito. 17. Ai re è lecito sottrarre i beni temporali agli ecclesiastici, qualora questi ne facciano abitualmente un cattivo uso. 18. Sia che i signori secolari, o i santi papi o il Capo della chiesa, che è Cristo, abbiano dotato la chiesa di beni di fortuna o di grazia, e abbiano scomunicato coloro che le hanno sottratto i suoi beni temporali, è lecito tuttavia, in forza di una condizione implicita, in seguito a una mancanza adeguata, spogliarla dei beni temporali. 19. Un ecclesiastico, fosse anche il pontefice romano, può essere rimproverato e anche accusato in modo legittimo dai sudditi e dai laici. Urbano VI 8 aprile 1378 - 15 ottobre 1389 22-2-1418 Martino V: Bolla Inter cunctas Bolla "Inter cunctas" 22 febbraio 1418 La bolla, diretta alla gerarchia e agli inquisitori, contiene: 1) 45 articoli di John Wyclif, 2) i 30 articoli di Jan Hus, 3) una serie di domande da porsi ai wyclifiti e bussiti. Queste sono unite agli articoli che le precedono con le seguenti parole: "Ogni persona sospetta ( di sostenere ) i premessi articoli o che è stata colta mentre li sosteneva, deve venire interrogata nella maniera che segue". Gli stessi decreti vengono ripetuti insieme ad altri ( per es. il decreto sulla comunione sotto una sola specie ) nella bolla di Martino V In eminentis apostolicae del 1° sett. 1425. Domande da porsi ai wyclifiti e hussiti 5. Allo stesso modo se crede, tiene per fermo e afferma che qualsiasi concilio generale, e anche quello di Costanza, rappresenta la chiesa universale. 6. E così pure se lui crede che ciò che il sacro concilio di Costanza, che rappresenta la chiesa universale, ha approvato e approva a favore della fede e per la salvezza delle anime, questo deve essere approvato e tenuto per fermo da tutti i fedeli di Cristo: e che ciò che ha condannato e condanna come contrario alla fede e ai buoni costumi, questo deve essere dagli stessi tenuto per fermo, creduto e affermato come condannato. 7. Allo stesso modo se crede che le condanne di John Wyclif, Jan Hus e Girolamo da Praga, compiute dal sacro concilio generale di Costanza, delle loro persone, dei libri e dei documenti, sono state compiute nel modo dovuto e giustamente, e che come tali debbono essere tenute per ferme e saldamente affermate da ogni cattolico. 8. Ugualmente se crede, tenga per fermo e affermi che John Wyclif di Inghilterra, Jan Hus di Boemia e Girolamo da Praga sono stati eretici, e come eretici debbono essere nominati e considerati, e che i loro libri e le loro dottrine sono state e sono perverse, e che per questi e queste, e per la loro pertinacia, per mezzo del sacro concilio di Costanza sono stati condannati come eretici. 11. Ugualmente deve essere interrogata in modo speciale la persona istruita, se crede che la sentenza del sacro concilio di Costanza pronunciata sui quarantacinque articoli di John Wyclif e sui trenta articoli di Jan Hus più sopra descritti, sia vera e cattolica: e cioè che i suddetti quarantacinque articoli di John Wyclif e i trenta di Jan Hus non sono cattolici, ma che alcuni di questi sono manifestamente eretici, alcuni erronei, altri temerari e sediziosi, altri offensivi per le orecchie pie. 12. Ugualmente se crede e afferma che in nessun caso sia lecito giurare. 13. Ugualmente se crede che sia lecito, su ordine del giudice, fare un giuramento in ordine alla verità che deve essere detta, o un altro qualsiasi che sia utile per la causa, anche per scagionare dalla cattiva fama. 14. Ugualmente se crede che lo spergiuro consapevolmente commesso, per qualsiasi causa od occasione, per la conservazione della propria vita corporea o di quella altrui, anche a vantaggio della fede, sia un peccato mortale. 15.Ugualmente se crede che colui che disprezza, con animo consapevole, i riti della chiesa, le cerimonie di esorcismo, di catechismo e dell'acqua consacrata per il battesimo, pecca mortalmente. 16, Ugualmente se crede che dopo la consacrazione del sacerdote nel sacramento dell'altare sotto il velo del pane e del vino non c'è pane materiale e vino materiale, ma in tutto lo stesso Cristo che ha patito sulla croce e che siede alla destra del Padre. 17. Ugualmente, se crede e afferma che, una volta fatta la consacrazione dal sacerdote, anche soltanto sotto la sola specie del pane, indipendentemente dalla specie del vino, c'è la vera carne di Cristo e il sangue e l'anima e la divinità e tutto Cristo, e che lo stesso corpo in modo perfetto è sotto una qualsiasi singolarmente di quelle specie. 18. Ugualmente, se crede che la consuetudine. osservata dalla chiesa universale e approvata dal sacro concilio di Costanza, di dare la comunione ai laici soltanto sotto le specie del pane, deve essere mantenuta, così che non è lecito disapprovarla o arbitrariamente mutarla, senza l'autorità della chiesa. E che coloro che dicono in modo pertinace il contrario delle cose innanzi dette, debbono essere allontanati e puniti come eretici o come in odore di eresia. 19. Ugualmente, se crede che il cristiano che disprezza la ricezione dei sacramenti della confermazione o della estrema unzione, o della celebrazione solenne del matrimonio, pecca mortalmente. 20. Ugualmente, se crede che un cristiano, oltre alla contrizione del cuore, quando c'è la disponibilità di un sacerdote idoneo, è tenuto a confessarsi, in quanto necessario per la salvezza, al solo sacerdote, e non a un laico o a dei laici, per quanto siano buoni e devoti. 21. Ugualmente, se crede che un sacerdote, nei casi di sua competenza, può assolvere dai peccati un peccatore che si è confessato ed è contrito, e imporgli la penitenza. 22. Ugualmente, se crede che un sacerdote indegno, con la materia e forma dovute e con l'intenzione di fare quello che fa la chiesa, realmente consacra, realmente assolve, realmente battezza, realmente conferisce gli altri sacramenti. 23. Ugualmente, se crede che il beato Pietro è stato il vicario di Cristo, e che ha avuto la potestà di legare e di sciogliere sulla terra. 24. Ugualmente, se crede che il papa canonicamente eletto, per tutto il tempo in cui è in carica, una volta scelto il proprio nome, è il successore del beato Pietro e possiede la suprema autorità nella chiesa di Dio. 25. Ugualmente, se crede che l'autorità di giurisdizione del papa, dell'arcivescovo e del vescovo nello sciogliere e nel legare, è maggiore dell'autorità del semplice sacerdote, anche se ha la cura delle anime. 26. Ugualmente, se crede che il papa, a tutti i cristiani che sono veramente contriti e confessati, può concedere le indulgenze per la remissione dei peccati, per una causa pia e giusta, specialmente a coloro che visitano dei luoghi di devozione e a questi stessi porgono le proprie mani soccorrevoli. 27. E se crede che per una tale concessione possono conseguire simili indulgenze coloro che visitano le stesse chiese e a queste porgono ma soccorrevoli. 28. Ugualmente, se crede che i singoli vescovi possono concedere indulgenze di tal fatta ai propri sudditi, secondo la determinazione dei sacri canoni. 29. Ugualmente, se crede e afferma che è lecito venerare da parte dei fedeli cristiani le reliquie e le immagini dei Santi. 30. Ugualmente, se crede che gli ordini religiosi approvati dalla chiesa, sono stati introdotti secondo convenienza e ragionevolezza dai santi Padri. 31. Ugualmente, se crede che il papa o un altro prelato, una volta proclamato il proprio nome di papa in carica, o i loro vicari, possono scomunicare il loro suddito ecclesistico o secolare a motivo della disobbedienza o della contumacia, così che quel tale deve essere ritenuto scomunicato. 32. Ugualmente, se crede che, crescendo la disobbedienza o la contumacia degli scomunicati, i prelati o i loro vicari, nelle cose spirituali, hanno la potestà di inasprire e di inasprire ancora, di porre l'interdetto e di invocare il braccio secolare; e che a quelle censure si deve obbedire da parte degli inferiori. 33 .Ugualmente, se crede che il papa o gli altri prelati, e i loro vicari, nelle cose spirituali, hanno la potestà di scomunicare i sacerdoti e i laici disobbedienti e contumaci e di sospenderli dall'ufficio, dal beneficio, dall'ingresso nella chiesa e dall'amministrazione dei sacramenti ecclesiastici. 34. Ugualmente, se crede che è lecito agli ecclesistici avere, senza peccato, delle proprietà di questo mondo e dei beni temporali. 35. Ugualmente, se crede che ai laici non è lecito sottrarre loro queste stesse cose in base a un proprio potere; anzi, coloro che così sottraggono, portano via e occupano gli stessi beni ecclesiatici, debbono essere puniti come sacrileghi, anche nel caso in cui gli ecclesistici che possiedono beni di tal fatta conducano una vita malvagia. 36. Ugualmente, se crede che una spogliazione e una occupazione di tal genere, fatta e perpetuata in modo temerario e violento a qualsivoglia sacerdote, anche se conduce una vita malvagia, comporta sacrilegio. 37. Ugualmente, se crede che è lecito ai laici di entrambi i sessi, agli uomini cioè e alle donne, predicare liberamente la parola di Dio. 38. Ugualmente, se crede che ai singoli sacerdoti è lecito predicare liberamente la parola di Dio, dovunque, in qualsiasi momento e a chiunque loro piaccia, anche se non sono mandati. 39. Ugualmente, se crede che tutti i peccati mortali, e specialmente quelli manifesti, debbono essere corretti ed estirpati pubblicamente. Martino V 4-5-1493 Alessandro VI: Bolla Inter caetera sull'educazione cattolica da impartire ai popoli pagani contattati in occasione delle conquiste Bolla "Inter caetera" Sull'educazione cattolica da impartire ai popoli pagani contattati in occasione delle conquiste 4 maggio 1493 Alessandro, vescovo, servo dei servi di Dio, agli illistri sovrani, il nostro diletto figlio in Cristo Ferdinando, re, e la nostra diletta figlia in Cristo, Isabella, regina di Castiglia, Leon, Aragona, Sicilia e Granada, salute e benedizione apostolica. Tra le altre opere gradite alla Divina Maestà e dilette al nostro cuore, questa con certezza è la più elevata, che nei nostri tempi specialmente la fede cattolica e la religione cristiana siano esaltate e dovunque vengano aumentate e diffuse, che si abbia a cuore la salvezza delle anime, e che le nazioni barbariche siano rovesciate e condotte alla stessa fede. Poiché, in virtù della clemenza divina, noi, nonostante i nostri meriti insufficienti, siamo stati chiamati a questa Santa Sede di Pietro, riconoscendo che, come veri re e principi cattolici quali abbiamo sempre saputo che voi siete, e come dimostrano le vostre illustri azioni note già a quasi tutto il mondo, voi non soltanto ardentemente desiderate, ma con ogni sforzo, zelo e diligenza, senza riguardo alle difficoltà, alle spese, ai pericoli, persino a costo dello spargimento del vostro sangue, siete impegnati in questo fine; riconoscendo inoltre che da molto tempo avete consacrato a questo scopo la vostra anima e tutti i vostri sforzi, come testimoniato in questi tempi dalla riconquista del regno di Granada dal giogo dei saraceni, a gloria del Nome Divino; noi dunque siamo a ragione condotti, e lo riteniamo anzi nostro dovere, ad assicurarvi il nostro accordo e, a vostro favore, quelle cose che, con fatica ogni giorno, vi rendano possibile, per l'onore di Dio stesso e la diffusione della regola cristiana, conseguire il vostro santo e lodevole proposito così gradito al Dio immortale." Abbiamo anche appreso che voi, che per lungo tempo avete inteso cercare e scoprire alcune isole e terre remote e sconosciute e non ancora scoperte da altri fino a quel momento al punto da poter guadagnare al culto del nostro Redentore e alla professione della fede cattolica i loro residenti ed abitanti, essendo stati fino al momento presente impegnati intensamente nell'assedio e nella restaurazione del regno stesso di Granada, siete stati impossibilitati a realizzare questo santo e lodevole proposito; ma essendo stato il suddetto regno da tempo riacquistato, come è piaciuto al Signore, voi, col voto di realizzare il vostro desiderio, avete scelto il nostro amato figlio, Cristoforo Colombo, un uomo di certo valore e delle più alte credenziali e dotato per una impresa così imponente, e lo avete fornito di navi e uomini equipaggiati per questi disegni, non senza le più ardue difficoltà, pericoli, e spese, per fare una ricerca accurata di queste remote e sconosciute lande ed isole per mare, dove finora nessuno ha navigato; ed essi con l'aiuto divino e con la massima diligenza navigando per l'oceano, hanno scoperto certe isole molto remote ed anche continenti che finora non erano stati scoperti da altri; lì dimorano moltissimi popoli che vivono in pace e, come è stato riferito, che vanno in giro nudi e non mangiano carne. Inoltre, come ritengono i vostri suddetti inviati, questi popoli che vivono nelle dette isole e paesi credono in un unico Dio, creatore nei cieli, e sembrano sufficientemente disposti ad abbracciare la fede cattolica e ad essere educati nella buona morale. E si spera che, una volta istruiti, il nome del Salvatore, nostro Signore Gesù Cristo, possa facilmente essere introdotto nelle dette terre e isole. Inoltre, su una delle isole maggiori il suddetto Cristoforo Colombo è già riuscito a mettere insieme e costruire una fortezza ben equipaggiata, dove ha posto come guarnigione alcuni cristiani, suoi compagni, che hanno il compito di cercare altre isole e continenti remoti e sconosciuti. Nelle isole e terre già scoperte sono stati trovati oro, spezie, molte altre cose preziose di diverso tipo e qualità. Per tutto ciò, com'è proprio di re e principi cattolici, dopo serissima considerazione di tutti gli argomenti, specialmente del sorgere e della diffusione della fede cattolica, e come è stato uso dei vostri antenati, re di rinomata memoria, voi vi siete posti il fine, con il favore della divina clemenza, di mettere sotto la vostra influenza i suddetti continenti e isole con i loro residenti e abitanti e di condurli alla fede cattolica. Perciò, affidando di cuore al Signore questo vostro obiettivo santo e lodevole, e nel desiderio che esso sia doverosamente realizzato, e che il nome del nostro salvatore sia portato in quelle regioni, vi esortiamo molto seriamente e vi ingiungiamo, nel Signore e in virtù del vostro santo battesimo, con il quale siete vincolati ai nostri comandi apostolici, e grazie alla misericordia di nostro Signore Gesù Cristo, a che, con lo stesso grande zelo per la vera fede con cui progettate di equipaggiare e inviare questa spedizione, vi proponiate anche, conformemente al vostro dovere, di condurre le popolazioni che risiedono in quelle isole e terre ad abbracciare la religione cristiana; ed in ogni momento non lasciate che i pericoli e le difficoltà vi scoraggino, con ferma speranza e fiducia nei vostri cuori che Dio onnipotente vi accompagnerà nelle vostre imprese. E, affinché voi possiate intraprendere un'impresa così grande con maggiore prontezza ed entusiasmo, con il beneficio del nostro favore apostolico, noi, di nostra volontà, non su vostra richiesta né su richiesta di nessun altro a vostro riguardo, ma per nostra sola generosità e conoscenza e in virtù della pienezza del nostro potere apostolico, grazie all'autorità di Dio onnipotente conferitaci in san Pietro e della vicaria di Gesù Cristo che noi deteniamo sulla terra, noi vi facciamo questi doni; se alcuna di queste isole dovesse essere trovata dai vostri inviati e capitani, questo dà, assicura e assegna a voi e ai vostri eredi e successori re di Castiglia e di León, per sempre - insieme con tutti i loro domini, città, campagne, luoghi e villaggi, e tutti i diritti, giurisdizioni e annessi - tutte le isole e i continenti trovati e ancora da trovare, scoperti e ancora da scoprire, verso l'ovest e il sud, tracciando una linea dal polo Artico, cioè dal nord, verso il polo antartico, cioè verso il sud, senza badare se le suddette isole o continenti siano stati trovati o si troveranno nella direzione dell'India o verso altre direzioni, la detta linea dovendo essere distante 100 leghe verso ovest e sud dalle isole comunemente conosciute come Azzorre e Capo Verde. Con la clausola tuttavia che nessuna delle isole e dei continenti, da trovare o già trovati, da scoprire o già scoperti oltre la detta linea verso ovest e sud, sia possesso di re o principe cristiano fino al passato compleanno di nostro Signore Gesù Cristo con il quale comincia l'anno corrente 1493. E noi nominiamo e deleghiamo voi, e i vostri suddetti eredi e successori, signori di essi con pieno e libero potere, autorità e giurisdizione, di ogni tipo; con la clausola che con questo nostro dono, premio e assegnamento nessun diritto acquisito da nessun principe cristiano che possa essere in attuale possesso delle dette isole e continenti da prima del detto compleanno di nostro Signore Gesù Cristo, dev'essere inteso come ritirato o annullato. Inoltre vi ordiniamo, in virtù della santa obbedienza, che, impiegando la dovuta diligenza nelle premesse, anche voi promettiate - né qui noi mettiamo in dubbio la vostra compiacenza in accordo con la vostra fedeltà e con la regale grandezza di spirito - di nominare nei suddetti continenti e isole uomini valorosi, timorosi di Dio, colti, abili e esperti, allo scopo di istruire i suddetti abitanti e residenti nella fede cattolica e di educarli nella buona morale. Inoltre, sotto pena di scomunica latae sententiae che verrebbe emanata ipso facto per chiunque contravvenisse, vietiamo assolutamente a tutte le persone di qualsivoglia rango, persino imperiale o regio, o di qualunque stato, grado, condizione, ordine, di osare, senza il vostro permesso speciale o quello dei vostri suddetti eredi e successori, di recarsi per scopi commerciali o per altre ragioni nelle suddette isole e continenti, trovati o da trovare, scoperti o da scoprire, verso ovest e verso sud, tracciando e stabilendo una linea dal polo Artico al polo Antartico, senza badare se le isole e i continenti si trovano in direzione dell'India o verso altre terre, dovendo essere la detta linea distante 100 leghe verso ovest e sud come già detto, dalle isole comunemente conosciute come Azzorre e Capo Verde; nonostante costituzioni apostoliche e ordinanze e altri decreti che dicessero il contrario. Noi confidiamo in Lui, da cui procedono imperi e governi e ogni cosa buona, e nel vostro intraprendere, con la guida del Signore, questa impresa santa e lodevole, in breve tempo le vostre difficoltà e sfide raggiungeranno l'esito più felice, per la felicità e la gloria di tutta la cristianità. Ma poiché sarebbe difficile inviare queste lettere a tutti i luoghi che si vorrebbero, desideriamo, e con simile accordo e conoscenza decretiamo che copie di esse, firmate dalla mano di un pubblico notaio a questo incaricato, e sigillate con il sigillo di un ufficiale ecclesiastico o della corte ecclesiastica, venga osservato nella corte e fuori lo stesso rispetto che dovrebbe essere attribuito altrove a queste lettere se venissero mostrate o esibite. Perciò non consentite ad alcuno di infrangere o contravvenire con grave baldanza questa nostra raccomandazione, esortazione, richiesta, dono, premio, assegnazione, costituzione, delega, decreto, mandato, proibizione e volontà. Se qualcuno presumesse di attentarvi, sia noto a costui che incorrerà nella maledizione di Dio onnipotente e dei santi apostoli Pietro e Paolo. Dato a Roma, San Pietro, nell'anno dell'incarnazione di nostro Signore, 1493, il quattro di maggio, primo anno del nostro pontificato. Alessandro VI 15-6-1520 Leone X: Bolla Exurge Domine di condanna degli errori di Martin Lutero Bolla "Exsurge Domine" Condanna delle tesi di Martin Lutero 15 giugno 1520 Martin Lutero, che con le sue 95 tesi trovò grande risonanza, fu accusato e convocato a Roma già nel nov. 1517. Poco dopo Leone X affidò al card. Tommaso de Vio detto il Gaetano ( o Cajetano ) il compito di indurre Lutero a revocare, ma né l'incontro tra di loro nell'ott. del 1518 ad Augusta, né la disputa, a cui partecipò anche il riformatore Karlstadt, tenuta nel giugno-luglio 1519 a Lipsia con Giovanni Eck, validissimo difensore del cattolicesimo, portarono a un accordo. Dopo che Giovanni Eck fu richiamato a Roma, fu aperto un procedimento contro Lutero ( gen.-aprile 1520 ). Giacché Lutero non ritrattava le sue dottrine e il 10 dic. 1520 bruciò in pubblico la bolla Exsurge Domine, il 3 genn. 1521 con la bolla Decet Romanum Pontificem fu scomunicato. Errori di Martin Lutero 1. È sentenza eretica, ma largamente seguita, che i sacramenti della Nuova Alleanza danno la grazia giustificante a coloro che non vi pongono ostacolo. 2. Negare che il peccato rimane nel bambino dopo il battesimo, significa disprezzare insieme Cristo e Paolo. 3. Il fomite del peccato, anche se non c'è nessun peccato attuale, trattiene l'anima che esce dal corpo dall'ingresso nel cielo. 4. La non perfetta carità di colui che sta per morire porta necessariamente con sé un grande timore, che di per sé è solo sufficiente a ottenere la pena del purgatorio, e impedisce l'ingresso nel regno. 5. Che le parti della confessione siano tre: contrizione, confessione e soddisfazione non è fondato nella Sacra Scrittura, né negli antichi santi dottori cristiani. 6. La contrizione che si ottiene con l'esame, la ricapitolazione e la detestazione dei peccati, e con la quale si ripensa alla propria vita nell'amarezza della propria anima ( Is 38,15 ), soppesando la gravità, la moltitudine, la turpitudine dei peccati, la perdita della beatitudine eterna e il conseguimento dell'eterna dannazione, questa contrizione rende ipocrita, anzi addirittura peccatore. 7. Verissima e più perfetta in tutto della dottrina fino a questo momento proposta sulla contrizione è la massima: "Non farlo più è la migliore penitenza; una nuova vita è l'ottima penitenza". 8. Non presumere in alcun modo di confessare i peccati veniali, ma neppure tutti i mortali, perché è impossibile che tu conosca tutti i peccati mortali. Per questo motivo nella chiesa primitiva si confessavano soltanto quelli mortali manifesti. 9. Quando vogliamo confessare tutto in modo completo non facciamo altro che questo: non vogliamo lasciare nulla da perdonare alla misericordia di Dio. 10. A nessuno sono rimessi i peccati, se non crede che gli sono rimessi dal sacerdote che assolve; anzi il peccato rimane, se non lo crede rimesso: non sono sufficienti infatti la remissione del peccato e il dono della grazia, ma bisogna anche credere che è stato rimesso. 11. Non confidare in nessun modo di essere assolto a motivo della tua contrizione, ma per la parola di Cristo: "Tutto ciò che scioglierai" ecc. ( Mt 16,19 ). In questo confida, io dico: se tu hai ottenuto l'assoluzione del sacerdote, e credi fermamente che tu sei stato assolto, sarai stato assolto davvero, qualsiasi cosa sia in quanto alla contrizione. 12. Se, per assurdo, colui che si confessa non fosse contrito, oppure il sacerdote assolvesse non sul serio, ma per gioco, se tuttavia egli si crede assolto, è assolto con assoluta certezza. 13. Nel sacramento della penitenza e nella remissione della colpa, il papa o il vescovo non fanno nulla di più di un semplice sacerdote: anzi, dove non c'è un sacerdote, può fare ugualmente un semplice cristiano, anche se fosse una donna o un bambino. 14. Nessuno deve rispondere al sacerdote di essere contrito e il sacerdote non lo deve domandare. 15. È grande l'errore di coloro che si accostano al sacramento dell'eucaristia fidandosi del fatto di essersi confessati, di non essere consapevoli di nessun peccato mortale, di aver premesso preghiere personali e preparatorie: tutti questi mangiano e bevono la propria condanna. Ma se credono e confidano che qui essi conseguiranno la grazia, questa fede sola li rende puri e degni. 16. Risulta come deciso, che la chiesa abbia stabilito in un concilio universale che i laici debbono comunicarsi sotto le due specie: e i Boemi che si comunicano sotto le due specie, non sono eretici, ma scismatici. 17. I tesori della chiesa, da cui il papa trae le indulgenze, non sono i meriti di Cristo e dei Santi. 18. Le indulgenze sono dei pii inganni dei fedeli, e dispense dalle opere buone; e appartengono al numero delle cose che sono permesse, e non al numero di quelle che sono utili. ( 1 Cor 6,12; 1 Cor 10,23 ). 19. Le indulgenze, per coloro che veramente le acquistano, non hanno valore per la remissione della pena dovuta alla giustizia divina per i peccati attuali. 20. Si ingannano coloro che credono che le indulgenze sono salutari e utili per il bene dello spirito. 21. Le indulgenze sono necessarie solo per le colpe pubbliche, e vengono propriamente concesse solo ai duri di cuore e agli insensibili. 22. Per sei categorie di uomini le indulgenze non sono né necessarie né utili: e cioè per i morti o per quelli che stanno per morire, per i malati, per i legittimamente impediti, per coloro che non hanno commesso peccati, per coloro che hanno commesso peccati, ma non pubblici, per coloro che compiono cose migliori. 23. Le scomuniche sono soltanto pene esteriori, e non privano l'uomo delle comuni preghiere spirituali della chiesa. 24. Bisogna insegnare ai cristiani più ad amare la scomunica che a temerla. 25. Il pontefice romano, successore di Pietro, non è il vicario di Cristo sopra tutte le chiese del mondo intero, dallo stesso Cristo costituito nel beato Pietro. 26. La parola di Cristo a Pietro: "Tutto ciò che scioglierai sulla terra" ecc. ( Mt 16,19 ) si estende soltanto alle cose legate dallo stesso Pietro. 27. È certo che non è affatto in mano della chiesa o del papa lo stabilire gli articoli di fede, e anzi neppure le leggi morali o delle opere buone. 28. Se il papa con una gran parte della chiesa pensasse in un modo o nell'altro, e inoltre non sbagliasse, non è ancora peccato o eresia pensare il contrario, soprattutto in cose non necessario per la salvezza, finché da un concilio universale una cosa non è stata respinta e l'altra approvata. 29. Ci è stata aperta la via per svuotare l'autorità dei concili e per contraddire liberamente le cose da loro compiute, per giudicare i loro decreti e per confessare con confidenza qualsiasi cosa sembri vero, sia che sia stato approvato, sia che sia stato respinto da un qualsiasi concilio. 30. Alcuni articoli di Jan Hus condannati nel concilio di Costanza sono cristianissimi, verissimi ed evangelici, e neppure la chiesa universale potrebbe condannarli. 31. In ogni opera buona il giusto pecca. 32. L'opera buona compiuta nel modo migliore, è peccato veniale. 33. È contro la volontà dello Spirito che gli eretici siano bruciati. 34. Combattere contro i Turchi è opporsi a Dio, che visita le nostre iniquità per mezzo loro. 35. Nessuno è certo di non peccare sempre mortalmente, a motivo del segretissimo vizio della superbia. 36. Dopo il peccato, il libero arbitrio è una realtà in modo solo apparente; e quando compie ciò che gli compete, pecca mortalmente. 37. Il purgatorio non può essere provato mediante la sacra Scrittura che si trova nel canone. 38. Le anime nel purgatorio non sono sicure della propria salvezza, almeno non tutte; e non è provato da nessun argomento razionale né dalle Scritture, che esse si trovano al di fuori della condizione di meritare o di accrescere la carità. 39. Le anime del purgatorio peccano in modo continuo finché cercano il riposo e hanno orrore delle pene. 40. Le anime liberate dal purgatorio per i suffragi di coloro che sono vivi godono minore beatitudine che se avessero soddisfatto da se stesse. 41. I prelati ecclesiastici e i principi secolari non farebbero male, se eliminassero tutte le sacche di mendicità. [ Censura: ] Tutti e ciascuno gli articoli o errori sopra elencati, Noi li condanniamo, respingiamo e rigettiamo totalmente, in conformità a quanto detto sopra, rispettivamente come eretici, scandalosi, falsi, offensivi per le orecchie pie, o in quanto capaci di sedurre le menti degli uomini semplici e in contraddizione con la fede cattolica. Leone X 1-10-1568 san Pio V: dalla Bolla Ex omnibus afflictionibus. Condanna delle tesi di Michele Baio sulla natura umana e sulla grazia Bolla "Ex omnibus afflictionibus" Condanna delle Tesi di Michele Baio 1 ottobre 1568 Errori di Michele Baio sulla natura umana e sulla grazia 1. I meriti sia dell'angelo che del primo uomo ancora integro non sono chiamati giustamente grazia. 2. Come l'opera cattiva per natura sua è meritevole della morte eterna, così l'opera buona per natura sua è meritevole della vita eterna. 3. Sia per gli angeli buoni che per il primo uomo, qualora avesse perseverato in quello stato fino alla fine della vita, la felicità sarebbe stata ricompensa, e non grazia. 4. La vita eterna fu promessa all'uomo integro e all'angelo in considerazione delle opere buone, e le opere buone in base alla legge di natura di per sé sono sufficienti per conseguirla. 5. Nella promessa fatta all'angelo e al primo uomo è contenuta la disposizione della giustizia naturale, secondo la quale, a motivo delle opere buone, senza nessun'altra considerazione, la vita eterna è promessa ai giusti. 6. Per legge naturale è stato stabilito per l'uomo che, se avesse perseverato nell'obbedienza, sarebbe passato in quella vita nella quale non può più morire. 7. I meriti del primo uomo integro furono i doni della prima creazione; ma, secondo il modo di parlare della sacra Scrittura, sono chiamati non giustamente grazia; per questo consegue che soltanto meriti, non anche grazia, debbono essere chiamati. 8. In coloro che sono redenti in forza della grazia di Cristo, non può trovarsi nessun merito buono, che non sia stato conferito gratuitamente a un indegno. 9. I doni concessi all'uomo integro e all'angelo, forse con un fondamento da non rigettare, possono essere detti grazia; ma poiché, secondo l'uso della Scrittura, con il nome di grazia vengono intesi soltanto quei doni che sono conferiti per mezzo di Gesù ai non meritevoli e agli indegni, per questa ragione né i meriti né la ricompensa che a costoro è accordata, deve essere detta grazia. 10. La remissione della pena temporale che, una volta sciolto il peccato, spesso rimane, e la risurrezione del corpo, debbono essere attribuite propriamente soltanto ai meriti di Cristo. 11. Dal momento che noi conseguiamo la vita eterna se ci siamo comportati in modo pio e giusto in questa vita mortale fino al termine della vita, questo non deve essere propriamente attribuito alla grazia di Dio, ma all'ordinamento naturale immediatamente disposto fin dall'inizio della creazione secondo il giusto giudizio di Dio; e in questa retribuzione dei buoni non si fa riferimento al merito di Cristo, ma soltanto al primo ordinamento del genere umano, nel quale e stato stabilito, in forza della legge naturale, che, secondo il giusto giudizio di Dio, la vita eterna sia accordata all'obbedienza dei precetti. 12. È opinione di Pelagio: l'opera buona, compiuta al di fuori della grazia di adozione, non è meritevole del Regno dei cieli. 13. Le opere buone compiute dai figli di adozione, non acquistano la natura di merito per il fatto che vengono compiute in virtù dello spirito di adozione che abita nei cuori dei figli di Dio, ma solo per il fatto che sono conformi alla legge, e perché per mezzo di esse si presta obbedienza alla legge. 14. Le opere buone dei giusti non ricevono nel giorno del giudizio finale una più grande ricompensa di quella che avrebbero meritato ricevere secondo il giusto giudizio di Dio. 15. Egli insegna che la natura del merito non consiste nel fatto che, colui che opera bene, ha la grazia e lo Spirito Santo che abita in lui, ma soltanto nel fatto che obbedisce alla legge divina, e questa opinione la ripete spesso, e con molte ragioni la dimostra in quasi tutto il libro. 16. Nello stesso libro ripete spesso che non è vera obbedienza alla legge quella che viene fatta senza la carità. 17. Egli dice che pensano come Pelagio quelli che dicono che per la natura del merito è necessario che l'uomo per la grazia di adozione sia elevato allo stato di deificazione. 18. Egli dice che le opere dei catecumeni, come la fede e la penitenza fatta prima della remissione dei peccati, sono meriti per la vita eterna; vita che i catecumeni non conseguiranno se non saranno prima eliminati gli ostacoli delle colpe precedenti. 19. Egli sembra insinuare che le opere della giustizia e della temperanza che Cristo ha compiuto, non hanno ricevuto un valore maggiore dalla dignità della persona che le compiva. 20. Nessun peccato è per natura sua veniale, ma ogni peccato è meritevole della pena eterna. 21. L'elevazione e l'innalzamento della natura umana alla compartecipazione della natura divina fu dovuta all'integrità della condizione primitiva, e per questo deve dirsi naturale e non soprannaturale. 22. Pensano allo stesso modo di Pelagio quelli che comprendono riferito alle genti che non hanno la grazia della fede il testo del capitolo 2 della lettera dell'apostolo ai Romani: "Le genti, che non hanno la legge, fanno naturalmente quelle cose che sono della legge" ( Rm 2,14 ). 23. È assurda l'opinione di coloro che dicono che l'uomo, fin dall'inizio, per un certo qual dono soprannaturale e gratuito, è stato innalzato al di sopra della condizione della sua natura, per così onorare Dio in modo soprannaturale con la fede, la speranza e la carità. 24. Da uomini insignificanti e vuoti, conformemente alla stoltezza dei filosofi, è stata inventata l'opinione secondo la quale l'uomo fin dall'inizio è stato costituito in modo tale che, per mezzo di doni aggiunti al di sopra della natura, è stato dalla generosità del creatore elevato e adottato come figlio di Dio: questa opinione deve essere lasciata al pelagianesimo. 25. Tutte le opere di coloro che non credono sono peccati, [26] e le virtù dei filosofi sono vizi. 26.[27.] L'integrità della prima creazione non è stata una indebita esaltazione della natura umana, ma la sua naturale condizione, e questa opinione ripete e dimostra in parecchi capitoli. 27.[28.] Il libero arbitrio, senza l'aiuto della grazia di Dio, è capace soltanto di peccare. 28.[29.] È un errore pelagiano affermare che il libero arbitrio ha la forza di evitare qualche peccato. 29.[30A.] "Ladri" e "briganti" non sono soltanto coloro che negano che Cristo è la via e "la porta" della verità e della vita, ma anche quelli che dicono che si può "salire" nella via della giustizia ( e cioè a una qualche giustizia ) "da un'altra parte" che non sia lui stesso ( Gv 10,1 ). 30.[30B.] o che a una qualche tentazione, senza l'aiuto della sua grazia, l'uomo può resistere, così che non sia indotto in essa o non sia vinto da essa. 31. La perfetta e sincera carità che viene da "un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede non simulata" ( 1 Tm 1,5 ), può essere, sia nei catecumeni che nei pentiti, senza remissione dei peccati. 32. Quella carità che è il compimento della legge, non sempre è unita alla remissione dei peccati. 33. Il catecumeno vive in modo giusto, retto e santo, ed osserva i comandamenti di Dio, e porta a compimento la legge per mezzo della carità, prima di ottenere la remissione dei peccati, che per la prima volta si ottiene nel lavacro del battesimo. 34. La distinzione di un duplice amore, e cioè di uno naturale, mediante il quale Dio è amato come creatore della natura, e di uno gratuito, con il quale Dio è amato come colui che dona la beatitudine, è inconsistente e immaginaria, e inventata per far violenza alle sacre Scritture e alle molteplici testimonianze degli antichi. 35. Tutto quello che un peccatore o un servo del peccato compie, è peccato. 36. L'amore naturale che proviene dalle forze della natura, con offesa della croce di Cristo, è sostenuto da diversi dottori, solo in forza della filosofia e per l'arroganza della presunzione umana. 37. Pensa allo stesso modo di Pelagio, colui che ammette un qualche bene naturale, cioè un qualcosa che prende origine dalle forze della sola natura. 38. Ogni amore della creatura razionale, o è la viziosa cupidigia con la quale si ama il mondo e che è proibita da Giovanni, o è quella lodevole carità con la quale si ama Dio. infusa nel cuore per mezzo dello Spirito Santo ( Rm 5,5 ). 39. Ciò che si fa con atto volontario, anche se si fa per necessità, lo si fa tuttavia liberamente. 40. In tutti i suoi atti il peccatore serve la cupidigia che lo domina. 41. Quella forma di libertà che è dalla necessità, non si trova nelle Scritture sotto il nome di libertà, ma c'è solo il nome di libertà dal peccato. 42. La giustizia, con la quale l'empio è giustificato per la fede, consiste in modo formale nell'obbedienza ai comandamenti, che è la giustizia delle opere, e non invece in una qualche grazia infusa nell'anima, con la quale l'uomo viene adottato come figlio di Dio, viene rinnovato secondo l'uomo inferiore e viene reso compartecipe della natura divina, in modo tale che, così rinnovato per mezzo dello Spirito Santo, possa poi vivere bene e obbedire ai comandamenti di Dio. 43. Negli uomini pentiti prima del sacramento dell'assoluzione, e nei catecumeni prima del battesimo, c'è la vera giustificazione, separata tuttavia dalla remissione dei peccati. 44. Con la maggior parte delle opere che dai fedeli sono compiute per essere sottomessi ai comandamenti di Dio, e fra queste l'obbedire ai genitori, restituire il deposito, l'astenersi dall'omicidio, dal furto e dalla fornicazione, gli uomini sono sicuramente giustificati, perché sono obbedienza della legge e vera giustizia della legge; tuttavia non ottengono con queste nessun aumento delle virtù. 45. Il sacrificio della Messa è un sacrificio non per una ragione diversa da quella generale: "ogni opera che viene fatta, affinché l'uomo si unisca a Dio in una comunione santa". 46.[46A.] Per la natura e per la definizione del peccato non è richiesta la volontarietà, e il problema non è di definizione, ma di causa e di origine, se ogni peccato debba essere volontario. 47.[46B.] Per questo il peccato originale ha realmente la natura di peccato, senza nessuna relazione e riferimento alla volontà da cui ha avuto origine. 48 [47A.] Il peccato originale è volontario secondo l'abituale volontà del bambino, e abitualmente ha il dominio sul bambino per il fatto che questi non esercita un atto contrario della volontà. 49.[47B.] E dall'abituale volontà predominante consegue che il bambino che muore senza il sacramento della rigenerazione, quando avesse conseguito l'uso della ragione, in realtà avrebbe avuto in odio Dio, avrebbe bestemmiato Dio e si sarebbe opposto alla legge di Dio. 50.[48.] I desideri cattivi, ai quali la ragione non presta consenso, e che l'uomo subisce contro il suo volere, sono proibiti dal precetto: "Non desiderare" ( Es 20,17 ). 51.[49.] La concupiscenza, o piuttosto la legge delle membra, e i suoi cattivi desideri, che gli uomini avvertono contro la loro volontà, sono vere disobbedienze della legge. 52. [50.] Ogni azione cattiva è di natura tale che ha il potere di contaminare colui che la compie e i suoi discendenti, nello stesso modo in cui contaminò la prima trasgressione. 53.[51.] Quanto consegue dalla forza della trasgressione, tanto di meriti cattivi contraggono da colui che li ha generati, sia coloro che nascono con difetti minori, quanto coloro con maggiori. 54.[52.] Questa apodittica proposizione, che Dio non ha ordinato all'uomo nulla di impossibile, viene falsamente attribuita ad Agostino, ed è invece di Pelagio. 55.[53.] Dio non avrebbe potuto creare in principio l'uomo tale quale ora nasce. 56.[54A.] Nel peccato ci sono due aspetti, l'atto e il reato; quando l'atto è passato, nulla rimane, se non il reato, vale a dire l'obbligo della pena. 57.[54B.] Per questo, nel sacramento del battesimo o nella assoluzione del sacerdote, viene tolto propriamente soltanto il reato del peccato, e il ministero dei sacerdoti libera soltanto dal reato lo vivifica e lo risuscita: dal ministero poi del sacerdote è tolto soltanto il reato. 59.[56.] Quando noi, con elemosine o altre opere di penitenza, diamo a Dio soddisfazione per le pene temporali, non offriamo a Dio un degno prezzo per i nostri peccati, come alcuni affermano in modo erroneo ( diversamente infatti noi saremmo, almeno in una certa parte, redentori ); ma facciamo un qualcosa, sulla cui considerazione, viene applicata e comunicata a noi la soddisfazione di Cristo. 60.[57.] Per le sofferenze dei santi compartecipate nelle indulgenze, non vengono propriamente redente le nostre colpe; ma, per la comunione della carità, sono applicate a noi le loro sofferenze, affinché noi siamo degni di essere liberati, per il prezzo del sangue di Cristo, dalle pene dovute per i peccati. 61.[58.] Quella celebre distinzione dei dottori, che i comandamenti della legge divina possono essere adempiuti in due modi, il primo modo, in quanto alla sostanza soltanto delle opere comandate, il secondo, in quanto a un certo qual modo, e cioè per quello che valgono a condurre colui che le compie al regno eterno ( in modo cioè meritorio ), è falsa e deve essere disapprovata. 62.[59.] Quella distinzione poi, per cui un'opera è detta buona in due modi, o perché in considerazione dell'oggetto e di tutte le circostanze è retta e buona ( per cui è consuetudine chiamarla moralmente buona ), oppure perché e meritevole del regno eterno, per il fatto che è compiuta da un membro vivo di Cristo per lo Spirito di carità, deve essere ritenuta come rigettata. 63.[60.] Similmente, anche quella distinzione di una duplice giustizia, la prima, che si attua per mezzo dell'inabitante Spirito di carità, la seconda, che si attua per una certa qual ispirazione dello Spirito Santo che incita il cuore al pentimento, ma che non abita ancora nel cuore e non diffonde in esso la carità, mediante la quale si compie la giustificazione della legge divina, è respinta con grande ripugnanza e con grande fermezza. 64.[61.] Infine, anche quella distinzione di una duplice vivificazione, la prima, per cui il peccatore è vivificato, quando a lui, per la grazia di Dio, viene infuso il pentimento e il proposito e l'inizio della vita nuova, la seconda, per cui è vivificato colui che è davvero giustificato ed è reso un tralcio vivo nella vite che è Cristo, è ugualmente falsa e non corrisponde minimamente alle Scritture. 65. [62.] Solo in base a un errore pelagiano può essere ammesso un qualche uso buono o anche non cattivo del libero arbitrio, e compie ingiuria alla grazia di Cristo colui che così pensa e insegna. 66.[63.] Solo la violenza è incompatibile con la naturale libertà dell'uomo. 67.[64.] L'uomo pecca anche in modo degno di condanna, in quello che compie per necessità. 68.[65.] L'infedeltà puramente negativa in coloro ai quali Cristo non è stato predicato, è peccato. 69.[66.] La giustificazione dell'empio si compie, in modo formale, per l'obbedienza della legge, e non invece per una segreta comunicazione e ispirazione della grazia, la quale faccia in modo che coloro che sono stati giustificati per essa, compiano la legge. 70.[67.] L'uomo che si trova a vivere in peccato mortale o in un reato degno di eterna dannazione, può avere la vera carità; ed anche la carità perfetta può sussistere con il reato di eterna dannazione. 71.[68.] Per la contrizione anche perfetta in forza della carità, unita anche al desiderio di ricevere il sacramento, non viene rimessa la colpa, eccezione fatta per il caso di necessità o di martirio, senza il ricevimento attuale del sacramento. 72.[69.] Tutte le sofferenze dei giusti sono senza dubbio delle pene per i loro propri peccati; per cui anche Giobbe e i martiri che hanno sofferto, hanno sofferto per i loro propri peccati. 73.[70.] Nessuno, al di fuori di Cristo, è senza il peccato originale; da questo consegue che la Beata Vergine è morta a causa del peccato contratto da Adamo, e che tutte le sue sofferenze in questa vita, come anche quelle di tutti gli altri giusti, sono state delle pene per il peccato attuale o per quello originale. 74.[71.] La concupiscenza, in coloro che sono rinati e che sono caduti in peccato mortale e nei quali ora regna, è peccato, come anche le altre inclinazioni cattive. 75. [72.] Gli impulsi cattivi della concupiscenza, per la condizione dell'uomo corrotto, sono proibiti dal precetto: "non desiderare" ( Es 20,17 ); per cui l'uomo che li sente, anche se non acconsente, trasgredisce il precetto: non desiderare", anche se la trasgressione non è imputata come peccato. 76.[73.] Finché un qualcosa della concupiscenza carnale si trova in colui che ama, questi non adempie il precetto: "Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore" ( Dt 6,5; Mt 22,37 ). 77.[74.] Le faticose soddisfazioni dei giustificati non sono in grado di espiare in modo degno la pena temporale che rimane dopo la remissione della colpa. 78.[75.] L'immortalità del primo uomo non era un privilegio della grazia, ma la condizione naturale. 79.[76.] È falsa l'opinione dei dottori, che il primo uomo avrebbe potuto essere creato e formato da Dio, senza la giustizia naturale. [ Censura: ] Queste proposizioni, che sono state valutate con un rigoroso esame in Nostra presenza, sebbene alcune da un certo punto di vista possano anche essere sostenute, nel senso proprio e rigoroso delle parole inteso da coloro che le propongono, Noi, con l'autorità del presente ( scritto ), le condanniamo, le rifiutiamo e le rigettiamo, come eretiche, erronee, sospette, temerarie, scandalose e in quanto introducono un danno nelle orecchie pie, come anche tutte le cose formulate con parole o con scritti a loro riguardo. san Pio V 20-11-1687 Innocenzo XI: dalla Costituzione Caelestis Pastor. Condanna di 68 proposizioni quietistiche di Miguel de Molinos Costituzione "Caelestis Pastor" Condanna di 68 proposizioni quietistiche di Miguel de Molinos 20 novembre 1687 Miguel de Molinos si acquistò la fama di confessore e direttore spirituale soprattutto con molte lettere e con la sua opera principale Guia espiritual ( "Guida spirituale", Roma 1675 ). Nel luglio 1685 Molinos fu accusato presso il tribunale dell'Inquisizione di quietismo. Il 3 settembre 1687 dovette pubblicamente ritrattare, sotto giuramento, i suoi errori e fu condannato all'arresto per tutta la vita. Le proposizioni condannate furono tolte la più parte dall'epistolario e dal suo Memorandum consegnalo all'Inquisizione. L'Inquisizione aveva circa 12.000 sue lettere. Nel decreto del S. Uffizio del 4 settembre 1687 furono condannati i quietisti Simone e Antonio M. Leoni e anche il card. Pier Matteo Petrucci, che il 17 dicembre 1687 ritrattò le 54 proposizioni estratte dai suoi libri per incarico del S. Uffizio. La revoca fu inserita nel breve di Innocenzo XI Cum sicut aceepimus emanato il 26 maggio 1689. Questi documenti molto ampi qui non vengono riportati. Errori quietistici di Miguel de Molinos 1. È necessario che l'uomo annienti le sue facoltà, e questa è la via interiore. 2. Volere operare attivamente è offendere Dio che vuole essere lui stesso il solo a operare: e per questo è necessario abbandonare tutto se stesso e totalmente in Dio, e poi in lui rimanere come un corpo morto. 3. I voti in ordine a qualcosa da fare sono un impedimento per la perfezione. 4. L'attività naturale è nemica della grazia, impedisce le operazioni di Dio e la vera perfezione: Dio infatti vuole operare in noi senza di noi. 5. Non operando nulla, l'anima si annienta e ritorna al suo principio e alla sua origine che è l'essenza di Dio, nella quale trasformata rimane, come divinizzata, e Dio allora rimane in se stesso; per questo allora non sono più due cose unite, ma una soltanto, e per questo motivo Dio vive e regna in noi, e l'anima annienta sé stessa nell'essere che opera. 6. La via interiore è quella in cui non si conosce né luce né amore né abbandono; e non è necessario conoscere Dio, e così si procede rettamente. 7. L'anima non deve pensare né al premio né alla punizione, né al paradiso né all'inferno, né alla morte né all'eternità. 8. Non deve voler conoscere se cammina secondo la volontà di Dio, o se alla stessa volontà rimanga o no abbandonata; e non è necessario che essa voglia conoscere il suo stato o il suo proprio nulla; ma deve rimanere come un corpo morto. 9. L'anima non deve ripensare né a sé né a Dio, né a qualsiasi cosa, e nella via interiore ogni riflessione è nociva, anche la riflessione sulle proprie azioni umane e sui propri difetti. 10. Non è necessario riflettere se con i propri difetti si scandalizzano gli altri, purché non ci sia la volontà di scandalizzare: e il non poter riflettere sui propri difetti, è una grazia di Dio. 11. Sui dubbi che assalgono se si procede o no rettamente, non si deve riflettere. 12. Colui che ha donato a Dio il suo libero arbitrio, non deve preoccuparsi di nessuna cosa, né dell'inferno né del paradiso; e non deve avere il desiderio della propria perfezione, né delle virtù, né della propria santità, né della propria salvezza, la cui speranza deve eliminare. 13. Una volta sottomesso a Dio il libero arbitrio, si deve lasciare a Dio stesso il pensiero e la preoccupazione di ogni nostra cosa, e lasciare che egli faccia in noi, senza di noi, la sua divina volontà. 14. Colui che si è sottomesso alla volontà divina non deve più chiedere a Dio una qualsiasi cosa; perché il chiedere è imperfezione, poiché è un atto di volontà e scelta propria, ed è un volere che la divina volontà si conformi alla nostra e non invece la nostra alla divina; e quel detto del Vangelo: "Chiedete e otterrete" ( Gv 16,24 ) non è stato detto da Cristo per le anime interiori che non vogliono avere la volontà; anzi le anime di tal genere giungono al punto di non poter chiedere a Dio nessuna cosa. 15. Così come non debbono chiedere a Dio nessuna cosa, così pure non debbono a lui rendere grazie per nessuna cosa; l'una e l'altra cosa infatti sono un atto della propria volontà. 16. Non si debbono ricercare le indulgenze per la pena dovuta a motivo dei propri peccati; poiché è meglio soddisfare alla divina giustizia che ricercare la divina misericordia: quello infatti deriva da puro amore di Dio, questo invece da amore interessato di noi stessi, e non è cosa gradita a Dio e meritoria, perché è un voler fuggire la croce. 17. Consegnato a Dio il libero arbitrio e a lui lasciata la cura e la preoccupazione della nostra anima, non si debbono più tenere in alcun conto le tentazioni; e non si deve tare ad esse nessun'altra resistenza se non negativa, senza esercitare nessuna attività; e se la natura si agita, bisogna lasciare che si agiti, perché è natura. 18. Chi nella preghiera si serve di immagini, figure, forme esteriori e concetti propri, non adora Dio in spirito e verità ( Gv 4,23 ). 19. Chi ama Dio nel modo in cui la ragione argomenta e l'intelletto comprende, non ama il vero Dio. 20. Affermare che nella preghiera si deve ricorrere all'aiuto del ragionamento e dei pensieri quando Dio non parla all'anima, è ignoranza. Dio non parla mai, la sua parola è il suo agire, e lui sempre agisce nell'anima, quando questa non lo impedisce con i suoi ragionamenti, pensieri e attività. 21. Nella preghiera si deve rimanere nella fede oscura e totale, nel riposo e nella dimenticanza di qualsivoglia pensiero particolare e distinto sugli attributi di Dio e della Trinità, e rimanere così alla presenza di Dio per adorarlo e amarlo e servirlo; ma senza produzione di atti, perché Dio in questi non si compiace. 22. Questa conoscenza per fede non è un atto prodotto dalla creatura, ma è la conoscenza data da Dio alla creatura, che la creatura non conosce di avere e che quindi non conosce di avere avuto; e lo stesso vale per l'amore. 23. I mistici distinguono con san Bernardo nella Scala Claustralium quattro gradi: la lettura, la meditazione, l'orazione e la contemplazione infusa. Chi rimane sempre nel primo, non passa mai nel secondo. Chi rimane sempre nel secondo, non perviene mai al terzo, che è la nostra contemplazione acquisita nella quale si deve persistere per tutta la vita, fino a che Dio non attira l'anima ( senza che essa se lo aspetti ) alla contemplazione infusa; e quando questa cessa, l'anima deve ritornare al terzo grado e in questo permanere, senza mai più ritornare al secondo o al primo. 24. Quali che siano i pensieri che si presentano durante la preghiera, siano essi impuri, o anche contro Dio, i santi, la fede e i sacramenti, se non vengono alimentati volontariamente e nemmeno volontariamente cacciati via, ma vengono sopportati con indifferenza e con rassegnazione, essi non impediscono la preghiera della fede, la rendono anzi ancora più perfetta, perché l'anima così rimane maggiormente abbandonata alla volontà di Dio. 25. Anche se sopravviene il sonno e si dorme, permangono tuttavia in atto la preghiera e la contemplazione: preghiera e abbandono infatti, abbandono e preghiera, sono la stessa cosa, e mentre perdura l'abbandono, perdura anche la preghiera. 26. Le cosiddette tre vie, purificativa, illuminativa ed unitiva, sono l'assurdo massimo che mai sia stato detto nella mistica; poiché non c'è che una sola via, cioè quella ulteriore. 27. Chi desidera e abbraccia la devozione sensibile, non desidera e non cerca Dio, ma se stesso; e agisce male, colui che cammina per la via interiore, quando la desidera e si sforza di averla sia nei luoghi sacri che nei giorni di festa solenne. 28. Il tedio delle cose spirituali è cosa buona, dal momento che con questo si purifica l'amor proprio. 29. Quando l'anima interiore prova fastidio dei discorsi su Dio e delle virtù, e fredda rimane senza sentire nessun fervore in se stessa, questo è un segno buono. 30. Tutto il sensibile di cui facciamo esperienza nella vita spirituale, è cosa abominevole, ignobile e immonda. 31. Nessun meditativo esercita le vere virtù interiori che non debbono essere conosciute dai sensi. Bisogna lasciar perdere le virtù. 32. Né prima né dopo la comunione si richiede una qualche preparazione o un rendimento di grazie ( per queste anime inferiori di cui si parla ), se non il permanere nel solito abbandono passivo, perché questo supplisce in modo più perfetto a tutti gli atti di virtù che possono farsi e si fanno nella via ordinaria. E se in questa occasione della comunione insorgono moti di umiliazione, di supplica o di rendimento di grazie, debbono essere repressi, salvo che non si riconosca che questi provengono da un impulso speciale di Dio: altrimenti essi sono un impulso della natura non ancora morta. 33. L'anima che procede per questa via interiore agisce male se nei giorni di festa solenne, con uno sforzo particolare, vuole suscitare in sé un qualche devoto sentimento, dato che per l'anima interiore tutti i giorni sono uguali, sono tutti festivi. E lo stesso deve dirsi dei luoghi sacri, perché per le anime di tal fatta tutti i luoghi sono uguali. 34. Rendere grazie a Dio con le parole e la lingua, non è cosa per le anime anteriori che debbono rimanere in silenzio, senza opporre a Dio alcun impedimento che operi in loro; e quanto più si abbandonano a Dio, imparano a conoscere di non poter più recitare la preghiera del Signore, cioè il Pater noster. 35. Per le anime di questa via interiore non è conveniente che esse facciano delle azioni anche virtuose, per propria scelta e attività: altrimenti non sarebbero morte. E neppure debbono produrre atti di amore verso la beata Vergine, verso i santi o verso l'umanità di Cristo: come infatti questi oggetti sono sensibili, tale è l'amore verso di essi. 36. Nessuna creatura, nemmeno la beata Vergine o i santi, debbono soffermarsi nel nostro cuore: solo Dio infatti vuole occuparlo e possederlo. 37. Nel momento delle tentazioni, anche terribili, l'anima non deve produrre gli atti espliciti delle virtù opposte, deve invece rimanere nell'amore e nell'abbandono suddetti. 38. La croce volontaria delle mortificazioni è un peso opprimente e senza frutto, deve perciò essere eliminata. 39. Le opere più sante e le penitenze che hanno compiuto i Santi, non sono capaci di rimuovere dall'anima nemmeno un solo attaccamento. 40. La beata Vergine non ha mai compiuto nessun atto esteriore, e tuttavia è stata la più santa di tutti i Santi. Si può pervenire dunque alla santità senza l'opera esteriore. 41. Dio permette e vuole, per umiliarci e per condurci ad una vera trasformazione, che in alcune anime perfette, anche non in estasi, il demonio operi violentemente nei loro corpi e faccia loro commettere degli atti carnali, anche durante la veglia e senza l'oscuramento della mente, muovendo fisicamente le loro mani e le altre membra contro la loro volontà. E lo stesso si deve dire per gli altri atti in sé peccaminosi: in questo caso non sono peccati perché in essi non c'è il consenso. 42. Si può dare il caso che siffatte violenze verso atti carnali avvengano nello stesso tempo da parte di due persone, di un maschio cioè e di una femmina, e da parte di entrambi ne segue l'atto. 43. Dio nei secoli passati faceva i santi servendosi dei tiranni; ora invece li fa santi servendosi dei demoni: causando infatti in loro le violenze di cui sopra fa in modo che essi disprezzino e annichiliscano maggiormente se stessi e si abbandonino a Dio. 44. Giobbe ha bestemmiato, e tuttavia non ha commesso peccato con le sue labbra: perché questo avvenne per la violenza del demonio. 45. San Paolo ha patito nel suo corpo le violenze di questo demonio: per questo ha scritto: "Io non faccio il bene che voglio, ma io faccio il male che non voglio" ( Rm 7,19 ). 46. Le violenze di questo genere sono il mezzo più idoneo per annichilire l'anima e per condurla alla vera trasformazione e unione, e non sussiste altra via: e questa è la via più facile e sicura. 47. Quando sopravvengono violenze di tal genere, bisogna lasciare che satana operi, senza esercitare nessuna operosità e nessuno sforzo personale, e l'uomo deve rimanere nel suo nulla; e anche se conseguono polluzioni e atti osceni con le proprie mani, e anche cose peggiori, non ci si deve turbare in se stessi, ma si debbono cacciare via gli scrupoli, i dubbi e i timori; l'anima infatti diventa più illuminata, più forte e più candida e si acquista la santa libertà; e soprattutto non è necessario confessare queste cose, e se non si confessano si opera in modo santissimo, perché in questo modo si vince il demonio e si acquista il tesoro della pace. 48. Satana, lui che arreca le violenze di questo genere, suggerisce poi che queste sono colpe gravi, affinché l'anima si turbi, e non proceda più nella via interiore: per questo, per indebolire le sue forze, è meglio non confessarle, perché non sono peccati, neppure veniali. 49. Giobbe per la violenza del demonio si macchiava con le proprie mani nello stesso tempo in cui innalzava a Dio preghiere pure, interpretando così il passo del capitolo XVI del libro di Giobbe ( Gb 16,18 ). 50. Davide, Geremia e molti dei santi profeti soffrivano le violenze di tal genere delle loro impure azioni esteriori. 51. Nella Sacra Scrittura ci sono molti esempi di violenze ad atti esteriori peccaminosi: come quello di Sansone che per la violenza uccise se stesso assieme ai filistei ( Gdc 16,29s ), concluse il matrimonio con una straniera ( Gdc 14,1-20 ), e fornicò con la meretrice Dalila ( Gdc 16,4-22 ), cose che di per sé erano proibite e che sarebbero state peccato; quello di Giuditta che mentì a Oloferne ( Gdt 11,5-19 ); quello di Eliseo che maledisse i bambini ( 2 Re 2,24 ); quello di Elia che bruciò due generali con le schiere del re Acab ( 2 Re 1,10-12 ). Rimane in dubbio invero, se si è trattato di una violenza operata direttamente da Dio o per mezzo invece dei demoni, come avviene in altre anime. 52. Quando simili violenze, anche impure, accadono senza oscuramento della mente, allora l'anima può essere unita a Dio e di fatto è unita sempre più. 53. Per riconoscere nella pratica se in altre persone una qualche azione sia stata una violenza, il criterio che io ho a questo riguardo, non sono soltanto le assicurazioni di quelle anime che assicurano di non avere affatto acconsentito alle violenze suddette o che non possono giurare che in queste hanno acconsentito, e il vedere che sono anime che progrediscono nella via interiore; ma io assumo il criterio da una certa qual luce attuale, una conoscenza umana e teologica superiore, che mi fa conoscere sicuramente con interiore certezza che quella tale azione è violenta; e sono certo che quella luce proviene da Dio, perché mi proviene unitamente alla certezza che da Dio proviene, e non mi lascia nessuna ombra di dubbio in contrario: nello stesso modo in cui talvolta avviene che Dio mentre rivela qualcosa, nello stesso tempo rende certa l'anima che è lui stesso che rivela e l'anima non può dubitare in contrario. 54. Le persone spirituali della via ordinaria troveranno se stessi nell'ora della morte delusi e confusi, con tutte le passioni che debbono essere purificate nell'altro mondo. 55. Per questa via interiore si perviene, anche se con molta sofferenza, a purificare e a estinguere tutte le passioni, al punto che nulla più si sente, nulla, nulla: e non si sente nessuna inquietudine, come un corpo morto, e l'anima non si lascia mai più turbare. 56. Le due leggi e le due brame, una dell'anima e l'altra dell'amor proprio, durano tanto a lungo quanto perdura l'amor proprio: per cui, quando questo è stato purificato ed è morto, come avviene per la via interiore, non rimangono più quelle due leggi e quelle due brame, né si incorre più in qualche caduta, e non si sente più nulla, neppure il peccato veniale. 57. Per la contemplazione acquisita si perviene allo stato di non fare più nessun peccato, né mortale né veniale. 58. A un simile stato si perviene non riflettendo più sulle proprie azioni: perché i difetti nascono dalla riflessione. 59. La via interiore è disgiunta dalla confessione, dai confessori e dai casi di coscienza, dalla teologia e dalla filosofia. 60. Alle anime progredite che iniziano a morire alle riflessioni e che pervengono così al punto che queste sono morte, Dio rende talvolta impossibile la confessione, e supplisce lui stesso con una grazia di preservazione tanto grande quale quella che avrebbero ricevuto nel sacramento: e così per questo genere di anime non è un bene accedere al sacramento della penitenza, perché questo è per loro impossibile. 61. L'anima, quando perviene alla morte mistica, non può più volere null'altro se non quello che vuole Dio, perché non ha più volontà, e Dio gliela ha portata via. 62. Per la via interiore si perviene a uno stato continuo di immobilità nella pace imperturbabile. 63. Per la via interiore si perviene anche alla morte dei sensi: anzi, il segno che qualcuno si trova nello stato di nullità, cioè della morte mistica, si ha quando i sensi esteriori non rappresentano più le cose sensibili, per cui queste sono come se non fossero, dato che non giungono a far sì che l'intelletto si applichi a esse. 64. Il teologo ha una minore disposizione allo stato di contemplazione di quanto non abbia l'uomo incolto: prima di tutto perché non ha una fede tanto pura, in secondo luogo perché non è tanto umile; terzo, perché non cura tanto la propria salvezza; quarto, perché ha la testa piena di fantasie, apparenze, opinioni e speculazioni, e non può entrare in lui la vera luce. 65. Ai superiori bisogna obbedire nelle cose esteriori, e l'estensione del voto di obbedienza dei religiosi raggiunge soltanto l'esterno. Le cose invece avvengono diversamente nella sfera interiore, dove soltanto Dio e il direttore spirituale possono entrare. 66. Degna di riso e nuova nella chiesa di Dio è quella certa dottrina per cui l'anima per quanto riguarda l'interno debba essere guidata dal vescovo: se poi il vescovo non è idoneo, l'anima deve andare dallo stesso con il suo direttore. Dottrina nuova dico, dato che né la sacra Scrittura, né i concili, né i canoni, né le bolle, né i santi, né gli autori l'hanno mai insegnata, né possono insegnarla: perché la chiesa non giudica delle cose nascoste, e l'anima ha il diritto e la facoltà di scegliere chiunque essa ritenga opportuno. 67. Dire che il foro interno deve essere manifestato al tribunale esterno dei superiori, e che è peccato non farlo, è un inganno evidente: poiché la chiesa non giudica relativamente alle cose nascoste e si fa del male alle proprie anime con questi inganni e simulazioni. 68. Non c'è nessuna facoltà o giurisdizione al mondo per prescrivere che si manifestino le lettere del direttore spirituale che riguardano l'interno dell'anima: e perciò bisogna riconoscere che questo è un insulto del diavolo. [ Censura: ] Queste proposizioni quindi, come eretiche [ 3 13-15 41-53 ], sospette [ vicine all'eresia: 21 23 57 60s; in odore di eresia: 2 4-10 12 16-19 31s 35s 55s 58 ], erronee [ 4-6 8-10 13-19 21s 24 32 35 41-53 58 ], scandalose [ 6 9-11 14-20 24s 30-52 54 58-60 63s 66 ], blasfeme [ 10 14s 41-53 60 ], offensive per le orecchie pie [ 6 30 58 ], temerarie [ 11 14s 17-20 23s 26s 30- 35 38s 41-68 ], atte a dissolvere la disciplina cristiana [ 10 16 21s 24s 31 35 38s 41-52 59 65s ], eversive [ 68 ], sediziose [ 65 ] rispettivamente … condanniamo … Condanniamo inoltre … tutti i libri e tutte le opere in qualunque luogo e in qualunque lingua stampate, e anche tutti i manoscritti dello stesso Miguel de Molinos. Innocenzo XI 7-12-1690 Alessandro VIII: Decreto del S. Uffizio. Condanna degli errori dei giansenisti Decreto del S. Uffizio 7 dicembre 1690 Dopo la condanna del "lassismo" avversari dei giansenisti raccolsero, soprattutto da tesi e opere di teologi che insegnavano in Belgio, più di duecento proposizioni condannabili e sotto pressione del re Carlo II di Spagna le consegnarono al S. Uffizio. L'esame, iniziato a Roma nel 1682, fu portato a termine nel luglio del 1686. L'emanazione del decreto fu differita di quattro anni forse per facilitare una riconciliazione nella contesa. Errori dei giansenisti - Proposizioni condannate 1 Nello stato della natura decaduta, per il peccato mortale [ formale ] e per il demerito è sufficiente quella libertà per la quale fu volontario e libero nella sua causa, il peccato originale cioè e la volontà di Adamo che peccava. 2 Anche se è data una invincibile ignoranza del diritto naturale, questa, nello stato di natura decaduta, non giustifica dal peccato formale [materiale] colui che opera in base ad essa. 3 Non è lecito seguire l'opinione [ probabile ], o la più probabile fra quelle probabili. 4 Cristo ha dato se stesso in oblazione al Padre per noi, non solo per gli eletti, ma per tutti i credenti e solo per loro. 5 Pagani, Giudei, eretici e altri di questo genere non ricevono assolutamente nessun influsso da Gesù Cristo: si deduce quindi rettamente da questo che in loro c'è la nuda e inerme volontà, senza nessuna grazia sufficiente. 6 La grazia sufficiente, per il nostro stato, non è poi tanto utile, quanto piuttosto dannosa, al punto che dunque noi possiamo meritatamente chiedere: Dalla grazia sufficiente, liberaci o Signore. 7 Ogni azione umana deliberata è amore di Dio o amore del mondo: se è di Dio, è amore del Padre; se è del mondo, è concupiscenza della carne, cioè cosa cattiva. 8 Il non credente in ogni azione pecca necessariamente. 9 Commette veramente peccato colui che ha in odio il peccato soltanto per la sua turpitudine e per la discordanza con la natura, senza nessuna considerazione per Dio offeso. 10 L'intenzione con la quale si detesta il male e si persegue il bene soltanto per ottenere la gloria celeste, non è retta e non piace a Dio. 11 Tutto ciò che non proviene dalla fede cristiana soprannaturale che opera per l'amore, è peccato. 12 Quando nei grandi peccatori manca ogni amore, manca anche la fede: e anche se sembrano credere, questa non è fede divina, ma umana. 13 Chiunque serve Dio anche in considerazione del premio eterno, se è stato privo di carità, non è privo di vizio, tutte le volte che opera anche in considerazione della beatitudine. 14 Il timore della Geenna non è soprannaturale. 15 L'attrizione che è suscitata dalla paura della Geenna e delle pene, senza amore della benevolenza di Dio per se stessa, non è un sentimento buono e soprannaturale. 16 Non è stato il governo o la disciplina della chiesa a introdurre la disposizione di premettere la soddisfazione all'assoluzione, ma la stessa legge e prescrizione di Cristo, esigendolo, in un certo qual modo, la natura della cosa. 17 In seguito alla prassi di assolvere subito, l'ordinamento della penitenza è stato sovvertito. 18 La consuetudine moderna in ordine all'amministrazione del sacramento della penitenza, anche se la sostiene l'autorità di moltissimi uomini e la conferma la lunga durata nel tempo, tuttavia dalla chiesa non è considerata un uso, ma un abuso. 19 L'uomo deve fare penitenza per tutta la vita per il peccato originale. 20 Le confessioni fatte presso i religiosi, il più delle volte sono sacrileghe o invalide. 21 Un parrocchiano può avere il sospetto, riguardo ai religiosi mendicanti che vivono di elemosine pubbliche, che una penitenza o soddisfazione troppo lieve o incongrua venga imposta in cambio del vantaggio o del profitto di aiuto temporale. 22 Debbono essere giudicati sacrileghi quelli che pretendono il diritto di ricevere la comunione prima di aver fatto una degna penitenza delle loro colpe. 23 Similmente debbono essere allontanati dalla santa comunione quelli in cui non c'è ancora l'amore di Dio purissimo e libero da ogni commistione. 24 L'offerta nel Tempio che è stata fatta dalla beata Vergine Maria nel giorno della sua purificazione con due piccole colombe, una per l'olocausto e l'altra per il peccato, testimonia in modo sufficiente che essa abbisognava di purificazione, e che il figlio che veniva offerto, secondo le parole della legge, era macchiato anche della macchia della madre. 25 Non è lecito per un cristiano collocare in chiesa una immagine di Dio Padre [ seduto ]. 26 La lode che si porta a Maria in quanto Maria, è vana. 27 Un tempo era valido il battesimo dato con questa formula: "Nel nome del Padre, ecc.", tralasciando: "Io ti battezzo". 28 E valido il battesimo dato dal ministro che osserva tutto il rito esteriore e la formula del battesimo, anche se nell'intimo del suo cuore afferma a se stesso: "Non intendo ( fare ) quello che fa la chiesa". 29 Vana e ripetutamente contraddetta è l'affermazione relativa all'autorità del pontefice romano sul concilio ecumenico e quella sull'infallibilità nel decidere le questioni di fede. 30 Quando si trova una dottrina chiaramente fondata in Agostino, la si può tenere per ferma e insegnare in modo assoluto, senza darsi pensiero di nessuna bolla del pontefice. 31 La bolla di Urbano VIII In eminenti è stata ottenuta con l'inganno. [ Censura: Sono condannate e proibite in quanto ] rispettivamente temerarie, scandalose, risuonanti male, ingiuriose, prossime all'eresia, in odore di eresia, erronee, scismatiche ed eretiche 8-9-1713 Clemente XI: Unigenitus Dei Filius Costituzione di condanna degli errori giansenisti di Pasquier Quesnell Unigenitus Dei Filius Costituzione dell'8 settembre 1713 - Clemente XI Pasquier Quesnel, guida dei giansenisti dopo Antoine Arnauld, pubblicò a Parigi nel 1671 l'opera Abrégé de la morale de l'Evangile, ou Pensées chréliennes sur le texte des 4 Évangelistes. Nel 1867 ne pubblicò un complemento: Abrégé de la morale des Actes, des Épìtres canoniques, de l'Apocalypse. L'opera, stampata e ampliata più volte, ricevette nel 1693 un nuovo titolo: Le Nouveau Testament en francais avec des réflexions morales sur chaque verset. In quest'opera erano contenuti errori così evidenti che l'arcivescovo di Parigi Noailles ne richiese la correzione. Ma anche l'edizione del 1699 fu criticata. Clemente XI nel breve Universi dominici gregis del 13 luglio 1708 proibì l'opera di Quesnel. Giacché la proibizione non ebbe conseguenze presso i giansenisti, il papa su espressa richiesta del re Luigi XIV di Francia nella costituzione Unigenitus Dei Filius condannò formalmente il libro di Quesnel e 101 proposizioni tolte da esso. Questa condanna - accuratamente preparata con 17 sedute di teologi e 23 di cardinali - tiene presente sia l'edizione dell'opera del 1693 ( presentando il testo in latino ) come pure l'edizione del 1699. Alcuni vescovi di Francia amici di Quesnel fecero appello dal papa a un concilio generale e furono perciò da Clemente XI con la bolla Pastoralis officii del 28 agosto 1718 ( resa pubblica l'8 settembre ) scomunicati. In questa bolla furono confermati i precedenti decreti contro i giansenisti. Innocenzo XIII ( decreto dell'8 gennaio 1722 ), Benedetto XIII ( Sinodo di Roma dell'anno 1725 ) e Benedetto XIV ( enciclica Ex omnibus christiani orbis del 16 ottobre 1756 ) sottolinearono il valore della costituzione Unigenitus Dei Filius, giacché la sua autorità veniva sempre contestata. Errori giansenisti di Pasquier Quesnel - Proposizioni condannate (§ 2) … Sappiamo con certezza che il grandissimo danno di questo libro avanza sempre di più e si rafforza, perché si nasconde all'interno e come maligna purulenza non sgorga all'esterno se non si incide l'ascesso, dato che questo libro a prima vista seduce i lettori con una sua qualche parvenza di pietà … (§ 3) 1. Cos'altro rimane all'anima che ha perduto Dio e la sua grazia, se non il peccato e le conseguenze del peccato, la miseria superba e la fiacca indigenza, cioè la generale impotenza al lavoro, alla preghiera e a ogni opera buona? Questa proposizione si trova nelle Observationes morales di Quesnel a proposito di Lc 16,3. 2. La grazia di Gesù Cristo, principio efficace del bene di qualsiasi genere, è necessaria per ogni opera buona; senza di essa non solo non si fa nulla, ma non si può fare nulla. - Gv 15,5: ed. 1963. 3. Invano, Signore, tu comandi, se tu stesso non dai ciò che comandi. - At 16,10. 4. Così dunque, o Signore, tutto è possibile a colui a cui tu rendi tutte le cose possibili, operandole in lui. - Mc 9,22. 5. Quando Dio non addolcisce il cuore con l'intima unzione della sua grazia, le esortazioni e le grazie esteriori non servono a nulla, se non a indurirlo maggiormente. - Rm 9,18: ed. 1693. 6. La differenza fra l'alleanza giudaica e l'alleanza cristiana, consiste nel fatto che Dio in quella richiede la fuga dal peccato e l'adempimento della legge dal peccatore lasciandolo però nella sua impotenza: in questa invece Dio da al peccatore ciò che comanda, purificandolo con la sua grazia. - Rm 11,27. 7. Quale l'utilità per l'uomo nell'antica alleanza, nella quale Dio lo lascia alla sua propria debolezza, mentre gli impone la sua legge? Quale felicità invece è l'essere ammessi ad una alleanza nella quale Dio ci dona ciò che ci chiede? - Eb 8,7. 8. Noi apparteniamo alla nuova alleanza in quanto siamo partecipi della sua grazia nuova che opera in noi ciò che Dio ci ordina. - Eb 8,10. 9. La grazia di Cristo è la grazia suprema, senza la quale non possiamo nemmeno confessare Cristo e con la quale mai lo rinneghiamo. ( 1 Cor 12,3: ed. 1693.) 10. La grazia è l'opera della mano di Dio onnipotente, che nulla può ostacolare o ritardare. - Mt 20,34. 11. La grazia non è altro che la volontà onnipotente di Dio che comanda e compie ciò che comanda. - Mc 2,11. 12. Quando Dio vuole salvare un'anima, in qualsiasi tempo e in qualsiasi luogo, l'effetto certo segue la volontà di Dio. - Mc 2,12. 13. Quando Dio vuole salvare un'anima e la tocca con la grazia interiore della sua mano, nessuna volontà umana gli resiste. - Lc 5,13: ed. 1693. 14. Per quanto lontano dalla salvezza sia il peccatore ostinato, quando Gesù con la luce salvifica della sua grazia gli si mostra per essere veduto, questi deve sottomettersi, accorrere, umiliarsi e adorare il suo Salvatore. - Mc 5,6: ed. 1693. 15. Quando Dio accompagna il suo comandamento e la sua parola esteriore con l'unzione del suo Spirito e la forza interiore della sua grazia, opera nel cuore l'obbedienza che chiede. - Lc 9,60. 16. Non c'è nessuna lusinga che non ceda alle lusinghe della grazia; perché nulla resiste all'Onnipotente. - At 8,12. 17. La grazia è quella voce del Padre che insegna interiormente agli uomini e li fa venire a Gesù Cristo: chiunque a lui non viene, dopo aver udito la voce esteriore del Figlio, non è stato affatto istruito dal Padre. - Gv 6,45. 18. Il seme della parola, che la mano di Dio irriga, porta sempre il suo frutto. - At 11,21. 19. La grazia di Dio non è altro che la sua volontà onnipotente: è questa l'idea che Dio stesso ci ha lasciato in tutte le sue Scritture. - Rm 14,4: ed.1693. 20. La vera idea della grazia è che Dio vuole da noi che gli si obbedisca, ed egli è obbedito; comanda, e tutte le cose sono fatte; parla come Signore, e tutte le cose gli sono sottomesse. - Mc 4,39. 21. La grazia di Gesù Cristo è una grazia forte, potente, suprema, invincibile, per il fatto che è l'operazione di una volontà onnipotente, conseguenza e imitazione dell'operazione di Dio che opera l'incarnazione e la risurrezione di suo Figlio. - 2 Cor 5,21: ed. 1693. 22. La concordia dell'onnipotente operazione di Dio nel cuore dell'uomo con il libero consenso della sua volontà, ci è dimostrata nell'incarnazione, come nella fonte e nell'archetipo di tutte le altre operazioni della misericordia e della grazia, che sono tutte così gratuite e così dipendenti da Dio come quell'originaria operazione. - Lc 1,48. 23. Dio stesso ci ha lasciato l'idea dell'onnipotente efficacia della sua grazia, significandola come quella che produce dal nulla le creature e ai morti rende la vita. - Rm 4,17. 24. La giusta idea che il centurione ha della onnipotenza di Dio e di Gesù Cristo in ordine alla guarigione dei corpi col solo moto della sua volontà, è l'immagine dell'idea che si deve avere dell'onnipotenza della sua grazia nella guarigione delle anime dalla cupidigia. - Lc 7,7. 25. Dio illumina l'anima e la guarisce, come anche il corpo, soltanto con la sua volontà: comanda, e gli viene obbedito. Lc 18,42. 26. Nessuna grazia viene data, se non per la fede. - Lc 8,48. 27. La fede e la prima grazia, e la fonte di tutte le altre. - 2 Pt 1,3 28. La prima grazia che Dio concede al peccatore, è la remissione dei peccati. - Mc 11,25. 29. Al di fuori della chiesa non è concessa nessuna grazia. - Lc 10,35.36. 30. Tutti coloro che Dio vuole salvare per mezzo di Cristo, sono infallibilmente salvati. - Gv 6,40. 31. I desideri di Cristo hanno sempre il loro effetto: egli porta la pace nell'intimo dei cuori, quando a essi egli la augura. - Gv 20,19. 32. Gesù Cristo si è consegnato alla morte per liberare per sempre con il suo sangue i primogeniti, cioè gli eletti, dalla mano dell'angelo sterminatore. - Gal 4,4-7. 33. Ahimè, quanto deve aver rinunciato ai beni terreni ed a se stesso, perché uno possa aver fiducia, per così dire, di avvicinarsi a Gesù Cristo, al suo amore, alla sua morte, ai suoi misteri; come fa san Paolo, quando dice: "Egli mi ha amato, e ha dato se stesso per me". - Gal 2,20. 34. La grazia di Adamo non produceva se non dei meriti umani. - 2 Cor 5,21: ed. 1693. 35. La grazia di Adamo è una conseguenza della creazione ed era dovuta alla natura sana e integra. - 2 Cor 5,21. 36. La differenza essenziale fra la grazia di Adamo e dello stato di innocenza e la grazia cristiana, consiste nel fatto che la prima ciascuno la ricevette nella propria persona, mentre la seconda non la si riceve se non nella persona di Gesù Cristo risorto, al quale noi siamo uniti. - Rm 7,4. 37. La grazia di Adamo, santificandolo in se stesso, era a lui proporzionata; la grazia di Cristo, santificando noi in Gesù Cristo, è onnipotente e degna del Figlio di Dio. - Ef 1,6. 38. Il peccatore, senza la grazia del Liberatore, non è libero se non di fare il male. - Lc 8,9. 39. La volontà che non è prevenuta dalla grazia non ha nessuna luce, se non per aberrare, nessuno slancio, se non per precipitare, nessuna forza se non per ferirsi, è capace di ogni male e incapace di ogni bene. - Mt 20,34. 40. Senza la grazia non possiamo amare nulla se non per la nostra condanna. - 2 Ts 3,18: ed. 1693. 41. Ogni conoscenza di Dio, anche naturale, anche nei filosofi pagani, non può venire se non da Dio; e senza la grazia non produce altro che presunzione, vanità e opposizione a Dio stesso, invece che sentimenti di adorazione, gratitudine e amore. - Rm 1,19. 42. Solo la grazia di Cristo rende l'uomo capace del sacrificio della fede; senza di questo non c'è nulla se non l'impurità, nulla se non l'indegnità. - At 11,9. 43. Il primo effetto della grazia battesimale è far sì che noi moriamo al peccato, così che lo spirito, il cuore e i sensi non vivano più per il peccato, come un uomo morto non vive più per le cose del mondo. - Rm 6,2: ed. 1693. 44. Ci sono soltanto due amori, da cui nascono tutti i nostri voleri e azioni: l'amore di Dio, che fa tutte le cose per Dio e che Dio premia, e l'amore con cui noi amiamo noi stessi ed il mondo, che non riconduce a Dio ciò che a Dio deve essere ricondotto, e per questo diventa malvagio. - Gv 5,29. 45. Dato che l'amore di Dio non regna più nel cuore dei peccatori, necessariamente vi regna la cupidigia carnale e corrompe tutte le sue azioni. - Lc 15,13: ed. 1693. 46. La concupiscenza o la carità rendono buono o cattivo l'uso dei sensi. Mt 5,28. 47. L'obbedienza alla legge deve sgorgare da una fonte, e questa fonte è la carità. Quando l'amore di Dio è il suo principio interiore, e la gloria di Dio il suo fine, allora è puro ciò che appare all'esterno; altrimenti non è che ipocrisia o falsa giustizia. - Mt 25,26: ed. 1693. 48. Che cosa possiamo mai essere noi, senza la luce della fede, senza Cristo e senza la carità, se non tenebre, aberrazione e peccato? - Ef 5,8. 49. Come nessun peccato è senza l'amore di noi stessi, così nessuna opera buona è senza l'amore di Dio. - Mc 7,22.23. 50. Invano noi gridiamo a Dio: "Padre mio", se non è lo spirito di carità quello che grida. - Rm 8,15. 51. La fede giustifica, quando opera, ma essa non opera se non per la carità. - At 13,39. 52. Tutti gli altri mezzi di salvezza sono contenuti nella fede come nel loro germe e seme; ma questa fede non è senza l'amore e la fiducia. - At 10,43. 53. La carità sola opera in modo cristiano ( le azioni cristiane ), a motivo della relazione a Dio e a Gesù Cristo. - Col 3,14. 54. È solo la carità che parla a Dio; e questa sola Dio ascolta. - 1 Cor 13,1. 55. Dio non da la corona se non alla carità: chi corre spinto da un altro impulso o da un altro motivo, corre invano. - 1 Cor 9,24. 56. Dio non premia se non la carità: perché solo la carità onora Dio. - Mt 25,36. 57. Manca tutto al peccatore, quando gli manca la speranza; e non c'è speranza in Dio dove non c'è l'amore di Dio. - Mt 27,5. 58. Non c'è Dio e neppure religione, dove non c'è la carità. - 1 Gv 4,8. 59. La preghiera degli empi è un nuovo peccato; e quello che Dio loro concede, è un nuovo giudizio su di loro. - Gv 10,25: ed. 1693. 60. Se soltanto la paura del supplizio anima la penitenza, quanto più questa è violenta, tanto più conduce alla disperazione. - Mt 27,5. 61. La paura trattiene soltanto la mano, il cuore invece è tanto a lungo abbandonato al peccato, finché non è guidato dall'amore della giustizia. - Lc 20,19. 62. Chi si astiene dal male soltanto per il timore della pena, lo commette in cuor suo ed è già colpevole davanti a Dio. - Mt 21,40. 63. Il battezzato è ancora sotto la legge come il giudeo, se non adempie la legge, o se l'adempie per solo timore. - Rm 6,14. 64. Sotto la maledizione della legge non si compie mai il bene; si pecca infatti sia facendo il male, sia evitandolo soltanto per timore. - Gal 5,18. 65. Mosè, i profeti, i sacerdoti e i dottori della Legge sono morti senza aver dato a Dio nessun figlio, dato che per il timore non hanno prodotto che degli schiavi. - Mc 12,19. 66. Chi vuole avvicinarsi a Dio, non deve andare a lui con passioni brutali e non deve neppure essere condotto dall'istinto naturale o dal timore, come le bestie, ma dalla fede e dall'amore, come i figli. - Eb 12,20: ed. 1693. 67. Il timore servile non si rappresenta Dio se non come un padrone duro, imperioso, ingiusto e intrattabile. - Lc 19,21: ed. 1693. 68. La bontà di Dio ha abbreviato la via della salvezza, rinchiudendo tutto nella fede e nelle preghiere. - At 2,21. 69. La fede, l'esercizio, l'accrescimento e il premio della fede, tutto è dono della pura liberalità di Dio. - Mc 9,22. 70. Dio non affligge mai gli innocenti; e le afflizioni servono sempre per punire il peccato o per purificare il peccatore. - Gv 9,3. 71. L'uomo per la sua conservazione può dispensare se stesso da quella legge che Dio ha disposto per la sua utilità. - Mc 2,28. 72. La caratteristica della chiesa cristiana è quella di essere cattolica, comprendendo anche tutti gli angeli del cielo e tutti gli eletti e i giusti della terra e di tutti i secoli. - Eb 12,22-24. 73. Che cos'è la chiesa, se non l'insieme dei figli di Dio che rimangono nel suo seno, adottati in Cristo, sussistenti nella sua persona, redenti dal suo sangue, viventi per il suo spirito, operanti per la sua grazia, e che aspettano la grazia del secolo futuro? - 2 Ts 1,1s: ed. 1693. 74. La chiesa, per meglio dire il Cristo completo, ha come capo il Verbo incarnato, e come membra tutti i santi. - 1 Tm 3,16. 75. La chiesa è un solo uomo composto di più membra, delle quali Cristo è il capo, la vita, l'essenza e la persona; un solo Cristo, composto di più Santi, dei quali è il santificatore. - Ef 2,14-16. 76. Non c'è nulla di più spazioso della chiesa di Dio: la compongono infatti tutti gli eletti e i giusti di tutti i secoli. - Ef 2,22. 77. Chi non conduce una vita degna di figlio di Dio e di membro di Cristo, cessa interiormente di avere Dio per Padre e Cristo per capo. - 1 Gv 2,24: ed.1693 78. Si viene separati dal popolo eletto, di cui è stato figura il popolo giudaico di cui è capo Gesù Cristo, sia non vivendo secondo il Vangelo, sia non credendo al Vangelo. - At 3,23. 79. È utile e necessario in ogni tempo, in ogni luogo e per ogni genere di persona, studiare e conoscere lo spirito, la pietà e i misteri della sacra Scrittura.- 1 Cor 14,5. 80. La lettura della sacra Scrittura è per tutti. - At 8,28. 81. La santa oscurità della parola di Dio non è per i laici un motivo per dispensare se stessi dalla sua lettura. - At 8,31. 82. Il giorno del Signore deve essere santificato dai cristiani con letture pie e soprattutto delle sacre Scritture. È dannoso voler ritrarre il cristiano da questa lettura. - At 15,21. 83. È un inganno l'essere persuasi che la conoscenza dei misteri della religione non deve essere comunicata alle donne mediante la lettura dei libri sacri. Non dalla semplicità delle donne, ma dalla scienza superba degli uomini è sorto l'abuso delle Scritture, e sono nate le eresie. - Gv 4,26. 84. Strappar via dalle mani dei cristiani il Nuovo Testamento, oppure tenerglielo chiuso privandoli del modo di comprenderlo, è chiudere a loro bocca di Cristo. - Mt 5,2. 85. Proibire ai cristiani la lettura della sacra Scrittura, in modo particolare del Vangelo, è proibire l'uso della luce ai figli della luce, e far si che subiscano una specie di scomunica. - Lc 11,33: ed. 1693. 86. Sottrarre al popolo semplice la consolazione di unire la propria voce alla voce di tutta la chiesa, è un uso contrario alla prassi apostolica e all'intenzione di Dio. - 1 Cor 14,16 87. È un modo pieno di sapienza, di luce e di carità, quello di dare alle anime il tempo di portare con umiltà e di capire lo stato di peccato, di chiedere lo spirito di penitenza e di contrizione, e di cominciare almeno a dare soddisfazione alla giustizia di Dio, prima che siano riconciliate. - At 8,9. 88. Noi ignoriamo che cosa sia il peccato e la vera penitenza quando vogliamo essere immediatamente restituiti al possesso di quei beni dei quali il peccato ci ha spogliati, e rifiutiamo di portare la vergogna di questa separazione. - Lc 17,11.12. 89. Il quattordicesimo gradino della conversione del peccatore, è quello di avere, una volta che sia già riconciliato, il diritto di assistere al sacrificio della chiesa. - Lc 15,23. 90. La chiesa ha l'autorità di scomunicare, per esercitarla mediante i primi pastori con il consenso almeno presunto di tutto il corpo. - Mt 18,17. 91. Il timore di una ingiusta scomunica non deve mai impedirci di compiere il nostro dovere; mai noi usciamo dalla chiesa, anche quando per l'iniquità degli uomini sembriamo espulsi da essa, quando, per mezzo della carità, siamo fissi saldamente in Dio, in Gesù Cristo e nella sua chiesa. - Gv 9,22.23. 92. Sopportare in pace la scomunica e l'ingiusto anatema piuttosto che tradire la verità, è imitare san Paolo; ed è molto lontano dall'erigersi contro l'autorità o rompere l'unità. - Rm 9,3. 93. Gesù talvolta guarisce le ferite che l'incauta impazienza dei primi pastori infligge senza il suo mandato. Gesù restituisce quello che loro distruggono per zelo sconsiderato. - Gv 18,11. 94. Nulla infonde nei suoi nemici una peggiore opinione riguardo alla chiesa, che il vedere che si esercita in essa la tirannia sopra la fede dei credenti e si favoriscono le divisioni a motivo di cose che non contraddicono la fede e i costumi. - Rm 14,16. 95. Le verità sono scadute a tal punto, da esser diventate un discorso quasi estraneo per la maggior parte dei cristiani, e il modo della loro predicazione è come un dialetto sconosciuto; è del tutto lontano dalla semplicità degli apostoli, e al di sopra della comune comprensione dei fedeli; e non si avverte in modo adeguato che questo difetto è uno dei segni massimamente sensibili della vecchiaia della chiesa e dell'ira di Dio sui suoi figli. - 1 Cor 14,21. 96. Dio permette che tutte le potenze siano contrarie ai predicatori della verità, affinché la sua vittoria non possa essere attribuita che alla grazia divina. - At 17,8. 97. Succede abbastanza spesso che quelle membra che sono unite alla chiesa più santamente e più strettamente, sono guardate e sono trattate come indegne, o come separate da essa; ma "il giusto vive di fede" ( Rm 1,17 ), e non dell'opinione degli uomini. - At 4,11. 98. Lo stato di persecuzione e di sofferenze che uno sopporta come eretico, infame ed empio, è generalmente l'ultima prova e la più meritoria, quella che rende l'uomo maggiormente conforme a Gesù Cristo. - Lc 22,57. 99. La pervicacia, la presunzione, l'ostinazione nel non volere esaminare qualcosa o nel riconoscere di essere stato ingannato, trasformano ogni giorno presso molti in odore di morte ciò che Dio ha posto nella sua chiesa perché in essa fosse odore di vita, per esempio i libri buoni, gli insegnamenti, gli esempi santi, ecc. - 2 Cor 2,16. 100. Tempo di pianto e lamentazione, quello in cui si crede di onorare Dio perseguitando la verità e i suoi discepoli! Questo tempo è venuto. … L'essere ritenuto e trattato dai ministri della religione come empio e indegno a ogni rapporto con Dio, come un membro putrido, capace di tutto corrompere nella società dei Santi, è per gli uomini pii, una morte più terribile della morte del corpo. Vanamente uno si lusinga per la purezza delle sue intenzioni o per un qualche zelo religioso, quando perseguita con il fuoco e con il ferro uomini probi, se è accecato dalla propria passione o trascinato da una esterna, perché non vuole esaminare nulla. Spesso crediamo di sacrificare l'empio a Dio, mentre sacrifichiamo al diavolo il figlio di Dio. - Gv 16,2. 101. Nulla si oppone maggiormente allo spirito di Dio e alla dottrina di Gesù Cristo, quanto il fare giuramenti generalizzati nella chiesa; perché questo è un moltiplicare le occasioni di spergiuro, è un tendere lacci agli infermi e agli ignoranti, e un far sì che il nome e la verità di Dio servano talvolta al disegno degli empi. - Mt 5,37. [ Censura: ] … Noi dichiariamo, condanniamo e rigettiamo … le proposizioni prima inserite, rispettivamente, come false, fraudolente, male sonanti, offensive per le orecchie pie, scandalose, dannose, temerarie, offensive per la chiesa e per la sua prassi, oltraggiose non solo verso la chiesa ma anche verso i poteri secolari, sediziose, empie, blasfeme, sospette di eresia e in odore di eresia, e anche atte a favorire gli eretici, le eresie e anche lo scisma, erronee, vicine all'eresia, ripetutamente condannate, e finalmente eretiche, e che rinnovano in modo manifesto le diverse eresie, soprattutto quelle che sono contenute nelle famose proposizioni di Giansenio, accolte proprio in quel senso in cui sono state condannate. Innocenzo XIII: 8 maggio 1721 - 7 marzo 1724 Benedetto XIII: 29 maggio 1724 - 21 febbr. 1730 4-7-1855 Sant'Ufficio: Privilegio Paolino Istruzione al Vicario apostolico del Siam Privilegio paolino Istruzione del S. Uffizio al Vicario apostolico del Siam, del 4 luglio 1855 … È del tutto proibito che una cristiana sposi un pagano; se poi, dopo che si è ottenuta dalla Santa Sede la dispensa per la disparità di culto, talvolta accade che un simile matrimonio si compia, e noto che questo, per quanto riguarda il vincolo, sarà indissolubile, e che solo talvolta per quanto riguarda il letto può essere sciolto. … La moglie cristiana dunque, mentre è in vita l'infedele, anche se concubino, non potrà mai intraprendere nuove nozze. Se invece si tratta di una moglie pagana di un pagano concubino, che si converte, allora dopo aver fatto la richiesta ( come sopra ), se questi rifiuta di convertirsi o di vivere insieme senza ingiuria del Creatore, e quindi di porre fine al concubinato ( che non può certamente esserci senza ingiuria del Creatore ), si potrà far uso del privilegio concesso in favore della fede. In generale, se la conversione del coniuge ha preceduto il matrimonio con un infedele, posto in essere in base a una precedente dispensa apostolica, in nessun modo si può usufruire di quel privilegio concesso in favore della fede; se invece il matrimonio ha preceduto la conversione, allora la parte che si è convertita potrà usare di quel privilegio, come è stato detto. Bisogna anche considerare, per quanto riguarda gli impedimenti dirimenti, che l'ignoranza invincibile o la buona fede non sono sufficienti per contrarre un matrimonio valido. Anche se talvolta ( cosa che tuttavia raramente si deve credere nella prassi ) quell'ignoranza e buona fede valgono per scusare dal peccato, tuttavia non possono mai rendere valido un matrimonio che è stato posto in essere con un impedimento dirimente.