Quae in Patriarchatu

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1 Non crediamo che Voi ignoriate le cose che sono avvenute nel Patriarcato di rito Caldaico da diversi anni a questa parte, e che ancora avvengono, tuttavia è conveniente ricordarle, affinché sappiate come sono andate realmente le cose, quanto è stato fatto da Noi e che cosa rimane ancora da fare per allontanare i danni che minacciano la vostra fede cattolica e l'unità.

Abbiamo ragione di temere che non si sia agito sinceramente con voi e che la verità sia stata oscurata con capziose ambiguità di parole, e i fatti siano stati esposti calunniosamente o distorti in senso malvagio.

Seguendo pertanto l'esempio dei Nostri Predecessori, che in simili congiunture non tralasciarono di rendere edotti i Vescovi, il Clero e il popolo sulla vera situazione, vogliamo fare anche Noi la stessa cosa, affinché non appaia che siamo carenti per nessuna ragione al dovere del Nostro Apostolato.

2 È stata tanto grande la rovina recata alle vostre regioni dall'eresia di Nestorio, che ha devastato codesta vigna del Signore, una volta così fiorente, come se un cinghiale, animale particolarmente selvatico, fosse uscito dalla selva e l'avesse distrutta.

Infatti si affievolì poco a poco la scrupolosa osservanza dei Canoni; scomparve la solenne autorità dei Pontefici; prese piede l'ambizione di uomini che, privi del timor di Dio, aspiravano alle cariche ecclesiastiche; s'introdusse l'obbrobrio della successione ereditaria dei Patriarchi; e la dottrina cattolica si trovò infettata, oltre che degli antichi errori quasi obsoleti, anche di nuovi, al punto che sembrava dovesse considerarsi cancellato lo stesso nome Cristiano.

I Romani Pontefici non cessarono mai di curare attentamente tutti questi mali, finché fu loro permesso di inviare in Oriente uomini Apostolici, per opera dei quali non pochi Presuli Nestoriani, dopo avere abiurata l'eresia, sono ritornati alla fede cattolica e all'unità.

Con quanta attenzione e con quanta carità siano stati accolti, sia quelli che inviarono lettere ai Nostri Predecessori, sia quelli che, dopo aver superato le molestie e le fatiche di un lungo pellegrinaggio, giunsero a questa santa Città, appare manifesto tanto dagli Atti della Sede Apostolica, quanto dalle lettere della stessa che riteniamo esistano ancora nei vostri archivi.

3 Giunse finalmente l'auspicato giorno luminoso nel quale, tolte di mezzo tante difficoltà e specialmente rimosso l'impedimento della successione ereditaria dei Patriarchi, era lecito sperare che, ristabilito e ricomposto l'ordine della disciplina ecclesiastica, che è custodia e baluardo della fede, potesse rinascere e rifiorire la Chiesa di rito Caldaico.

Noi speravamo che questo potesse avvenire per opera del Venerabile Fratello Giuseppe Audu, che allora era Vescovo di Amida.

Animati quindi da tale speranza, lo abbiamo nominato Vicario Apostolico del Patriarcato Caldaico, allorché questo si rese vacante per la rinuncia di Isaia Giacomo, resa nelle Nostre mani.

In seguito Ci siamo molto rallegrati quando abbiamo saputo che la medesima persona era stata richiesta e poi eletta alla dignità patriarcale con i voti dei Vescovi.

Successivamente abbiamo confermato con tanta soddisfazione questa elezione, o istanza, nel Concistoro dell'11 settembre 1848, e con la Nostra autorità Apostolica abbiamo nominato il predetto quale Patriarca di Babilonia dei Caldei, difendendolo strenuamente quando fu assalito da tanti obiettori.

La speranza che avevamo precedentemente concepito, fu confermata non soltanto dalla fedeltà e dall'obbedienza che egli promise con solenne giuramento a Noi e ai Nostri Successori, come è costume e dovere di tutti i Patriarchi cattolici, ma anche con lettere ossequiose con le quali espose i suoi egregi sentimenti di una devota volontà e di un animo sottomesso a Noi e a questa Santa Sede.

4 Ma non molto dopo scrisse una e più volte alla Nostra Congregazione di Propaganda Fide che gli erano state recapitate lettere dei Malabarici, per opera ed iniziativa di un Vescovo eretico dei Siro-Giacobiti che dimorava colà, nelle quali gli stessi Malabarici, raccogliendo molte proteste e accuse contro i Missionari Latini e i Vescovi che li curavano spiritualmente in Nostro nome, chiedevano che fosse loro concesso dal Patriarca un Vescovo del loro rito.

Sebbene fosse certo che lo stesso Patriarca non poteva avere nessuna giurisdizione sui Malabarici, tuttavia era giusto esaminare diligentemente le loro doglianze per poter provvedere alle loro necessità spirituali con tanta maggiore efficacia e celerità, quanta maggior sollecitudine la Sede Apostolica deve avere verso coloro che essa stessa regge e governa tramite i suoi Vicari.

Per tali ragioni fu disposta un'accurata indagine per accertare la verità, al fine di poter giudicare che cosa si doveva fare e stabilire per il loro vantaggio spirituale.

Mentre ritardava una risposta definitiva, si venne a sapere quello che poi fu provato da una lettera autografa inviata in data 21 dicembre 1856 a un sacerdote Malabrico di nome Emmanuele: le richieste venivano eccitate dallo stesso Patriarca dei Malabarici; veniva favorita la speranza e insegnato il modo con i quali si potevano soddisfare i desiderata, stancando la Santa Sede con lamentele contro i Missionari e con frequenti e ripetute istanze.

Frattanto Noi, desiderando comporre la questione con miti provvedimenti, abbiamo dato mandato al Nostro Pro-Delegato in Mesopotamia di far recedere il Patriarca dal suo intento.

Questi fu anche invitato a non interessarsi più della regione Malabarica.

5 Egli però non diede ascolto agli ordini, e pretendendo che la regione dei Malabarici a buon diritto fosse di sua competenza, scelse fra i suoi familiari Tommaso Rokos e, ordinatolo Vescovo, lo mandò a Malabar, nonostante si opponesse e lo proibisse, anche sotto la minaccia di censure, il Nostro Venerabile Fratello Enrico Amanton, Vescovo – finché visse – di Arcadiopoli e Nostro Delegato in Mesopotamia.

Il Rokos, giunto colà, asserendo falsamente di essere stato inviato dallo stesso Patriarca su Nostro comando, usurpò la giurisdizione ecclesiastica, promosse agli Ordini sacri molti individui, anche se poco degni, e non ebbe scrupolo di sovvertire in su e in giù la Chiesa Malabarica.

Mossi da questi misfatti e stimolati dalle proteste dei Sacerdoti malabarici, abbiamo dato ordine al Venerabile Fratello Bernardino, Arcivescovo di Farsalo, che presiedeva allora come Vicario, su Nostro mandato, a quella Chiesa, che invitasse secondo i Canoni quel Vescovo Tommaso ad andarsene e, se renitente, lo scomunicasse pubblicamente; il che avvenne.

Noi frattanto richiamammo a Roma il Patriarca, lo rimproverammo apertamente per la grave mancanza, e gli comandammo di revocare immediatamente quel Vescovo Rokos, che egli aveva temerariamente introdotto in Malabar.

Al Patriarca, che ubbidì, concedemmo il richiesto perdono e l'assoluzione dalle censure.

6 Allora ordinammo che tutta la materia e ciò che era accaduto venissero esaminati dai Venerabili Nostri Fratelli Cardinali di Santa Romana Chiesa della Congregazione di Propaganda Fide per gli affari di Rito Orientale.

Nella riunione svoltasi il 6 marzo 1865, furono esaminate accuratamente e sollecitamente tutte queste vicende, e a suffragio unanime, con la Nostra approvazione, fu stabilito che non si doveva estendere la giurisdizione del Patriarca di Babilonia dei Caldei alla regione di Malabar.

Inoltre furono approvate molte altre decisioni, sia per procurare la sicurezza ai Malabarici, sia per sedare il turbamento degli animi che si era creato fra i Caldei in conseguenza di quanto il Patriarca aveva sconsideratamente compiuto.

Il Patriarca accettò, seppure a malincuore, questi provvedimenti, o almeno parve li accettasse: e questa opinione fu confermata dalle sue successive azioni.

Anche se in seguito dovemmo dolerci di alcuni provvedimenti da lui adottati poco rettamente, tuttavia egli si dimostrò accondiscendente verso di Noi come si conveniva, e riconoscendo, come di dovere, la Nostra autorità, diede un preclaro esempio di obbedienza, sia pubblicando – come avevamo comandato – il Nostro decreto con il quale si abrogavano le censure da lui temerariamente comminate, sia negando la consacrazione episcopale a un Malabarico che gli era stata richiesta da alcuni che macchinavano innovazioni in quella regione.

7 In tale situazione stabilimmo pure che s'instaurasse nella Chiesa Caldea l'auspicata disciplina ecclesiastica, poco osservata, trascurata e, per la malizia dei tempi, quasi dimenticata, fatti salvi pero i suoi riti, che anticamente erano stati istituiti dai Santi Padri e che furono sempre riconosciuti e approvati da questa Sede Apostolica.

Questo Nostro proposito fu notificato al Patriarca dalla Nostra Congregazione di Propaganda Fide, per Nostro mandato, il 3 settembre 1868, e contemporaneamente fu inviato a lui un esemplare della Nostra Costituzione, pubblicata il 12 luglio 1867, nella quale erano stati sanciti alcuni capitoli di disciplina ecclesiastica, specialmente relativi all'elezione dei Vescovi, da osservarsi nel Patriarcato Armeno.

Non appena ricevette tale materiale, per mezzo del Vescovo Elia Mello che allora era presente a Roma, con proprie lettere inviate alla predetta Congregazione volle assicurarci che egli non dissentiva per nulla dalla Nostra volontà riguardo alle regole sulla elezione dei Vescovi, professando di accoglierle con ogni devozione ed obbedienza.

Anzi, sperava che dal previsto ordinamento sulle elezioni dei Vescovi sarebbero derivati vantaggi, ed egli si sarebbe sempre comportato come appariva conveniente ed opportuno a Noi; il che fu per Noi motivo di gioia e letizia.

Frattanto, essendo rimaste orbate dei loro Pastori le Chiese di Diyarbekir e di Mardin di rito Caldaico, Ci propose i nomi di alcuni sacerdoti, affinché mettessimo a capo di queste Diocesi coloro che secondo la Nostra autorità avessimo giudicato in Domino più degni e più idonei: il che fu fatto con Nostra Lettera Apostolica in data 22 marzo 1869.

Fummo talmente commossi da tali segni di devozione ed obbedienza, che avendo egli umilmente esposto che preferiva che colui che avevamo destinato alla Chiesa di Amida venisse assegnato come Vescovo alla Chiesa di Mardin, e viceversa, Noi abbiamo deciso di acconsentire in pieno a tale richiesta.

8 Dopo questi avvenimenti, abbiamo ritenuto che non si dovesse differire oltre il ripristino della disciplina nel Patriarcato di rito Caldaico, nel quale si doveva assolutamente iniziare dalla retta elezione dei Vescovi.

Infatti, se non si scelgono per tale oneroso compito, spaventoso per le stesse spalle angeliche, uomini ragguardevolissimi, che agiscano secondo il cuore e la volontà di Dio, si producono gravissimi danni e calamità quasi irrimediabili per la Chiesa: lo attesta la storia di tutti i tempi e di tutti i luoghi, e lo conferma l'esperienza.

A questo scopo fu pubblicata da Noi il 31 agosto 1869 la Costituzione Apostolica Cum ecclesiastica disciplina nella quale, riguardo alla elezione dei Vescovi, veniva stabilito di osservare all'incirca quello che lo stesso Patriarca – come abbiamo detto sopra – aveva già fatto volentieri per le Diocesi di Diyarbekir e di Mardin: cioè, quando si rendesse vacante una Sede episcopale, venissero a Noi proposti dal Sinodo dei Vescovi tre uomini ragguardevoli, onde giudicassimo chi era il più degno e il più idoneo e lo collocassimo alla guida della Diocesi vacante.

Veniva inoltre decretato che sarebbe stato illegale e invalido tutto ciò che si fosse tentato di fare contro queste disposizioni.

9 Frattanto era stato indetto il Concilio Ecumenico Vaticano, al quale furono convocati i Vescovi di ogni Nazione e Rito.

Intervenne fra gli altri anche lo stesso Venerabile Fratello Patriarca dei Caldei con quasi tutti i Vescovi del suo Rito; ma avvertimmo con dolore che egli era molto mutato da quello che prima Ci aveva dato tanti segni di riverenza e di obbedienza.

Infatti si rifiutò di consacrare come Vescovi delle predette Chiese di Diyarbekir e di Mardin i sacerdoti Pietro Attar e Gabriele Farso, che avevamo eletto fra quelli da lui proposti, assegnando a ciascuno la Chiesa da lui preferita.

Allorché stava per partire da Roma, abbiamo ordinato che gli venisse richiesta una dichiarazione di totale adesione e di accettazione della Costituzione De Ecclesia Christi approvata nella quarta Sessione del Concilio Ecumenico Vaticano, alla quale egli non era stato presente.

Noi stessi lo esortammo e scongiurammo a compiere questo dovere, prospettandogli l'esempio di altri Vescovi che, non essendo intervenuti alla quarta Sessione, non esitarono ad aderire a quella dichiarazione.

Egli da principio cominciò a frapporre indugi e a tergiversare, poi asserì pervicacemente che lo avrebbe fatto più utilmente dopo che fosse tornato alla sua sede, promettendo contemporaneamente che non avrebbe tralasciato nulla per darci soddisfazione.

Questo fatto Ci procurò grande dolore e ansietà, che poi crebbero quando, recatosi a Costantinopoli, subornato dalle blandizie e dalle menzogne degli Armeni Neoscismatici e incitato dal loro esempio, egli non esitò a celebrare occasionalmente con loro in divinis; mentre professava con un atto solenne la sua fedeltà alle leggi civili del Sultano, insinuava che le Nostre Costituzioni Apostoliche erano contrarie ad esse.

In quella circostanza accadde anche che egli trascurò di presentare i debiti doveri di urbanità al Nostro Legato straordinario che in quel tempo dimorava a Costantinopoli.

Non diede alcuna risposta alla lettera inviata dalla Nostra Sacra Congregazione nella quale erano espresse le opportune ammonizioni.

Inoltre, ritornato in Mesopotamia, si unì ai promotori di novità e fece sconsideratamente certe affermazioni che, come fu riferito, non potevano accordarsi in alcun modo col ministero di un Vescovo cattolico, anzi neppure con la stessa fede ortodossa.

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