Promozione umana e salvezza cristiana

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1. Le situazioni di povertà e d'ingiustizia come punto di partenza d'un movimento teologico

Il Concilio Vaticano II ha richiamato alla Chiesa l'obbligo permanente di « scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo ».1

L'attuazione pratica di questa raccomandazione ha costituito oggetto di particolare insistenza nei documenti emanati dalla seconda Conferenza generale dell'episcopato dell'America Latina, tenuta nel 1968 a Medellín, in Colombia: la Chiesa ascolta il grido dei poveri e si fa interprete delle loro angustie.

Le sollecitudini che ispira alla Chiesa diffusa nel mondo intero la sfida lanciata dall'oppressione e dalla fame si manifestano non soltanto negli atti pontifici Mater et Magistra, Pacem in Terris, Populorum Progressio, Octogesima Adveniens, ma anche nelle dichiarazioni del Sinodo dei vescovi riunito a Roma nel 1971 ( La giustizia nel mondo ) e nel 1974.

Il papa Paolo VI ha ancora additato il dovere che incombe alla Chiesa in questa materia nell'esortazione apostolica L'evangelizzazione nel mondo d'oggi, dell'8 dicembre 1975.2

Bisogna tener conto di queste circostanze per comprendere i numerosi saggi teologici pubblicati in questi ultimi anni intorno a tali problemi.

Anche se rivestono un carattere scientifico, essi tuttavia non si presentano per prima cosa come frutti d'una ricerca teorica, né prima di tutto come una teologia « scritta ».

Essi intendono rimanere in stretto contatto con la vita quotidiana delle popolazioni vittime della miseria e col compito che la Chiesa deve adempiere in siffatta circostanza.

Loro proposito è di far largamente sentire il grido del fratello povero e sofferente,

i lamenti suscitati dalla fame,

dalle malattie,

dall'ingiusto sfruttamento praticato a scopo di lucro,

dall'esilio forzato,

dall'oppressione.

Bisogna aggiungervi le inumane condizioni di esistenza imposte ad uomini che posseggono soltanto ciò che hanno addosso, che trascorrono la notte nelle strade, vivendovi e morendovi, senza usufruire neppure della più elementare assistenza medica.

Per il cristiano illuminato dal Vangelo, questi « segni dei tempi » costituiscono una delle sfide più provocanti; lo incitano a compiere, in nome della fede, tutti gli sforzi possibili per liberare questi suoi fratelli dalla loro inumana condizione.

Quest'interessamento per i miseri e quest'alleanza con gli oppressi trovano espressioni particolarmente suggestive nelle parole bibliche di giustizia, liberazione, speranza, pace.

Questa testimonianza di sollecitudine verso i poveri, nutrita dal Vangelo di Cristo ( cf. Lc 4,18ss ), costituisce come l'istanza spirituale costante di tutti i saggi dei teologi in questa materia; le considerazioni teologiche e le opzioni politiche sono ad esse chiaramente debitrici della loro ispirazione.

Un'esperienza spirituale stimola lo sforzo intellettuale, che tende a tradurre i movimenti della carità cristiana in consegne efficaci d'azione mediante la riflessione umana e la cosiddetta analisi scientifica.

I due momenti - quello d'un'esperienza spirituale di carattere fondamentale e quello del pensiero teologico e scientifico - sono complementari e formano un'unità vivente.

Bisogna però guardarsi dal confonderli.

Non s'ha dunque il diritto di opporre una critica negativa ai diversi sistemi teologici di cui si tratta, se non si resta attenti al clamore dei poveri e se non si ricerca una maniera migliore di rispondervi.

Ma, d'altra parte, è lecito domandarsi se le elaborazioni teologiche più in auge al momento presente, così come si presentano di fatto, aprano l'unica via che porta a venire incontro, nella maniera più adeguata, all'aspirazione verso un mondo più umano e più fraterno.

In realtà, ogni teologia che voglia essere efficace deve eventualmente accogliere le modifiche e i correttivi che vengono suggeriti, se questi la mettono in grado di meglio adempiere la sua missione fondamentale.

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1 Gaudium et Spes, n. 4
2 Cf. nn. 30-38